Dopo le sette i
servizi. È quanto accadde all’inizio di settembre 2001, quando i mezzi
d’informazione s’inebriarono della nuova ipotesi investigativa, arricchita dal
coinvolgimento del notissimo personaggio televisivo nonché criminologo
Francesco Bruno.
La Carlizzi
precede tutti. All’origine sempre lei, la sedicente “giornalista
investigativa” Gabriella Pasquali Carlizzi, che un irresistibile impulso
interiore costringeva a mettersi sempre in mezzo a ogni storia giudiziaria
importante. Era stata lei, per prima, a fiutare la pista già da almeno tre
anni, come dimostra questa lettera inviata a Giuttari il 9 marzo 1998,
pubblicata nel libro il Mostro «a» Firenze. Conviene riportarne il testo
completo, a suo modo assai gustoso, dal quale il lettore può anche farsi
un’idea di quali fossero i metodi della donna, le cui segnalazioni partivano
quasi sempre dalla lettura e dalla valutazione di documenti pubblici, in questo
caso un libro.
Ill.mo Dr. GIUTTARI, faccio seguito a quanto già riferito
telefonicamente al Suo vice – Dr. LA MATINA, per significarle quanto segue:
alcuni mesi fa ebbi l’occasione di leggere un libro
intitolato “coniglio il martedì” il cui autore è tale Aurelio MATTEI.
Dalla lettura analitica del testo, non ebbi dubbi che, il redattore dell’opera,
si riferisse ai delitti attribuiti al cosiddetto mostro di Firenze
insinuando, nel lettore, elementi tali da far intendere l’esistenza di una
organizzazione – nonché di un movente da parte di chi, così ben informato sui
fatti, potrebbe essere indicato o facente parte dell’organizzazione medesima, o
depositario di verità ancora oggi occultate dagli organi inquirenti.
Da vero segugio,
la Carlizzi si mise sulle tracce dell’autore sfruttando le poche informazioni
presenti sul libro. Una notevole faccia tosta e l’aiuto di una delle sue
numerose conoscenze la condussero alla meta.
Sentii, pertanto, l’esigenza di contattare direttamente
l’autore del testo anche se ciò si rivelò assai difficile non avendo, costui,
una diretta reperibilità. Effettuando una ricerca sui nominativi indicati nel
testo stesso e circa i ringraziamenti del MATTEI ai collaboratori, risalii allo
stesso mediante il nominativo della signora Eleonora SANTORO – all’utenza
telefonica nr° 06/….
Riuscii ad ottenere dal MATTEI, presentandomi al telefono
con altro nome, un appuntamento – motivando tale mia richiesta con una esigenza
di ricerca e di studio riguardo ad alcuni aspetti, di natura criminologica, che
emergevano dal suo libro.
Pertanto nella seconda metà dello scorso mese di dicembre,
accompagnata da un amico – disposto a confermare il tutto, mi recai in
Roma - ….., 28 dove, con stupore, all’interno indicatomi dal Mattei
trovai l’indicazione citofonica di altro ben noto professionista: il prof.
Francesco BRUNO; fu questa, per me, un’ulteriore conferma che il contenuto
del testo si riferiva, senza ombra di dubbio, ai delitti del mostro di
Firenze.
Una volta
scoperto l’inganno, Mattei avrebbe anche potuto mandare al diavolo la Carlizzi,
ma non lo fece, probabilmente perché lo riteneva pericoloso, sapendo bene che
la donna era meglio farsela amica piuttosto che nemica (anche se comunque neppure
in questo modo c’era garanzia di risultato).
Entrata nell’appartamento e dopo aver atteso circa 15
minuti, venivo ricevuta, unitamente al mio accompagnatore, dal dr. MATTEI che,
riconoscendomi, mi dirottava in una piccola stanza adibita – apparentemente, a
ripostiglio; lo stesso, subito mi chiese spiegazioni in merito dichiarandosi
palesemente contrariato dal mio espediente, al che io risposi confermando
l’unico mio vero intento, cioè incontrarlo.
Chiarito l’equivoco, chiesi subito al MATTEI come mai avesse
pensato di scrivere, anche lui e sotto forma di romanzo, fatti e
circostanze dettagliati che dimostravano, da parte dell’autore, un bagaglio di
informazioni inquietanti; questi, visibilmente irritato e diffidente, precisò –
esordendo, che sarebbe anche stato disponibile ad una collaborazione purché non
fosse mai emerso il suo nome, pena ampia smentita in tutte le sedi utili.
Cogliendo l’occasione chiesi se, a suo avviso, PACCIANI si sarebbe convinto a
rivelare notizie circa i mandanti dell’organizzazione criminale,
apprendendo – con stupore, che il PACCIANI stesso era solito recarsi – sembra
più volte nelle settimane, nello studio esatto in cui mi trovavo col MATTEI
che, continuando, riferì di avere forti perplessità sulla longevità del
PACCIANI, senza, ad onor del vero, specificare alcunché.
A questo punto
Gabriella Carlizzi tirò le proprie conclusioni secondo il proprio stile, evocando
la presenza di forze oscure che avevano operato e ancora operavano per
ostacolare le indagini.
Poco dopo, mi congedai dal MATTEI con indosso la sgradevole
sensazione che, dietro la vicenda del mostro di Firenze, permanevano
interessi da parte di poteri occulti e, sicuramente, deviati e quindi lesivi
per un sereno accertamento della verità.
Colgo l’occasione per ribadire la mia disponibilità a
formalizzare quanto scritto, nonché ulteriori fatti di cui sono venuta a
conoscenza nell’ambito della ben nota indagine conoscitiva da me, sempre,
condotta unitamente ai miei più stretti e privati collaboratori.
La Carlizzi
voleva essere convocata e ascoltata, e nella lettera non mise tutto quello che
sapeva. Sapeva per esempio che Bruno, nella sua qualità di consulente del SISDE
– i nostri servizi segreti civili di allora – aveva realizzato uno studio sul
Mostro, avendo ottenuto da Fioravanti, difensore storico di Pacciani, una copia della perizia difensiva dello
stesso Bruno che ne conteneva una parte. E non c’è motivo di dubitare che
Giuttari, direttamente o indirettamente, avesse sentito cos’altro aveva da
dire. Non che a lui fossero mancate le informazioni di prima mano, però andarle
a scovare nell’immensa mole di atti e altra documentazione non era compito facile, quindi una
suggeritrice come la Carlizzi gli tornava senz’altro utile.
In ogni caso in
quel marzo 1998 non era ancora il momento di mettersi su una pista così
impegnativa; e poi, di lì a poco, sarebbe arrivata una lunga sospensione
delle indagini, come già sappiamo.
Il momento
dei servizi. Tre anni e più dopo la situazione era notevolmente cambiata.
L’ingresso dei servizi segreti, notoriamente malvisti dall’opinione pubblica,
avrebbe fatto più che bene alla reputazione della nuova pista, che dopo il
rapporto consegnato in procura – ed evidentemente da questa ben accolto –
doveva risultare sufficientemente solida, almeno in apparenza. Per di più il
SISDE era uno strumento del Ministero dell’Interno, dal quale erano partiti i
tentativi di fermare le indagini di Giuttari, la qual cosa s’incastrava alla
perfezione con l’ipotesi di poteri occulti che avrebbero ordito trame in difesa
di qualche personaggio intoccabile. C’erano quindi tutti i presupposti per
tentare il colpaccio, al quale non si oppose Antonino Guttadauro, l’anziano
procuratore capo in procinto di andare in pensione di lì a poche settimane. Al
ritorno dalle ferie estive il superpoliziotto poté quindi mettersi subito al
lavoro.
In un giorno a
cavallo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, in totale segretezza,
gli uomini di Giuttari andarono a Roma a perquisire abitazione e ufficio di
Aurelio Mattei, il quale confermò di aver collaborato con il SISDE in qualità
di psicologo, e di aver ricevuto da Bruno copia di un dossier riservato sui delitti del Mostro, dal quale avrebbe
ripreso qualche idea per il proprio romanzo. Subito dopo fu la volta di Osvaldo
Pecoraro, la persona che tre anni prima aveva accompagnato la Carlizzi dallo
stesso Mattei. Si trattava di un funzionario del Ministero dell’Interno, di
buon livello, noto anche per essersi candidato alle recenti elezioni comunali
di Roma, quindi un pesce già più grosso di Mattei. Infine toccò al peso
massimo, se non altro a livello di notorietà televisiva, Francesco Bruno, la
cui casa e i cui due uffici furono frugati da cima a fondo, con un bottino di
vari scatoloni pieni di carta, anche se in massima parte straccia, almeno in
rapporto alle indagini. Era il 4 settembre.
Forte della sua
reputazione professionale e mediatica, il criminologo si risentì con fermezza
davanti ai giornalisti, sostenendo che avrebbe aperto i propri archivi anche a
una semplice richiesta (pensa il maligno: ma in questo modo non ci sarebbe
stata la clamorosa notizia della perquisizione, la qual cosa forse non sarebbe stata altrettanto
appetibile per chi era interessato alle attenzioni del pubblico). In ogni caso per lui non era ancora finita,
poiché due giorni dopo Giuttari lo sottopose a un
estenuante interrogatorio durato ben nove ore. Bruno stavolta capì che stava
rischiando davvero e che Giuttari non ci avrebbe messo poi molto ad accusarlo
di essere un fiancheggiatore, se non addirittura un mandante. In ogni caso alla
fine i due si misero d’accordo e all’uscita fecero dichiarazioni tutto sommato
in linea tra di loro anche se con ben diverso stato d’animo, come riporta “la
Repubblica” del 7: “Abbiamo fatto un bel passo
avanti, il cerchio si stringe” (il trionfante Giuttari), “Sì, ho offerto elementi davvero utili alle indagini”
(l’inebetito Bruno). In realtà gli eventi successivi avrebbero dimostrato che
in quelle nove ore, rispetto alla vicenda del Mostro, si era parlato del nulla.
A giudizio dei giornali l’argomento principale era stato senz’altro quello
degli ormai noti dossier, della
cui marea di sciocchezze si è già scritto più che abbastanza qui,
e dei quali in seguito un Giuttari molto opportunista avrebbe cercato di
sfruttare gli accenni a una pista satanica, del tutto differente però dalla
sua.
Per alcuni
giorni i mezzi d’informazione si gonfiarono di notizie clamorose – che si deve
pensare fossero filtrate non a caso – nella totale assenza di smentite. Qualche
titolo dagli articoli del “Corriere della Sera”, il più autorevole tra i
quotidiani, basti a darne l’idea: “Mostro, il Sisde
sapeva: c'erano mandanti”, “Mostro,
mezzo miliardo del Sisde per coprire la setta”, “Mostro, caccia ai dossier degli 007 travestiti da amanti”,
“Nell'85 uno 007 donna scrisse: delitti di gruppo,
dietro c'è una setta”. Per fortuna qualche giornalista rimase con i
piedi per terra. Come Massimo Gramellini, che nella sua rubrica quotidiana
“Buongiorno” sulla “Stampa” del 7 settembre, pubblicò alcune considerazioni di
buon senso intitolate “L’industria del Mostro”:
Da noi nemmeno i delitti restano a lungo una cosa seria.
Misteri eternamente irrisolti s’infrangono a ondate sulle prime pagine,
scivolando verso il cabaret. È di nuovo il turno del Mostro di Firenze, col
coinvolgimento immancabile dei servizi segreti, che in Italia sembrano aver
fatto di tutto, tranne scoprire in anticipo che i black bloc non erano dei
sagrestani. Il circo dell’inchiesta si è arricchito di nuove attrazioni,
provenienti da altri fortunati “serial”. C’è la studiosa di sette sataniche che
sostiene di aver risolto i casi Moro, via Poma, Marta Russo e ora Pacciani, ma
anziché in clinica viene portata in procura per un interrogatorio. C’è lo
psicologo del Sisde (i servizi!), già accusato di aver ipnotizzato la bidella
della Sapienza come Giucas Casella e ora perquisito per aver descritto con
precisione sospetta le imprese del Mostro in un romanzo semiclandestino. E c’è
il criminologo della tv che ha difeso Pacciani: perquisito e interrogato pure
lui.
Nessuno mette in dubbio la buona fede degli investigatori: è
il meccanismo perverso che finisce per mandare in crisi anche loro. Come esiste
il sospetto che non si trovi un rimedio contro il cancro perché il giro
d’affari delle cure è troppo alto, così è
lecito supporre che la mancata soluzione dei misteri italiani alimenti
un’industria del mostro, che ha il suo indotto di interessi e gioca sulla
morbosità inestinguibile del pubblico.
Nello stesso
giorno usciva su “L’Unità” un corsivo del filosofo Sergio Givone dal titolo “Il mostro di Firenze tra sette e 007”.
E così, dopo la coda del diavolo, spunta anche quella perfin
più diavolesca dei servizi segreti. Non era bastato ipotizzare che dietro il
mostro di Firenze ci fossero personaggi arcimostruosi: ricchi professionisti,
imprenditori, docenti universitari che abbisognando di organi sessuali di
giovani donne per certi riti satanici non trovarono di meglio che
commissionarli a Pacciani e ai suoi compagni di merenda.
Adesso, a distanza di poche settimane da quelle sensazionali
rivelazioni, vengono tirati in ballo i servizi segreti; che, abituati come sono
a coprire e a depistare, farebbero lo stesso anche con le indagini sul mostro.
Ma non basta. Tutti, credo, sono disposti a riconoscere che l'autore di un
crimine è un criminale. Ma di fronte a crimini tanto orrendi come quelli
commessi dal mostro di Firenze deve essere sembrato agli inquirenti troppo
banale attribuirli a dei criminali. E allora che cosa ti vanno a supporre? Chi
potrebbe essere il colpevole? Non un criminale qualsiasi. Bensì un criminologo.
Vale a dire: un criminale alla seconda potenza.
In tutto ciò c'è una logica. Una volta esclusa l'idea che
l'orrore più smisurato e più difficilmente immaginabile possa essere cosa
nostra, cosa che può appartenere a ciascuno di noi, non resta che imboccare la
pista dell'eccesso e dell'iperbole infinita: il mostro è uno che più mostro non
c'è. Ora, io capisco bene che un pensiero molto difficile da accettare è che il
vicino di casa, tanto una brava persona, sia uno stupratore di minorenni, o che
i due cari ragazzini di buona famiglia siano gli esecutori dello sgozzamento di
tutta la famiglia medesima, o che quei padri esemplari siano zelanti complici
di uno sterminio di massa. Ma non è quanto la realtà ci mette continuamente
sotto gli occhi?
Non dubito della buona fede di nessuno. Tantomeno degli
inquirenti. I quali in ogni caso sono tenuti a non trascurare nessun indizio,
anche il più labile o inverosimile. Dubito
però, se la logica è quella, che si torni con i piedi per terra. Dobbiamo
aspettarcene delle belle. Almeno sul piano delle ipotesi fantastiche e
visionarie. Si dirà che tutto quel che si poteva inventare è stato inventato.
Figuriamoci. Per esempio, l'affermazione che il mostro di Firenze può essere
uno qualsiasi è facile ritorcerla contro chi la fa. Ossia l'autore di questo
articolo. Se fosse lui il mostro? O quantomeno uno che ha interesse a coprire,
a depistare…?
Incidentalmente
vale la pena notare che quella di Givone fu una profezia presto avveratasi con
l'arresto di Mario Spezi.
Ma torniamo a
quei giorni di delirio esoterico e complottistico, anzi, torniamo ai dossier di Bruno, dove improbabili
ragionamenti da Settimana Enigmistica avevano portato il criminologo a supporre
l’esistenza di un luogo di cura, in una costruzione antica dotata di cappella,
dove avrebbe bazzicato il Mostro. Tale clinica, secondo lui, doveva trovarsi o
a Bagno a Ripoli o a Pontassieve, quindi in zone ben lontane dall’ex casa di
riposo della famiglia C., che era invece a San Casciano e la cui costruzione risaliva
appena agli anni ‘70. Ma i nostri investigatori dovettero credere che alla
grossa Bruno ci avesse azzeccato lo stesso. Questo almeno si deduce da un
commento di Paolo Canessa pubblicato da “Repubblica” dell’8 settembre: “Se l’avessimo saputo noi, se il rapporto ci fosse stato
trasmesso chissà cosa avremmo trovato nella villa”. Del resto fu
anche quello che capì il giornalista autore dell’articolo, Gianluca Monastra,
poiché scrisse chiaramente che il riferimento era alla villa delle signore C.,
il cui triste momento, quindi, stava per arrivare davvero.
Il momento
della villa. Quando Giuttari aveva messo piede per la prima volta nella
villa dei C., nel maggio-giugno 1997, la famiglia era composta dal signor L. di
75 anni, dalla signora G. di 70, dalla loro unica figlia A. di 35, dalla figlia
quattordicenne di questa e infine da R., fratello di G., 76 anni. Vivevano
tutti in una porzione di 300 mq ricavata dalla loro proprietà, dopo avervi
aperto nel 1992 un hotel ristorante a quattro stelle. Pochi mesi dopo la visita
della polizia e i successivi interrogatori il signor L. morì d’infarto – anche
se non è automatica una correlazione tra i due eventi, non si può certo negare
che quel che era accaduto l’avesse scosso – e la gestione dell’hotel fu
data in affitto. Con il signor R. che si era già trasferito da tempo a qualche
decina di chilometri, a Greve, le tre donne, rimaste sole, chiusero il loro
appartamento e andarono a Roma, dove A. sperava di poter valorizzare le proprie
capacità di scrittrice e pittrice.
Erano i tempi in
cui le illazioni sul pittore e sulla villa uscite su Compagni di sangue
e riprese da giornali e televisione avevano gettato discredito e sospetto sulla
famiglia C., quindi si può immaginare che la loro dipartita da San Casciano ne
fosse stata incentivata. In ogni caso vivere con quel peso sulle spalle non era
facile neppure a Roma, dove le poverette tentarono di uscire dalla brutta
situazione – ebbene sì, in modo poco ortodosso, ma chi nella loro situazione
non avrebbe fatto altrettanto? – scrivendo a un paio di ministri (rintracciati
in seguito dalla polizia, i fax avrebbero contribuito alla favola dei poteri
forti scatenati contro Giuttari).
Arrivò pian
piano il 2001, e i guai per la famiglia C. salirono sempre più di livello. Il
primo scalino fu quello dell’apertura di un procedimento giudiziario, il
6402/01, per rapina, sequestro di persona e calunnia in seguito alle accuse del
pittore C.F., alle cui bugie si volle credere, soprattutto perché consentivano
di arrivare dove si voleva arrivare: una nuova e ben più approfondita
perquisizione di tutte le proprietà dei C..
Prime due tappe,
il 24 settembre 2001, Roma e Greve. Seguiamo direttamente l’efficacissimo
racconto del signor R.:
Dopo anni d'inferno, terribilmente abbattuti moralmente per
colpa di queste pazzie, nuovamente una mattina alle otto nella casa di Roma
arrivarono gli agenti e fecero una perquisizione massacrante che durò fino al
tardo pomeriggio. Mia nipote, che all’epoca aveva diciannove anni, ebbe diversi
collassi e per due volte gli agenti chiamarono di loro iniziativa l’ambulanza,
perché si resero conto dello stato in cui era ridotta; mia sorella e le mie
nipoti passarono quella giornata piangendo disperatamente, per l'umiliazione
che stavano subendo, non capendo il perché di tanta barbarie che si era
accanita su di loro. Contemporaneamente vennero a perquisire la mia abitazione
vicino a Greve; cosa potevano pensare di trovare del mostro a casa mia? Un
ottantenne maestro di scacchi, ex partigiano, grande invalido di guerra di
prima categoria, diploma d'onore al valor civile, con la salute a pezzi per
aver combattuto per la libertà d'Italia? Nel mio appartamento non trovarono
nulla ovviamente, io cercai di prendere la perquisizione con forza e filosofia,
ma per la mia famiglia a Roma fu molto più dura.
A San Casciano
sarebbe andata ancora peggio, molto peggio.
Quel giorno eravamo ancora agli inizi di tutte le torture
psicofisiche che avremmo dovuto subire: verso le 18, quando ebbero finito di
perquisire la casa di Roma di mia sorella ed aver sequestrato cose che non
avevano assolutamente alcun nesso con il Mostro di Firenze, gli agenti dissero
le seguenti parole: “ora o vi mettete in viaggio con noi per Firenze, oppure
andiamo lì da soli e spacchiamo tutte le porte”; figuriamoci G. e le altre se
in quelle condizioni – senza mangiare né bere tutto il giorno – potevano essere
in grado di affrontare un viaggio di centinaia di km con la piccola ridotta in
quel modo ed anche loro che non avevano fatto altro che piangere.
Alla fine il nostro avvocato, con il quale eravamo in
collegamento telefonico, grazie ad una grande pressione riuscì a far rimandare
al giorno seguente, però, “se avessimo tardato anche solo di 5 minuti
all'appuntamento”, dissero che avrebbero cominciato “a buttarci giù le porte”. Alle
4 del mattino mia nipote A. e mia sorella si misero in viaggio lasciando lì da
sola nella casa del mare la mia pronipote disperata, atterrita, sotto shock,
immaginate con che stato d'animo! Arrivarono all'appuntamento con mezz'ora
d'anticipo e gli agenti con mezz'ora di ritardo!
Prima di
dedicarsi all’appartamento, gli agenti vollero frugare sei casette di legno
ubicate all’esterno, il cui contenuto, ricordi di famiglia e beni di valore
come quadri e mobili d’antiquariato, furono ammassati senza alcun riguardo
sull’erba.
Vollero cominciare a perquisire le 6 casette prefabbricate
che abbiamo all'interno di un recinto in giardino, dove custodivamo centinaia
di oggetti, perché in casa non c'è mai stato abbastanza spazio; mia sorella e
mia nipote in lacrime, disperate e distrutte, non trovarono le chiavi, così gli
agenti presero il piccone e iniziarono a prendere a picconate tutte le porte.
G. e A. chiesero continuamente agli agenti, in particolare al dottor Vinci che
quel giorno fu il comandante di tutto questo: “ma poi la rimettete dentro
questa roba vero!? Non la vorrete lasciare qui fuori?!”. E lui rispondeva con
tono molto rassicurante, mettendogli una mano sulla spalla “ma che scherza
signora stia tranquilla, rimetteremo tutto dentro, glielo prometto, non si
preoccupi, non si preoccupi”.
Poi dopo molte ore gli stessi agenti cercarono di dissuadere
Vinci dal continuare a buttare tutto fuori perché si erano resi conto che non
c'era nulla che poteva aver a che fare con il mostro “dottò basta qui non ce
sta nulla!”, ripetevano, ma lui gli ordinava di continuare dicendo: “no, no,
tirate tutto fuori”.
Dopo il crudele
scempio delle casette fu la volta di quello, ancora più crudele,
dell’appartamento.
E così, quando veramente tutto fu fuori, Vinci disse che ora
bisognava andare a perquisire tutto l'appartamento; mia sorella e mia nipote lo
supplicarono di far rimettere prima tutta la roba dentro, ma lui promise che
l'avrebbero fatto dopo.
Perquisirono nuovamente tutto l'appartamento; si ruppe un
tubo dell'acqua che incominciò ad allagare tutto, così mia sorella si ripromise
di provvedere a chiamare un idraulico per ripararlo non appena gli agenti se ne
fossero andati. Appena terminata la perquisizione alle ore 20 circa, stremate,
a digiuno da due giorni e sotto shock, il Dottor Vinci disse, sempre con quel
suo tono falsamente confidenziale: “venite signore, venite a parlare fuori che
vi devo dire una cosa in privato”. In realtà non gli doveva dire proprio niente
e una volta che ingenuamente furono fuori, con tono secco, girandosi verso un
agente, disse: “chiudi”.
L’efficacia
delle parole dirette del signor R. ne sconsiglia qualsiasi sunto.
Gli agenti chiusero velocemente il portone blindato, presero
le chiavi sia di casa che della recinzione delle casette prefabbricate e se ne
andarono velocemente senza nemmeno considerarle. G. zoppicando e piangendo
cercò di seguirli fino alle auto: “ma cosa fate ci avete rubato le chiavi, le
chiavi sono nostre, noi vogliamo rientrare in casa nostra! Non potete farci
questo! Dove andremo a dormire? Come Dottor Vinci, come?! Avevate promesso che
avreste rimesso tutta la nostra roba dentro! Non potete lasciarla tutta fuori
così, la rimettiamo dentro noi chiamiamo qualcuno, lo paghiamo noi,
permetteteci almeno di chiamare un idraulico! La casa si sta allagando tutta!
Per favore! Per favore! Non potete! Tutti i nostri mobili si sciuperanno!”
A., che essendo più giovane camminava meglio, correndo
riuscì a raggiungerlo davanti all'auto e lui girandosi disse: “se cercherete di
rimettere a posto anche un solo spillo sappiate che c'è l'arresto”. E poi se ne
andò con tutti gli agenti impassibili, senza preoccupazione alcuna, senza
rispondere, lasciandole lì fuori di casa pietrificate dallo shock. Mentre
faceva manovra, con una forte sgommata per andarsene assieme agli altri agenti
abbassò il finestrino e tirando fuori il braccio con tono beffardo disse:
“state tranquille, state tranquille, le chiavi le teniamo noi! Ci vediamo a via
Zara!”.
Le povere donne
non poterono far altro che tornare a Roma, dove la figlia di A. aspettava
preoccupata. Continua il grido di dolore del signor R.:
Ci rivolgemmo ad un avvocato che da Roma fu accompagnato a
Firenze, alloggiando tutti in hotel – l'avvocato in centro e loro in un altro –
per parlare con il PM e pregarlo di far sì che i nostri oggetti fossero rimessi
al coperto. Canessa gli promise che avrebbe fatto rimettere tutto dentro.
L'avvocato ci disse che era stato molto gentile e che “dovevamo star
tranquilli” e poi aggiunse che gli aveva promesso che forse ci saremmo salvati
dalle “ruspe che erano pronte a scavarci tutto il giardino”, in quanto Canessa
gli aveva detto che aveva questa idea da tempo, “ma comunque dovevamo stare
tranquilli”.
Ci sentivamo veramente presi in giro, ci venne un colpo a sentire
queste cose, al solo pensiero che le nostre amatissime piante della nostra
amatissima terra potessero essere violentate ed oltraggiate come lo eravamo
noi. Ci sentimmo caduti nel burrone del delirio, nella spirale della pazzia,
caduti nella barbarie giuridica di un mondo falsamente civile e progredito,
dove il potere dovrebbe essere al servizio, guidato e governato dalle leggi di
rispetto per l'essere umano, l'innocenza, la libertà. Capimmo che eravamo
ancora ai tempi di Nerone, del Colosseo, dei Vandali, e di tutte le dittature
anche del secolo scorso sparse per il mondo e quando un innocente è in pericolo
lo Stato non c'è, anzi....
Il giorno dopo – visto che gli agenti non arrivarono a
rimettere la roba al coperto come aveva promesso Canessa – facemmo una
conferenza stampa con i nostri due avvocati e molti giornalisti, proprio lì
fuori della recinzione delle casette prefabbricate dove attraverso la rete si
vedevano le tonnellate di roba buttata all'aperto. Conferenza che però ci fu
oscurata.
Da Bruno
Vespa. Mentre la povera famiglia C. cercava inutilmente di far sentire la
propria voce, quella stessa sera, 26 settembre 2001, il salotto di “Porta a
Porta” fu interamente dedicato alle nuove indagini sui delitti del Mostro di
Firenze. Quasi due ore di grottesco spettacolo, in bilico tra sorrisetti e
battutine di Vespa e toccanti interviste ad alcuni familiari delle vittime,
illusi dalla speranza nelle nuove indagini. In mezzo mille chiacchiere sulle
fantasiose ipotesi esoteriche e complottiste, con i due attori principali,
Giuttari e Bruno, impegnati a minimizzare le loro profonde divergenze, e vari
comprimari.
A perorare la
causa della pista satanica c’erano Gabriella Carlizzi, arrivata forse al
momento di massima gloria, che buttò sul tavolo la sua ipotesi della presenza
di una setta di tipo “esoterico-massonico”
– in pratica la famigerata Rosa Rossa – e l’antropologa Cecilia Gatto
Trocchi, la quale, interpellata sul noto fermaporte a forma di piramide tronca
trovato a Calenzano, lo qualificò come un “simbolo
che ci riporta nell’ambito dell’occultismo segreto”. Va segnalato
anche un intervento del giornalista Fiasconaro, seduto tra il pubblico, con la
sua storia di un “misterioso signore tedesco”
che si sarebbe “impicciato di questa setta satanica”,
già raccontata a Giuttari e della quale poi non si è saputo più nulla, quindi
anche qui solo fuffa. Infine, sempre sul fronte satanico, non si può tacere dei
balbettamenti di Carlo Lucarelli, che a precisa domanda di Vespa sul perché
avesse sposato la nuova teoria non seppe mettere insieme una sola frase
convincente. Nella sostanza, non lo sapeva neppure lui.
Sul fronte
opposto c’erano gli avvocati storici di
Pacciani, Pietro Fioravanti e Rosario Bevacqua, ai quali non fu dato troppo spazio. In particolare il primo cercò di
dimostrare, conteggi alla mano, che in realtà i soldi di Pacciani erano
giustificati dalle entrate per il suo lavoro, in un lucido intervento tra i
pochi da salvare, mentre Bevacqua si perse nel preservativo annodato di
Mainardi.
Una parte della
trasmissione fu dedicata al pittore e alla villa, dove, a onor del vero, Bruno
Vespa dette il meglio di sé, cercando di ottenere da Giuttari delle
informazioni che potessero giustificare gli eventi in corso. Invano, poiché il
superpoliziotto si trincerò dietro l’impossibilità di poter parlare delle
indagini. In compenso furono trasmesse tre interessanti interviste registrate
qualche giorno prima, documenti senz’altro molto validi per una futura
ricostruzione storica. Nella prima C.F. espose la propria versione, raccontando
di essere stato drogato e derubato di ogni cosa dalle proprietarie della villa:
mobili, due preziosi violini, un centinaio di quadri a olio e un migliaio di
disegni per un valore totale di minimo 500 milioni di lire! Ed ecco il perché
non aveva denunciato tutto alla polizia: “Mi hanno
così fatto paura… dicendo che loro sono amici con i poliziotti… che mi fanno
arrestare…”. A domanda se avesse avuto prova che le perfide proprietarie della villa conoscessero i responsabili dei delitti rispose: “Forse lo conoscevano perché mi sembra che era suo impiegato…
giardiniere…”, intendendo Pacciani, il che rende bene l’idea di quel
che lo spaventato pittore effettivamente sapeva: nulla.
Fu poi trasmessa
un’intervista ad A., registrata prima dell’inizio della perquisizione, dove la
donna lamentò il linciaggio dei mass
media, e attribuì giustamente l’inizio dei guai della propria
famiglia alla visita di Gabriella Carlizzi del 1995, della quale si è già
detto. Infine fu la volta della signora G., intervistata a perquisizione in
corso, la quale ingenuamente credeva che si stessero soltanto cercando altri
quadri di C.F..
La registrazione
completa della puntata è disponibile su Youtube (vedi), quindi il lettore
può gustarsela con calma. Prima di abbandonare l’argomento è però
il caso di segnalare un piccolo ma assai significativo episodio. Fin dall’inizio
della trasmissione si notava sul tavolo di Vespa – per il resto sgombro – un
piccolo libro. Era il ben noto Compagni di sangue, pronto per esser
tirato fuori durante il successivo collegamento con Lucarelli, verso la fine,
come poi sarebbe avvenuto. Ebbene, dopo neppure cinque minuti, Giuttari trovò il
modo di ricordare a tutti che quel libro l’aveva scritto anche lui. A domanda sulla
morte di Pacciani da innocente ecco l’inizio della sua risposta: “Io spero che questa sera qui, nella mia veste di chiaramente
capo della squadra mobile e non già di scrittore, perché vedo il libro sul suo
tavolo…”. Missione compiuta, poiché Vespa prese in mano il libro e
lo presentò, indicandone autori e titolo. Ognuno dia la propria interpretazione
dell’accaduto, va in ogni caso messo in rilievo un dato di fatto: in quel momento la
propria futura carriera di scrittore doveva stare molto a cuore a Giuttari, se si
pensa – ma ci torneremo – che era in fase di stampa il suo primo romanzo, Assassini
a Firenze, distribuito in qualche migliaio di copie di lì a tre mesi
attraverso la rivista Panorama. Risulta quindi oggettivamente ineliminabile il sospetto di una
perversa interazione tra interessi dello scrittore e doveri dell’investigatore.
Perquisizione
seconda puntata. Quel medesimo 26 settembre terminò la perquisizione nella
villa, con la raccolta del seguente bottino: “Libri,
riviste e ritagli di giornale, una vecchia spada, altri oggetti da esaminare
con cura e attenzione nelle prossime ore. «Materiale molto interessante» dicono
in questura” (“la Repubblica”, 27 settembre 2001). In realtà non era
stato trovato nulla, e per qualche giorno gli inquirenti cercarono di assorbire
il colpo, tra l'altro tornando a interrogare il bugiardissimo C.F. che continuò
a illuderli con le solite balle. Intanto si preparavano ad alzare il tiro, con
l’intervento di sofisticate apparecchiature in grado di scoprire vani nascosti
dietro i muri. Dal “Tirreno” del 1° ottobre:
Forse domani, forse dopodomani ma le ricerche nella villa
dei misteri riprenderanno. Perché è studiando le mappe catastali che il capo
della mobile fiorentina Michele Giuttari è convinto che qualcosa non torni
nella dislocazione di stanze e volumi dell'ex casa di riposo […]. Non una
ricerca qualsiasi ma con strumentazioni sofisticate in grado di segnalare spazi
vuoti, anche nicchie, senza la necessità di abbattere le pareti.
Cosa cercano gli uomini della Mobile e cosa sospettano di
aver trovato? Una stanza murata che le proprietarie […] si affannano a
sostenere inesistente. Una stanza vuota, chiusa chissà quando, che i ben
informati di questa incredibile indagine dicono essere luogo di misteri e
segreti. Se davvero la stanza dovesse esistere sarebbe una conferma importante,
forse essenziale all'ultima frontiera dell'indagine che per capire movente e
mandanti di almeno sette degli otto duplici delitti attribuiti al cosiddetto
«mostro di Firenze», ha imboccato la pista della setta esoterica.
Il ridicolo
evidentemente non spaventava i nostri investigatori, che forse credevano di
essere finiti dentro la trama di un film di Dario Argento. Che le pareti
interne della villa avessero subito qualche modifica si poteva giustificare con gli adattamenti che si erano resi necessari per la
trasformazione in hotel e la separazione della zona privata. Invece no, poteva
esserci una stanza segreta, forse la cappella ipotizzata da Bruno, al cui
interno la setta avrebbe officiato le proprie messe nere. Un vero delirio,
insomma, a causa del quale i nostri soldi di contribuenti furono ulteriormente
scialacquati dall’affitto delle mirabolanti macchine che potevano vedere
attraverso i muri. Ma neppure la vista a raggi X di Nembo Kid, alias Superman,
sarebbe riuscita a trovare ciò che non c’era.
I cerchi di pietra. Effettuati anche gli ultimi e inutili tentativi, finalmente in procura
si resero conto del madornale errore in cui erano incorsi. Proprio in quei
giorni c’era stato un cambio al vertice, con l’andata in pensione di Antonino
Guttadauro e la nomina al suo posto di Ubaldo Nannucci, per il momento solo
come reggente, quattro mesi dopo in pianta stabile. Il 4 ottobre, fino a tarda
sera, si discusse sul da farsi, si può immaginare in quale clima di sconforto e
confusione. Il nuovo procuratore si sarebbe presto dimostrato molto meno
disponibile del precedente ad assecondare le ipotesi romanzesche di Giuttari,
ma in quei primi tempi di mandato provvisorio non si notarono cambiamenti sulla
linea investigativa, e ufficialmente si continuò a inseguire la fantomatica
setta.
Nei giorni e
nelle settimane successive Giuttari e la procura avrebbero potuto contare sulla
comprensione dei giornali, probabilmente indotti dalla loro cattiva coscienza a non
infierire. In ogni caso l’opinione pubblica non poteva essere lasciata in
astinenza, dopo la sbornia satanica. Si decise quindi di far buon viso a
cattiva sorte, ostentando la massima sicurezza, e probabilmente nella stessa
riunione del 4 fu decisa l'esposizione di qualche scarto di magazzino a beneficio di giornalisti e loro lettori.
Insomma, le indagini andavano avanti, nonostante tutto. Scriveva “la Repubblica” del 6 ottobre:
Prima era solo un'ipotesi, adesso invece c'è “la certezza
che dietro i duplici delitti del mostro di Firenze c'era un movente esoterico.
Ora non si tratta più di indizi, abbiamo le prove documentali”. Lo ha detto
oggi il capo della squadra mobile, Michele Giuttari.
Quello che Giuttari ha definito stamattina “il tassello
definitivo” è costituito da alcune foto che ritraggono tre cerchi simbolici, di
una novantina di centimetri di diametro, realizzati con pietre chiare a pochi
metri dallo slargo dove le ultime due vittime del mostro, i turisti francesi
Nadine Mauriot e Jen Michel Kraveichvili, si erano accampati con la tenda
appena arrivati a Firenze. Secondo esperti di esoterismo, i tre cerchi rappresenterebbero
tre momenti diversi di una sorta di rituale che vedeva al centro la coppia
francese: l'individuazione delle vittime (cerchio aperto), l'ordine della loro
esecuzione (cerchio di pietre e pelli di animali bruciati) e, infine, la
avvenuta uccisione (cerchio con bacche e una croce di legno).
Le foto erano state scattate con una Polaroid da un
guardiacaccia che aveva notato sul costone di Monte Morello, nel comune di
Sesto Fiorentino, nei pressi di una delle ville appartenute alla famiglia
Corsini, la tenda con i due ragazzi. Il guardiacaccia li aveva pregato di
allontanarsi, perché in quella zona non era possibile campeggiare. Era il 4
settembre 1985.
Sei giorni dopo, il 10 settembre, vedendo sui giornali le
foto delle ultime due vittime del mostro li aveva subito riconosciuti come la
coppia trovata sul pendio di Monte Morello. Così era tornato nella zona e aveva
scoperto i tre cerchi, li aveva fotografati, e aveva consegnato le foto e il
suo racconto ai funzionari del commissariato di Sesto Fiorentino. In uno dei
cerchi aveva trovato anche una cartuccia di un proiettile calibro 22 con la
stampigliatura della serie (serie H), la stessa dei proiettili utilizzati dal
serial killer. Questo materiale però era rimasto "nascosto" tra le
migliaia di carte raccolte nelle indagini, senza risvegliare alcun interesse.
In realtà i
guardiacaccia coinvolti erano tre, il resoconto giornalistico fonde assieme i
loro differenti racconti. Tentiamo quindi di mettere un po' d'ordine, aiutandoci con la nota sullo stato delle indagini che Giuttari avrebbe compilato per la procura un paio di mesi dopo, il 3 dicembre 2001.
Alle 7:15 del 4 settembre 1985 le due guardie venatorie Gianni Zoppi e Francesco Cellai avevano mandato via da uno spiazzo di via Carmignianello, nel comune di Sesto Fiorentino, una coppia di campeggiatori, essendo in quel luogo vietato il campeggio. Zoppi aveva poi riconosciuto dai giornali la coppia uccisa a Scopeti, comunicando immediatamente il fatto al commissariato del paese (10 settembre).
La cartuccia era stata trovata soltanto una ventina di giorni dopo, il 1° ottobre, da una terza guardia venatoria, Andrea Ceri, e non proprio nello stesso punto, ma in una zona boschiva prospiciente. Vicino alla cartuccia l'uomo aveva notato “un mucchio di sassi su cui era stata fissata una croce fatta con due ramoscelli”. Il giorno stesso questa testimonianza e la precedente erano state trasmesse alla SAM con apposita nota.
A seguito di un appello apparso sulla “Nazione” in cui si chiedeva ai cittadini di comunicare eventuali notizie in loro possesso sulla vicenda del Mostro, il 17 luglio 1992 Andrea Ceri aveva inviato un fax a Ruggero Perugini, dove riportava i fatti precedenti. Non è ben chiaro se in detto documento, che non è in possesso di chi scrive, Ceri avesse già fatto cenno anche a numerosi e suggestivi altri elementi che avrebbe poi riferito a Giuttari, e che vedremo tra breve.
A quanto sembra l'interesse di Giuttari per l'argomento iniziò nel settembre 2001, con la lettura del materiale inviatogli dal commissariato di Sesto Fiorentino. Il primo ottobre fu lui stesso a interrogare Andrea Ceri, il quale, come si legge nella nota del 3 dicembre, così dichiarò:
Interrogata il 3 ottobre, l'esperta di esoterismo, Rosetta Gasperini, chiarì meglio la parte che la riguardava dichiarando:
Vennero poi interrogati Carmine Picarella e Vittorino Lombardi (5 ottobre) nonché addirittura Ruggero Perugini (27 ottobre). Questi cadde dalle nuvole, dichiarando di non ricordare quasi nulla su questioni alle quali evidentemente non aveva attribuito alcuna importanza.
I passi precedenti sono una chiara dimostrazione dei danni che fantasie e suggestioni possono apportare a un'indagine. Al di là della fondatezza delle varie considerazioni esoteriche su quelli che, con tutta probablità, erano semplici frangi fuoco allestiti da qualche campeggiatore per abbrustolire salamelle e wurstel, i due poveri francesi uccisi a Scopeti nulla vi avevano avuto a che fare. Non erano loro, infatti, i due individui che il 4 settembre 1985 a Monte Morello erano stati invitati ad andarsene dal guardiacaccia, poiché quel giorno erano appena entrati in Italia, e nelle zone attorno a Firenze sarebbero arrivati soltanto il 7. Lo dimostravano gli scontrini dell’autostrada e delle consumazioni ritrovati a bordo della loro auto, con tutta evidenza non noti a Giuttari e non soltanto a lui.
Scritte sul muro e pipistrelli di plastica. Un altro evento che testimoniò lo stato di confusione in cui, dopo il fallimento della perquisizione alla villa, erano caduti i nostri investigatori fu il sequestro di un pezzo di muro. Ancora da “Repubblica” del 6 ottobre:
Alle 7:15 del 4 settembre 1985 le due guardie venatorie Gianni Zoppi e Francesco Cellai avevano mandato via da uno spiazzo di via Carmignianello, nel comune di Sesto Fiorentino, una coppia di campeggiatori, essendo in quel luogo vietato il campeggio. Zoppi aveva poi riconosciuto dai giornali la coppia uccisa a Scopeti, comunicando immediatamente il fatto al commissariato del paese (10 settembre).
La cartuccia era stata trovata soltanto una ventina di giorni dopo, il 1° ottobre, da una terza guardia venatoria, Andrea Ceri, e non proprio nello stesso punto, ma in una zona boschiva prospiciente. Vicino alla cartuccia l'uomo aveva notato “un mucchio di sassi su cui era stata fissata una croce fatta con due ramoscelli”. Il giorno stesso questa testimonianza e la precedente erano state trasmesse alla SAM con apposita nota.
A seguito di un appello apparso sulla “Nazione” in cui si chiedeva ai cittadini di comunicare eventuali notizie in loro possesso sulla vicenda del Mostro, il 17 luglio 1992 Andrea Ceri aveva inviato un fax a Ruggero Perugini, dove riportava i fatti precedenti. Non è ben chiaro se in detto documento, che non è in possesso di chi scrive, Ceri avesse già fatto cenno anche a numerosi e suggestivi altri elementi che avrebbe poi riferito a Giuttari, e che vedremo tra breve.
A quanto sembra l'interesse di Giuttari per l'argomento iniziò nel settembre 2001, con la lettura del materiale inviatogli dal commissariato di Sesto Fiorentino. Il primo ottobre fu lui stesso a interrogare Andrea Ceri, il quale, come si legge nella nota del 3 dicembre, così dichiarò:
- che nel 1985 praticava il volontariato come guardia giurata volontaria per conto della Federcaccia, con compiti tra l’altro di controllo delle zone di ripopolamento e cattura di Monte Morello, insieme ad un collega, Zoppi Gianni, deceduto verso la fine degli anni 80/inizi anni 90;
- che nei primissimi giorni del mese di settembre 1985, lo Zoppi gli aveva riferito di avere allontanato da una piazzola due persone, campeggiatori abusivi, poi dallo stesso riconosciute nelle foto dei due cittadini francesi uccisi,
- che lo Zoppi gli aveva riferito che, entrato in contatto con la Polizia della Questura, si era recato con alcuni operatori nella piazzola in questione, ove avevano rinvenuto tracce dei due francesi (lattine di birra francese e pacchetti vuoti di sigarette di marca francese);
- che, qualche giorno prima del delitto, si era recato ad eseguire un controllo nella zona boschiva di via di Carmignianello, ove erano solite appartarsi le coppiette. Nella circostanza, aveva notato una struttura fatta con sassi e pietre di forma circolare e, poco distante, altre analoghe costruzioni, all’interno delle quali c’erano bacche e/o ramoscelli di alberi di circa 15 cm posizionati all’interno. Precisava che si trattava di un vero e proprio mosaico, costruito accuratamente con pietre di dimensione media/piccola incastrate tra di loro, di forma circolare e di diametro di 90 cm precise, così come aveva accertato utilizzando una ruota metrica in suo possesso;
- che la zona in questione era da lui conosciuta come zona “sacra” con riferimento al fatto che era stata utilizzata dagli Etruschi come luogo mortuario, tanto che a poche centinai di metri in linea d’aria si trovano le tombe etrusche “La Montagnola” e “La Mula”;
- che, incuriosito di tale rinvenimento, si era rivolto ad una signora di Sesto Fiorentino, conosciuta per le sue conoscenze esoteriche, tale Gasperini Rosetta. Costei, invece di dargli una risposta, gli aveva consegnato un libro del ‘700, scritto in francese o latino, affinché trovasse in esso, da solo, la risposta alla sua curiosità. In effetti, all’interno del libro, aveva trovato una figura umana che aveva catturato la sua attenzione per il fatto che su di essa vi erano sovrapposti dei cerchi del tutto simili a quelli da lui rinvenuti. Nell’occasione della restituzione del libro alla Gasperini, questa gli aveva detto che quella figura faceva riferimento ad un rito di magia nera;
- che, successivamente, in altra occasione, era andato sul posto con un poliziotto di Sesto Fiorentino, tale Lombardi Vittorio, il quale, con una pala, aveva scavato all’interno di uno dei cerchi rinvenendo una porzione di pelliccia che, in base alla sua esperienza di cacciatore, poteva attribuirsi ad un animale e probabilmente a quella di un gatto;
- che, in altra occasione ancora, era tornato sul posto sempre con lo stesso Lombardi e con un altro poliziotto, tale Picarella, fotografando le circonferenze dei cerchi. Successivamente, sempre in compagnia dei suddetti poliziotti, si era recato nel luogo ove erano stati uccisi i due francesi, per verificare se fossero presenti anche in quel posto dei segni simili, ma l’esito era stato negativo;
- che, qualche giorno dopo, era tornato nuovamente sul posto del rinvenimento dei cerchi spinto dalla curiosità e, in questa occasione, durante le ricerche, aveva rinvenuto, all’interno di una macchia di vegetazione che dava proprio sulla piazzola, ove erano solite intrattenersi le coppiette, una specie di postazione ben nascosta dalla quale era possibile vedere senza essere notati. In questo posto, aveva trovato una cartuccia calibro 22 con impressa sul fondello la lettera “H”, integra nelle sue parti e senza segni di ruggine od altro, tanto che aveva dedotto che si trovasse lì da poco tempo. Precisava che aveva portato detta cartuccia al Commissariato di Sesto Fiorentino, consegnandola al Picarella, al quale aveva raccontato ciò che aveva scoperto. Precisava altresì di non essere stato preso a verbale né in quella occasione, né nelle altre;
- che aveva consegnato le foto, da lui scattate e sviluppate, con i relativi negativi, a Picarella o a Lombardi;
- che della scoperta della “stanza” di arbusti e del ritrovamento della cartuccia, a parte il Commissariato, ne erano a conoscenza la sua ex moglie, Robalti Maria, e l’attuale sua compagna Goretti Giuliana, mentre, ad eccezione dello Zoppi, nessun’altra guardia volontaria era a conoscenza delle sue scoperte;
- che, nell’anno 1992, aveva inviato un fax al dott. Perugini, così come risultava in questi atti, a seguito di notizie di stampa che riportavano l’invito della Polizia ai cittadini a collaborare. Precisava che, dopo l’invio del fax, era stato contattato telefonicamente ed in modo fugace da qualcuno della Questura, che in seguito non si era fatto più sentire;
- che era in grado di indicare i luoghi di cui aveva parlato.
- che nei primissimi giorni del mese di settembre 1985, lo Zoppi gli aveva riferito di avere allontanato da una piazzola due persone, campeggiatori abusivi, poi dallo stesso riconosciute nelle foto dei due cittadini francesi uccisi,
- che lo Zoppi gli aveva riferito che, entrato in contatto con la Polizia della Questura, si era recato con alcuni operatori nella piazzola in questione, ove avevano rinvenuto tracce dei due francesi (lattine di birra francese e pacchetti vuoti di sigarette di marca francese);
- che, qualche giorno prima del delitto, si era recato ad eseguire un controllo nella zona boschiva di via di Carmignianello, ove erano solite appartarsi le coppiette. Nella circostanza, aveva notato una struttura fatta con sassi e pietre di forma circolare e, poco distante, altre analoghe costruzioni, all’interno delle quali c’erano bacche e/o ramoscelli di alberi di circa 15 cm posizionati all’interno. Precisava che si trattava di un vero e proprio mosaico, costruito accuratamente con pietre di dimensione media/piccola incastrate tra di loro, di forma circolare e di diametro di 90 cm precise, così come aveva accertato utilizzando una ruota metrica in suo possesso;
- che la zona in questione era da lui conosciuta come zona “sacra” con riferimento al fatto che era stata utilizzata dagli Etruschi come luogo mortuario, tanto che a poche centinai di metri in linea d’aria si trovano le tombe etrusche “La Montagnola” e “La Mula”;
- che, incuriosito di tale rinvenimento, si era rivolto ad una signora di Sesto Fiorentino, conosciuta per le sue conoscenze esoteriche, tale Gasperini Rosetta. Costei, invece di dargli una risposta, gli aveva consegnato un libro del ‘700, scritto in francese o latino, affinché trovasse in esso, da solo, la risposta alla sua curiosità. In effetti, all’interno del libro, aveva trovato una figura umana che aveva catturato la sua attenzione per il fatto che su di essa vi erano sovrapposti dei cerchi del tutto simili a quelli da lui rinvenuti. Nell’occasione della restituzione del libro alla Gasperini, questa gli aveva detto che quella figura faceva riferimento ad un rito di magia nera;
- che, successivamente, in altra occasione, era andato sul posto con un poliziotto di Sesto Fiorentino, tale Lombardi Vittorio, il quale, con una pala, aveva scavato all’interno di uno dei cerchi rinvenendo una porzione di pelliccia che, in base alla sua esperienza di cacciatore, poteva attribuirsi ad un animale e probabilmente a quella di un gatto;
- che, in altra occasione ancora, era tornato sul posto sempre con lo stesso Lombardi e con un altro poliziotto, tale Picarella, fotografando le circonferenze dei cerchi. Successivamente, sempre in compagnia dei suddetti poliziotti, si era recato nel luogo ove erano stati uccisi i due francesi, per verificare se fossero presenti anche in quel posto dei segni simili, ma l’esito era stato negativo;
- che, qualche giorno dopo, era tornato nuovamente sul posto del rinvenimento dei cerchi spinto dalla curiosità e, in questa occasione, durante le ricerche, aveva rinvenuto, all’interno di una macchia di vegetazione che dava proprio sulla piazzola, ove erano solite intrattenersi le coppiette, una specie di postazione ben nascosta dalla quale era possibile vedere senza essere notati. In questo posto, aveva trovato una cartuccia calibro 22 con impressa sul fondello la lettera “H”, integra nelle sue parti e senza segni di ruggine od altro, tanto che aveva dedotto che si trovasse lì da poco tempo. Precisava che aveva portato detta cartuccia al Commissariato di Sesto Fiorentino, consegnandola al Picarella, al quale aveva raccontato ciò che aveva scoperto. Precisava altresì di non essere stato preso a verbale né in quella occasione, né nelle altre;
- che aveva consegnato le foto, da lui scattate e sviluppate, con i relativi negativi, a Picarella o a Lombardi;
- che della scoperta della “stanza” di arbusti e del ritrovamento della cartuccia, a parte il Commissariato, ne erano a conoscenza la sua ex moglie, Robalti Maria, e l’attuale sua compagna Goretti Giuliana, mentre, ad eccezione dello Zoppi, nessun’altra guardia volontaria era a conoscenza delle sue scoperte;
- che, nell’anno 1992, aveva inviato un fax al dott. Perugini, così come risultava in questi atti, a seguito di notizie di stampa che riportavano l’invito della Polizia ai cittadini a collaborare. Precisava che, dopo l’invio del fax, era stato contattato telefonicamente ed in modo fugace da qualcuno della Questura, che in seguito non si era fatto più sentire;
- che era in grado di indicare i luoghi di cui aveva parlato.
Interrogata il 3 ottobre, l'esperta di esoterismo, Rosetta Gasperini, chiarì meglio la parte che la riguardava dichiarando:
- che, qualche giorno prima dell’uccisione dei due turisti francesi, il Ceri Andrea le aveva consegnato 4 foto polaroid, che aveva scattato in una zona vicino a Monte Morello, allo scopo di dare una interpretazione di quello che raffiguravano;
- che, per interpretare quelle foto, oltre alle sue conoscenze esoteriche, si era avvalsa di un libro che, nell’ambito della sua famiglia, si erano tramandati di generazione in generazione. Precisava che si trattava di un libro del 1812 o del 1814, scritto in parte in latino, in parte in francese ed in parte in italiano;
- che, a suo giudizio, l’interpretazione delle foto, che spontaneamente consegnava a questo ufficio, era la seguente: il cerchio chiuso rappresentava l’unione di due persone e cioè la coppia; il cerchio aperto rappresentava invece l’individuazione della coppia; il cerchio con le bacche e la croce rappresentava invece l’uccisione della coppia;
- che aveva riferito al Ceri tale sua interpretazione, manifestandogli le sue preoccupazioni per qualcosa di brutto che stava per accadere;
- che aveva prestato il libro al Ceri, il quale poi le aveva fatto notare che al suo interno esisteva, a tutta pagina, la figura di un uomo, ritratto in piedi, a braccia e gambe aperte, ricoperta di cerchi concentrici che, secondo la sua interpretazione, toccavano i punti vitali della persona. Precisava di aver riferito al Ceri che quella figura afferiva a riti esoterici;
- che avrebbe cercato il libro in questione per consegnarlo a questo ufficio;
- che, insieme alle foto, conservava un foglietto di carta a quadretti, sul quale vi era disegnata una figura geometrica, notata nel libro e che aveva riportata su quel pezzo di carta. Precisava che si trattava di una figura composta da nove cerchietti, collegati tra di loro da linee.
- che, per interpretare quelle foto, oltre alle sue conoscenze esoteriche, si era avvalsa di un libro che, nell’ambito della sua famiglia, si erano tramandati di generazione in generazione. Precisava che si trattava di un libro del 1812 o del 1814, scritto in parte in latino, in parte in francese ed in parte in italiano;
- che, a suo giudizio, l’interpretazione delle foto, che spontaneamente consegnava a questo ufficio, era la seguente: il cerchio chiuso rappresentava l’unione di due persone e cioè la coppia; il cerchio aperto rappresentava invece l’individuazione della coppia; il cerchio con le bacche e la croce rappresentava invece l’uccisione della coppia;
- che aveva riferito al Ceri tale sua interpretazione, manifestandogli le sue preoccupazioni per qualcosa di brutto che stava per accadere;
- che aveva prestato il libro al Ceri, il quale poi le aveva fatto notare che al suo interno esisteva, a tutta pagina, la figura di un uomo, ritratto in piedi, a braccia e gambe aperte, ricoperta di cerchi concentrici che, secondo la sua interpretazione, toccavano i punti vitali della persona. Precisava di aver riferito al Ceri che quella figura afferiva a riti esoterici;
- che avrebbe cercato il libro in questione per consegnarlo a questo ufficio;
- che, insieme alle foto, conservava un foglietto di carta a quadretti, sul quale vi era disegnata una figura geometrica, notata nel libro e che aveva riportata su quel pezzo di carta. Precisava che si trattava di una figura composta da nove cerchietti, collegati tra di loro da linee.
Vennero poi interrogati Carmine Picarella e Vittorino Lombardi (5 ottobre) nonché addirittura Ruggero Perugini (27 ottobre). Questi cadde dalle nuvole, dichiarando di non ricordare quasi nulla su questioni alle quali evidentemente non aveva attribuito alcuna importanza.
I passi precedenti sono una chiara dimostrazione dei danni che fantasie e suggestioni possono apportare a un'indagine. Al di là della fondatezza delle varie considerazioni esoteriche su quelli che, con tutta probablità, erano semplici frangi fuoco allestiti da qualche campeggiatore per abbrustolire salamelle e wurstel, i due poveri francesi uccisi a Scopeti nulla vi avevano avuto a che fare. Non erano loro, infatti, i due individui che il 4 settembre 1985 a Monte Morello erano stati invitati ad andarsene dal guardiacaccia, poiché quel giorno erano appena entrati in Italia, e nelle zone attorno a Firenze sarebbero arrivati soltanto il 7. Lo dimostravano gli scontrini dell’autostrada e delle consumazioni ritrovati a bordo della loro auto, con tutta evidenza non noti a Giuttari e non soltanto a lui.
Scritte sul muro e pipistrelli di plastica. Un altro evento che testimoniò lo stato di confusione in cui, dopo il fallimento della perquisizione alla villa, erano caduti i nostri investigatori fu il sequestro di un pezzo di muro. Ancora da “Repubblica” del 6 ottobre:
La scritta è sul muro del palazzo in via dei Serragli 157.
Scura, pennarello a punta grossa. È lì coperta dal telo della polizia, guardata
a vista e piantonata come qualcosa di importante, decisivo. Questo è ciò che
pensano in procura e questura tanto da decidere di asportare il pezzo di muro
su cui è comparsa la scritta per farla entrare direttamente nel processo sui
delitti del mostro di Firenze. «Pacciani è innocente, arrestate…». Nient’altro
perché il nome da arrestare è cancellato e dunque è impossibile leggerlo con
chiarezza. Perché? Da chi? Quando?
Sotto la cancellatura, a prima vista, sembra intravedersi un
nome noto. Ma servono perizie di tecnici armati di attrezzatura sofisticata per
capirci qualcosa di più. E per realizzare le analisi con calma e lontano dal
caos di una strada eternamente assediata dal traffico, è stata presa una
decisione inedita quanto drastica: sarà asportato il pezzo di muro. Stamani
saranno gli ingegneri dell’opificio delle pietre dure, contattati dalla
polizia, a compiere un ultimo sopralluogo e poi pensare all’aspetto tecnico,
con tutte le cautele del caso per evitare che il muro si rompa o sbricioli
durante l’operazione. […]
Di sicuro l’intenzione è quella di salvaguardare al massimo
la scritta ed arrivare al processo con un elemento integro, inattaccabile.
Ma quale
processo? Se anche quel nome fu letto nessuno lo conobbe mai. Forse i tecnici e
le loro sofisticate apparecchiature scoprirono che, almeno per il burlone che
si era divertito nel metterli al lavoro, il Mostro era Diabolik, o magari
Macchia Nera.
Lo zampino di un
burlone dovette esserci stato anche in un episodio di una quindicina di giorni
dopo, quando una segnalazione anonima fece ritrovare una piccola costruzione,
non lontana dalla villa dei C., contenente materiale “esoterico”. Gli
inquirenti andarono a vedere, trovando quello che così venne descritto in un
comunicato ANSA del 23 ottobre 2001:
Tra gli oggetti trovati ci sono alcuni pipistrelli in
plastica, rinvenuti fuori dalla porta e uno scheletro in cartoncino con i fili
per farlo muovere che era nel cassetto di un tavolo di colore rosso sopra al
quale c'erano una candela rossa e un soprammobile in ceramica raffigurante la
testa di un gatto. Sulle pareti c'erano strisciate di vernice rossa,
apparentemente recenti, mentre un occhio, di colore nero, è dipinto su una
delle travi del soffitto. Sulla parete a fianco della porta, sull'esterno, c'è
anche il disegno di un fantasma, mentre per terra, fuori, c'erano alcune foglie
bruciate. Tutto materiale che sarà sottoposto ad analisi, spiegano gli
investigatori, anche per accertare se davvero possa avere una qualche valenza
esoterica.
Più che uno
scherzo, secondo Giuttari la segnalazione era “un
depistaggio” – ma da parte di chi, dei servizi segreti? –, la qual
cosa dimostra una volta di più che nella ormai agonizzante pista esoterica il
ridicolo non aveva più limiti.
Verso la fine di
quel terribile ottobre sarebbe naufragata anche l’ultima speranza dei
satanico-complottisti, quando fu consegnata la perizia sul presunto omicidio di
Pacciani, i cui risultati non portarono nulla di buono, nonostante le
valutazioni di segno contrario rimbalzate sulla stampa. Insomma, sembrava
proprio che la ricerca dei mandanti si fosse arenata in un vicolo cieco. Ma
Giuttari aveva già dimostrato di essere un fenomeno nel riuscire a cavarsela in
ogni situazione, e forse in questo frangente fu aiutato anche dalla fortuna; in
un prossimo articolo si cercherà di ipotizzare se e quanto, fatto sta che
proprio in quei giorni, a Perugia, gli si stava aprendo un nuovo e ben più
ricco scenario grazie al quale sarebbe riuscito a rimettersi in gioco alla
grande.
L’ordinanza
del tribunale del riesame. La povera A. e sua madre G. continuarono a
tentarle di tutte per salvaguardare la propria roba e la propria dignità ingiustamente
violate, dalle conferenze stampa all’appello al tribunale del riesame, senza
essere ascoltate da nessuno. “Parlano piangendo, se
non piangono strillano, se non strillano si lamentano e le frasi, quelle sì,
cadono a pioggia: un uragano sconclusionato”, scrisse con ottusa
crudeltà “Il Tirreno” del 30 settembre. Da parte loro, il 15 ottobre, i giudici
del riesame respinsero il ricorso che gli avvocati delle due donne avevano
presentato contro il decreto di perquisizione. Letta oggi, la relativa ordinanza
– subito fatta pervenire ai giornali, che il 20 ne pubblicarono ampi sunti –
risulta di una superficialità e faziosità incredibili, soprattutto se si pensa
che ormai era di fronte a tutti l’enorme errore commesso dai nostri
investigatori, che nella villa non avevano trovato niente. Proviamo a leggerne
e commentarne alcune parti.
Va detto che il decreto di perquisizione del Pm si presenta
corretto dal punto di vista formale ed esente dai vizi che la difesa lamenta,
anche nei motivi scritti nel ricorso, poiché in esso si chiarisce per quali
procedimenti penali si sta procedendo (per l’esattezza i procedimenti n.
3212/96 in ordine alle indagini sui c.d. delitti del “mostro” di Firenze e
quello a carico delle ricorrenti, avente il nr. 6402/01 per i delitti di cui
agli artt. 110, 605, 628, 368 cp commessi in San Casciano Val di Pesa Firenze
sino al 1997, così come correttamente è posto il “thema probandum” del mezzo di
ricerca della prova costituito da “cose, documenti, scritti, agende,
documentazione di ogni tipo e genere, beni mobili, arredi, o comunque tracce
pertinenti i reati in ordine ai quali sono in corso le indagini”.
Da queste frasi
si comprende come il decreto di perquisizione fosse stato giustificato sia dal
procedimento per rapina, sequestro di persona e calunnia aperto contro A. e G.
in base alle accuse del pittore, sia per i sospetti che le due donne avessero
avuto a che fare con la vicenda dei delitti del Mostro. Ma questi sospetti – il
“fumus commissi delicti” – da dove
avevano origine?
Ciò premesso va ulteriormente rilevato che sussiste il fumus
commissi delicti che ben giustifica l’esecuzione degli atti di perquisizione e sequestro
in quanto le due indagini di cui sopra appaiono
connesse, o quantomeno collegate sotto il profilo probatorio, e riguardano
un interessante spaccato di indagine incentrato sulla gestione da parte delle
due ricorrenti di una casa di riposo per anziani non autosufficienti denominata
“Villa […]” ed ubicata nella zona sud di Firenze, già (e non può essere una
mera coincidenza) in qualche modo indicata in alcuni atti del Sisde ed in un
libro intitolato il “coniglio del Martedì” di altra persona legata al servizio
segreto civile, come possibile luogo di esistenza di una setta “esoterica” in
qualche modo coinvolta nei delitti del mostro di Firenze (fatti per i quali vi
sono state altre perquisizioni il cui vaglio di legittimità è recentemente
state sancite da questo Tribunale).
Incredibile ma
vero: per i giudici il sospetto che A. e G. avessero avuto a che fare con i
delitti del Mostro nasceva dalla lettura dei dossier di Francesco Bruno – dove,
come abbiamo visto, oltre alla estrema fantasiosità delle ipotesi dell’autore,
peraltro prive di sette committenti, c’era il fatto che la “sua” villa avrebbe
avuto caratteristiche del tutto diverse da quella delle due donne – e del
romanzo di Mattei, il quale, oltre a essere un’opera di fantasia, con sette
esoteriche e ville niente aveva a che fare!
Prosegue
imperterrita l’ordinanza:
All‘interno di questo contesto vi sono le specifiche denunzie
di tal F.C., pittore di origine svizzera, il quale racconta di aver conosciuto la
C.A., di essersi di lei invaghito e di aver abitato per un certo periodo nella predetta
villa, ove veniva plagiato, drogato a volte privato della libertà personale
(dalla predetta e da sua madre) ed infine spogliato di molti suoi beni ed
arredamenti di valore che egli aveva portato con sé.
Il racconto del pittore contrariamente alle apparenze dettate
dallo scetticismo del senso comune, appare verosimile poiché ha trovato diversi
punti di riscontro nelle indagini in corso che hanno fatto emergere, attraverso
la assunzione di informazioni dei dipendenti delle due donne, non solo un quadro
assai preoccupante quanto alla gestione della casa di cura, definita come una
sorta di “lazzaretto” o “lager” che dir si voglia ove gli anziani ospiti
(alcuni parenti stretti di personaggi di una qualche influenza) venivano maltrattati
in tutti i sensi, nonostante le alte rette pagate, ma anche in reiterati
comportamenti della T. e della C. (nonché del marito di costei) definiti da tutti
“gente strana ed inquietante”, forse dedita a pratiche esoteriche occulte e comunque
persone che più volte, anche nei confronti dei dipendenti, ricorrevano a metodi
violenti ed anche privativi della libertà personale, nel momento in cui sorgevano
dei rapporti conflittuali per ragioni di lavoro.
Ancora più significative, per quanto concerne la vicenda del
F., sono le dichiarazioni di C.M., imprenditore pratese, che pure lui racconta
di essersi invaghito della C. e di aver vissuto vicende del tutto analoghe a
quelle del pittare svizzero, in quanto raggirato con perdite di alcune centinaia
di milioni e più volte segregato e
privato della libertà personale in stanze della villa in questione.
Come si vede, i
giudici ritennero fondate le gravissime accuse del pittore, senza neppure
chiedersi il perché, durante i quattro anni in cui l’individuo si era reso
irreperibile all’estero e dunque era esente da ogni tipo di costrizione, di
tali reati non avesse mai fatto denuncia, se non altro almeno per recuperare i
propri beni! Anzi, credettero anche all’imprenditore pratese C.M., del quale
parimenti non si conoscono denunce per i millantati torti subiti. Infine non si
capisce che cosa c’entrassero con il decreto di perquisizione le informazioni
assunte dai dipendenti sulla gestione della vecchia casa di cura, ormai cessata
da anni. Ammesso e non concesso che tali informazioni avessero contenuto un
fondo di verità – ma la presenza di “alcuni parenti
stretti di personaggi di una qualche influenza”, come il padre del
procuratore Francesco Fleury, contribuiva semmai a confutarle – dovevano confluire in un procedimento del
tutto separato, che non risulta sia mai stato aperto.
Ma veniamo
finalmente alla questione vera, quella dei delitti del Mostro.
Come detto queste vicende si intrecciano con quelle dei delitti
sul “mostro” di Firenze, in quanto proprio dalle dichiarazioni di C.M., nonché
da altri elementi di prova in atti emerge che il Pacciani Pietro ha lavorato
per un periodo presso le due ricorrenti, ed F.C. ha parlato di alcuni vani e
stanze “segrete” esistenti nel seminterrato della villa, come possibili luoghi di
svolgimento dei riti magici, per i quali si sta precedendo ad opportune
ricerche e verifiche, potendosi quindi constatare come la pista della “setta esoterica”
in qualche modo connessa con i delitti del mostro, abbia una qualche attinenza con
le vicende della gestione della casa di cura di riposo per anziani alla quale,
par di dire “maliziosamente” si fa allusione in atti del servizio segreto
civile, mai pervenuti, come di dovere, alla Autorità giudiziaria inquirente.
Una impostazione di indagine solida, razionale, che, per
quanto spiacevole per le ricorrenti, è doveroso verificare, con tutti i metodi
investigativi a disposizione, ivi compresi perquisizioni e sequestri;
Pietro Pacciani
aveva lavorato nella villa – ma quando e per quanto tempo? I giudici lo
sapevano? Non sembra, poiché si tratta di notizia mai emersa in alcuna
documentazione –, la qual cosa determinava l’intreccio delle vicende del
pittore, dell’imprenditore pratese e degli anziani maltrattati con quella dei
delitti del Mostro! Per di più il pittore aveva parlato di stanze segrete dove
si officiavano riti magici, stanze che però, al momento della stesura dell’ordinanza,
erano già state cercate con ogni mezzo. Infine i dossier di Bruno, dove il
criminologo aveva decrittato gli enigmi lasciati in giro dal Mostro, giungendo
a questa sorprendente conclusione: “Cercare in un
luogo clinico per non autosufficienti e per anziani intitolato ad una Monica
(monaca) o ad una santa suora, a Bagno a Ripoli o a Pontassieve. Intendo
fermarmi e vi invio gli elementi per identificarmi”. Ammesso e non
concesso che il ridicolo lavoro di decrittazione avesse avuto una qualche
validità, i giudici avrebbero fatto meglio a consultare una cartina per
scoprire che la villa dei poveri C. era ben lontana sia da Bagno a Ripoli sia
da Pontassieve, rispettivamente 30 e 40 km in linea d’aria. Ma per i giudici l’impostazione
dell’indagine era “solida, razionale”!
Ecco infine l’incredibile
chiusura, dove i giudici dimostrarono di credere alla favola dei poteri forti
che avrebbero ostacolato le indagini di Giuttari, cercando di farlo trasferire
(per come andarono effettivamente le cose vedere qui).
Tant’è che nelle carte e documenti in attuale sequestro sono
stati trovati appunti precisi di date e vicende concernenti le vicende dei
trasferimenti patiti dal dirigente della Squadra Mobile di Firenze, dr. Michele
Giuttari il quale ha dovuto ingaggiare una complessa battaglia amministrativa
per continuare ad investigare sugli aspetti della notissima vicenda, appunti
che suscitano un certo senso di inquietudine poiché attestano un fervente interesse
da parte delle ricorrenti a che i1 Dr. Giuttari non si interessi più di queste
indagini e la ricerca di contatti con personaggi altolocati a questo fine e
dovrebbe essere chiarito se questi contatti vi siano stati e se abbiano avuto
un grave effetto di ritardo per le indagini medesime.
Come si vede,
purtroppo i vecchi tentativi di scrollarsi di dosso l’infamia e la vergogna
cercando di fermare in qualche modo i loro persecutori si ritorsero contro la
disgraziata famiglia C..
Epilogo di un
grande misfatto. Non passò molto tempo prima che la pista della villa fosse
dimenticata dai giornali e dai loro lettori, ma la macchina messa in moto dalla
leggerezza della nostra magistratura non disponeva di una marcia indietro troppo
rapida, e i C. dovettero affrontare la rovina, con anche dei famelici avvoltoi
che cercarono di trarne vantaggio (gli affittuari della parte adibita ad
albergo). Intanto, per quattro mesi, i loro oggetti continuarono a marcire
sotto le intemperie. Così continua il toccante racconto del signor R.:
Passarono i giorni, venne l'autunno, la pioggia, poi la
grandine e poi anche l'inverno e la neve e la nostra roba continuò a restare lì
nel campo, sulla nuda terra insieme ai nostri cuori, e nessuno del Ministero si
fece vivo per aiutarci e rimettere le cose in un giusto ordine di civiltà;
perché non esistono solo i crimini compiuti dagli assassini ricercati dalla
polizia, esistono anche altri tipi di crimini.
Continuammo a telefonare al centralino di Canessa e di
Giuttari, inviammo fax, pregandoli di mettere al coperto almeno la carrozzina
di A.C., il mio nipotino morto, ma niente!
Eravamo tanto deboli ed affranti ma con tanta forza ci
unimmo tutti e quattro, decidemmo di fare causa agli inquilini che non ci
pagavano più l'affitto, le mie nipoti si presentarono al cospetto del giudice
in lacrime, le espressero tutto il loro dolore e la loro disperazione, ma
sbattendo violentemente il martellino sulla sua cattedra disse “silenzio!”.
Tutti gli articoli pieni di menzogne avevano plagiato anche lei??? Poi
incredibilmente la sentenza che fu emessa disse che dovevano restare dentro
senza pagare per il momento, in quanto lei non accettava la richiesta dell'urgenza,
e che avremmo dovuto fare una normale causa civile di anni ed anni per mandarli
via!
Quando finalmente i beni furono dissequestrati erano ormai quasi del tutto
irrecuperabili:
Dal momento in cui ci avevano sequestrato tutto al
dissequestro passarono quattro mesi!! Quando ci fu permesso di riprendere
possesso di tutta la nostra roba ed aprimmo la nostra casa fu troppo tardi per
moltissimi oggetti: ogni cosa era verde di muffa, ovunque l'aria era terribile,
tutto puzzava di marcio, ci sembrò di entrare in una palude, le foto avevano
tutte macchie, il tappeto persiano all’entrata si sbriciolò a pezzi, era
proprio marcito e il tubo buttava ancora le ultime gocce; trovammo degli enormi
fori in molte stanze perché Giuttari e Canessa avevano osato bucare i muri per
la loro fissazione di cercare una cappella dove cappella non c'era; fu un
ennesimo colpo, un'ennesima ferita, capimmo perché gli inquilini ci
telefonavano e ridendo, dico ridendo, ci avevano detto più volte: “Giuttari e
Canessa vi stanno buttando giù la casa, si sentono dei rumori di martello
pneumatico! Vi buttano giù tutto!”.
Fuori tutto era ormai marcito, fummo costretti a buttare via
quasi tutto, come si faceva a recuperare tutti quei ricordi, anche se con tutto
l'amore del mondo fu impossibile conservarli, erano ridotti in un modo pietoso.
Che colpo quando potemmo rimettere le mani sui nostri oggetti! Quanto ha pianto
mia sorella quando ha visto il suo abito da sposa tutto marcio ed ammuffito ed
ogni oggetto: carte, documenti, libri, foto erano diventati intoccabili per la
muffa, per i muri ed i pavimenti ci vollero quintali di varichina e mesi per
ripulire.
Una vicina si alterò e venne a rimproverarci “se non
togliete tutte queste montagne di roba marcia mi rivolgerò alle autorità! Il vento
fa volare i vestiti, le carte, l'odore di marciume e poi tutto ciò attira i
topi!!”. Come se fosse stata colpa nostra, beata lei che aveva da preoccuparsi
solo di eventuali topi!
Nel 2002 dall'unico fascicolo aperto contro A. e G. ne fu scorporato uno nuovo, il
5398/02, inerente l'ipotesi di reato di “favoreggiamento
personale nei confronti degli ignoti mandanti di omicidio continuato addebitati
al c.d. Mostro di Firenze”, mentre il vecchio rimase per la parte
che riguardava il presunto sequestro di persona del pittore. Chi scrive non sa
come andò a finire con le false accuse del pittore, la speranza è che sia stata
fatta giustizia con la condanna dello spregevole individuo. Sul favoreggiamento
dei mandanti, invece, l’indagine languì per tre anni, fino a quando gli avvocati delle povere donne minacciarono l'avocazione
scrivendo al procuratore generale presso la Corte d'Appello (13 luglio 2005)
G.T. e A.C., sulle quali incombe l'immane e atroce peso di una tanto grave ipotesi di accusa, chiedono che le indagini si svolgano e siano complete, affinché possa cosi essere appurata la verità e possa così essere riconosciuta e
dichiarata la loro totale estraneitù all'orripilante catena dei delitti de c.d. 'mostro di Firenze',
e pertanto a mezzo dei loro sottoscritti difensori si rivolgono alla S.V.Ill.ma con la presente istanza.
I sottoscritti difensori fanno istanza al Signor Procuratore Generale presso la Corte di
Appello di Firenze affinché, verificate e ritenute fondate le suesposte considerazioni, ai
sensi dell'art.412 co.1 cpp disponga con decreto motivato l'avocazione delle indagini
preliminari nel procedimento penale in epigrafe.
A quel punto il titolare delle indagini preliminari, Paolo Canessa, fu costretto a richiederne l'archiviazione (17 settembre 2005).
Il Pubblico Ministero, visti gli atti di cui all'art. 378
C.P. commesso in Firenze nel corso del 1997. Rilevato che, come emerge dalla
lettura degli atti ed in particolare dalle conclusioni della nota di data 28
maggio 1997 della Squadra Mobile della Questura di Firenze, i fatti addebitati
alle indagate si fondano esclusivamente su ipotesi di Polizia Giudiziaria che
non hanno trovato né al momento della stesura della nota, né successivamente,
elementi concreti di riscontro per cui non appare possibile sostenere l'accusa
in giudizio in ordine al reato ipotizzato [...] chiede che il Giudice per le
Indagini Preliminari in sede voglia disporre l'archiviazione degli atti di cui
sopra.
Così continua lo
scritto del signor R.:
Sono sicuro che un castigo del genere di lasciare tutti i
mobili alle intemperie non lo hanno dato nemmeno ai veri colpevoli, nemmeno ai
mafiosi, e poi tutto senza una ragione perché dopo otto lunghissimi anni di
graticola lo stesso Paolo Canessa fu costretto a scrivere la verità: che c'era
“solo un'ipotesi” su di noi senza uno straccio d'indizio, solo per un'ipotesi
abbiamo dovuto subire tutto ciò e molto altro, non avevano il diritto di farci
questo. Delle persone estranee a tutto ciò che gli viene attribuito, che
vengono trattate così!!! Non si può immaginare il dolore che abbiamo provato!!
Questa violenza ha segnato profondamente la nostra vita. Quanto ci è successo
dovrebbe far vergognare l'Italia agli occhi di tutto il mondo.
Si stenta a
credere che tutto ciò sia accaduto davvero, e che nessuno abbia pagato le
conseguenze per simili nefandezze compiute in nome e per conto del Popolo
Italiano.