Abbiamo dunque visto quanto bassa fosse la probabilità che
il 2 giugno 1992, in casa del presunto mostro Pietro Pacciani, potesse venir
sequestrato un qualsiasi blocco da disegno appartenuto a Horst Meyer. È molto,
molto più facile che Pacciani avesse trovato il noto “Skizzen Brunnen” da
qualche parte, magari proprio nella discarica di S.Anna dove disse lui. A poco
valgono, infatti, le considerazioni del primo giudice sull’incompatibilità del
manufatto, vecchio ma ancora in buono stato, con una lunga esposizione all’aperto,
se non a dimostrare ancora una volta la sua ottusa vena colpevolista. È ragionevole
immaginare frequenti visite di Pacciani a quella discarica, quindi non è
improbabile un adocchiamento precoce del blocco, che per di più avrebbe potuto
essere protetto da altri oggetti che lo sovrastavano o contenuto all’interno di
una busta.
Anche il fatto che il blocco non venisse commercializzato
in Italia vuol dire poco: la Toscana è piena di stranieri appassionati
d’arte, non è difficile che qualcuno di loro si fosse portato dietro quel pregiato
tipo di blocchi da casa propria. Guarda
caso nella stanza del noto personaggio che alloggiava in una villa a lungo perquisita, il pittore svizzero Claude Falbriand, sarebbe stato trovato un blocco analogo.
Ma se lo “Skizzen Brunnen” di Pacciani proveniva proprio dal negozio Prelle-Shop di Osnabruck, avremmo quantomeno una coincidenza altamente sospetta. Per il giudice di primo grado le perizie calligrafiche avevano dimostrato in modo inequivocabile che i due numeri a matita trovati in quarta di copertina erano stati scritti da due impiegate del Prelle-Shop, il “424” dalla signora Lohman e il “4,60” dalla signora Stellmacher. Il secondo giudice fu meno benevolo verso i risultati della perizia, però mostrò di credere alla Stellmacher, che aveva riconosciuto la propria grafia senza apprezzabili esitazioni. E quindi, per sminuire l’indizio, dette questa spiegazione:
Ma se lo “Skizzen Brunnen” di Pacciani proveniva proprio dal negozio Prelle-Shop di Osnabruck, avremmo quantomeno una coincidenza altamente sospetta. Per il giudice di primo grado le perizie calligrafiche avevano dimostrato in modo inequivocabile che i due numeri a matita trovati in quarta di copertina erano stati scritti da due impiegate del Prelle-Shop, il “424” dalla signora Lohman e il “4,60” dalla signora Stellmacher. Il secondo giudice fu meno benevolo verso i risultati della perizia, però mostrò di credere alla Stellmacher, che aveva riconosciuto la propria grafia senza apprezzabili esitazioni. E quindi, per sminuire l’indizio, dette questa spiegazione:
Dunque, il primo quesito può risolversi nel senso che il
blocco fu acquistato probabilmente nel negozio Prelle-Shop di Osnabruck, ed in
data antecedente a quella dell'omicidio del Meyer e del suo amico Rusch:
conclusione la cui possibile valenza indiziaria va comunque commisurata al
fatto che Osnabruck è una città di circa 163.000 abitanti, sede di istituti
universitari e del più volte citato Istituto Superiore di Progettazione e
Disegno, ed al fatto che il negozio Prelle-Shop è un grande negozio su tre
piani con grande smercio quotidiano.
Ma di quell’articolo il Prelle-Shop vendeva pochi
esemplari, secondo la Stellmacher da tre a cinque a settimana, e a giudicare
dalle fatture di cui stiamo per dire anche meno, quindi la spiegazione di Ferri
è molto poco convincente. Piuttosto c’è da chiedersi quale affidabilità possa venire riconosciuta
a perizie condotte su scritte così brevi, e quale credito possa essere concesso a un’impiegata
fin troppo felice di rendersi utile, come era la Stellmacher.
Ma per ora continuiamo a parlare di probabilità, spostandoci più indietro nel tempo rispetto al post precedente, al momento in cui Horst Meyer avrebbe acquistato il blocco al Prelle-Shop. Ragioniamo sul prezzo di vendita, 4 marchi e 60: a quando risaliva quel valore? Il titolare
del negozio, signor Vesterholt, era riuscito a rintracciare alcune fatture
d’acquisto degli anni 1982-1984 nelle quali compariva anche il medesimo blocco sequestrato
a Pacciani (misura 17x24 cm). Il prezzo del 1982 era di 5,90 marchi, e la
valutazione fornita dal signor Vesterholt fu che il prezzo di 4,60 veniva
praticato nel 1980-1981. Ma un esame delle fatture porta a conclusioni differenti.
Come si può vedere qui,
accanto a ogni riga di articolo, direttamente sulle fatture del fornitore,
veniva sempre riportato il prezzo di vendita al pubblico, ottenuto applicando a
quello d’acquisto un fattore moltiplicativo attorno a 2,4, quindi con una
percentuale di ricarico del 140%. Il prezzo di vendita segnato sulla fattura
del maggio 1982, 5,90 marchi, era salito a 6,20 in quella dell’agosto 1983 e a
6,40 nella successiva dell’ottobre, rimanendo invariato fino all’ultima dell’ottobre
1984. Si può notare un andamento più o meno
proporzionale a quello dell’inflazione, negli anni ‘80 piuttosto alta anche in
Germania (vedi). Nel
1982 si era avuto un valore del 5,3%, con un aumento teorico del prezzo del blocco
da 5,90 a 6,21 nel 1983 (reale 6,20). Nel 1983 l’inflazione era stata del 3,3%,
e il prezzo teorico nel 1984 avrebbe dovuto essere 6,41 (reale 6,40). Questa
regola empirica è importante perché ci consente di ipotizzare l’anno nel quale
il prezzo del blocco avrebbe potuto collocarsi attorno ai 4,60 marchi, andando a ritroso con partenza dal valore noto 5,90 riportato
nella fattura del maggio 1982. Si suppone naturalmente che la percentuale di
ricarico sia sempre rimasta di circa 140%.
Anno
|
Prezzo
|
Inflazione
|
Prezzo anno
successivo
|
1983
|
6,20
|
3,3%
|
6,40
|
1982
|
5,90
|
5,3%
|
6,20
|
1981
|
5,55
|
6,3%
|
5,90
|
1980
|
5,26
|
5,4%
|
5,55
|
1979
|
5,05
|
4,1%
|
5,26
|
1978
|
4,91
|
2,7%
|
5,05
|
1977
|
4,73
|
3,7%
|
4,91
|
1976
|
4,53
|
4,3%
|
4,73
|
Come si vede, per ottenere un prezzo attorno ai 4,60
marchi è necessario scendere agli anni 1976-1977, e questo fatto abbassa enormemente
la probabilità che il blocco fosse stato acquistato da Horst Meyer. Per quale
motivo, infatti, il ragazzo avrebbe dovuto tenerlo da parte per sei-sette anni
fino a decidere di usarlo proprio a ridosso del suo ultimo sfortunato viaggio? Alla
catena di eventi improbabili che abbiamo esaminato nel post precedente, va
aggiunto anche questo, con ulteriore e drastico abbattimento della probabilità
finale. Per di più Horst aveva frequentato la scuola di grafica di Osnabruck soltanto
a partire dal 1980, come riporta la sentenza di secondo grado (“questi dal
1980-1981 al 1983 aveva frequentato una scuola di disegno e grafica”;
si noti che la valutazione dell’anno di vendita fornita dal compiacente signor Vesterholt
era stata, non certo a caso, proprio 1980-1981). Si dovrebbe quindi ipotizzare
che la passione del ragazzo per il disegno fosse precedente, il che è ragionevole, ma soprattutto che
si fosse recato apposta a Osnabruck, distante poco più di 30 km da Lemforde, il
suo paese, per acquistare album da disegno nel negozio Prelle-Shop: ancora un
fatto improbabile da concatenare ai precedenti.
Ma ad assestare un colpo ancora più pesante alla credibilità
dello “Skizzen Brunnen” come prova contro Pacciani è un'altra delle conseguenze
dovute alla retrodatazione del suo acquisto: la signora Lohman aveva lavorato
nel reparto articoli da disegno del Prelle-Shop soltanto a partire dal 1980; lo
riporta la sentenza di primo grado (“Lohmann KJenner Marina, infine, affermava che, avendo
lavorato presso la Prelle Shop nel settore articoli da disegno nel periodo dal
1980 al 1987…”) . Quindi non poteva essere stata lei a scrivere il
numero “424” sulla quarta di copertina, come invece avevano stabilito le perizie
calligrafiche. In questo modo cade una delle due colonne portanti che avevano consentito
di associare il blocco al negozio Prelle-Shop.
Nel quadro che si è andato delineando, bisogna purtroppo prendere atto della mancanza di affidabilità della testimone Heidemarie Meyer, arrivando alla medesima conclusione cui giunse il giudice di secondo grado. Come si legge nella relativa sentenza, nei primi contatti telefonici con l’autorità giudiziaria del suo paese (14 e 15 giugno 1992), riguardo il fatto che il fratello usasse blocchi Brunnen per i suoi disegni, Heidemarie non aveva fornito certezze, dichiarando: "potrebbe aver comprato analoghi blocchi da disegno di marca BRUNNEN ad Osnabruck, nei seguenti negozi: Heintzmann, Prelle-Shop". Ma una settimana dopo, davanti a Perugini che era corso a interrogarla, il condizionale era sparito; anzi, suo fratello li usava spessissimo quei blocchi, e li aveva consigliati anche a lei, che pure si dilettava di disegno, per la loro ottima qualità. Scrisse Francesco Ferri:
È quindi evidente che, nel breve intervallo temporale fra i
primi due contatti semplicemente telefonici e l'esame a verbale, qualcuno o
qualcosa sollecitò energicamente la memoria della Meyer Heidemarie, sì che
ricordi incerti e generici divennero certi e precisi, ed al punto che la
giovane esibì e mise a disposizione degli Ufficiali di Polizia italiani un
altro blocco "SKIZZEN BRUNNEN" più grande, asserendo che fosse stato
acquistato dal fratello: laddove è certo, per le ragioni che si specificheranno
in seguito, che esso fosse stato acquistato dopo la morte di Horst.
In effetti Heidemarie consegnò a Perugini un blocco più
grande dello stesso tipo, a suo dire acquistato da Horst e da lei utilizzato e
conservato per ricordo. Ma su di esso era segnato un prezzo di 10,20 marchi,
mentre, a quanto risulta dalle medesime fatture esaminate in precedenza,
nell’ottobre 1983 uno "Skizzen Brunnen" di quella dimensione veniva venduto a un
prezzo minore, 10 marchi. Dunque il blocco non poteva essere stato acquistato
da Horst, almeno non al Prelle-Shop, e molto probabilmente la sorella aveva mentito. Il che getta
ombre inquietanti anche su tutte le altre sue affermazioni, tantoché viene da
dubitare che il fratello avesse mai usato blocchi Brunnen. È infatti
inevitabile chiedersi il perché la donna non avesse mai esibito un disegno realizzato
da Horst su carta di quel tipo, potendo così ottenere un effetto gigantesco sulla valenza della prova: possibile che non fosse riuscita a rintracciarne neppure uno,
considerato che, a suo dire, il ragazzo riempiva tantissimi di quei fogli?
D’altra parte è difficile immaginare quale possa essere
l’angoscia dei familiari delle vittime di omicidi quando il responsabile non
viene arrestato. Non che il dolore possa attenuarsi, ma certo, il disporre di
una figura sulla quale riversare il proprio legittimo risentimento aiuta a farsene
una ragione. Ben si comprende quindi come sia facile che essi pendano dalle
labbra dell’autorità giudiziaria, attaccandosi in modo per forza acritico a chi
da questa viene presentato come colpevole, e che non si tirino indietro se viene
chiesto loro di dare una mano. Nel caso di Heidemarie e del padre, lasciati
soli per anni nel doloroso ricordo di un congiunto ucciso senza motivo in un
paese straniero, la comparsa improvvisa di poliziotti italiani che finalmente e
con sicurezza indicavano loro un colpevole, e non si comprende per quale motivo avrebbero dovuto dubitarne, fa capire il perché si fossero messi fin
troppo a disposizione. Qualsiasi persona interessata alla giustizia vera non
può che guardare con raccapriccio a questo episodio, raccontato più volte da
Perugini (qui in un’intervista a Repubblica del 17 gennaio 1993):
Di una scena non mi scorderò mai. A giugno andammo in
Germania per mostrare ai parenti di due delle vittime del maniaco alcuni
oggetti trovati a casa di Pacciani. Il vecchio Meyer, padre di Horst ucciso con
l'amico in un bosco, capì che potevamo farcela. Mi abbracciò, ancora sento le
sue braccia intorno al collo.
In casi come questo è evidente che il bisogno dell’uno di
trovare giustizia e dell’altro di darla possono facilmente portare
all’accanimento sulla persona sbagliata. E allora la vittima diventa, suo
malgrado e per responsabilità non certo sua ma di chi glielo permette, un aguzzino, finendo anche per dimenticare che per un innocente in
carcere c’è quasi sempre un colpevole fuori.