Il recente reportage realizzato da
Paolo Cochi sulla retrodatazione del delitto degli Scopeti ha provocato un
salutare aumento d’interesse verso la messa in discussione della verità uscita
dal processo ai cosiddetti “Compagni di merende”. Il lettore che eventualmente
non sapesse nulla dell’argomento può guardare i due video originali (Scopeti,
l'ultimo delitto del mostro
e Contenuti
speciali), e leggere le
interessanti considerazioni sulle conseguenze riportate nel blog Storia
del Mostro di Firenze.
Chi scrive si trova del tutto d’accordo con quanto viene dichiarato dagli
esperti entomologi, i quali del resto non hanno fatto altro che confermare ciò
che era già deducibile dall’analisi delle condizioni al contorno effettuata dal
legale delle vittime, avvocato Vieri Adriani, resa disponibile fin dal 2010 nel
documento scaricabile dal suo sito e poi ribadita nel bel libro “Il
delitto degli Scopeti – Giustizia mancata”.
Venerdì sera 6 settembre 1985, dopo aver
cenato alla Festa dell’Unità di Cerbaia, i due sfortunati turisti francesi si
ritirarono nella loro tenda – montata sulla piazzola forse già al pomeriggio –
e una o due ore dopo furono uccisi. I loro corpi rimasero sul posto, quello di
lei nella tenda, quello di lui tra i cespugli, per ben due giorni e mezzo, fino
al ritrovamento a opera di un presunto cercatore di funghi nel primo pomeriggio
di lunedì 9. Sulla base dei risultati autoptici, il delitto fu collocato dall’anatomopatologo
Mauro Maurri nella notte della domenica, pur con una notevole incertezza e
contro l’opinione di altri, degli esperti dell’equipe di Modena, innanzitutto,
ma anche di almeno un collega che aveva assistito all’autopsia, Giovanni
Marello, e dell’allora capo della SAM Sandro Federico, soltanto un poliziotto
ma abituato a valutare a naso la “freschezza” dei cadaveri.
Non è ben chiaro il perché in Procura ci
si avvinghiò alla datazione della domenica, quasi certamente si temeva
l’effetto che avrebbe potuto provocare sull’opinione pubblica la notizia della
mancata tempestività nella scoperta dei cadaveri, possibile indice di una certa
trascuratezza nel controllo delle zone a rischio. In ogni modo così andò, e se
il madornale errore ebbe poche conseguenze durante le indagini su Pacciani, il
quale non aveva un alibi sicuro per la domenica ma neppure per il venerdì e per
il sabato (vedere qui), ne ebbe di fondamentali per le
successive sui presunti complici. Già l’avvistamento dell’auto del contadino,
con un passeggero a bordo, alla domenica sera vicino alla piazzola sarebbe
stato da valutarsi in modo ben diverso; come anche quello di un Pacciani
trafelato, a bordo di un’auto non sua, che la stessa notte pareva dirigersi
verso San Piero a Sieve per imbucare la macabra lettera. Opera rispettivamente
di Lorenzo Nesi e Ivo Longo, i due avvistamenti furono motivo di sospetto della
presenza di eventuali complici, in un caso il passeggero e nell’altro il
proprietario dell’auto, e quindi dell’inizio di nuove indagini, che poi
avrebbero portato a Fernando Pucci e Giancarlo Lotti, e al loro accodamento
alla collocazione del delitto nel giorno sbagliato di domenica.
Sul fatto che Pucci e Lotti mentirono nel
raccontare d’aver visto Vanni e Pacciani uccidere i francesi non ci sono dubbi.
A distanza ormai di quasi 16 anni dall’ultimo pronunciamento della giustizia,
queste ultime risultanze delle analisi entomologiche non fanno altro che
confermare quanto già emergeva da un’analisi serena delle loro traballanti
dichiarazioni, sulle quali pare impossibile che possa essersi basata la
condanna all’ergastolo di un uomo. Non è però intellettualmente onesto ignorare
la più che probabile presenza dei due compari sotto la piazzola la domenica 8
settembre 1985, a delitto già consumato, entrambi al pomeriggio e almeno Lotti
anche alla sera. Una presenza che va spiegata.
In questo articolo si cercherà di fare il
punto sull’argomento, partendo dall’esame delle testimonianze per poi cercare
una possibile ricostruzione dei fatti.
Il terreno situato lungo via Scopeti,
dalla parte opposta rispetto alla boscaglia dove furono uccisi i turisti
francesi, era di proprietà privata, protetto sul lato della strada da un alto
muro. L’accesso avveniva tramite un cancello posto proprio in corrispondenza
della sterrata che conduceva alla tragica piazzola, da dove una stradina
interna, lunga circa trecento metri, consentiva di raggiungere una collinetta
sulla quale si ergeva una casa colonica ristrutturata a villa. La domenica del
delitto il proprietario, Giancarlo Rufo, si trovava lì, ma non si era accorto
di nulla, come lui stesso aveva riferito nell’interrogatorio del 10 settembre
1985. Nell’ambito delle nuove indagini alla ricerca di eventuali complici di
Pacciani, dieci anni dopo si tornò a interessarsi alla sua testimonianza. Nel
frattempo l’uomo era deceduto, ma dal vecchio verbale si scoprì che quella
domenica pomeriggio aveva ospitato degli amici, mai interrogati. Si trattava
dei coniugi Marcella De Faveri, insegnante di scuola, e Vittorio Chiarappa,
maestro di musica al conservatorio, i quali furono ascoltati a casa loro da
uomini della SAM l’11 ottobre 1995, quindi qualche giorno prima della nomina di
Michele Giuttari a capo della Squadra Mobile, avvenuta il 15.
I due testimoni riferirono di essere
arrivati in auto da Firenze davanti al cancello, posto alla loro sinistra,
attorno alle 15, e che per entrare, dovendo allargarsi sulla destra, avevano
trovato difficoltà causa la presenza di un’auto parcheggiata tra l’asfalto e lo
sterrato con il muso in direzione di San Casciano, all’inizio della salita che
portava alla piazzola.
La donna la definì “dalla forma
tronca dietro, di colore rosso, sicuramente non più nuovo né brillante, ma
sbiadito”, l'uomo “di colore
rosso sbiadito, di forma squadrata, con il dietro tronco”. Appoggiati all’auto, di spalle, due
individui, così descritti dalla donna (dal libro di Giuttari “Il Mostro”):
Uno era un uomo di mezza età,
di corporatura tipo squadrata, di media altezza, senza collo, con testa dal
taglio rettangolare, che mi dava l'apparenza di essere un contadino. Costui
stava appoggiato al cofano motore della macchina (cioè alla parte anteriore indirizzata
verso San Casciano) guardando in avanti, lungo la strada. Mi dava l'impressione
d'avere i capelli tagliati corti. Il secondo personaggio era appoggiato sul
lato destro dell'auto e guardava il bosco. Questi dava l'impressione di essere
un po' più alto del precedente e come figura sembrava meno grezzo dell'altro.
Appassionato di fotografia, Vittorio
Chiarappa si era portato dietro una macchina dotata di un potente teleobiettivo
di recente acquisto, con la quale si era divertito, assieme alle altre persone
presenti nella villa, a inquadrare i particolari delle zone circostanti, tra
cui l’auto rossa a coda tronca, rimasta nella medesima posizione con appoggiato
un individuo, definito “di corporatura grossa e di mezza età”, intento a
osservare il bosco (al contrario della moglie lui ne vide sempre soltanto uno).
A metà pomeriggio Chiarappa, da solo, si era recato a Firenze per commissionare
un necrologio, e uscendo dal cancello aveva visto l’auto e l’individuo sempre
nel medesimo posto. Al rientro la situazione non era cambiata. Nel tornare a
casa, i coniugi erano transitati attraverso il cancello attorno alle 19.30-20,
vedendo ancora una volta l’auto rossa, in apparenza senza persone né a bordo né
attorno.
La testimonianza di Marcella De Faveri e
Vittorio Chiarappa deve considerarsi senza esitazione alcuna come genuina.
Intanto sulla data non potevano esserci dubbi, se non altro perché il
necrologio commissionato a Firenze da Chiarappa riguardava un noto musicista, Franco
Ferrara, la cui data di
morte è facilmente verificabile e risale proprio al giorno prima. Ma
soprattutto i due non si erano risvegliati a distanza di anni affermando d’aver
incontrato l’assassino all’opera, magari proprio quel Pietro Pacciani visto in
televisione, ma erano stati rintracciati dagli inquirenti e avevano raccontato
soltanto dei fatti vissuti in prima persona, senza assegnar loro alcun
significato particolare. Anche se non risulta specificato in nessun documento,
è pacifico che i due furono messi di fronte alle fotografie sia di Pacciani sia
di Vanni, il quale ultimo era ormai già saldamente nel mirino degli inquirenti
come presunto complice, ma loro non li identificarono affatto nei misteriosi
individui, che d’altra parte non avevano visto in faccia. Però avevano
descritto con una certa precisione la loro fisionomia da dietro e soprattutto
la loro auto.
Va riconosciuto che nei racconti dei
coniugi ci sono diverse incertezze, del resto ben comprensibili dopo tanto tempo,
ma proprio il fatto che furono riportate senza nulla temere aumenta la
genuinità della testimonianza. Di più: quelle incertezze differenziavano i loro
racconti, il che risulta un fattore di grande rilievo nell'escludere le nefaste
influenze reciproche che presumibilmente ci furono in altri casi, ad
esempio in quello dei coniugi Martelli-Caini.
Un ulteriore elemento di autenticità è
dato da un verbale del 15 novembre 1995, la cui lettura dimostra che i coniugi,
già all’epoca, avevano cercato di comunicare il loro avvistamento alle forze
dell’ordine. La signora De Faveri vi esprime un dubbio sul colore dell’auto, ma
soprattutto afferma che lei e il marito avevano raccontato subito della loro
esperienza a un conoscente, tale dottor Cecere, con tutta probabilità Giovanni
Cecere Palazzo, in quel periodo in forza alla Questura di Firenze:
La vettura della quale ho
parlato non era sicuramente un maggiolino Wolkswagen, tipo di auto che è uno
dei pochi che conosco bene.
Rammento che appena saputo
dalla televisione del duplice omicidio, conoscendo il dott. Cecere, parlammo
con lui di quanto si era visto.
Può darsi che con il dott.
Cecere abbiamo parlato più nei dettagli della macchina perché le sue domande
erano puntate molto sulla vettura da noi vista. Debbo anche aggiungere che
nell’epoca noi avevamo avuto un’auto rossa ed ora, essendo passati tanti anni,
non sono certissima che l’auto che ho descritto fosse rossa perché in certi
momenti mi viene il dubbio che fosse bianca. Sulla forma, però, sono sicura che
fosse senza coda così come ho già detto.
Riguardo il dubbio sul colore, la signora
lo avrebbe ripetuto due anni dopo in dibattimento (vedi), rispondendo al PM: “Quando sono venuta da lei avevo un dubbio se rossa o bianca.
Poi ho fatto mente locale, cioè proprio di cercare di… e quasi sicuramente era
rossa”. Il marito invece si sarebbe mostrato sicuro: “Una macchina rossa, sbiadita, rossa, con... adesso è passato
il tempo, ma il finale non era rotondo ma tronco” (vedi).
Molto probabilmente anche Sabrina
Carmignani aveva visto la medesima auto. Dal verbale redatto davanti ai
Carabinieri nell’immediatezza del delitto risulta la seguente frase: “Mentre stavamo andando via è arrivata un'altra autovettura
con una persona a bordo. Era una macchina tipo la Regata, ma si trattava di
un'auto che non so descrivere, anche perché non ho dato importanza alla cosa”.
Nell’interrogatorio di cui abbiamo già trattato qui la donna fornì anche una sostanziale e
importante conferma alla testimonianza dei coniugi De Faveri-Chiarappa,
precisando alcune caratteristiche lasciate indefinite nel 1985 sull’auto e sul
suo conducente. Nell’impossibilità di disporre delle dichiarazioni originali è
necessario riferirsi alla deposizione di due anni dopo (vedi), la quale però parve rispecchiare il
verbale in mano al PM:
Era una macchina che mi
sembrava vecchia, con la vernice un po' scolorita, tipo queste macchine vecchie
scolorite dal sole. Non era una macchina nuova, cioè del tempo. Sicuramente
risaliva a molti anni prima come modello.
[…] diciamo che io l'ho vista
davanti […] non era una Regata era simile il muso davanti […] perché era
abbastanza basso. […] Probabilmente aveva dei fari rettangolari. [Il colore] poteva essere benissimo, non so, un rosso molto sbiadito,
decolorato proprio.
Veniva da San Casciano e girò
per entrare nella piazzola. Però c'era la mia macchina lì, quindi fece marcia
indietro e proseguì non per San Casciano, nella direzione opposta […] mi sembra
che c'era una persona dentro […] quello che ricordo è che, comunque, sembrava
un cacciatore. […] Abbastanza grosso, cioè, abbastanza grosso.
Purtroppo la Carmignani aveva visto
l’auto di fronte, quindi non aveva potuto apprezzare il taglio della coda, ma
il muso basso si adattava bene a un modello sportivo, esattamente come la coda
tronca dei coniugi, che invece avevano potuto vederla di profilo. Il colore rosso
sbiadito, invece, corrispondeva in pieno, e la valutazione di una macchina “vecchia, con la vernice un po’ scolorita” faceva
il paio con quella della signora De Faveri di un “colore rosso,
sicuramente non più nuovo né brillante“.
Anche la descrizione del conducente, dipinto dalla Carmignani come vestito da
cacciatore e di grossa corporatura, era ben compatibile con quella dell’unico
individuo visto da Vittorio Chiarappa, parimenti di grossa corporatura, e con
la generale impressione di due personaggi piuttosto grezzi ricevuta dalla
moglie.
Quando era arrivata, Sabrina Carmignani
non aveva notato l’auto ferma all’inizio della piazzola nella posizione
descritta dai due coniugi, ma è facile ipotizzare il perché. Quando Vittorio
Chiarappa l’aveva vista ancora parcheggiata transitando dal cancello per
recarsi a Firenze, secondo lui erano tra le ore 16 e le ore 17, secondo la
moglie circa le 16.30 (dichiarazioni del dibattimento), mentre Sabrina
Carmignani era arrivata alle 17.30. Quindi si può ipotizzare che nel frattempo
l’auto fosse ripartita, probabilmente per accompagnare il passeggero da qualche
parte. Se, come è lecito sospettare visto il loro strano comportamento, i due
individui erano consapevoli della presenza dei cadaveri sulla piazzola, il
passeggero poteva essersi sentito a disagio già all’arrivo dei coniugi,
nascondendosi o comunque mettendosi in disparte subito dopo. Chiarappa infatti,
sia giocando con il teleobiettivo, sia quando era uscito per recarsi a Firenze,
aveva visto un individuo soltanto, il cui defilato compagno potrebbe aver poi
deciso d’abbandonare definitivamente la scena anche a causa del suo secondo
passaggio.
Quando la Carmignani stava per andarsene
erano circa le 18, e proprio in quel momento l’auto rossa stava tornando con a
bordo una persona soltanto. Veniva da San Casciano, quindi, considerati i
tempi, proprio lì poteva essersi fatto accompagnare il passeggero. Il
conducente doveva invece avere tutta l’intenzione di riprendere le attività precedenti,
ma l’auto dei due fidanzati in uscita lo aveva fatto desistere, almeno per il
momento, e quindi si era diretto verso Firenze. Poco dopo, però, era tornato
indietro, e aveva parcheggiato l’auto con il muso rivolto ancora verso San
Casciano. Con almeno un’ora di viaggio, tra andata e ritorno, e il tempo
necessario per il necrologio, Vittorio Chiarappa era rientrato successivamente,
trovando l’auto rossa più o meno nella medesima posizione dell’andata. Si può
ragionevolmente ritenere che durante la sua assenza né la moglie, né Giancarlo
Rufo né eventuali altri presenti in casa avessero giocato con il suo potente
teleobiettivo, e quindi non si fossero accorti delle manovre dell’auto.
Prima di chiudere questa prima parte
dell’articolo, è il caso di chiedersi quale credito concedere alla
testimonianza di Sabrina Carmignani, soprattutto riguardo l’importante
precisazione del colore dell’auto, un dato che nel verbale del 1985 non
compariva. Si potrebbe pensare a una concessione alle esigenze della Procura,
per la quale quell’auto poteva essere la Fiat 128 rossa di Giancarlo Lotti. Ma
non è così, per due ragioni fondamentali. La prima è la refrattarietà della
testimone a dichiarare il falso, ampiamente dimostrata dalla sua ferma
opposizione al tentativo di farle ammettere che il guidatore era Mario Vanni,
lo abbiamo visto qui. La seconda e più importante è il fondamentale disinteresse
della Procura verso la presenza di Lotti e Pucci sotto la piazzola al
pomeriggio. A dimostrarlo basta la mancanza di qualsiasi domanda del PM in
dibattimento riguardo la loro possibile identificazione nei personaggi visti
sia dalla Carmignani sia dai coniugi De Faveri-Chiarappa. In effetti quella
presenza risultava piuttosto imbarazzante per l'accusa, in un contesto dove a
Lotti era stato dato appuntamento per la sera, quindi non si comprende quale
senso avrebbe avuto per lui rimanere l’intero pomeriggio sotto la piazzola. In
ogni caso su questo argomento torneremo.