Segue dalla prima parte
Dopo un tempo che a qualcuno è parso interminabile, è giunto il momento di tornare sulla dinamica di Scopeti proposta da Enrico Manieri. Dal mio primo interessamento l’autore ha aperto un suo canale Youtube (vedi), dove ha pubblicato alcuni video, parte a pagamento, nei quali ha proseguito per la propria strada – profondamente errata, a parere di chi scrive – fornendo altri dettagli relativi alle convinzioni che ne stanno alla base. E non solo. Ha anche colto l’occasione per rivelare un paio di “scoperte” inedite, su una delle quali è il caso di approfondire, prima ancora di riesaminare in modo critico la sua proposta di dinamica vera e propria.
Ricordo che il mio interessamento è volto soltanto a contrastare la nascita di ulteriori inquinamenti, che in questo caso potrebbero rivelarsi assai nocivi, provenendo da persona competente e ben accreditata tra gli appassionati in rete. E che non esita a propagandare le sue presunte “scoperte” come un fatto epocale. Si veda a puro titolo di esempio l’articolo “Mostro di Firenze, Pietro Pacciani incastrato? ‘Il depistaggio decisivo, chi c'è dietro’: la svolta”, a firma Francesco Amicone, su Libero del 4 maggio 2021 (qui), sul quale torneremo.
In più la dinamica disegnata da Manieri si pone in netto contrasto con quella che giudico una verità densa di conseguenze, e che per essere smentita abbisogna di ben altre argomentazioni: a Scopeti il Mostro aveva sparato impugnando la pistola con la mano sinistra.
Bossoli che camminano. Le due foto seguenti ci mostrano la posizione dei sei bossoli ritrovati il giorno dopo la scoperta dei cadaveri, al martedì mattina (queste e altre immagini sono tratte dai video di Manieri).
Così si legge nel verbale della scientifica:
L'anno 1985, addì 10 del mese di settembre, dalle ore 10 alle ore 12,30, in San Casciano Val di Pesa (FI).
Noi sottoscritti Sov. della Polstato SIMPATIA Giovanni, MATTA Silverio ed Agente Scelto della Polstato AUTORINO Giovanni, tutti operatori tecnici addetti al Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica della Questura di Firenze, su richiesta del Dr. CANESSA, Sost. Proc. e per disposizione Superiore, ci siamo recati in San Casciano Val di Pesa, in quella via Degli Scopeti, all'altezza del civico 124, per ivi eseguire ulteriore sopraluogo nell'area di rinvenimento dei cadaveri.
Si è proceduto ad una ispezione con uso del metaldetector, del terreno adiacente la tenda biposto di cui al verbale precedente. Detta operazione ha portato al ritrovamento, tra i ciuffi di erba secca antistanti l'apertura principale della tenda (quella rivolta a via degli Scopeti) di nr. 6 bossoli calibro 22, marca Winchester, con il fondello percosso. I suddetti bossoli, contrassegnati con le lettere: A-O-Q-H-F-E, distano rispettivamente (A) mtr. 1,40 dall'albero di abete che nel precedente verbale è stato preso come punto di riferimento, e cm. 95 dal materassino; (O) mtr. 1,90 dall'albero e cm. 25 dal materassino; (Q) mtr. 1,85 dall'albero e cm. 11 dal materassino; (H) mtr. 1,40 dall'albero e cm. 8 dal materassino; (F) mtr. 1,20 dall'albero e cm. 5 dal materassino; (E) mtr. 1,5 dall'albero e cm. 4 dal materassino.
Evidentemente il pomeriggio del giorno precedente – quello della scoperta dei cadaveri – i sei bossoli non erano visibili, perché infossati nel terreno sabbioso ed erboso, almeno questo si era sempre pensato. Ebbene, Manieri ha provveduto ad analizzare la nota foto dove si vede il corpo della povera Nadine Mauriot ancora all’interno della tenda, scattata proprio quel lunedì pomeriggio e, a suo dire, sul terreno antistante avrebbe visto emergere i sei bossoli nascosti! Ma non solo, la loro posizione non sarebbe stata affatto la stessa descritta dal verbale e illustrata dalle foto ufficiali, ci sarebbero state delle differenze che nel caso del bossolo (A) risultano davvero abissali. Questo, infatti, si collocherebbe non a “cm. 95 dal materassino”, ma ben più vicino, a occhio una decina di cm.
Nel video Manieri non fa vedere in modo chiaro la foto originale, ma preferisce soffermarsi su una versione da lui opportunamente trattata, tutta in bianco e nero (desaturata) con il colore a evidenziare i soli bossoli. Lo si vede bene in questi due fotogrammi, dove ogni bossolo è stato da me contrassegnato con la stessa lettera delle foto ufficiali scattate il martedì.
Si legge nell’articolo di Amicone citato in avvio:
«Il giorno in cui un ricercatore di funghi scopre i corpi delle ultime vittime, una coppia di francesi», mi dice l'esperto balistico Enrico Manieri, «intervengono anche gli agenti della polizia scientifica, che però non notano i bossoli di fronte alla tenda. Gli stessi saranno individuati l'indomani in altre posizioni». Manieri con il nickname “Henry62” gestisce un seguito blog dedicato al serial killer fiorentino dove entra nello specifico di delicate questioni tecnico-balistiche. «È un errore gravissimo commesso da chi indaga», osserva, «cambia la ricostruzione del delitto e, quindi, la verità processuale esistente mai revisionata dall'autorità giudiziaria». […]
«Le pistole calibro .22, compresa quella del Mostro, solitamente espellono il bossolo almeno a un metro di distanza, verso destra e all'indietro. Per questo, è scientificamente molto improbabile che i bossoli finiti davanti all'ingresso della tenda appartengano ai primi colpi che attinsero i francesi, come erroneamente verrà dedotto, dopo il loro spostamento», spiega Manieri. Chi ha mosso inavvertitamente i bossoli prima che fossero individuati ha alterato la scena del crimine, inducendo chi avrebbe ricostruito gli eventi in vari errori, tra cui attribuire una posizione sbagliata allo sparatore nelle prime fasi del delitto.
«A differenza di quanto riporta la ricostruzione ufficiale, basata sulle posizioni errate dei bossoli, i primi colpi vengono sparati a poca altezza dal terreno. Si deduce quindi che il serial killer iniziò a sparare con i piedi a un livello più basso, cioè nella scarpata che divide la piazzola dalla strada».
Ma davvero la “scoperta” di Manieri sarebbe in grado di sovvertire in modo così clamoroso la dinamica deducibile dalle posizioni dei bossoli ufficialmente note? Non pare proprio. L’unica differenza eclatante risiede nel bossolo (A), che abbiamo visto spostarsi accosto alla tenda assieme agli altri cinque, la qual cosa non sembra davvero che possa cambiare granché la dinamica omicidiaria. Una dinamica omicidiaria sbagliatissima, nella proposta di Manieri, come vedremo tra poco. Ma prima è il caso di chiedersi: davvero i bossoli davanti alla tenda furono spostati durante i rilievi, e davvero Manieri è riuscito a risalire alla loro posizione originaria?
I bossoli fantasma. La prima domanda che viene da porsi è naturalmente questa: è possibile che gli uomini della Scientifica non avessero visto dei bossoli che dalla foto trattata da Manieri risultano così evidenti? Pare davvero difficile, anche perché altri tre invece li ritrovarono, il (G) sul tessuto e i due (C) e (D) sul lato destro della tenda. Quindi in qualche modo una ricerca la fecero, e perché proprio davanti no? C’è poi il problema del successivo cambio di posizione, a detta di Manieri dovuto al maldestro calpestio di chi smontò e rimontò la tenda – del resto se no a che cosa, a un gesto di consapevole depistaggio? Se i sei bossoli non erano stati notati da chi aveva osservato la zona, si deve almeno pensare che non fossero semplicemente appoggiati in superficie, ma almeno in parte infossati. E allora, in queste condizioni, l’unico effetto del calpestio sarebbe stato quello d’infossarli ancora di più. È possibile, soprattutto, che il bossolo (A) avesse viaggiato per quasi un metro senza che nessuno se ne fosse reso conto? Ma guardiamo l’immagine sottostante, nella quale, secondo Manieri, sarebbe rappresentato proprio il bossolo (A) assieme al suo compagno (H) prima del loro spostamento.
Potrebbe trattarsi di ramoscelli o formazioni simili? Cominciamo con l’osservare che la probabilità che due cilindretti su sei (dimensioni: 15x6 mm) fossero caduti uno accosto all’altro è prossima allo zero. Il calcolo è difficile, ma per farsene un’idea basti pensare che in una striscia di terreno larga 10 cm e lunga un metro potrebbero entrarvene almeno mille senza alcun contatto tra di loro. Naturalmente questo non vuol dire che soltanto il numero 1001 andrebbe in sormonto, certo però che in questo caso in sormonto c’era andato al massimo il sesto, la qual cosa lascia abbastanza perplessi. Ma supponiamo che il destino avesse deciso così. In questo caso sarebbe aumentata la probabilità che i due bossoli fossero stati visti, sommandosi le rispettive superfici, peraltro affatto schiacciate nel terreno, come ci restituisce la prospettiva. Poi, come sarebbe potuto accadere che soltanto uno fosse schizzato a 80 cm di distanza mentre l’altro, invece, quasi non si sarebbe spostato? A questo proposito guardiamo l’immagine sottostante, successiva al taglio della tenda, nella quale Manieri individua un bossolo.
Il bossolo sarebbe l’(H), con il suo compagno (A) già schizzato via. Ma i conti non tornano, poiché i bossoli (O), (Q), (F), ed (E) in quella foto non si vedono, il che Manieri lo spiega con l’afflosciamento della base della tenda – conseguenza del taglio – che li avrebbe ricoperti. Già, ma anche (H) si trovava a una distanza comparabile – senz’altro più vicino di (O) – dunque anch’esso sarebbe dovuto risultare coperto. Pertanto il supposto bossolo (H) potrebbe essere soltanto l’(A) colto in posizione intermedia, per un camminamento a maldestri calcioni al quale risulta davvero difficile credere.
Senza dover per forza mettere in dubbio la sua buona fede, è lecito avanzare più di una riserva sui metodi con i quali Manieri, in mezzo alla miriade di rametti e formazioni varie sul terreno, ha individuato, e soprattutto evidenziato, i presunti bossoli. Sappiamo bene che Photoshop fa miracoli, e che è facile farsi prendere la mano, tantoché qualcuno riesce persino a trasformare la strega Bacheca in Biancaneve…
Vediamo dunque, per quanto possibile, d’indagare.
In cerca di una foto. Vista la millantata importanza della sua “scoperta”, l’autore avrebbe fatto bene a rendere disponibile sia il materiale di partenza – la foto originale, facente parte del fascicolo fotografico – sia la metodologia di lavoro adottata, dando così modo a tutti di verificare i suoi risultati. Niente di tutto questo. Nel luogo migliore per farlo, il suo blog Il Mostro di Firenze, si limita a riportare pubblicità e link ai filmati, senza alcun approfondimento e senza alcuna immagine. Non si tratta certamente del miglior modo per rendersi credibile, tanto più a chi paga per ascoltare le sue argomentazioni. Per la doverosa verifica mi sono dunque dato da fare, cercando innanzitutto la foto non trattata che gli aveva fatto da base. Era pacifico che essa dovesse possedere una definizione ben maggiore di quelle circolante in rete, tutte di derivazione televisiva.
Un primo tentativo presso Francesco Cappelletti mi ha procurato un’immagine di buona qualità, tratta da un PDF, nella quale però non è stato possibile neppure intuire la presenza di qualsivoglia bossolo. Ma dal filmato di Manieri si capiva che la sua immagine era di qualità ancora migliore. Allora ho provato a sentire l’avvocato Vieri Adriani, presso il cui studio qualche anno fa avevo avuto occasione di vedere qualche terribile immagine cartacea tratta dal fascicolo fotografico. E con grande disponibilità Adriani mi ha fatto il favore di recarsi presso una copisteria dove ha scansionato alla massima risoluzione possibile la foto che m’interessava, inviandomi poi il relativo PDF. Il risultato è stato assai migliore, ma non ancora del medesimo livello della foto di Manieri. Il fascicolo cartaceo di Adriani è costituito da fotocopie a colori degli originali, di ottima qualità ma sempre fotocopie. Evidentemente Manieri è riuscito a scansionare una delle copie ufficiali. In ogni caso questa volta la qualità poteva giudicarsi sufficiente, e se bossoli ci fossero stati, bossoli si sarebbero dovuti almeno intravedere.
Nell’immagine sottostante sono visibili i risultati del mio lavoro (qui l’immagine di partenza in versione bitmap, qui quella modificata, anch’essa in versione bitmap, quindi senza perdita di definizione rispetto all’originale di Adriani).
Né io né il mio collaboratore Leonardo Settimelli, videomaker e fotografo professionista, siamo riusciti a intravedere neppure uno dei bossoli colorati di Manieri. In quei punti tracce ce n’erano, ma tutto potevano sembrare fuorché bossoli. Il lettore può verificarlo scaricando le due immagini bitmap, in ogni caso spiego brevemente il significato delle piccole immagini apposte su quella da me modificata. La striscia in basso riporta le cinque zone della foto dove Manieri avrebbe trovato i bossoli, con i segmenti a indicarne la posizione – per confronto è stato aggiunto il bossolo (G). La striscia soprastante riporta le stesse zone tratte dalle sequenze del video con immagine desaturata e bossoli colorati. La striscia più in alto sulla sinistra riporta invece le cinque zone come appaiono sulla stessa immagine tratta dal video ma non desaturata, e senza l’evidenziazione dei bossoli.
A questo punto il lettore può giudicare da solo. La “scoperta” di Manieri potrebbe essere un fake (qui una fantasia di bossoli realizzata con pochi tocchi di Photoshop da Settimelli), ma anche un’interpretazione troppo ottimistica di tracce poco intellegibili, oppure, infine, il risultato di un pregevole lavoro effettuato su una foto talmente più definita da evidenziare quello che sulla mia non è possibile evidenziare. Sempre pronto a ricredermi davanti alle prove, personalmente sospetto un fake, soprattutto per l’affermazione di Manieri secondo la quale sui suoi bossoli non sarebbe stato sparso alcun colore, la loro evidenziazione sarebbe dipesa soltanto dall’aver desaturato tutto il resto. Si può però notare che in origine il presunto bossolo (Q) appare molto scuro, mentre altri sono più chiari, per esempio l’(O). E allora perché tutti appaiono di uno stesso brillante color ottone?
Come tutti sanno il web è pieno di venditori di fumo, e se Manieri non vuole rischiare di confondersi con loro deve sempre fornire le prove di quello che afferma, distinguendo bene tra fatti e opinioni. In questo caso, se il suo lavoro sui bossoli fantasma è stato onesto, non può dimostrarlo in altro modo se non rendendo disponibile a tutti la foto non trattata e illustrando la sua metodologia di lavoro, come, fin dal principio, avrebbe fatto qualsiasi ricercatore scientifico serio.
Affumicature e orletti. È bene ribadire che, rispetto alla dinamica da me proposta (vedi) e anche rispetto a quella ufficiale – entrambe prevedono uno sparatore vicinissimo alla zanzariera – l’eventuale “scoperta” di Manieri conta poco: cinque bossoli su sei rimangono infatti più o meno al loro posto, vengono solo raggiunti da quello che se ne discostava, l’(A). Nella mia ricostruzione avevo supposto che tale bossolo fosse rimbalzato contro l’abete, se lo mettiamo assieme agli altri semplicemente tale rimbalzo non si rende più necessario. In questo caso gli spari con la mano molto ruotata in senso orario, e perciò impugnata con la mano sinistra, divengono quattro. Piuttosto, a dar modo a Manieri di proporre una dinamica del tutto inedita è la sua insistita affermazione secondo la quale sulla zanzariera non sarebbero stati trovati aloni di affumicatura, con la canna della pistola che quindi se ne sarebbe discostata di 25-30 cm almeno, se non di più. La qual cosa rende impossibile che qualche bossolo dei cinque corrispondenti ai fori sulla zanzariera possa esser finito accosto alla tenda, a meno di strani rimbalzi poco plausibili.
Il cosiddetto “alone di affumicatura” è un deposito di residui carboniosi (fuliggine) usciti dalla canna della pistola assieme al proiettile. La fuliggine viaggia formando più o meno un cono, e se prima di volatilizzarsi incontra una superficie idonea, la impregna. Sul fenomeno intervengono molteplici fattori. Al più intuitivo, la distanza della superficie dalla canna, si aggiungono almeno potenza e tipologia della cartuccia, lunghezza della canna e capacità della superficie investita di fissare le particelle carboniose. Buone superfici fissanti sono i vestiti e la pelle. Lo è anche il tessuto traforato di una zanzariera? Probabilmente no. L’impressione è che la rada trama del tessuto sintetico lasci passare, più che trattenere. In ogni caso quel che possiamo dire con certezza è che di aloni di affumicatura nei documenti non si parla, né affermando che ne fossero stati trovati, né affermando che non ne fossero stati trovati. Sul primo video di Manieri, quello sul canale “Le notti del Mostro” (vedi), a mia domanda: “Da dove risulta agli atti che siano stati esclusi effetti di affumicatura sulla zanzariera che invece avrebbero dovuto esserci?”, così rispose Manieri: “Se vuoi riscrivere gli atti, prego, nessun problema”. Risposta sciocca a una domanda più che lecita, che oggi reitero.
Dai documenti in mio possesso non risulta che eventuali aloni di affumicatura sulla zanzariera fossero stati cercati. Né di loro presenza né di loro assenza parlano Maurri e i suoi collaboratori abbozzando una dinamica. Si legge nel fascicolo “G” della loro perizia collegiale:
La distanza da cui furono esplosi i colpi non è determinabile con assoluta sicurezza; si può però preliminarmente dire che non ci sono stati colpi esplosi né a contatto né a bruciapelo. Tuttavia, tenendo conto della posizione e delle dimensioni della tenda, della presumibile posizione dei corpi, dei fori di ingresso a livello della zanzariera, della posizione in cui furono rinvenuti i bossoli, in parte all’esterno e in immediata vicinanza del lato anteriore della tenda, in parte dentro la tenda stessa, si può dire che tutti questi colpi siano stati esplosi da distanza ravvicinata, dell’ordine di poche decine di cm. per quelli esplosi dal di fuori della tenda e di pochissime decine di cm. per quelli esplosi dal di dentro.
È evidente che se il dato fosse stato rilevato, in tale perizia se ne sarebbe in qualche modo tenuto conto. Del resto i periti suppongono una posizione dello sparatore addossata alla zanzariera. Anche nella pur sbagliatissima ricostruzione dell’equipe De Fazio non v’è cenno alcuno alla mancanza di aloni di affumicatura sulla zanzariera, dal che, una volta di più, si deve dedurre che di essi nessuno si preoccupò. A conferma va preso atto che nel verbale di sopralluogo della Scientifica della zanzariera non si parla, mentre la ben più ponderosa relazione collegiale non nomina aloni di affumicatura. Quest’ultima invece, descrivendo con minuzia i fori di proiettile, rileva la presenza di aloni nerastri sui contorni.
Le soluzioni di continuo sono sulla metà sinistra della zanzariera e grosso modo tutte su una linea verticale che può essere calata dal vertice della zanzariera stessa. Le soluzioni di continuo sono 5.
La prima dal basso verso l’alto si trova a 10 cm al di sopra della cerniera che delimita inferiormente la zanzariera. Il foro è pressoché regolarmente rotondo, del diametro di 6 mm con margini nettamente introflessi e con alone nerastro che lo contorna dalle ore 9 alle ore 3. L’alone di larghezza uniforme è di circa 1 mm.
La seconda, 10 cm al di sopra della precedente, quasi esattamente sulla stessa linea verticale, è anch’essa rotonda, lievemente più piccola della precedente (circa 5 mm) con margini introflessi e con alone nerastro, dalle ore 10 alle ore 13, più sottile del precedente. Altro alone appena accennato tra le ore 6 e le ore 7.
La terza è all’incirca a 4 cm al di sopra della precedente, spostata 6 cm sulla destra (si tratta dell’unico foro che non è posto con gli altri sulla stessa linea verticale), anch’essa quasi regolarmente rotonda di diametro di 5 mmi, margini introflessi, alone dalle ore 12 alle ore 6, appena accennato tra le ore 12 e le 13 e fra le 4 e le 6, ben evidente tra le 2 e le 3 per circa 2-3 min.
Il quarto foro, esattamente a 46 cm dalla cerniera inferiore ed a circa 7 cm a sinistra del primo e del secondo foro, più ampio dei precedenti (circa 1 cm di diametro), con margini la cui flessione non è precisabile e con un sottile, totale, perfettamente uguale alone nerastro.
Il quinto ed ultimo foro, è a 56 cm dalla cerniera inferiore, grosso modo sulla stessa linea longitudinale del primo e del secondo, con caratteristiche morfologiche uguali ai primi tre con margini introflessi, alone appena accennato alle 7 e appena più evidente tra le 2 e le 3.
Concentriamoci sugli aloni nerastri, i quali, secondo Manieri, sarebbero “orletti di detersione”. Si denomina “orletto di detersione” un deposito di sostanze attorno al foro d’ingresso di un proiettile, sostanze che, originariamente, si trovavano sopra il proiettile stesso e che la superficie attraversata ha trattenuto. Che tipo di sostanze? In genere sostanze grasse usate per la manutenzione dell’arma, compreso l’interno della canna, che lasciano un alone untuoso grigiastro, più scuro se intervengono anche grani di fuliggine derivanti dai gas di sparo. Manieri sostiene che un ruolo potrebbe averlo pure il sottilissimo velo di silicone antiossidante che in certi casi ricopre i proiettili in piombo nudo all’uscita dalla fabbrica. In ogni caso c’è da dire che la consistenza dell’orletto di detersione non dipende soltanto dalla quantità di materiale sul proiettile, ma anche dalla capacità di pulizia della superficie attraversata: più la superficie risulta consistente, e quindi in grado di “strizzare”, più l’orletto aumenta. E una sottile zanzariera non sembra affatto una superficie granché pulente, anzi.
In realtà gli aloni nerastri riscontrati sulla zanzariera di Scopeti potrebbero facilmente essere stati degli “orletti di ustione”, che compaiono quando la canna si trova a contatto o quasi – per piccoli calibri massimo 5 cm – di una superficie non ignifuga. In questo caso i gas incandescenti, la cui temperatura può raggiungere anche i 3 mila gradi, bruciano la superficie attraversata dal proiettile attorno al foro. Nel caso della zanzariera di Scopeti la bruciatura fu facilitata dal tipo di tessuto, sottile e sintetico. È emblematico il caso del quarto foro descritto nella relazione collegiale: il diametro doppio rispetto a quello del proiettile e la perfetta circolarità dell’orletto nerastro ci descrivono lo scenario di una canna premuta contro la zanzariera, tanto da farla cedere con la formazione di un cono. In quelle condizioni i gas di sparo ebbero l’effetto maggiore, producendo essi stessi il foro che, infatti, risultò bruciato in modo uniforme ai margini, peraltro non introflessi – unici tra i cinque – quindi non prodotti dall’impatto del proiettile. Del resto in quel caso non avrebbe senso parlare di orletto di detersione, vista la grandezza del foro assai maggiore del diametro del proiettile.
Un sabato trascorso a Scopeti? Manieri sostiene con grande convinzione l’ipotesi – completamente inedita – secondo la quale il delitto sarebbe avvenuto all’alba della domenica mattina. Approfondiamo innanzitutto gli argomenti con i quali fa trascorrere ai poveri turisti francesi l’intera giornata di sabato in Italia. È oramai ben noto che sono rimasti veramente in pochi a credere alla collocazione del delitto nella serata della domenica, e chi scrive non è certo tra questi. Indipendentemente dalle valutazioni medico-legali, logica vorrebbe che i due fossero stati uccisi la sera stessa del loro arrivo a Scopeti, il venerdì. Non è il caso di elencare la miriade di ragioni che portano verso questo scenario, basti dire che non ce n’è una che invece lo confuti, escludendo naturalmente le sciocchezze raccontate da Lotti e Pucci in strategico accordo con la tesi ufficiale. Anzi, a ben guardare una c’è, ed è proprio quella della quale Manieri si fa forte per collocare il delitto all’alba di domenica mattina: la questione del rigor mortis. Si legge nei verbali d’autopsia disponibili in rete, relativamente a Nadine (fascicolo A):
Per quanto riguarda i fenomeni tanatologici sul cadavere della ragazza, essi sono stati controllati nel corso del primo sopralluogo, inizialmente verso le ore 17 del 9 settembre e poco dopo verso le ore 18,30-19. Al primo controllo, allorché il cadavere era ancora sotto la tenda si poté constatare, sia pure sommariamente che il rigor era ancora ovunque in atto, senza segni nemmeno iniziali di risoluzione, nemmeno a livello dei muscoli del collo.[...]
A distanza di circa 6-7 ore dal primo riscontro, e cioè verso la mezzanotte, quando il cadavere era già stato rimosso e trasportato all’Istituto di Medicina Legale […] il rigor era risolto ovunque, anche alle articolazioni delle dita dei piedi, in parte anche artificialmente nelle manovra di sollevamento e di trasporto del cadavere.
In conclusione il rigor è ancora presente ovunque alle ore 17, ma dopo 7 ore esso è risolto.
E relativamente a Michel (fascicolo E):
Per l’uomo alla prima osservazione verso le ore 17, rigor ovunque in atto, anche alle piccole articolazioni dei piedi, ovunque valido, con iniziale minor validità alla nuca. […]
Un ulteriore controllo verso le ore 19 dà conferma della presenza del rigor anche a tutte le articolazioni delle dita dei piedi, bilateralmente. Verso le ore 21, prima della rimozione del cadavere, la rigidità nucale è completamente risolta.
Alla mezzanotte i fenomeni cadaverici sono controllati presso l’Istituto di Medicina Legale. La rigidità è risolta anche agli arti superiori ed alle anche e, parzialmente, alle ginocchia, alle caviglie, alle dita dei piedi. […]
In conclusione, la rigidità nel cadavere maschile comincia a farsi meno valida alla nuca verso le ore 18, con ulteriore diminuzione alle 21. Ad altre 3 ore di distanza, anche a causa del trasporto del cadavere, esso è risolto ovunque totalmente, ma dal ginocchio in giù solo parzialmente.
Sembra insomma di poter affermare che a mezzanotte del lunedì il rigor mortis fosse pressoché scomparso in entrambi i cadaveri, con una presenza residua soltanto in quello del ragazzo. La qual cosa, considerando che tale fenomeno avviene a distanza di tre e anche quattro giorni dalla morte, rende la serata del venerdì ben compatibile con il momento del delitto. Ma nel verbale di autopsia di Michel, fascicolo C, si legge qualcosa di diverso:
Verbale di indagine autoptica eseguito l’11.9.1985 sulla salma di JEAN MICHEL KRAVEICHVILI dal Prof. Mauro Maurri, dal Dr. Aurelio Bonelli e dal Dr. Antonio Cafaro per incarico della Procura della Repubblica di Firenze.
Il cadavere giace supino sul tavolo anatomico completamente nudo. Trattasi di cadavere di sesso maschile, dell’apparente età di 25-30 anni, della lunghezza di cm. 170.
La rigidità cadaverica è presente nei vari distretti corporei, ma vincibile a livello delle grandi articolazioni degli arti.
Nell’insieme dei documenti disponibili è compreso anche il verbale di autopsia di Nadine (fascicolo B), ma in esso non compaiono né una data né considerazioni sul rigor mortis. Limitiamoci dunque alla rilevazione del fenomeno all’atto dell’autopsia su Michel, della quale non abbiamo un orario, ma che possiamo collocare a inizio mattina del mercoledì. Va innanzitutto evidenziato il contrasto con quanto dichiarato nel fascicolo E. Contrasto spiegabile in modo benevolo o in modo malevolo, oppure magari con una combinazione di entrambi.
A pensar bene si potrebbe ritenere che la conservazione del corpo in cella frigorifera a partire dalla notte del lunedì avesse molto rallentato i processi tanatologici. Quindi, combinando una valutazione un po’ troppo spostata verso una risoluzione del rigor al lunedì notte, una cella frigorifera molto efficiente e una valutazione un po’ troppo spostata su una residua presenza del rigor al mercoledì mattina, il venerdì sera potrebbe anche tornare possibile.
A pensar male, invece, si potrebbe ritenere che la scelta di collocare il delitto alla domenica, effettuata da Maurri dopo le valutazioni della notte di lunedì e prima di quelle del mercoledì mattina, avesse strategicamente fatto giudicare “rigidità cadaverica” quella che invece poteva non esserlo più tanto.
Rimane in ogni caso la valutazione del lunedì notte, sulla quale Manieri preferisce soprassedere, guardando soltanto a quella del mercoledì. In una discussione in rete parla di rigidità vinta meccanicamente e poi ripristinatasi, ma non si comprende per quali motivi i medici legali si sarebbero messi a scrocchiare persino le dita dei piedi del cadavere del povero Michel. Si deve invece pensare che la rigidità fosse stata vinta soltanto per quel che serviva al trasporto del cadavere, quindi alle grandi articolazioni di braccia e gambe. Del resto si legge anche: “Verso le ore 21, prima della rimozione del cadavere, la rigidità nucale è completamente risolta”.
Un Mostro mattiniero. Ma quel che più sconcerta nell’ipotesi di Manieri non è tanto il giorno, quanto l’orario: la mattina all’alba! Se prendiamo per buona la domenica, abbiamo il sole che a Scopeti sorgeva alle ore 6:48, con il crepuscolo civile partito 29 minuti prima (vedi). In sostanza attorno alle 6 e un quarto la luce del sole già cominciava a rischiarare l’ambiente, aggiungendosi a quella della luna calante, luminosa quasi per metà. Secondo Manieri, quello sarebbe stato il momento dell’attacco. Par di capire che i motivi di tale strana collocazione siano due: il fatto che l’assassino si fosse preoccupato di nascondere i cadaveri, e la necessità di una piazzola illuminata per consentire al ragazzo di scappare e al Mostro di vedere dove stesse andando.
Dunque, secondo Manieri, il Mostro avrebbe nascosto i cadaveri perché, con la luce dell’alba, qualcuno avrebbe potuto scoprirli troppo presto, ostacolando così il suo rientro in sede. Ma la giustificazione appare tirata per i capelli, e non regge. Supponiamo che mentre lui si inoltrava nel bosco già qualcuno fosse capitato sul posto. Tra l’andare ad avvertire i carabinieri – a quei tempi non c’erano i cellulari! – e il loro intervento sarebbero trascorse varie decine di minuti, anche un’ora, e a quel punto il Mostro chi l’acchiappava più? È il caso di ricordare che il motivo del nascondimento dei cadaveri si è sempre ritenuto fosse rintracciabile nella necessità di andare a imbucare la lettera con il frammento di seno, quindi senza posti di blocco a costituire intralcio. Si tratta di un’ipotesi molto logica, che non si vede come possa essere confutata.
Veniamo al secondo motivo, la necessità di luce per consentire la fuga al ragazzo. Ma allora è inevitabile chiedersi il perché, potendo veder bene, Michel non fosse fuggito in cerca di aiuto verso via Scopeti, invece di inoltrarsi per boschi. In realtà, con una mezza luna – sorta alle 23:29 di sabato (vedi) e alle 22:53 di venerdì (vedi) – in un cielo sereno, quindi stellato, in orario serale compatibile con quello del delitto di luce non doveva essercene così poca. Era di sicuro sufficiente per almeno qualche metro di visibilità, quella che consentì al ragazzo di muoversi ma non d’individuare la direzione opportuna.
Va infine presa in esame una perplessità ulteriore. Quella di attaccare all’alba era stata una scelta consapevole oppure casuale? In sostanza il Mostro aveva adocchiato già il giorno prima le sue vittime e aveva deciso di ucciderle aspettando l’alba, oppure si era trovato a passare per caso alle sei di mattina? Questa seconda eventualità appare estremamente improbabile, sia perché a quell’ora di coppiette in giro non poteva certo sperare di trovarne, sia perché non avrebbe potuto sapere chi fossero i turisti, se un uomo e una donna oppure no, quindi escludiamola. Ci si deve allora chiedere per quale motivo, vista la tenda e la coppia il giorno prima, per uccidere i malcapitati avesse deciso di attendere l’alba. In questo modo si sarebbe rassegnato al concreto pericolo d’esser visto, in una zona boschiva piuttosto frequentata e davanti a una strada comunale di traffico non trascurabile da cui la tenda si vedeva bene (vedi). È logico che il momento migliore per attaccare sarebbe stato quello in cui i due campeggiatori si erano ritirati da poco, e magari si dedicavano ai loro interessi a luce accesa. Come si deve presumere fosse andata.
Qualche parola infine sul contenuto gastrico, argomento del quale mi sono già occupato nella prima parte ma che, per completezza, è utile ricordare. Rivediamo ciò che venne trovato nello stomaco di Nadine:
È da mettere in particolare evidenza che lo stomaco contiene circa 100 cc. di residuo alimentare ben riconoscibile perché si tratta di pasta tipo tagliatella con scarsissimi residui grigio-marroni probabilmente di carne e con isolati frammenti di buccia di pomodoro rossi.
In quello di Michel:
Stomaco: mucosa arrossata con evidenziazione del reticolo venoso putrefattivo, contenente scarsa quantità di materiale alimentare quasi completamente indigerito con le stesse caratteristiche di quello riscontrato nella cavità gastrica della ragazza.
Entrambi i poveretti avevano mangiato un piatto di tagliatelle al ragù che ancora dovevano digerire. È davvero sorprendente come con l’ausilio di studi americani e relativi grafici – e un diluvio di parole – Manieri riesca a far credere a qualcuno dei suoi ascoltatori che quel piatto di tagliatelle i due lo avessero mangiato 8-9 ore prima di essere uccisi! Neppure l’avvocato Azzeccagarbugli avrebbe saputo fare di meglio…
I primi quattro colpi. Ma veniamo finalmente alla dinamica omicidiaria vera e propria, nella quale Manieri ancora una volta dà sfogo alla sua voglia di distinguersi, ma, ancora una volta, con risultati pessimi. Come in altri casi – emblematico è il delitto di Baccaiano, dove più d’uno si è lanciato in fantasiose ricostruzioni, ma anche la recente proposta su Giogoli, vedi – si tratta in sostanza di una dinamica costruita attorno a convinzioni a prescindere, nella quale, proprio per questo, logicamente i conti non tornano, nonostante gli sforzi di farli tornare con varie pezze, in alcuni casi peggiori del buco. Prima di partire un avvertimento: avendo Manieri evitato di pubblicare un documento scritto, ma affidato le sue proposte soltanto a filmati – per di più di lunghezza estenuante e in molti casi in contraddizione tra di loro – chi scrive farà il possibile per non travisare il suo pensiero, senza però assoluta garanzia di risultato.
Cominciamo con l’esaminare la figura soprastante, ottenuta da Manieri partendo dalla piantina originale della Scientifica arricchita delle opportune correzioni su tenda e auto, in origine malamente ruotate. Poi vi ha tracciato quelli che, secondo lui, sarebbero stati i percorsi del Mostro e del ragazzo. S1, S2 e S3 sono invece i punti di sparo inseriti da chi scrive, dedotti in base ai filmati. Ecco la sequenza delle varie azioni.
Il Mostro viene su dalla scarpatina antistante la tenda – quindi dal basso – cominciando a sparare contro la zanzariera da posizione S1 (tale punto viene dedotto da Manieri sulla base del foro di proiettile sullo spigolo posteriore destro della tenda allineato con quelli sulla zanzariera, e la convinzione che lo sparo fosse avvenuto a distanza). A quel punto il ragazzo riesce a uscire prendendo alla sua sinistra, gira intorno alla tenda fino a raggiungere l’auto (lasciando sul montante la nota macchia di sangue), poi cambia direzione puntando verso il centro della piazzola e infilandosi nel corridoio sulla destra. Nel frattempo il Mostro si avvicina all’ingresso e spara un colpo contro Nadine da posizione S2. Poi si sposta in posizione S3 da dove spara i colpi restanti verso il ragazzo in fuga. Infine decide di tagliargli la strada correndo verso l’uscita del corridoio, intercettandolo e uccidendolo a coltellate.
In questa ricostruzione niente torna, tantoché risulta davvero difficile mettere in ordine gli elementi sbagliati. Cominciamo con il chiederci perché il Mostro avrebbe sparato contro la zanzariera da lontano. Nell’ipotesi di Manieri l’interno della tenda sarebbe stato completamente al buio, con gli occupanti ancora nel mondo dei sogni, di conseguenza lo sparatore non avrebbe avuto nessuna possibilità d’inquadrarli. Pertanto – ed ecco la pezza – avrebbe sparato raso terra con la certezza di coglierli ugualmente, considerato che dovevano essere coricati. Già, ma pur non avendo avuto modo di vedere dove avessero le teste, proprio quella parte scelse!
In realtà non si comprende davvero il motivo per il quale lo sparatore non si sarebbe invece accostato alla zanzariera, con la speranza di riuscire almeno a distinguere qualcosa. Peraltro, a far escludere l’ipotesi di Manieri non è soltanto la logica del buonsenso, ma anche l’insieme dei fori: con spari da distanza questi avrebbero dovuto formare una rosa, e non certo una linea più o meno verticale. Linea verticale che invece diventa ben plausibile nello scenario di uno sparatore a contatto, il quale semplicemente alzò via via il braccio. Non sfugga infine la coincidenza che i proiettili transitarono tutti dalla zanzariera, neppure uno dalla tela piena. Perché se comunque l’interno, da lontano, risultava invisibile? Per pura combinazione posizionale oppure perché lo sparatore era accostato alla zanzariera e da quella, invece, l’interno lo vedeva?
Nel bailamme di dettagli che non tornano ci sono naturalmente i bossoli, i più implacabili censori di ogni ricostruzione sbagliata. In visibile difficoltà, Manieri ha cambiato versione più volte – ne ricordo una nella quale aveva un ruolo il trascinamento del corpo di Nadine – vediamo l’ultima, e vediamo come se la cava nella collocazione di quelli corrispondenti ai colpi esplosi per primi. Secondo la sua ipotesi dal punto S1 i colpi sparati sarebbero stati quattro, e i relativi bossoli si sarebbero persi tra la vegetazione sottostante la tenda. Bossoli non soltanto non trovati, ma neppure cercati (chissà se qualcuno dei suoi ascoltatori entusiasti non si sia già recato in loco con il metal detector…). Quindi il problema viene semplicemente aggirato: bossoli non cercati --> bossoli non trovati --> loro posizione da non giustificare. Il prezzo pagato, naturalmente, è la mancanza di qualsiasi prova a sostegno, che non sembra neppure troppo salato, almeno per un pubblico di bocca buona irretito da proclami di alta competenza.
Ma torniamo all’azione. A questo punto Manieri deve far uscire Michel dalla tenda. Come? Non lo spiega troppo bene, parla confusamente di colpi che gli sarebbero stati sparati mentre era in ginocchio all’interno, i quali, naturalmente, possono risiedere soltanto nella sua fantasia, visto che dalla posizione S1 nessuno avrebbe potuto inquadrarlo. In ogni caso Michel riuscì ad aprire la zanzariera e a fuggire andando alla sua sinistra. Sì, ma intanto il Mostro che stava facendo? Dando per buono il percorso attorno all’albero di pino, necessario, a dire di Manieri, per la non fattibilità di quello diretto – qui bisogna credergli sulla parola, essendo il terreno di adesso tutta un’altra cosa – di quanti secondi avrà avuto bisogno il Mostro per raggiungere la zanzariera? Dieci? Venti? Se in dieci secondi Borzov faceva 100 metri, il Mostro sarebbe pur riuscito a farne tre o quattro, anche sopra un terreno disagevole! E ritenere che 10 secondi dopo l’ultimo dei quattro colpi Michel sarebbe riuscito a svegliarsi, riaversi dalla sorpresa, alzarsi, trovare al buio la clip della zanzariera, aprirla, uscire – tutto questo ostacolato dal corpo di Nadine, come vedremo tra breve – e raggiungere il retro della tenda prima che il Mostro lo intercettasse e gli sparasse è fantascienza. Se poi ci mettiamo dentro il fatto che il ragazzo trovò anche il tempo d’infilarsi i pantaloni… ma questo è un argomento da affrontare per suo conto in un futuro prossimo venturo, per adesso lasciamolo da parte. Facciamo finta invece che il Mostro avesse avuto un problema qualsiasi, dando così modo al poveretto di uscire.
La presenza di sangue compatibile sul montante sinistro del parabrezza dell’auto ci dice inequivocabilmente che il ragazzo vi appoggiò una mano – la sinistra – mentre stava fuggendo. Quindi logica vorrebbe che la direzione presa in uscita dalla tenda fosse alla sua destra, basta guardare la piantina per rendersene conto. Ma qui interviene ancora una volta la tendenza di Manieri a cercare la complicazione anche nelle cose più semplici, così lo fa uscire alla sua sinistra, girare intorno alla tenda – per frapporre un ostacolo tra sé e lo sparatore, lui sostiene... ma se la tenda era alta un metro e 40, quale ostacolo? – raggiungere l’auto, infine cambiare direzione attraversando la piazzola al centro. Un percorso assolutamente assurdo, che Manieri giustifica asserendo che tra tenda e frasche non ci fosse abbastanza spazio per passare. E a sostegno presenta questa foto.
In effetti lo spazio era scarso, ma si deve osservare che un po' di frasche certamente non avrebbero potuto costituire un muro invalicabile, al massimo avrebbero lasciato delle abrasioni sulla pelle del poveretto, che però in quei momenti aveva tutt’altro di cui preoccuparsi. Del resto a rendere l’ipotesi di Manieri poco ragionevole è il fatto che il ragazzo, uscendo alla sua sinistra, si sarebbe trovato di fronte la discesa per raggiungere via Scopeti, dove più facilmente avrebbe potuto trovare aiuto, o comunque scoraggiare il suo carnefice dall’inseguirlo. Tanto più con l’ipotizzata luce del mattino, ma anche fosse stato di sera il giro intorno alla tenda fino all’auto avrebbe avuto poco senso comunque.
La morte di Nadine. Mettiamoci adesso nella posizione S2, dalla quale, mentre Michel stava fuggendo, il Mostro avrebbe sparato un colpo, il quinto, contro Nadine. Il bossolo corrispondente sarebbe stato, a detta di Manieri, il (D), quello vicino all’albero di abete. Dalla figura sottostante si vede bene però che tale ipotesi non regge.
Lo stesso Manieri mostra in video che i bossoli venivano espulsi in direzione mediana tra destra e dietro rispetto alla canna. Quindi, affinché il quinto bossolo finisse in (D) da posizione S2 la canna doveva puntare verso il bosco, e non certo verso Nadine.
Facciamo adesso, il contrario, dirigiamo da S2 la canna verso i fori della zanzariera a cercare il torace di Nadine.
Come si vede dalla figura soprastante, vicino o lontano dalla zanzariera che fosse lo sparatore, il bossolo non sarebbe mai andato in (D), al massimo, con una parabola fin troppo minima, in (A), dove però, secondo Manieri, ci sarebbe finito soltanto dopo un calcione dei maldestri agenti che avevano armeggiato attorno alla tenda.
Nella dinamica di Manieri i colpi esplosi contro Nadine finirebbero qui. Facciamo dunque quel che lui si è ben guardato dal fare: diamo un’occhiata alle ferite della donna, riportando la figura dal mio articolo, dove esse vengono anche descritte.
Nell’ipotesi di Manieri la donna stava dormendo, e poiché i fori d’ingresso sono tutti sul lato destro del corpo, non poteva trovarsi che bocconi e a ridosso della zanzariera, con Michel alla sua sinistra (ecco perché l’uscita del ragazzo dalla tenda ne sarebbe stata ostacolata). Cominciamo con il notare che i tramiti sono tutti più o meno longitudinali alle spalle, un po’ dall’alto verso il basso, come se il corpo fosse messo in diagonale, piedi più lontani e testa più vicina allo sparatore. Ma dalla posizione S1 nessuno dei quattro colpi avrebbe mai potuto percorrere quei tramiti, sarebbero stati tutti angolatissimi dal basso verso l’alto. Si pensi soltanto all’angolo necessario per allineare fori sulla zanzariera e ferite alla testa: in pratica lo sparatore avrebbe dovuto trovarsi quasi sull’angolo sinistro della tenda, come si deduce da questa immagine.
Pertanto, sulla piantina di Manieri, una volta aggiustata in modo innaturale la posizione di Nadine (molto in tralice, quasi allineata all'asse minore della tenda) il punto S1 sarebbe da spostarsi qualche metro verso nord, non più sulla scarpatina ma in mezzo alla vegetazione! Riesce anche molto difficile spiegarsi il colpo numero 4, che colse la donna al seno sinistro: ci si deve chiedere come sarebbe potuto accadere, visto che dormiva bocconi. L’unica possibilità sarebbe stata quella di una fase in cui, prima del colpo mortale numero 5, si sarebbe tirata su. Ma si presume che i quattro colpi dalla scarpatina fossero stati sparati tutti in rapida sequenza contro un bersaglio non visibile, dunque senza alcuna utilità o necessità di pause tra un colpo e l’altro.
Manieri dovrebbe anche spiegare quali tra i cinque proiettili sparati attraverso la zanzariera finirono uno nell’angolo destro della tenda, uno in un cuscino e uno nel piumone. I conti non tornano, poiché due proiettili rimasero nel corpo di Nadine e uno cadde a terra dopo aver probabilmente colto Michel alla bocca. Quindi in tutto sei, uno in più dei fori sulla zanzariera.
La fuga di Michel. Dopo aver sparato il quinto colpo verso Nadine, il Mostro dovette preoccuparsi del ragazzo in fuga. Come si vede, la linea rossa tracciata sulla piantina, e che intende rappresentare il suo percorso, non passa per S3, dove invece Manieri lo colloca durante la fase degli spari. In realtà in una prima versione il punto di sparo sarebbe coinciso più o meno con S2, dove Michel si sarebbe inginocchiato, difficile capire il perché. In ogni caso in questo modo nessun bossolo sarebbe mai potuto finire davanti alla tenda, ecco allora il rimedio, con un cambio di percorso (senza però il necessario aggiornamento della piantina). Da S3, infatti, i bossoli espulsi sarebbero caduti sul tetto della tenda, sette di loro scivolando sul davanti, compreso (G) che invece sarebbe entrato dentro attraverso la zanzariera aperta, e uno sul lato destro, (C).
Gli assidui lettori del mio blog si ricorderanno della bizzarra ipotesi del colonnello Innocenzo Zuntini sul percorso dei bossoli a Borgo San Lorenzo, che avrebbero rimbalzato contro l’interno di un vetro dell’auto per cadere dalla parte opposta. Qui siamo in una situazione analoga, con l’aggravio di inverosimiglianze ulteriori. Perché il Mostro sarebbe rimasto fermo a sparare ben otto colpi in S3 mentre Michel stava fuggendo, invece di sparare inseguendolo? Proviamo a suppore che in quel modo gli fosse venuto più comodo prendere la mira (scenario che naturalmente non regge, ma che ci serve soltanto per andare avanti). Già, ma quale mira? Su otto colpi soltanto uno andò davvero a segno, quello al gomito destro.
Il colpo alla bocca non era compatibile con spari da tergo, e almeno uno dei due alla mano sinistra era preesistente, visto che, toccando con quella mano il montante dell’auto, il ragazzo vi lasciò del sangue. Tutto insomma lascia pensare che tutte e tre queste ferite fossero state il prodotto degli spari contro la tenda. E allora, possibile che il Mostro fosse stato così incapace come sparatore?
In ogni caso, a tagliare le gambe allo scenario immaginato da Manieri c’è un ostacolo insormontabile: la capienza del caricatore della pistola. Quando il Mostro avrebbe iniziato a sparare in S3 gli erano rimasti quattro colpi, considerando un caricatore da otto più il colpo in canna. Per giustificare gli otto bossoli caduti sul tetto della tenda all’appello ne mancano quattro. Ecco allora che Manieri mette l’ennesima pezza, tirando in ballo un caricatore di riserva del quale mai era stata ipotizzata l’esistenza. Già, ma quando il Mostro lo avrebbe inserito al posto di quello vuoto? Per quanto veloce, almeno una quindicina di secondi l’operazione sarebbe durata, tra il togliere quello vuoto, cercare l’altro in tasca, inserirlo e arretrare il carrello per caricare il colpo in canna. E intanto Michel non sarebbe riuscito a percorrere i pochi metri che lo separavano dalla boscaglia? Infine, con ancora quattro colpi disponibili nel caricatore nuovo, perché il Mostro mise via la pistola e prese il coltello, per un successivo corpo a corpo contro un avversario sì ferito, ma giovane e vigoroso? Una situazione ben più difficile per lui di quella dell’anno prima, quando, probabilmente per risparmiare munizioni, aveva preferito il coltello per finire Claudio Stefanacci, che però era moribondo. Nelle prime coltellate da tergo fece molta fatica a inquadrare Michel mentre scava scappando, un paio di colpi di pistola gli avrebbero risolto il problema.
La mutilazione di Nadine. Nel precedente articolo sul tema avevo dimostrato la non fattibilità dell’ipotesi di Manieri secondo la quale il corpo di Nadine, mutilato all’esterno della tenda, sarebbe stato rimesso dentro tirandolo dal taglio posteriore. Dopo le prime arrampicate sui vetri, di fronte all’evidenza pare che Manieri si sia convinto, anche se l’estenuante lunghezza dei suoi video e l’inaccessibilità di quelli a pagamento non mi consente certezze. Facendo l’analisi delle macchie di sangue sul corpo di Nadine parla infatti di corpo infilato nella tenda, e non più tirato dallo squarcio posteriore. In ogni caso, a parere di chi scrive, è già sbagliata la sua ipotesi che l’escissione fosse avvenuta all’esterno. Come più volte ribadito, da via Scopeti la tenda era ben visibile (vedi). Alle precedenti argomentazioni si può aggiungere l’immagine sottostante:
La foto mostra come, chi fosse passato davanti alla piazzola venendo da Firenze, avesse avuto la visione completa della sterrata che portava alla tenda. Ora, come si può immaginare un Mostro che compie la macabra operazione all’aperto con il chiaro del mattino? Se poi il tutto fosse avvenuto di notte, il problema sarebbe stato la necessità di una luce, che avrebbe comunque potuto attirare gente. Ma anche la stessa operazione di estrazione sarebbe stata molto difficoltosa. Sollevare un corpo morto è già di per sé difficile, dato che tende a scivolare senza offrire appigli. In questo caso la difficoltà sarebbe stata ancora maggiore, vista la collocazione dentro la tenda, con una piccola apertura dalla quale non era semplice sporgersi verso l’interno senza sconquassare tutto. Dove erano le ginocchia del Mostro mentre teneva il corpo tra le braccia? Fuori o dentro? Dentro non è possibile, considerando la ristrettezza dell’apertura, e fuori altrettanto, per una semplice questione di baricentro.
Il corpo di Nadine fu semplicemente tirato per i piedi e ruotato con le gambe fuori ma seno e pube dentro, senza alcun sollevamento. In questo modo il Mostro fece molta meno fatica, non rovinò la tenda e, ultimo ma non ultimo, poté usufruire di una luce interna che da fuori si vedeva poco. Quella stessa luce che i due campeggiatori dovevano avere, e che lui si portò via avendovi impresso le sue impronte. Alla fine della mutilazione il corpo venne ruotato in senso inverso e le gambe, una volta flesse, furono risospinte dentro. L’immagine seguente rende bene l’idea.
Come si vede, la grande macchia di sangue verticale segna la posizione del corpo durante la mutilazione. Quella sul terreno indica il punto dove vennero appoggiate le parti tagliate. Questa ulteriore immagine conferma il tutto.
Manieri afferma di aver visto dei fili d’erba secca sul corpo di Nadine, come suo solito senza fornire prove – fidatevi… – accampando ragioni di opportunità per la crudezza delle immagini. Sarebbe però bastato presentare qualche dettaglio ristretto. Questi fili d’erba dimostrerebbero l’estrazione del corpo. Supponiamo che tale presenza sia reale, ma essa potrebbe spiegarsi anche con un trasferimento durante le manovre del Mostro.
Conclusioni. Rimango in attesa di riscontri a questo mio articolo, sempre pronto a ricredermi di fronte ad argomentazioni adeguate e, ancora meglio, a riscontri oggettivi.
A questo punto il lettore potrebbe chiedersi: ma, se non altro per sbaglio, a parere di Segnini, almeno una Manieri è riuscito ad azzeccarla? Sì, almeno una sì: la spiegazione della presenza di tracce di gesso sui bossoli, per la quale venne eseguita una perizia apposita che non portò a nulla. Pare plausibile che la causa fosse stata l’uso di frammenti di una mattonella rotta per segnare le posizioni, come viene ben illustrato da questo video.
Dopo un tempo che a qualcuno è parso interminabile, è giunto il momento di tornare sulla dinamica di Scopeti proposta da Enrico Manieri. Dal mio primo interessamento l’autore ha aperto un suo canale Youtube (vedi), dove ha pubblicato alcuni video, parte a pagamento, nei quali ha proseguito per la propria strada – profondamente errata, a parere di chi scrive – fornendo altri dettagli relativi alle convinzioni che ne stanno alla base. E non solo. Ha anche colto l’occasione per rivelare un paio di “scoperte” inedite, su una delle quali è il caso di approfondire, prima ancora di riesaminare in modo critico la sua proposta di dinamica vera e propria.
Ricordo che il mio interessamento è volto soltanto a contrastare la nascita di ulteriori inquinamenti, che in questo caso potrebbero rivelarsi assai nocivi, provenendo da persona competente e ben accreditata tra gli appassionati in rete. E che non esita a propagandare le sue presunte “scoperte” come un fatto epocale. Si veda a puro titolo di esempio l’articolo “Mostro di Firenze, Pietro Pacciani incastrato? ‘Il depistaggio decisivo, chi c'è dietro’: la svolta”, a firma Francesco Amicone, su Libero del 4 maggio 2021 (qui), sul quale torneremo.
In più la dinamica disegnata da Manieri si pone in netto contrasto con quella che giudico una verità densa di conseguenze, e che per essere smentita abbisogna di ben altre argomentazioni: a Scopeti il Mostro aveva sparato impugnando la pistola con la mano sinistra.
Bossoli che camminano. Le due foto seguenti ci mostrano la posizione dei sei bossoli ritrovati il giorno dopo la scoperta dei cadaveri, al martedì mattina (queste e altre immagini sono tratte dai video di Manieri).
Così si legge nel verbale della scientifica:
L'anno 1985, addì 10 del mese di settembre, dalle ore 10 alle ore 12,30, in San Casciano Val di Pesa (FI).
Noi sottoscritti Sov. della Polstato SIMPATIA Giovanni, MATTA Silverio ed Agente Scelto della Polstato AUTORINO Giovanni, tutti operatori tecnici addetti al Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica della Questura di Firenze, su richiesta del Dr. CANESSA, Sost. Proc. e per disposizione Superiore, ci siamo recati in San Casciano Val di Pesa, in quella via Degli Scopeti, all'altezza del civico 124, per ivi eseguire ulteriore sopraluogo nell'area di rinvenimento dei cadaveri.
Si è proceduto ad una ispezione con uso del metaldetector, del terreno adiacente la tenda biposto di cui al verbale precedente. Detta operazione ha portato al ritrovamento, tra i ciuffi di erba secca antistanti l'apertura principale della tenda (quella rivolta a via degli Scopeti) di nr. 6 bossoli calibro 22, marca Winchester, con il fondello percosso. I suddetti bossoli, contrassegnati con le lettere: A-O-Q-H-F-E, distano rispettivamente (A) mtr. 1,40 dall'albero di abete che nel precedente verbale è stato preso come punto di riferimento, e cm. 95 dal materassino; (O) mtr. 1,90 dall'albero e cm. 25 dal materassino; (Q) mtr. 1,85 dall'albero e cm. 11 dal materassino; (H) mtr. 1,40 dall'albero e cm. 8 dal materassino; (F) mtr. 1,20 dall'albero e cm. 5 dal materassino; (E) mtr. 1,5 dall'albero e cm. 4 dal materassino.
Evidentemente il pomeriggio del giorno precedente – quello della scoperta dei cadaveri – i sei bossoli non erano visibili, perché infossati nel terreno sabbioso ed erboso, almeno questo si era sempre pensato. Ebbene, Manieri ha provveduto ad analizzare la nota foto dove si vede il corpo della povera Nadine Mauriot ancora all’interno della tenda, scattata proprio quel lunedì pomeriggio e, a suo dire, sul terreno antistante avrebbe visto emergere i sei bossoli nascosti! Ma non solo, la loro posizione non sarebbe stata affatto la stessa descritta dal verbale e illustrata dalle foto ufficiali, ci sarebbero state delle differenze che nel caso del bossolo (A) risultano davvero abissali. Questo, infatti, si collocherebbe non a “cm. 95 dal materassino”, ma ben più vicino, a occhio una decina di cm.
Nel video Manieri non fa vedere in modo chiaro la foto originale, ma preferisce soffermarsi su una versione da lui opportunamente trattata, tutta in bianco e nero (desaturata) con il colore a evidenziare i soli bossoli. Lo si vede bene in questi due fotogrammi, dove ogni bossolo è stato da me contrassegnato con la stessa lettera delle foto ufficiali scattate il martedì.
Si legge nell’articolo di Amicone citato in avvio:
«Il giorno in cui un ricercatore di funghi scopre i corpi delle ultime vittime, una coppia di francesi», mi dice l'esperto balistico Enrico Manieri, «intervengono anche gli agenti della polizia scientifica, che però non notano i bossoli di fronte alla tenda. Gli stessi saranno individuati l'indomani in altre posizioni». Manieri con il nickname “Henry62” gestisce un seguito blog dedicato al serial killer fiorentino dove entra nello specifico di delicate questioni tecnico-balistiche. «È un errore gravissimo commesso da chi indaga», osserva, «cambia la ricostruzione del delitto e, quindi, la verità processuale esistente mai revisionata dall'autorità giudiziaria». […]
«Le pistole calibro .22, compresa quella del Mostro, solitamente espellono il bossolo almeno a un metro di distanza, verso destra e all'indietro. Per questo, è scientificamente molto improbabile che i bossoli finiti davanti all'ingresso della tenda appartengano ai primi colpi che attinsero i francesi, come erroneamente verrà dedotto, dopo il loro spostamento», spiega Manieri. Chi ha mosso inavvertitamente i bossoli prima che fossero individuati ha alterato la scena del crimine, inducendo chi avrebbe ricostruito gli eventi in vari errori, tra cui attribuire una posizione sbagliata allo sparatore nelle prime fasi del delitto.
«A differenza di quanto riporta la ricostruzione ufficiale, basata sulle posizioni errate dei bossoli, i primi colpi vengono sparati a poca altezza dal terreno. Si deduce quindi che il serial killer iniziò a sparare con i piedi a un livello più basso, cioè nella scarpata che divide la piazzola dalla strada».
Ma davvero la “scoperta” di Manieri sarebbe in grado di sovvertire in modo così clamoroso la dinamica deducibile dalle posizioni dei bossoli ufficialmente note? Non pare proprio. L’unica differenza eclatante risiede nel bossolo (A), che abbiamo visto spostarsi accosto alla tenda assieme agli altri cinque, la qual cosa non sembra davvero che possa cambiare granché la dinamica omicidiaria. Una dinamica omicidiaria sbagliatissima, nella proposta di Manieri, come vedremo tra poco. Ma prima è il caso di chiedersi: davvero i bossoli davanti alla tenda furono spostati durante i rilievi, e davvero Manieri è riuscito a risalire alla loro posizione originaria?
I bossoli fantasma. La prima domanda che viene da porsi è naturalmente questa: è possibile che gli uomini della Scientifica non avessero visto dei bossoli che dalla foto trattata da Manieri risultano così evidenti? Pare davvero difficile, anche perché altri tre invece li ritrovarono, il (G) sul tessuto e i due (C) e (D) sul lato destro della tenda. Quindi in qualche modo una ricerca la fecero, e perché proprio davanti no? C’è poi il problema del successivo cambio di posizione, a detta di Manieri dovuto al maldestro calpestio di chi smontò e rimontò la tenda – del resto se no a che cosa, a un gesto di consapevole depistaggio? Se i sei bossoli non erano stati notati da chi aveva osservato la zona, si deve almeno pensare che non fossero semplicemente appoggiati in superficie, ma almeno in parte infossati. E allora, in queste condizioni, l’unico effetto del calpestio sarebbe stato quello d’infossarli ancora di più. È possibile, soprattutto, che il bossolo (A) avesse viaggiato per quasi un metro senza che nessuno se ne fosse reso conto? Ma guardiamo l’immagine sottostante, nella quale, secondo Manieri, sarebbe rappresentato proprio il bossolo (A) assieme al suo compagno (H) prima del loro spostamento.
Potrebbe trattarsi di ramoscelli o formazioni simili? Cominciamo con l’osservare che la probabilità che due cilindretti su sei (dimensioni: 15x6 mm) fossero caduti uno accosto all’altro è prossima allo zero. Il calcolo è difficile, ma per farsene un’idea basti pensare che in una striscia di terreno larga 10 cm e lunga un metro potrebbero entrarvene almeno mille senza alcun contatto tra di loro. Naturalmente questo non vuol dire che soltanto il numero 1001 andrebbe in sormonto, certo però che in questo caso in sormonto c’era andato al massimo il sesto, la qual cosa lascia abbastanza perplessi. Ma supponiamo che il destino avesse deciso così. In questo caso sarebbe aumentata la probabilità che i due bossoli fossero stati visti, sommandosi le rispettive superfici, peraltro affatto schiacciate nel terreno, come ci restituisce la prospettiva. Poi, come sarebbe potuto accadere che soltanto uno fosse schizzato a 80 cm di distanza mentre l’altro, invece, quasi non si sarebbe spostato? A questo proposito guardiamo l’immagine sottostante, successiva al taglio della tenda, nella quale Manieri individua un bossolo.
Il bossolo sarebbe l’(H), con il suo compagno (A) già schizzato via. Ma i conti non tornano, poiché i bossoli (O), (Q), (F), ed (E) in quella foto non si vedono, il che Manieri lo spiega con l’afflosciamento della base della tenda – conseguenza del taglio – che li avrebbe ricoperti. Già, ma anche (H) si trovava a una distanza comparabile – senz’altro più vicino di (O) – dunque anch’esso sarebbe dovuto risultare coperto. Pertanto il supposto bossolo (H) potrebbe essere soltanto l’(A) colto in posizione intermedia, per un camminamento a maldestri calcioni al quale risulta davvero difficile credere.
Senza dover per forza mettere in dubbio la sua buona fede, è lecito avanzare più di una riserva sui metodi con i quali Manieri, in mezzo alla miriade di rametti e formazioni varie sul terreno, ha individuato, e soprattutto evidenziato, i presunti bossoli. Sappiamo bene che Photoshop fa miracoli, e che è facile farsi prendere la mano, tantoché qualcuno riesce persino a trasformare la strega Bacheca in Biancaneve…
Vediamo dunque, per quanto possibile, d’indagare.
In cerca di una foto. Vista la millantata importanza della sua “scoperta”, l’autore avrebbe fatto bene a rendere disponibile sia il materiale di partenza – la foto originale, facente parte del fascicolo fotografico – sia la metodologia di lavoro adottata, dando così modo a tutti di verificare i suoi risultati. Niente di tutto questo. Nel luogo migliore per farlo, il suo blog Il Mostro di Firenze, si limita a riportare pubblicità e link ai filmati, senza alcun approfondimento e senza alcuna immagine. Non si tratta certamente del miglior modo per rendersi credibile, tanto più a chi paga per ascoltare le sue argomentazioni. Per la doverosa verifica mi sono dunque dato da fare, cercando innanzitutto la foto non trattata che gli aveva fatto da base. Era pacifico che essa dovesse possedere una definizione ben maggiore di quelle circolante in rete, tutte di derivazione televisiva.
Un primo tentativo presso Francesco Cappelletti mi ha procurato un’immagine di buona qualità, tratta da un PDF, nella quale però non è stato possibile neppure intuire la presenza di qualsivoglia bossolo. Ma dal filmato di Manieri si capiva che la sua immagine era di qualità ancora migliore. Allora ho provato a sentire l’avvocato Vieri Adriani, presso il cui studio qualche anno fa avevo avuto occasione di vedere qualche terribile immagine cartacea tratta dal fascicolo fotografico. E con grande disponibilità Adriani mi ha fatto il favore di recarsi presso una copisteria dove ha scansionato alla massima risoluzione possibile la foto che m’interessava, inviandomi poi il relativo PDF. Il risultato è stato assai migliore, ma non ancora del medesimo livello della foto di Manieri. Il fascicolo cartaceo di Adriani è costituito da fotocopie a colori degli originali, di ottima qualità ma sempre fotocopie. Evidentemente Manieri è riuscito a scansionare una delle copie ufficiali. In ogni caso questa volta la qualità poteva giudicarsi sufficiente, e se bossoli ci fossero stati, bossoli si sarebbero dovuti almeno intravedere.
Nell’immagine sottostante sono visibili i risultati del mio lavoro (qui l’immagine di partenza in versione bitmap, qui quella modificata, anch’essa in versione bitmap, quindi senza perdita di definizione rispetto all’originale di Adriani).
Né io né il mio collaboratore Leonardo Settimelli, videomaker e fotografo professionista, siamo riusciti a intravedere neppure uno dei bossoli colorati di Manieri. In quei punti tracce ce n’erano, ma tutto potevano sembrare fuorché bossoli. Il lettore può verificarlo scaricando le due immagini bitmap, in ogni caso spiego brevemente il significato delle piccole immagini apposte su quella da me modificata. La striscia in basso riporta le cinque zone della foto dove Manieri avrebbe trovato i bossoli, con i segmenti a indicarne la posizione – per confronto è stato aggiunto il bossolo (G). La striscia soprastante riporta le stesse zone tratte dalle sequenze del video con immagine desaturata e bossoli colorati. La striscia più in alto sulla sinistra riporta invece le cinque zone come appaiono sulla stessa immagine tratta dal video ma non desaturata, e senza l’evidenziazione dei bossoli.
A questo punto il lettore può giudicare da solo. La “scoperta” di Manieri potrebbe essere un fake (qui una fantasia di bossoli realizzata con pochi tocchi di Photoshop da Settimelli), ma anche un’interpretazione troppo ottimistica di tracce poco intellegibili, oppure, infine, il risultato di un pregevole lavoro effettuato su una foto talmente più definita da evidenziare quello che sulla mia non è possibile evidenziare. Sempre pronto a ricredermi davanti alle prove, personalmente sospetto un fake, soprattutto per l’affermazione di Manieri secondo la quale sui suoi bossoli non sarebbe stato sparso alcun colore, la loro evidenziazione sarebbe dipesa soltanto dall’aver desaturato tutto il resto. Si può però notare che in origine il presunto bossolo (Q) appare molto scuro, mentre altri sono più chiari, per esempio l’(O). E allora perché tutti appaiono di uno stesso brillante color ottone?
Come tutti sanno il web è pieno di venditori di fumo, e se Manieri non vuole rischiare di confondersi con loro deve sempre fornire le prove di quello che afferma, distinguendo bene tra fatti e opinioni. In questo caso, se il suo lavoro sui bossoli fantasma è stato onesto, non può dimostrarlo in altro modo se non rendendo disponibile a tutti la foto non trattata e illustrando la sua metodologia di lavoro, come, fin dal principio, avrebbe fatto qualsiasi ricercatore scientifico serio.
Affumicature e orletti. È bene ribadire che, rispetto alla dinamica da me proposta (vedi) e anche rispetto a quella ufficiale – entrambe prevedono uno sparatore vicinissimo alla zanzariera – l’eventuale “scoperta” di Manieri conta poco: cinque bossoli su sei rimangono infatti più o meno al loro posto, vengono solo raggiunti da quello che se ne discostava, l’(A). Nella mia ricostruzione avevo supposto che tale bossolo fosse rimbalzato contro l’abete, se lo mettiamo assieme agli altri semplicemente tale rimbalzo non si rende più necessario. In questo caso gli spari con la mano molto ruotata in senso orario, e perciò impugnata con la mano sinistra, divengono quattro. Piuttosto, a dar modo a Manieri di proporre una dinamica del tutto inedita è la sua insistita affermazione secondo la quale sulla zanzariera non sarebbero stati trovati aloni di affumicatura, con la canna della pistola che quindi se ne sarebbe discostata di 25-30 cm almeno, se non di più. La qual cosa rende impossibile che qualche bossolo dei cinque corrispondenti ai fori sulla zanzariera possa esser finito accosto alla tenda, a meno di strani rimbalzi poco plausibili.
Il cosiddetto “alone di affumicatura” è un deposito di residui carboniosi (fuliggine) usciti dalla canna della pistola assieme al proiettile. La fuliggine viaggia formando più o meno un cono, e se prima di volatilizzarsi incontra una superficie idonea, la impregna. Sul fenomeno intervengono molteplici fattori. Al più intuitivo, la distanza della superficie dalla canna, si aggiungono almeno potenza e tipologia della cartuccia, lunghezza della canna e capacità della superficie investita di fissare le particelle carboniose. Buone superfici fissanti sono i vestiti e la pelle. Lo è anche il tessuto traforato di una zanzariera? Probabilmente no. L’impressione è che la rada trama del tessuto sintetico lasci passare, più che trattenere. In ogni caso quel che possiamo dire con certezza è che di aloni di affumicatura nei documenti non si parla, né affermando che ne fossero stati trovati, né affermando che non ne fossero stati trovati. Sul primo video di Manieri, quello sul canale “Le notti del Mostro” (vedi), a mia domanda: “Da dove risulta agli atti che siano stati esclusi effetti di affumicatura sulla zanzariera che invece avrebbero dovuto esserci?”, così rispose Manieri: “Se vuoi riscrivere gli atti, prego, nessun problema”. Risposta sciocca a una domanda più che lecita, che oggi reitero.
Dai documenti in mio possesso non risulta che eventuali aloni di affumicatura sulla zanzariera fossero stati cercati. Né di loro presenza né di loro assenza parlano Maurri e i suoi collaboratori abbozzando una dinamica. Si legge nel fascicolo “G” della loro perizia collegiale:
La distanza da cui furono esplosi i colpi non è determinabile con assoluta sicurezza; si può però preliminarmente dire che non ci sono stati colpi esplosi né a contatto né a bruciapelo. Tuttavia, tenendo conto della posizione e delle dimensioni della tenda, della presumibile posizione dei corpi, dei fori di ingresso a livello della zanzariera, della posizione in cui furono rinvenuti i bossoli, in parte all’esterno e in immediata vicinanza del lato anteriore della tenda, in parte dentro la tenda stessa, si può dire che tutti questi colpi siano stati esplosi da distanza ravvicinata, dell’ordine di poche decine di cm. per quelli esplosi dal di fuori della tenda e di pochissime decine di cm. per quelli esplosi dal di dentro.
È evidente che se il dato fosse stato rilevato, in tale perizia se ne sarebbe in qualche modo tenuto conto. Del resto i periti suppongono una posizione dello sparatore addossata alla zanzariera. Anche nella pur sbagliatissima ricostruzione dell’equipe De Fazio non v’è cenno alcuno alla mancanza di aloni di affumicatura sulla zanzariera, dal che, una volta di più, si deve dedurre che di essi nessuno si preoccupò. A conferma va preso atto che nel verbale di sopralluogo della Scientifica della zanzariera non si parla, mentre la ben più ponderosa relazione collegiale non nomina aloni di affumicatura. Quest’ultima invece, descrivendo con minuzia i fori di proiettile, rileva la presenza di aloni nerastri sui contorni.
Le soluzioni di continuo sono sulla metà sinistra della zanzariera e grosso modo tutte su una linea verticale che può essere calata dal vertice della zanzariera stessa. Le soluzioni di continuo sono 5.
La prima dal basso verso l’alto si trova a 10 cm al di sopra della cerniera che delimita inferiormente la zanzariera. Il foro è pressoché regolarmente rotondo, del diametro di 6 mm con margini nettamente introflessi e con alone nerastro che lo contorna dalle ore 9 alle ore 3. L’alone di larghezza uniforme è di circa 1 mm.
La seconda, 10 cm al di sopra della precedente, quasi esattamente sulla stessa linea verticale, è anch’essa rotonda, lievemente più piccola della precedente (circa 5 mm) con margini introflessi e con alone nerastro, dalle ore 10 alle ore 13, più sottile del precedente. Altro alone appena accennato tra le ore 6 e le ore 7.
La terza è all’incirca a 4 cm al di sopra della precedente, spostata 6 cm sulla destra (si tratta dell’unico foro che non è posto con gli altri sulla stessa linea verticale), anch’essa quasi regolarmente rotonda di diametro di 5 mmi, margini introflessi, alone dalle ore 12 alle ore 6, appena accennato tra le ore 12 e le 13 e fra le 4 e le 6, ben evidente tra le 2 e le 3 per circa 2-3 min.
Il quarto foro, esattamente a 46 cm dalla cerniera inferiore ed a circa 7 cm a sinistra del primo e del secondo foro, più ampio dei precedenti (circa 1 cm di diametro), con margini la cui flessione non è precisabile e con un sottile, totale, perfettamente uguale alone nerastro.
Il quinto ed ultimo foro, è a 56 cm dalla cerniera inferiore, grosso modo sulla stessa linea longitudinale del primo e del secondo, con caratteristiche morfologiche uguali ai primi tre con margini introflessi, alone appena accennato alle 7 e appena più evidente tra le 2 e le 3.
Concentriamoci sugli aloni nerastri, i quali, secondo Manieri, sarebbero “orletti di detersione”. Si denomina “orletto di detersione” un deposito di sostanze attorno al foro d’ingresso di un proiettile, sostanze che, originariamente, si trovavano sopra il proiettile stesso e che la superficie attraversata ha trattenuto. Che tipo di sostanze? In genere sostanze grasse usate per la manutenzione dell’arma, compreso l’interno della canna, che lasciano un alone untuoso grigiastro, più scuro se intervengono anche grani di fuliggine derivanti dai gas di sparo. Manieri sostiene che un ruolo potrebbe averlo pure il sottilissimo velo di silicone antiossidante che in certi casi ricopre i proiettili in piombo nudo all’uscita dalla fabbrica. In ogni caso c’è da dire che la consistenza dell’orletto di detersione non dipende soltanto dalla quantità di materiale sul proiettile, ma anche dalla capacità di pulizia della superficie attraversata: più la superficie risulta consistente, e quindi in grado di “strizzare”, più l’orletto aumenta. E una sottile zanzariera non sembra affatto una superficie granché pulente, anzi.
In realtà gli aloni nerastri riscontrati sulla zanzariera di Scopeti potrebbero facilmente essere stati degli “orletti di ustione”, che compaiono quando la canna si trova a contatto o quasi – per piccoli calibri massimo 5 cm – di una superficie non ignifuga. In questo caso i gas incandescenti, la cui temperatura può raggiungere anche i 3 mila gradi, bruciano la superficie attraversata dal proiettile attorno al foro. Nel caso della zanzariera di Scopeti la bruciatura fu facilitata dal tipo di tessuto, sottile e sintetico. È emblematico il caso del quarto foro descritto nella relazione collegiale: il diametro doppio rispetto a quello del proiettile e la perfetta circolarità dell’orletto nerastro ci descrivono lo scenario di una canna premuta contro la zanzariera, tanto da farla cedere con la formazione di un cono. In quelle condizioni i gas di sparo ebbero l’effetto maggiore, producendo essi stessi il foro che, infatti, risultò bruciato in modo uniforme ai margini, peraltro non introflessi – unici tra i cinque – quindi non prodotti dall’impatto del proiettile. Del resto in quel caso non avrebbe senso parlare di orletto di detersione, vista la grandezza del foro assai maggiore del diametro del proiettile.
Un sabato trascorso a Scopeti? Manieri sostiene con grande convinzione l’ipotesi – completamente inedita – secondo la quale il delitto sarebbe avvenuto all’alba della domenica mattina. Approfondiamo innanzitutto gli argomenti con i quali fa trascorrere ai poveri turisti francesi l’intera giornata di sabato in Italia. È oramai ben noto che sono rimasti veramente in pochi a credere alla collocazione del delitto nella serata della domenica, e chi scrive non è certo tra questi. Indipendentemente dalle valutazioni medico-legali, logica vorrebbe che i due fossero stati uccisi la sera stessa del loro arrivo a Scopeti, il venerdì. Non è il caso di elencare la miriade di ragioni che portano verso questo scenario, basti dire che non ce n’è una che invece lo confuti, escludendo naturalmente le sciocchezze raccontate da Lotti e Pucci in strategico accordo con la tesi ufficiale. Anzi, a ben guardare una c’è, ed è proprio quella della quale Manieri si fa forte per collocare il delitto all’alba di domenica mattina: la questione del rigor mortis. Si legge nei verbali d’autopsia disponibili in rete, relativamente a Nadine (fascicolo A):
Per quanto riguarda i fenomeni tanatologici sul cadavere della ragazza, essi sono stati controllati nel corso del primo sopralluogo, inizialmente verso le ore 17 del 9 settembre e poco dopo verso le ore 18,30-19. Al primo controllo, allorché il cadavere era ancora sotto la tenda si poté constatare, sia pure sommariamente che il rigor era ancora ovunque in atto, senza segni nemmeno iniziali di risoluzione, nemmeno a livello dei muscoli del collo.[...]
A distanza di circa 6-7 ore dal primo riscontro, e cioè verso la mezzanotte, quando il cadavere era già stato rimosso e trasportato all’Istituto di Medicina Legale […] il rigor era risolto ovunque, anche alle articolazioni delle dita dei piedi, in parte anche artificialmente nelle manovra di sollevamento e di trasporto del cadavere.
In conclusione il rigor è ancora presente ovunque alle ore 17, ma dopo 7 ore esso è risolto.
E relativamente a Michel (fascicolo E):
Per l’uomo alla prima osservazione verso le ore 17, rigor ovunque in atto, anche alle piccole articolazioni dei piedi, ovunque valido, con iniziale minor validità alla nuca. […]
Un ulteriore controllo verso le ore 19 dà conferma della presenza del rigor anche a tutte le articolazioni delle dita dei piedi, bilateralmente. Verso le ore 21, prima della rimozione del cadavere, la rigidità nucale è completamente risolta.
Alla mezzanotte i fenomeni cadaverici sono controllati presso l’Istituto di Medicina Legale. La rigidità è risolta anche agli arti superiori ed alle anche e, parzialmente, alle ginocchia, alle caviglie, alle dita dei piedi. […]
In conclusione, la rigidità nel cadavere maschile comincia a farsi meno valida alla nuca verso le ore 18, con ulteriore diminuzione alle 21. Ad altre 3 ore di distanza, anche a causa del trasporto del cadavere, esso è risolto ovunque totalmente, ma dal ginocchio in giù solo parzialmente.
Sembra insomma di poter affermare che a mezzanotte del lunedì il rigor mortis fosse pressoché scomparso in entrambi i cadaveri, con una presenza residua soltanto in quello del ragazzo. La qual cosa, considerando che tale fenomeno avviene a distanza di tre e anche quattro giorni dalla morte, rende la serata del venerdì ben compatibile con il momento del delitto. Ma nel verbale di autopsia di Michel, fascicolo C, si legge qualcosa di diverso:
Verbale di indagine autoptica eseguito l’11.9.1985 sulla salma di JEAN MICHEL KRAVEICHVILI dal Prof. Mauro Maurri, dal Dr. Aurelio Bonelli e dal Dr. Antonio Cafaro per incarico della Procura della Repubblica di Firenze.
Il cadavere giace supino sul tavolo anatomico completamente nudo. Trattasi di cadavere di sesso maschile, dell’apparente età di 25-30 anni, della lunghezza di cm. 170.
La rigidità cadaverica è presente nei vari distretti corporei, ma vincibile a livello delle grandi articolazioni degli arti.
Nell’insieme dei documenti disponibili è compreso anche il verbale di autopsia di Nadine (fascicolo B), ma in esso non compaiono né una data né considerazioni sul rigor mortis. Limitiamoci dunque alla rilevazione del fenomeno all’atto dell’autopsia su Michel, della quale non abbiamo un orario, ma che possiamo collocare a inizio mattina del mercoledì. Va innanzitutto evidenziato il contrasto con quanto dichiarato nel fascicolo E. Contrasto spiegabile in modo benevolo o in modo malevolo, oppure magari con una combinazione di entrambi.
A pensar bene si potrebbe ritenere che la conservazione del corpo in cella frigorifera a partire dalla notte del lunedì avesse molto rallentato i processi tanatologici. Quindi, combinando una valutazione un po’ troppo spostata verso una risoluzione del rigor al lunedì notte, una cella frigorifera molto efficiente e una valutazione un po’ troppo spostata su una residua presenza del rigor al mercoledì mattina, il venerdì sera potrebbe anche tornare possibile.
A pensar male, invece, si potrebbe ritenere che la scelta di collocare il delitto alla domenica, effettuata da Maurri dopo le valutazioni della notte di lunedì e prima di quelle del mercoledì mattina, avesse strategicamente fatto giudicare “rigidità cadaverica” quella che invece poteva non esserlo più tanto.
Rimane in ogni caso la valutazione del lunedì notte, sulla quale Manieri preferisce soprassedere, guardando soltanto a quella del mercoledì. In una discussione in rete parla di rigidità vinta meccanicamente e poi ripristinatasi, ma non si comprende per quali motivi i medici legali si sarebbero messi a scrocchiare persino le dita dei piedi del cadavere del povero Michel. Si deve invece pensare che la rigidità fosse stata vinta soltanto per quel che serviva al trasporto del cadavere, quindi alle grandi articolazioni di braccia e gambe. Del resto si legge anche: “Verso le ore 21, prima della rimozione del cadavere, la rigidità nucale è completamente risolta”.
Un Mostro mattiniero. Ma quel che più sconcerta nell’ipotesi di Manieri non è tanto il giorno, quanto l’orario: la mattina all’alba! Se prendiamo per buona la domenica, abbiamo il sole che a Scopeti sorgeva alle ore 6:48, con il crepuscolo civile partito 29 minuti prima (vedi). In sostanza attorno alle 6 e un quarto la luce del sole già cominciava a rischiarare l’ambiente, aggiungendosi a quella della luna calante, luminosa quasi per metà. Secondo Manieri, quello sarebbe stato il momento dell’attacco. Par di capire che i motivi di tale strana collocazione siano due: il fatto che l’assassino si fosse preoccupato di nascondere i cadaveri, e la necessità di una piazzola illuminata per consentire al ragazzo di scappare e al Mostro di vedere dove stesse andando.
Dunque, secondo Manieri, il Mostro avrebbe nascosto i cadaveri perché, con la luce dell’alba, qualcuno avrebbe potuto scoprirli troppo presto, ostacolando così il suo rientro in sede. Ma la giustificazione appare tirata per i capelli, e non regge. Supponiamo che mentre lui si inoltrava nel bosco già qualcuno fosse capitato sul posto. Tra l’andare ad avvertire i carabinieri – a quei tempi non c’erano i cellulari! – e il loro intervento sarebbero trascorse varie decine di minuti, anche un’ora, e a quel punto il Mostro chi l’acchiappava più? È il caso di ricordare che il motivo del nascondimento dei cadaveri si è sempre ritenuto fosse rintracciabile nella necessità di andare a imbucare la lettera con il frammento di seno, quindi senza posti di blocco a costituire intralcio. Si tratta di un’ipotesi molto logica, che non si vede come possa essere confutata.
Veniamo al secondo motivo, la necessità di luce per consentire la fuga al ragazzo. Ma allora è inevitabile chiedersi il perché, potendo veder bene, Michel non fosse fuggito in cerca di aiuto verso via Scopeti, invece di inoltrarsi per boschi. In realtà, con una mezza luna – sorta alle 23:29 di sabato (vedi) e alle 22:53 di venerdì (vedi) – in un cielo sereno, quindi stellato, in orario serale compatibile con quello del delitto di luce non doveva essercene così poca. Era di sicuro sufficiente per almeno qualche metro di visibilità, quella che consentì al ragazzo di muoversi ma non d’individuare la direzione opportuna.
Va infine presa in esame una perplessità ulteriore. Quella di attaccare all’alba era stata una scelta consapevole oppure casuale? In sostanza il Mostro aveva adocchiato già il giorno prima le sue vittime e aveva deciso di ucciderle aspettando l’alba, oppure si era trovato a passare per caso alle sei di mattina? Questa seconda eventualità appare estremamente improbabile, sia perché a quell’ora di coppiette in giro non poteva certo sperare di trovarne, sia perché non avrebbe potuto sapere chi fossero i turisti, se un uomo e una donna oppure no, quindi escludiamola. Ci si deve allora chiedere per quale motivo, vista la tenda e la coppia il giorno prima, per uccidere i malcapitati avesse deciso di attendere l’alba. In questo modo si sarebbe rassegnato al concreto pericolo d’esser visto, in una zona boschiva piuttosto frequentata e davanti a una strada comunale di traffico non trascurabile da cui la tenda si vedeva bene (vedi). È logico che il momento migliore per attaccare sarebbe stato quello in cui i due campeggiatori si erano ritirati da poco, e magari si dedicavano ai loro interessi a luce accesa. Come si deve presumere fosse andata.
Qualche parola infine sul contenuto gastrico, argomento del quale mi sono già occupato nella prima parte ma che, per completezza, è utile ricordare. Rivediamo ciò che venne trovato nello stomaco di Nadine:
È da mettere in particolare evidenza che lo stomaco contiene circa 100 cc. di residuo alimentare ben riconoscibile perché si tratta di pasta tipo tagliatella con scarsissimi residui grigio-marroni probabilmente di carne e con isolati frammenti di buccia di pomodoro rossi.
In quello di Michel:
Stomaco: mucosa arrossata con evidenziazione del reticolo venoso putrefattivo, contenente scarsa quantità di materiale alimentare quasi completamente indigerito con le stesse caratteristiche di quello riscontrato nella cavità gastrica della ragazza.
Entrambi i poveretti avevano mangiato un piatto di tagliatelle al ragù che ancora dovevano digerire. È davvero sorprendente come con l’ausilio di studi americani e relativi grafici – e un diluvio di parole – Manieri riesca a far credere a qualcuno dei suoi ascoltatori che quel piatto di tagliatelle i due lo avessero mangiato 8-9 ore prima di essere uccisi! Neppure l’avvocato Azzeccagarbugli avrebbe saputo fare di meglio…
I primi quattro colpi. Ma veniamo finalmente alla dinamica omicidiaria vera e propria, nella quale Manieri ancora una volta dà sfogo alla sua voglia di distinguersi, ma, ancora una volta, con risultati pessimi. Come in altri casi – emblematico è il delitto di Baccaiano, dove più d’uno si è lanciato in fantasiose ricostruzioni, ma anche la recente proposta su Giogoli, vedi – si tratta in sostanza di una dinamica costruita attorno a convinzioni a prescindere, nella quale, proprio per questo, logicamente i conti non tornano, nonostante gli sforzi di farli tornare con varie pezze, in alcuni casi peggiori del buco. Prima di partire un avvertimento: avendo Manieri evitato di pubblicare un documento scritto, ma affidato le sue proposte soltanto a filmati – per di più di lunghezza estenuante e in molti casi in contraddizione tra di loro – chi scrive farà il possibile per non travisare il suo pensiero, senza però assoluta garanzia di risultato.
Cominciamo con l’esaminare la figura soprastante, ottenuta da Manieri partendo dalla piantina originale della Scientifica arricchita delle opportune correzioni su tenda e auto, in origine malamente ruotate. Poi vi ha tracciato quelli che, secondo lui, sarebbero stati i percorsi del Mostro e del ragazzo. S1, S2 e S3 sono invece i punti di sparo inseriti da chi scrive, dedotti in base ai filmati. Ecco la sequenza delle varie azioni.
Il Mostro viene su dalla scarpatina antistante la tenda – quindi dal basso – cominciando a sparare contro la zanzariera da posizione S1 (tale punto viene dedotto da Manieri sulla base del foro di proiettile sullo spigolo posteriore destro della tenda allineato con quelli sulla zanzariera, e la convinzione che lo sparo fosse avvenuto a distanza). A quel punto il ragazzo riesce a uscire prendendo alla sua sinistra, gira intorno alla tenda fino a raggiungere l’auto (lasciando sul montante la nota macchia di sangue), poi cambia direzione puntando verso il centro della piazzola e infilandosi nel corridoio sulla destra. Nel frattempo il Mostro si avvicina all’ingresso e spara un colpo contro Nadine da posizione S2. Poi si sposta in posizione S3 da dove spara i colpi restanti verso il ragazzo in fuga. Infine decide di tagliargli la strada correndo verso l’uscita del corridoio, intercettandolo e uccidendolo a coltellate.
In questa ricostruzione niente torna, tantoché risulta davvero difficile mettere in ordine gli elementi sbagliati. Cominciamo con il chiederci perché il Mostro avrebbe sparato contro la zanzariera da lontano. Nell’ipotesi di Manieri l’interno della tenda sarebbe stato completamente al buio, con gli occupanti ancora nel mondo dei sogni, di conseguenza lo sparatore non avrebbe avuto nessuna possibilità d’inquadrarli. Pertanto – ed ecco la pezza – avrebbe sparato raso terra con la certezza di coglierli ugualmente, considerato che dovevano essere coricati. Già, ma pur non avendo avuto modo di vedere dove avessero le teste, proprio quella parte scelse!
In realtà non si comprende davvero il motivo per il quale lo sparatore non si sarebbe invece accostato alla zanzariera, con la speranza di riuscire almeno a distinguere qualcosa. Peraltro, a far escludere l’ipotesi di Manieri non è soltanto la logica del buonsenso, ma anche l’insieme dei fori: con spari da distanza questi avrebbero dovuto formare una rosa, e non certo una linea più o meno verticale. Linea verticale che invece diventa ben plausibile nello scenario di uno sparatore a contatto, il quale semplicemente alzò via via il braccio. Non sfugga infine la coincidenza che i proiettili transitarono tutti dalla zanzariera, neppure uno dalla tela piena. Perché se comunque l’interno, da lontano, risultava invisibile? Per pura combinazione posizionale oppure perché lo sparatore era accostato alla zanzariera e da quella, invece, l’interno lo vedeva?
Nel bailamme di dettagli che non tornano ci sono naturalmente i bossoli, i più implacabili censori di ogni ricostruzione sbagliata. In visibile difficoltà, Manieri ha cambiato versione più volte – ne ricordo una nella quale aveva un ruolo il trascinamento del corpo di Nadine – vediamo l’ultima, e vediamo come se la cava nella collocazione di quelli corrispondenti ai colpi esplosi per primi. Secondo la sua ipotesi dal punto S1 i colpi sparati sarebbero stati quattro, e i relativi bossoli si sarebbero persi tra la vegetazione sottostante la tenda. Bossoli non soltanto non trovati, ma neppure cercati (chissà se qualcuno dei suoi ascoltatori entusiasti non si sia già recato in loco con il metal detector…). Quindi il problema viene semplicemente aggirato: bossoli non cercati --> bossoli non trovati --> loro posizione da non giustificare. Il prezzo pagato, naturalmente, è la mancanza di qualsiasi prova a sostegno, che non sembra neppure troppo salato, almeno per un pubblico di bocca buona irretito da proclami di alta competenza.
Ma torniamo all’azione. A questo punto Manieri deve far uscire Michel dalla tenda. Come? Non lo spiega troppo bene, parla confusamente di colpi che gli sarebbero stati sparati mentre era in ginocchio all’interno, i quali, naturalmente, possono risiedere soltanto nella sua fantasia, visto che dalla posizione S1 nessuno avrebbe potuto inquadrarlo. In ogni caso Michel riuscì ad aprire la zanzariera e a fuggire andando alla sua sinistra. Sì, ma intanto il Mostro che stava facendo? Dando per buono il percorso attorno all’albero di pino, necessario, a dire di Manieri, per la non fattibilità di quello diretto – qui bisogna credergli sulla parola, essendo il terreno di adesso tutta un’altra cosa – di quanti secondi avrà avuto bisogno il Mostro per raggiungere la zanzariera? Dieci? Venti? Se in dieci secondi Borzov faceva 100 metri, il Mostro sarebbe pur riuscito a farne tre o quattro, anche sopra un terreno disagevole! E ritenere che 10 secondi dopo l’ultimo dei quattro colpi Michel sarebbe riuscito a svegliarsi, riaversi dalla sorpresa, alzarsi, trovare al buio la clip della zanzariera, aprirla, uscire – tutto questo ostacolato dal corpo di Nadine, come vedremo tra breve – e raggiungere il retro della tenda prima che il Mostro lo intercettasse e gli sparasse è fantascienza. Se poi ci mettiamo dentro il fatto che il ragazzo trovò anche il tempo d’infilarsi i pantaloni… ma questo è un argomento da affrontare per suo conto in un futuro prossimo venturo, per adesso lasciamolo da parte. Facciamo finta invece che il Mostro avesse avuto un problema qualsiasi, dando così modo al poveretto di uscire.
La presenza di sangue compatibile sul montante sinistro del parabrezza dell’auto ci dice inequivocabilmente che il ragazzo vi appoggiò una mano – la sinistra – mentre stava fuggendo. Quindi logica vorrebbe che la direzione presa in uscita dalla tenda fosse alla sua destra, basta guardare la piantina per rendersene conto. Ma qui interviene ancora una volta la tendenza di Manieri a cercare la complicazione anche nelle cose più semplici, così lo fa uscire alla sua sinistra, girare intorno alla tenda – per frapporre un ostacolo tra sé e lo sparatore, lui sostiene... ma se la tenda era alta un metro e 40, quale ostacolo? – raggiungere l’auto, infine cambiare direzione attraversando la piazzola al centro. Un percorso assolutamente assurdo, che Manieri giustifica asserendo che tra tenda e frasche non ci fosse abbastanza spazio per passare. E a sostegno presenta questa foto.
In effetti lo spazio era scarso, ma si deve osservare che un po' di frasche certamente non avrebbero potuto costituire un muro invalicabile, al massimo avrebbero lasciato delle abrasioni sulla pelle del poveretto, che però in quei momenti aveva tutt’altro di cui preoccuparsi. Del resto a rendere l’ipotesi di Manieri poco ragionevole è il fatto che il ragazzo, uscendo alla sua sinistra, si sarebbe trovato di fronte la discesa per raggiungere via Scopeti, dove più facilmente avrebbe potuto trovare aiuto, o comunque scoraggiare il suo carnefice dall’inseguirlo. Tanto più con l’ipotizzata luce del mattino, ma anche fosse stato di sera il giro intorno alla tenda fino all’auto avrebbe avuto poco senso comunque.
La morte di Nadine. Mettiamoci adesso nella posizione S2, dalla quale, mentre Michel stava fuggendo, il Mostro avrebbe sparato un colpo, il quinto, contro Nadine. Il bossolo corrispondente sarebbe stato, a detta di Manieri, il (D), quello vicino all’albero di abete. Dalla figura sottostante si vede bene però che tale ipotesi non regge.
Lo stesso Manieri mostra in video che i bossoli venivano espulsi in direzione mediana tra destra e dietro rispetto alla canna. Quindi, affinché il quinto bossolo finisse in (D) da posizione S2 la canna doveva puntare verso il bosco, e non certo verso Nadine.
Facciamo adesso, il contrario, dirigiamo da S2 la canna verso i fori della zanzariera a cercare il torace di Nadine.
Come si vede dalla figura soprastante, vicino o lontano dalla zanzariera che fosse lo sparatore, il bossolo non sarebbe mai andato in (D), al massimo, con una parabola fin troppo minima, in (A), dove però, secondo Manieri, ci sarebbe finito soltanto dopo un calcione dei maldestri agenti che avevano armeggiato attorno alla tenda.
Nella dinamica di Manieri i colpi esplosi contro Nadine finirebbero qui. Facciamo dunque quel che lui si è ben guardato dal fare: diamo un’occhiata alle ferite della donna, riportando la figura dal mio articolo, dove esse vengono anche descritte.
Nell’ipotesi di Manieri la donna stava dormendo, e poiché i fori d’ingresso sono tutti sul lato destro del corpo, non poteva trovarsi che bocconi e a ridosso della zanzariera, con Michel alla sua sinistra (ecco perché l’uscita del ragazzo dalla tenda ne sarebbe stata ostacolata). Cominciamo con il notare che i tramiti sono tutti più o meno longitudinali alle spalle, un po’ dall’alto verso il basso, come se il corpo fosse messo in diagonale, piedi più lontani e testa più vicina allo sparatore. Ma dalla posizione S1 nessuno dei quattro colpi avrebbe mai potuto percorrere quei tramiti, sarebbero stati tutti angolatissimi dal basso verso l’alto. Si pensi soltanto all’angolo necessario per allineare fori sulla zanzariera e ferite alla testa: in pratica lo sparatore avrebbe dovuto trovarsi quasi sull’angolo sinistro della tenda, come si deduce da questa immagine.
Pertanto, sulla piantina di Manieri, una volta aggiustata in modo innaturale la posizione di Nadine (molto in tralice, quasi allineata all'asse minore della tenda) il punto S1 sarebbe da spostarsi qualche metro verso nord, non più sulla scarpatina ma in mezzo alla vegetazione! Riesce anche molto difficile spiegarsi il colpo numero 4, che colse la donna al seno sinistro: ci si deve chiedere come sarebbe potuto accadere, visto che dormiva bocconi. L’unica possibilità sarebbe stata quella di una fase in cui, prima del colpo mortale numero 5, si sarebbe tirata su. Ma si presume che i quattro colpi dalla scarpatina fossero stati sparati tutti in rapida sequenza contro un bersaglio non visibile, dunque senza alcuna utilità o necessità di pause tra un colpo e l’altro.
Manieri dovrebbe anche spiegare quali tra i cinque proiettili sparati attraverso la zanzariera finirono uno nell’angolo destro della tenda, uno in un cuscino e uno nel piumone. I conti non tornano, poiché due proiettili rimasero nel corpo di Nadine e uno cadde a terra dopo aver probabilmente colto Michel alla bocca. Quindi in tutto sei, uno in più dei fori sulla zanzariera.
La fuga di Michel. Dopo aver sparato il quinto colpo verso Nadine, il Mostro dovette preoccuparsi del ragazzo in fuga. Come si vede, la linea rossa tracciata sulla piantina, e che intende rappresentare il suo percorso, non passa per S3, dove invece Manieri lo colloca durante la fase degli spari. In realtà in una prima versione il punto di sparo sarebbe coinciso più o meno con S2, dove Michel si sarebbe inginocchiato, difficile capire il perché. In ogni caso in questo modo nessun bossolo sarebbe mai potuto finire davanti alla tenda, ecco allora il rimedio, con un cambio di percorso (senza però il necessario aggiornamento della piantina). Da S3, infatti, i bossoli espulsi sarebbero caduti sul tetto della tenda, sette di loro scivolando sul davanti, compreso (G) che invece sarebbe entrato dentro attraverso la zanzariera aperta, e uno sul lato destro, (C).
Gli assidui lettori del mio blog si ricorderanno della bizzarra ipotesi del colonnello Innocenzo Zuntini sul percorso dei bossoli a Borgo San Lorenzo, che avrebbero rimbalzato contro l’interno di un vetro dell’auto per cadere dalla parte opposta. Qui siamo in una situazione analoga, con l’aggravio di inverosimiglianze ulteriori. Perché il Mostro sarebbe rimasto fermo a sparare ben otto colpi in S3 mentre Michel stava fuggendo, invece di sparare inseguendolo? Proviamo a suppore che in quel modo gli fosse venuto più comodo prendere la mira (scenario che naturalmente non regge, ma che ci serve soltanto per andare avanti). Già, ma quale mira? Su otto colpi soltanto uno andò davvero a segno, quello al gomito destro.
Il colpo alla bocca non era compatibile con spari da tergo, e almeno uno dei due alla mano sinistra era preesistente, visto che, toccando con quella mano il montante dell’auto, il ragazzo vi lasciò del sangue. Tutto insomma lascia pensare che tutte e tre queste ferite fossero state il prodotto degli spari contro la tenda. E allora, possibile che il Mostro fosse stato così incapace come sparatore?
In ogni caso, a tagliare le gambe allo scenario immaginato da Manieri c’è un ostacolo insormontabile: la capienza del caricatore della pistola. Quando il Mostro avrebbe iniziato a sparare in S3 gli erano rimasti quattro colpi, considerando un caricatore da otto più il colpo in canna. Per giustificare gli otto bossoli caduti sul tetto della tenda all’appello ne mancano quattro. Ecco allora che Manieri mette l’ennesima pezza, tirando in ballo un caricatore di riserva del quale mai era stata ipotizzata l’esistenza. Già, ma quando il Mostro lo avrebbe inserito al posto di quello vuoto? Per quanto veloce, almeno una quindicina di secondi l’operazione sarebbe durata, tra il togliere quello vuoto, cercare l’altro in tasca, inserirlo e arretrare il carrello per caricare il colpo in canna. E intanto Michel non sarebbe riuscito a percorrere i pochi metri che lo separavano dalla boscaglia? Infine, con ancora quattro colpi disponibili nel caricatore nuovo, perché il Mostro mise via la pistola e prese il coltello, per un successivo corpo a corpo contro un avversario sì ferito, ma giovane e vigoroso? Una situazione ben più difficile per lui di quella dell’anno prima, quando, probabilmente per risparmiare munizioni, aveva preferito il coltello per finire Claudio Stefanacci, che però era moribondo. Nelle prime coltellate da tergo fece molta fatica a inquadrare Michel mentre scava scappando, un paio di colpi di pistola gli avrebbero risolto il problema.
La mutilazione di Nadine. Nel precedente articolo sul tema avevo dimostrato la non fattibilità dell’ipotesi di Manieri secondo la quale il corpo di Nadine, mutilato all’esterno della tenda, sarebbe stato rimesso dentro tirandolo dal taglio posteriore. Dopo le prime arrampicate sui vetri, di fronte all’evidenza pare che Manieri si sia convinto, anche se l’estenuante lunghezza dei suoi video e l’inaccessibilità di quelli a pagamento non mi consente certezze. Facendo l’analisi delle macchie di sangue sul corpo di Nadine parla infatti di corpo infilato nella tenda, e non più tirato dallo squarcio posteriore. In ogni caso, a parere di chi scrive, è già sbagliata la sua ipotesi che l’escissione fosse avvenuta all’esterno. Come più volte ribadito, da via Scopeti la tenda era ben visibile (vedi). Alle precedenti argomentazioni si può aggiungere l’immagine sottostante:
La foto mostra come, chi fosse passato davanti alla piazzola venendo da Firenze, avesse avuto la visione completa della sterrata che portava alla tenda. Ora, come si può immaginare un Mostro che compie la macabra operazione all’aperto con il chiaro del mattino? Se poi il tutto fosse avvenuto di notte, il problema sarebbe stato la necessità di una luce, che avrebbe comunque potuto attirare gente. Ma anche la stessa operazione di estrazione sarebbe stata molto difficoltosa. Sollevare un corpo morto è già di per sé difficile, dato che tende a scivolare senza offrire appigli. In questo caso la difficoltà sarebbe stata ancora maggiore, vista la collocazione dentro la tenda, con una piccola apertura dalla quale non era semplice sporgersi verso l’interno senza sconquassare tutto. Dove erano le ginocchia del Mostro mentre teneva il corpo tra le braccia? Fuori o dentro? Dentro non è possibile, considerando la ristrettezza dell’apertura, e fuori altrettanto, per una semplice questione di baricentro.
Il corpo di Nadine fu semplicemente tirato per i piedi e ruotato con le gambe fuori ma seno e pube dentro, senza alcun sollevamento. In questo modo il Mostro fece molta meno fatica, non rovinò la tenda e, ultimo ma non ultimo, poté usufruire di una luce interna che da fuori si vedeva poco. Quella stessa luce che i due campeggiatori dovevano avere, e che lui si portò via avendovi impresso le sue impronte. Alla fine della mutilazione il corpo venne ruotato in senso inverso e le gambe, una volta flesse, furono risospinte dentro. L’immagine seguente rende bene l’idea.
Come si vede, la grande macchia di sangue verticale segna la posizione del corpo durante la mutilazione. Quella sul terreno indica il punto dove vennero appoggiate le parti tagliate. Questa ulteriore immagine conferma il tutto.
Manieri afferma di aver visto dei fili d’erba secca sul corpo di Nadine, come suo solito senza fornire prove – fidatevi… – accampando ragioni di opportunità per la crudezza delle immagini. Sarebbe però bastato presentare qualche dettaglio ristretto. Questi fili d’erba dimostrerebbero l’estrazione del corpo. Supponiamo che tale presenza sia reale, ma essa potrebbe spiegarsi anche con un trasferimento durante le manovre del Mostro.
Conclusioni. Rimango in attesa di riscontri a questo mio articolo, sempre pronto a ricredermi di fronte ad argomentazioni adeguate e, ancora meglio, a riscontri oggettivi.
A questo punto il lettore potrebbe chiedersi: ma, se non altro per sbaglio, a parere di Segnini, almeno una Manieri è riuscito ad azzeccarla? Sì, almeno una sì: la spiegazione della presenza di tracce di gesso sui bossoli, per la quale venne eseguita una perizia apposita che non portò a nulla. Pare plausibile che la causa fosse stata l’uso di frammenti di una mattonella rotta per segnare le posizioni, come viene ben illustrato da questo video.