sabato 28 novembre 2015

Differenze di abbigliamento

Chi scrive ritiene la sentenza Micheli sempre molto convincente ogni qualvolta cerca di fornire una ragionevole spiegazione a ogni preteso mistero della vicenda Narducci; con qualche eccezione, però. Tra queste c’è senz’altro il contrasto tra il vestiario indossato dal medico umbro nel momento in cui era uscito di casa, descritto dalla moglie, e quello del cadavere ripescato dal lago, descritto dal verbale di ricognizione e dai testimoni sul molo. Secondo le ipotesi di Giuliano Mignini, il cadavere del vero Narducci sarebbe stato ritrovato nel giorno successivo a quello della scomparsa, e al suo posto, qualche giorno dopo, sarebbe stato fatto recuperare quello di uno sconosciuto. Le differenze di abbigliamento costituirebbero quindi una prova dell’avvenuto scambio. Proviamo ad approfondire l’argomento.
Iniziamo dal cadavere del lago che, secondo il verbale di ricognizione, indossava giubbotto marrone, jeans, camicia e scarpe marroni. Le informazioni sono scarne ma decisive, e vanno prese come base, integrandole con quelle dei testimoni presenti sul molo, tra di loro in parte contrastanti – a distanza di oltre sedici anni dai fatti ciò è del resto comprensibile – e delle foto. Il giubbotto era di renna, tutti i testimoni si trovarono d’accordo, mentre la camicia fu definita “chiara” da un paio di loro (Bricca e Gonnellini) e le scarpe mocassini marroni tipo Timberland da altri due (Morelli e Farroni). Dalle foto sembra di poter intravedere una cintura bianca o comunque chiara. Infine sappiamo già che il cadavere portava una cravatta, poi tagliata. Morelli la definì “di pelle di quelle che si usavano all’epoca”, Tomassoni “una specie di cravatta di cuoio”, Gonnellini semplicemente “una cravatta scura”.
Veniamo adesso all’abbigliamento visto indosso al marito da Francesca Spagnoli nel momento in cui si salutarono sulla porta di casa. Il giubbotto e sostanzialmente anche i jeans coincidono (quelli del cadavere visti in foto le sembrarono più scuri, ma poteva anche trattarsi dell’effetto bagnato). Sulle scarpe invece sembrerebbe esserci una differenza. Così dichiarò la Spagnoli il 13 ottobre 2006: “mio marito il giorno della scomparsa indossava dei mocassini tipo College di colore nero senza ovviamente lacci e morsetti”. Però tre anni prima, l’8 marzo 2003, riguardo le scarpe aveva detto: “potrebbero corrispondere, perché sembrano le Timberland con il fiocchetto, che lui aveva”. Anche sulla camicia non c’è certezza: “istintivamente direi che Francesco indossava una maglietta Lacoste blu ma non escludo che portasse una camicia celeste” (13 ottobre 2006). Sulla cintura invece la Spagnoli è un po' più perentoria: “la cintura bianca o comunque chiara che vedo indossata dal cadavere… non l’avevo mai vista indosso a Francesco, anzi credo proprio che Francesco non avesse cinture di colore chiaro. Francesco aveva cinture, per lo più, di colore scuro di pelle o in stoffa” (8 marzo 2003); “mio marito non aveva cinture chiare tantomeno il giorno della scomparsa. Aveva soltanto una cintura di cuoio marrone chiara” (13 ottobre 2006).
Ma dove tra le dichiarazioni di Francesca Spagnoli e quelle dei testimoni del molo c’è un contrasto insanabile è sulla cravatta: “escludo nella maniera più assoluta che Francesco avesse una cravatta di cuoio e tantomeno che la indossasse il giorno della scomparsa. […] Ero io che acquistavo sempre gli indumenti per Francesco e ricordo che gli prendevo sempre cravatte tipo Regimental” (13 ottobre 2006). Le cravatte tipo Regimental sono di stoffa e con vistose righe oblique, impossibili da confondere con modelli in pelle o in cuoio.
Alla fine si può convenire che le differenze sostanziali riguardano la cintura e più ancora la cravatta. Sulla prima Micheli glissa, mentre prende atto della difficoltà di far quadrare i conti sulla seconda, proponendo qualche debole spiegazione.

In definitiva, l’unico particolare che apparentemente rimane senza spiegazione è quello della cravatta: nessuno gliela vide, l’8 ottobre (salvo forse la Belardoni […]), e non si sa perché il Narducci avrebbe dovuto metterla, con un abbigliamento che per il resto era sicuramente sportivo. Si potrebbe immaginare che ne avvertì la necessità per non lasciare la camicia sbottonata viaggiando in moto in un tragitto extraurbano: non più di una mera illazione, che peraltro – ove si ritenga che quel giorno il gastroenterologo umbro volesse suicidarsi – si spiegherebbe solo come gesto meccanico e di abitudine, visto che chi è determinato a togliersi la vita non sta certo a preoccuparsi del mal di gola.
Al di là delle indicazioni della Spagnoli sul tipo di cravatte preferite dal marito, non è comunque da dare per scontato che non ne avesse di diverse, e che poté indossarne una prima di uscire di casa: significativamente, è lo stesso Procuratore della Repubblica ad ipotizzare che il giovane professore si cambiò qualcosa dopo aver pranzato (i pantaloni neri che gli aveva visto la Lilli al mattino, per mettere i jeans).

Anche se pare difficile che lei ne fosse rimasta all’oscuro, certamente Narducci avrebbe potuto possedere cravatte differenti dalle Regimental che gli comprava la moglie. Rimane invece del tutto inverosimile che si fosse messo la cravatta di cuoio prima di salutarla sulla porta di casa senza che lei se ne fosse resa conto, soprattutto se è vera, e non si vede perché non dovrebbe esserlo, la scena che la donna stessa raccontò a Cugia (Un amore all’inferno).

Quel pomeriggio, mentre lo accompagnavo alla porta, Francesco mi aveva detto: “Torno presto come ieri sera”, ma invece del consueto, fuggevole bacetto sulle guance, mi aveva baciato sulla bocca, appassionatamente, a lungo, come la sera del nostro primo appuntamento al lago, fra le antiche rovine dell’isola Polvese. Non l’avrei rivisto mai più.

Insomma, di fronte alla testimonianza di Francesca Spagnoli non ci sono dubbi sul fatto che il marito, nel momento in cui l'aveva salutata sulla porta di casa, non portasse la cravatta che poi sarebbe stata trovata addosso al cadavere del lago. D’altra parte osserva correttamente la sentenza Micheli:

A fronte di quel solo dato rimasto privo di riscontri, nell’ipotesi che il cadavere rinvenuto il 13 ottobre fosse proprio quello di Francesco Narducci, ve ne è un altro assolutamente illogico nell’opposta ricostruzione.
Si è già detto che, ove il presunto sodalizio criminoso si fosse davvero trovato nella necessità di ricorrere alla sostituzione del corpo del gastroenterologo, ciò sarebbe dipeso dalle condizioni di quel corpo, tali da non permetterne l’esibizione: il che significa che i componenti del sodalizio lo dovettero vedere. Ergo, videro anche i vestiti che indossava: un giubbetto di renna, dei jeans, un paio di Timberland, una camicia forse celeste.
A quel punto, nelle ignote circostanze in cui riuscirono a procurarsi un secondo cadavere, furono talmente accorti da far indossare anche a quello dei vestiti identici (non certo quelli del medico, se davvero avevano a disposizione la salma di un uomo tarchiato e più basso di venti centimetri): dunque si trovarono financo costretti a procurarsene. Ma allora, se il piano fu realizzato con tale perfezione, perché mettere sul collo di quello sconosciuto anche una cravatta, che gli associati per delinquere sapevano non essere stata usata quel giorno dal Narducci, senza neppure sceglierla tra le Regimental che il Narducci normalmente portava?

Il ragionamento non fa una piega. Poteva darsi che il cadavere del presunto sconosciuto fosse stato rivestito con un indumento in meno, ma non certo con un indumento in più, un accessorio peraltro vistoso e superfluo come una cravatta. Ma allora, quella cravatta, da dove era saltata fuori?
C’è una e una sola spiegazione. Prima di raggiungere la darsena e avventurarsi sul lago per il suo ultimo viaggio, Francesco Narducci si era fermato alla villa che i genitori frequentavano nei giorni di vacanza, in quel momento vuota. Se era sua intenzione uccidersi, è plausibile che vi si fosse recato per scrivere una lettera ai propri familiari, forse quella stessa lettera vista dalla domestica Emma Magara e poi sparita. Ma poteva aver fatto anche altro, in una grande casa frequentata già prima del matrimonio, della quale possedeva le chiavi e nella quale è ragionevole ritenere che avesse mantenuto un proprio spazio cui la moglie non aveva accesso. Probabilmente vi teneva la sua scorta personale di meperidina, da cui aveva preso la dose necessaria a stordirsi. E forse anche qualche capo di vestiario sportivo, non comprato dalla moglie e a lei non noto, che magari indossava in occasione delle avventure galanti di cui si era vociferato.
Riguardo la cravatta, secondo Micheli esiste un tenue indizio sul fatto che Narducci la portasse sotto il giubbotto quando era salito sulla barca. Si tratta della testimonianza di Agata Belardoni, moglie del custode della darsena, che così disse l’8 ottobre 2006: “Mi sembra che sotto il giubbotto avesse qualcosa di scuro, in particolare di verde o marrone. Non ricordo se il giubbotto fosse o meno allacciato”. Con il giubbotto allacciato, quel qualcosa di scuro (la camicia era chiara) poteva anche essere proprio la fantomatica cravatta di pelle o di cuoio. Un indizio davvero tenue, però, del quale comunque va preso atto.

In conclusione tutto lascia pensare che Narducci si fosse almeno in parte cambiato durante la permanenza nella casa sul lago. Perché lo avrebbe fatto? Non è facile immaginarlo; se davvero stava per andare a uccidersi doveva trovarsi in preda a una enorme tempesta emotiva, con azioni che potevano non rispondere più a un comportamento del tutto razionale. Quindi qualsiasi ipotetica spiegazione rimarrebbe azzardata, e sarebbe meglio non tentarne nessuna. Nondimeno chi scrive ci prova.
Francesco Narducci era un uomo di classe, sempre attento al proprio vestiario, e, si può immaginare, non sempre soddisfatto degli acquisti che la moglie faceva in sua vece, come tanti altri mariti, del resto. Quindi, nel suo ultimo giorno di vita, aveva preferito mettersi addosso dei vestiti che piacevano a lui. Peraltro è confutabile l'affermazione di Micheli secondo la quale una cravatta non si sarebbe intonata con un abbigliamento sportivo: una Regimental certo no, ma una sottile cravatta di pelle o di cuoio indossata sotto il giubbotto di renna e sopra il colletto della camicia era un ottimo accessorio per una raffinata eleganza sportiva.

46 commenti:

  1. Micheli sbaglia a ipotizzare che i complottardi avrebbero potuto vestire il corpo del lago come meglio preferivano. La dottoressa che effettuò la sommaria ispezione cadaverica specifico bene che i vestiti erano incollati al corpo ed aveva avuto gravi difficoltà a scoprire anche solo piccole parti del corpo. Si aggiunga il fatto che i corpi non identificati custoditi in obitorio vengono tenuti così come sono stati trovati, con vestiti e accessori indosso. E qualora, come nell'ipotesi presa in oggetto da Micheli, avessero prelevato un corpo per poi rimetterlo al suo posto, non avrebbero avuto comunque la libertà di vestirlo e svestirlo, pena farsi scoprire.

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    1. Non torna nulla nelle poche righe che hai scritto. Innanzitutto non credo proprio che un cadavere sia tenuto in cella frigorifera con tutti i suoi vestiti addosso, compresa la cravatta al collo. Se poi parliamo di persona deceduta per cause violente, come il famoso messicano di cui si è favoleggiato e ancora si favoleggia sul forum che tu frequenti, come minimo viene effettuato un esame esterno del corpo, se non un'autopsia, quindi i vestiti vengono tolti e messi da parte. In ogni caso almeno un accessorio come la cravatta lo potevano togliere.
      Ancora, per quale benevola coincidenza i vestiti indossati dal cadavere sarebbero stati più o meno uguali a quelli di Narducci, escluso quella cravatta che non si pensò di togliere?
      Infine che i vestiti fossero appiccicati addosso al cadavere recuperato dal lago è vero, ma quei vestiti sarebbero stati appiccicati anche prima dell'immersione? E se davvero si fosse temuto che qualcuno si sarebbe accorto dai vestiti del prevelamento e successivo ricollocamento, come la mettiamo con l'azione su di essi delle acque del lago e soprattutto delle forbici dei vigili del fuoco?

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    2. A mio parere il cadavere del "messicano" è stato ben poco nelle acque del lago, come del resto la patente di Narducci che aveva in tasca e che non fece neppure in tempo a bagnarsi del tutto. Me lo fa pensare inoltre il fatto che non potevano rischiare che fossero altri a ritrovare il corpo o rischiare di perderlo di vista a causa di vento e/o correnti. Non potevano neppure lasciarlo troppo a macerare e restituirlo in uno stato incompatibile con il precedente stato di conservazione e soprattutto troppo diverso dalle condizioni di 5 giorni dalla morte. Stato di conservazione molto simile a quello riscontrato nella foto del ritrovamento del corpo del messicano nel 1982. Confrontando la foto del molo con quella del messicano si nota inoltre come avessero lo stesso esatto abbigliamento, cintura bianca compresa. Poi piaccia o no, è la vedova Narducci la fonte imprenscindibile da cui partire per stabilire se l'abbigliamento di Narducci potesse corrispondere a quello del corpo ripescato al lago e la signora Spagnoli, in più occasioni, ribadì di essere lei deputata ad acquistare i vestiti del marito. E trovò svariate incongruenze; il corpo del lago, come quello del messicano aveva una cintura bianca dozzinale e pantaloni arrotolati alle caviglie. Ci sarebbe poi il giubbino in renna che si riscontra sia sul cadavere (ma solo nelle testimonianze) sia sulla barca. Qualcuno presente sul molo sostenne pure indossasse una lacoste. Una breve permanenza in acqua non avrebbe ragionevolmente causato da sola l'incollamento dei vestiti alla pelle: poteva benissimo essere condizione preesitente questo incollamento. Del resto il "messicano" fu trovato in un canalone di scolo, esposto all'acqua. Credo tu abbia visto la foto ma non le sorprendenti coincidenze di forma, colore, abbigliamento.
      In quegli anni di vuoto legislativo, durato fino oltre il 1995, i corpi non identificati restavano dopo una sommaria ispezione cadaverica, a tempo indeterminato in attesa della pronuncia del magistrato che non pativa scadenze. Qualora un corpo avesse i vestiti incollati, piuttosto che distruggere eventuali prove e possibilità di riconoscimento, poteva tenerli addosso fino all'autopsia o al riconoscimento appunto. L'introduzione della raccolta del dna è del 2007 e del 2010 l'applicazione pratica con il database condiviso da tutte le questure, procure e istituti di medicina legale. Nell'85, non ti sarà difficile trovare riscontri, poteva restare per anni un cadavere vestito in cella frigo come essere tumulato in pochi mesi.
      Da ciò che sappiamo il corpo del "messicano" "svanì" senza lasciare traccia o sentenza di magistrato. Ragionevolmente fu restituito ma forse, altrettanto ragionevolmente, fu fatto sparire poco dopo.

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    3. Se lo stesso Mignini lasciò perdere la pista del messicano vuol dire che non portava da nessuna parte. Ma tu sei più realista del re, e allora leggiti questo frammento dal "Corriere dell'Umbria" del 20 aprile 2006:

      Un uomo pestato a sangue e ucciso, con ogni probabilità, a colpi di pietra e bastonate. Sotto gli abiti indossava una sorta di giacchetto con grandi tasche o comunque contenitori. I caratteri somatici lo indicavano come un sud-americano. Si ipotizzò che fosse un “corriere" della droga che, per un qualche motivo, era stato ammazzato e derubato del suo carico. Lo sconosciuto rimase un morto senza nome e senza tomba per lunghi anni. Poi la targhetta dei pantaloni che indossava portò gli investigatori ad un grande magazzino di Città del Messico e da lì, non senza altre fatiche investigative, alla identificazione certa della vittima: un messicano, legato al traffico della droga.

      Da "Il Giornale dell'Umbria" dello stesso giorno:

      La morte per omicidio risultò però subito evidente. Sulla riva del torrente vennero infatti trovati dei bastoni e dei sassi insanguinati. Il corpo presentava inoltre delle lesioni alla fronte e a un braccio.
      L'uomo, dall'apparente età di 30—40 anni, indossava jeans blu di velluto, maglietta celeste a maniche corte mentre il suo giubbotto era nascosto in un cespuglio vicino. Nemmeno le impronte digitali permisero la sua identificazione in quanto non risultarono presenti nel casellario centrale di Roma. Si giunse quindi alla conclusione che si trattasse di un incensurato o di uno straniero.
      L'autopsia accertò infine l’esistenza sul corpo di ferite alla testa e all'addome con emorragia interna ed alcune costole rotte. Particolare inquietante: il cadavere aveva in bocca un pezzo di legno, forse segnale di un'esecuzione di tipo mafioso.

      Sono articoli riportati nel libro di Gabriella Carlizzi "Il Mostro a Firenze", volume "Cronache 2005/2008" pagine 1304-1308. Come vedi, vi sono contenute notizie un po' più dettagliate di quelle tratte dall'articolo de "La Nazione", dove evidentemente si preferì non riportarle per non togliere suggestione alla clamorosa ipotesi.
      Riguardo il vestiario si parla di un giacchetto indossato a pelle fatto per nascondere droga, di una targhetta sui pantaloni che consentì di individuarne la provenienza messicana, di jeans di velluto, di un giubbotto ritrovato in un cespuglio. Se poi si va a guardare la foto pubblicata da "La Nazione" non si vede nessuna cravatta.
      Mi sembra evidente che la tua ipotesi di un corpo rimasto con tutti i suoi vestiti addosso per tre anni in una cella frigorifera e immerso con quelli nelle acque del lago e con quelli recuperato non sta in piedi.
      Passiamo invece al corpo vero e proprio. Si parla di autopsia, di ferite alla testa e all'addome con emorragia interna e alcune costole rotte. Come potevi pensare che l'autopsia non fosse stata fatta sul cadavere di una persona uccisa a bastonate e colpi di pietra? Del resto lo stesso Mignini, che nel minestrone Narducci mise dentro di tutto e di più, questa storia del messicano la tenne fuori.
      Vediamo adesso cosa t'inventerai per non accettare l'evidenza dei fatti.

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    4. L'evidenza dei fatti -non scherziamo- non ha nulla a che vedere con questi due articoli. In uno leggo che "l'autopsia accertò infine...", infine quando? Ciò che poi questa "autopsia" avrebbe accertato, guarda caso, è una risultanza da "ispezione cadaverica" e non la causa della morte.
      Leggo poi di maglietta celeste a maniche corte: evidente nella foto che si tratta di camicia a maniche lunghe. Dicono pure fu identificato ma non c'è il nome: fu identificato come corriere della droga.
      Osserva e confronta, senza pregiudizio, le due foto dei corpi: sono identici. Il corpo del messicano era l'unico non identificato in "giacenza" a Perugia.
      Riguardo la differenza tra il corpo del molo e quello riesumato: Narducci aveva i capelli lunghi sei centimetri. Il corpo del molo, si nota dalla foto, ha capelli molto più corti oltre ad una stempiatura più pronunciata.

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    5. A questo punto direi che la maggiore evidenza dei fatti è la conferma di una persona che, in modo pur garbato, non intende recedere dalla propria fantasiosa ricostruzione neppure di fronte a elementi inconfutabili come questi. Si tratta di notizie giornalistiche, è vero, ma non vedo perchè dovrebbero essere state inventate.
      Quando dovrebbe essere stata fatta l'autopsia, dopo l'utilizzo del corpo per la sostituzione, cioè a tre anni dalla morte? L'autopsia fu fatta subito, come prassi per una persona assassinata, e nessun segno ne fu riscontrato sul corpo del molo, che quindi non poteva essere quello del messicano.
      I jeans erano di velluto, del tutto differenti da quelli indossati da Narducci il giorno della scomparsa, e avevano una targhetta che ne attestava la provenienza dal Messico, quindi nulla avevano a che fare con quelli di Narducci. Tutto il tuo già inverosimile scenario di un cadavere che sarebbe stato tenuto in cella frigorifera per tre anni con i vestiti addosso e con quelli fatto ritrovare nel lago va a farsi friggere, questa è l'evidenza dei fatti.
      Direi che considero la discussione chiusa.

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    6. Forse l'evidenza maggiore è che siamo due testardi, ognuno con le sue buone ragioni. Prima, fra tutte ragioni del nostro disaccordo, è una scarsità documentale oggettiva che lascia spazio a diverse visioni. D'accordo sul chiudere la discussione fino all'emersione di puntuali riscontri.

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  2. Gentile Segnini, avendo potuto apprezzare la mole e la solidità dei dati su cui fonda le sue argomentazioni, non mi spiego perché nell'articolo su Narducci non faccia menzione del lavoro svolto dalla Medicina Legale di Pavia. E non è vero che "l'autopsia fu fatta subito". La famiglia di Narducci si oppose, e prima ancora che il corpo fosse rinvenuto. Si procedette ad un sommario esame della salma in loco, peraltro effettuato da una dottoressa priva di competenze specifiche. In effetti fu solo nel 2002, su disposizione del Sostituto Procuratore di Perugia Mignini, che venne eseguito un accurato esame autoptico. Ed anche un puntuale esame antropometrico, giacché la collaboratrice del Prof. Pierucci confrontò il cadavere dell'uomo ripescato nel 1985 con il corpo del Dr. Narducci. Basandosi sulle misure delle mattonelle originali del pontile su cui giaceva immortalato in fotografia il cadavere del lago, risultò che l'altezza di Narducci lo superasse di almeno 8 cm. Dall'autopsia emerse poi "una microfrattura alla cartilagine cricoidea, compatibile con l'ipotesi di strangolamento". Oltre all'assenza di diatomee nelle vie respiratorie, e all'evidenza di "corificazione": il riesumato era in perfetto stato di conservazione. Elementi assolutamente incompatibili con l'annegamento e la permanenza post mortem in acqua. È sicuro che vi fu una sostituzione di cadavere. Non sappiamo chi fosse l'altro disgraziato, non sappiamo se il medico perugino fosse implicato nelle vicende del "mostro" o dei "mostri" di Firenze, ma egli non è l'uomo che vediamo in quelle foto sul pontile.

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  3. Ho cancellato e riscritto il mio commento, che è sostanzialmente identico, ma chiede conto con più forza della messa in discussione della perizia di Pavia. Se dobbiamo stare alle evidenze, io sto alle evidenze, e ne approfitto per ricordare che l'unica cosa interessante inerente i "panni", è stata il rinvenimento, nella bara, attorno ai fianchi di Narducci, di un telo di lino: di nessuna utilità pratica. Anche per questo, pur condividendo un approccio alla vicenda sostanzialmente logico, mi sembra poco adatta l'applicazione della matematica ad una storia le cui dinamiche sono attraversate dalla più pura irrazionalità. E irrazionalità di tipo violento, per giunta.

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    1. Guardi che "l'autopsia fu fatta subito" che lei ha letto in una mia risposta si riferisce al corpo del messicano assassinato. Non poteva certo essere il suo il cadavere trovato dai Narducci.
      Per il resto mi fermerei qui, la sede non è adatta per discussioni così "delicate". Su Narducci scriverò altro proseguendo nella cronistoria delle sciagurate indagini sui mandanti. Intanto mi accontento di aver dimostrato che la storia delle telefonate a Dora era un inganno, e che la la nota frattura, prova più grossa dell'avvenuto omicidio, poteva avere un'altra plausibile origine.
      Anche riguardo le contraddizioni sui vestiti visti dalla vedova rispetto a quelli del cadavere la mia ipotesi su un cambio d'abito alla villa dei genitori ne dà una possibile spiegazione.
      Si tratta di tre elementi del tutto inediti, dei quali rivendico la priorità.
      Ma vedrà che troverò molto altro, andando a scartabellare tra i metodi di calcolo dell'altezza e compagnia bella. A tempo debito, però.

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    2. un corpo morto in 60 cm d acqua al lago fa 4 km in linea d aria come me lo spiega? Si guardi tutti i casi di morti per affogamento nel lago Trasimeno si spostano al massimo di qualche decina di metri ma anche meno.....ho capito che FN era un provetto nuotatore ma anche da morto? Guardi su Google Maps la distanza in linea d aria dalla polvese alla darsena di s.arcangelo ....Grazie per la risposta

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    3. Ci penso, anche se, non essendo un esperto della materia, potrei non trovare una risposta. Intanto lei provi a spiegare il perché della caterva di grossolani errori (come questo se è vero quel che lei dice), che avrebbe commesso chi voleva nascondere il presunto omicidio del povero Francesco Narducci. Un giorno ne farò l'elenco, ma ne basti uno per tutti: la scelta di mettere al suo posto un corpo che più diverso non sarebbe potuto essere. Per nascondere che cosa? Dei fori di proiettile? Dei fendenti di coltello? Delle ossa rotte? No, un soffocamento operato con una pressione talmente leggera da fratturare soltanto una piccola cartilagine.
      Naturalmente c'è tutta una serie di altre inverosimiglianze che occuperebbero pagine e pagine.
      Ne riporto un'altra, quella sulla cravatta. Secondo la vedova la cravatta non la portava, quel giorno, ma il cadavere recuperato ce l'aveva. La mia spiegazione lei la conosce bene, ma poniamo che sia sbagliata. Quella cravatta, strettissima tanto da affondare nella carne, il cadavere sostituito ce l'aveva già? Era stato conservato in cella frigorifera con quella cravatta? E se non ce l'aveva già, perché gliela misero? E come fecero a farla diventare così stretta?

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  4. Ho riletto "Una strana frattura". Ottima l'ipotesi del taglio della cravatta che potrebbe aver causato la frattura del cornetto tiroideo sinistro. Ma restano da spiegare altre evidenze emerse al momento dell'autopsia, e innanzitutto l'assenza di microalghe nei polmoni di un uomo che dovrebbe essere o essersi annegato e che è rimasto per giorni in acqua.

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  5. Mi scuso per la svista sull'autopsia "fatta subito". Vi riferivate al messicano, sì, ed è mia personale opinione che quegli non c'entri nulla. Ma venendo ai vestiti del Narducci, il problema non sta nella discrepanza tra ciò che vide la vedova e ciò che si vide poi sul molo: il punto è ciò che videro i necrofori nel 1985 e ciò che trovarono gli anatomopatologi nel 2002,tra cui il già menzionato telo di lino mai visto in precedenza da nessun testimone all'epoca della composizione della salma. Accessorio che ha grande valenza simbolica, e nuances sinistre: indica una punizione per un trapassato che ha commesso in vita dei peccati gravi, negli ambienti della massoneria. Concordo però sulla delicatezza della questione, proprio perché credo a tutti gli "ostacoli" che si trovarono davanti inquirenti e periti quando provarono a "toccare" personalità importanti le cui reti di relazioni affondano nell'ombra. Non mancherò di seguire gli sviluppi delle sue indagini, convinto che non commetterà l'errore di partire da una certezza per arrivare alla sua dimostrazione. È un mare, questo, sto imparando, dove si deve stare sempre attenti agli scogli che affiorano quando ci si avvicina alla costa. E si naviga di notte, il va sans dire.

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    1. Ricordarsi di un evento come quello di aver messo un asciugamano sotto i pantaloni del cadavere accaduto dai 15 ai 20 anni prima, concorderà con me, non è certo facile. Con un cadavere ridotto in brutte condizioni come quello di Narducci l'aver messo quell'asciugamano poteva semplicemente essere servito a evitare il trasudamento di liquami sui pantaloni. In effetti così disse Morarelli in quello che credo fosse stato il suo ultimo SIT, il 7 giugno 2005:

      Il cadavere presentava all'altezza della pancia, sopra il pube, delle bolle tipo "grattacacia" che facevano fuoriuscire della mucosa. Posso aggiungere che il volto era quasi irriconoscibile, con due labbra enormi. Debbo precisare che in occasione di una mia deposizione (..) il Magistrato mi aveva chiesto se io o qualche mio collaboratore avessimo messo un asciugamano di lino sul ventre del cadavere. Facendo riferimento alle bolle sopra indicate, ripensandoci successivamente, può essere che sia stato chiesto un asciugamano a qualcuno e che, quindi, lo abbiamo adagiato sul ventre del cadavere prima di vestirlo per impedire che i pantaloni si sporcassero.

      Se si parte dal presupposto che la famiglia Narducci avesse ordito chissà quale piano per coprire chissà quali verità scomode, rimestare nelle incertezze di testimonianze così remote diventa facile. Diventa anche facile mettere i relativi testimoni in condizioni di disagio per quello che non riescono a ricordare bene, fino a far loro decidere che è meglio assentire che negare.

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  6. Suggerisco di non escludere a priori nemmeno eventuali manipolazioni e, a monte, la partecipazione diretta dei Narducci a un sistema di potere occulto (che non vuol dire, certo, necessariamente occultistico). Per certo Ugo Narducci era un membro della massoneria. Strano che sia stato usato proprio un "asciugamano" di lino (che peraltro nessuno ricorda con certezza); le tecniche di tanatoestetica prevedono tamponi in cotone in tali casi. E che dire dei vestiti che non corrispondono, che sembrano magicamente cambiati dentro la bara dal 1985 al 2002? Soprattutto: un cadavere gonfio, deforme per la lunga permanenza in acqua, come poteva presentarsi corificato e privo di microalghe nei polmoni?

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  7. Ma essere membro attivo , o semplice iscritto alla Massoneria, dovrebbe generare automaticamente sospetto o maldicenza, come in questo caso?

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  8. Essere massoni non è reato. Ma è un fatto che i Narducci avessero un grande potere, e che lo esercitassero. Anche alla luce del sole, come dimostra l'incredibile ottenimento di non far sottoporre il presunto cadavere del figlio ad autopsia quando fu rinvenuto nel lago, atto altresì dovuto, tanto più che il corpo era "irriconoscibile". E resta l'assoluta evidenza che il corpo sottoposto ad esame autoptico nel 2002 non fosse quello di un annegato: forse non presentava segni incontrovertibili di strangolamento, ma al di là di ogni dubbio non presentava segni di morte e permanenza post mortem in acqua.

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    1. Questa convinzione di "assoluta evidenza" non capisco da dove la tragga, visto che i consulenti di parte e lo stesso Micheli la pensavano in modo diverso. Penso che al momento giusto non sarà così difficile dimostrarne l'infondatezza, vuole scommettere? E sa perché sono così sicuro? Perché tale "assoluta evidenza" avrebbe l'onere di dimostrare un'operazione del tutto assurda e quasi impossibile come quella della doppia sostituzione di un cadavere: prima farne trovare in acqua uno di uno sconosciuto, poi metterlo via e sostituirlo con quello di Narducci. In 40 anni di lavoro mi sono trovato alle prese con tanti software scritti da altri, e sempre, dico sempre, se le soluzioni scelte erano intorcinate voleva anche dire che erano sbagliate. E qui intuisco di essere in un caso simile.
      Potrei andare a cercare nella sentenza Micheli alcune pezze d'appoggio per quello che ho appena scritto, come per l'asciugamano, ma non lo faccio. Questa è una storia nella quale si deve andare a fondo, anche se so già che non basterà. Spero però di trovare ancora soddisfazioni simili a quelle di aver dimostrato che le telefonate a Dora erano un vero e proprio inganno fatto per giustificare la partenza di indagini su semplici chiacchiere, e che la misteriosa frattura del corno tiroideo, la carta migliore dell'accusa, potrebbe avere una semplicissima spiegazione.

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  9. Forse una deformazione professionale limita le sue per altri versi spiccate capacità analitiche, caro Segnini. La realtà non è un software. Io sono un ricercatore indipendente in psicologia, e posso garantirle che la cifra dell'umano è irrazionale. Ne discendono dinamiche e problemi che non sempre si possono affrontare, né tantomeno risolvere, con la mera logica. La letteratura scientifica e la cronaca quotidiana abbondano di "assurdità" che, non di meno, sono dati di realtà. Non è del resto assurdo il fatto che un annegato non presenti tracce della specifica causa di morte? Non creda di mettersi "al riparo" dall'assurdo con l'adesione al pensiero razionale puro: fu l'errore fatale di Goedel. Venendo alla sentenza Micheli, essa è opinabile. Diversamente dai rilievi fatti su un cadavere che non presenta segni di annegamento, quella ponderosa sentenza (stranamente ponderosa, direi, e le cui motivazioni furono depositate con 2 anni di ritardo) presenta aspetti critici. E non rappresenta l'ultima parola. Prendo dalla cronaca per concludere questo, per conto mio piacevole, scambio di opinioni con lei:
    «Tale sentenza e' stata immediatamente impugnata in Cassazione dal PM Dottor Giuliano Mignini il 7 marzo 2012.
    Secondo il Dottor Mignini la sentenza era affetta da gravi violazioni normative, dal vizio di contraddittorieta' e da incompatibilita' varie tra i diversi capi della sentenza.
    Il 22 marzo 2013 la Terza Sezione della Corte di Cassazione accoglieva quasi completamente il ricorso del PM Mignini, ad eccezione dell'ipotesi associativa, annullando cosi' la sentenza Micheli senza rinvio (per i reati che nel frattempo erano caduti in prescrizione) e con rinvio per le altre ipotesi di reato.
    Nel 2014 il Gup Giangamboni ha definitivamente assolto tutti gli imputati perche' il fatto "non sussiste" e per intervenuta prescrizione, accogliendo la richiesta del procuratore generale Antonella Duchini. La morte di Francesco Narducci e' stata cosi' archiviata come probabile omicidio commesso da ignoti.»

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    1. Non ho la sentenza Giangamboni, ma non credo che possa contenere una considerazione come quella che lei afferma sul probabile omicidio. Non è questo infatti il quesito cui avrebbe dovuto rispondere io giudice. Mi convinca del contrario, documentazione alla mano.
      Riguardo invece la ponderosità della sentenza Micheli, devo innanzitutto farle notare che l'uso dell'aggettivo "stranamente" tradisce il suo spirito "complottistico" (non se la prenda, non voglio offenderla), comune a tutti gli irriducibile fan del doppio cadavere. Poi le posso dire che sto cercando di estrarre le date dei vari SIT che la sentenza riporta, con una ricerca word anno per anno. Ebbene, a metà circa del 2003 ho già registrato 200 SIT circa!!! Si tratta di cifre astronomiche di per sè, per un'indagine partita sulla base di chiacchiere ancora di più. Come poteva Micheli fronteggiare simile fiumana se non con un documento ponderoso?
      Infine, il mio esempio sul software va letto con una certa elasticità, guardando all'aspetto logico. Io ritengo che se persone come i Narducci e i loro eventuali alleati volevano coprire un omicidio, non si sarebbero impelagati in un assurdo piano di sostituzione di cadavere, commettendo poi errori macroscopici come quello di scegliere un negroide basso e tozzo. E non solo, ci sono molte altre questioni, come il mettergli una cravatta che Narducci non avrebbe né mai avuto né indossato il giorno della scomparsa, ad esempio.
      Io chiuderei qui, lei intervenga pure se vuole, magari qualche altro mio lettore potrebbe risponderle. Per quanto mi riguarda vorrei esprimermi attraverso un articolo di un cero respiro.

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  10. Non sono un appassionato di complotti, se non dal punto di vista clinico. Ma ho potuto sviluppare un approccio ai problemi libero da schemi di pensiero fissi e pericolosamente ripetitivi. Le trappole della coerenza formale sono sempre in agguato. Tengo a precisare che non ho ancora maturato un'opinione definitiva su questo caso. Devo anche ammettere che solo da pochi mesi mi sto interessando alla questione del "Mostro di Firenze" e delle tante storie che vi gravitano intorno da oltre mezzo secolo. Continuerò senz'altro a seguire il suo blog. Saluti.

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  11. I rilievi di G. Centini mi paiono acuti, ma credo che la vicenda Narducci meriti alcune precisazioni di metodo che ritengo Segnini abbia meritoriamente tentato di introdurre nel discorso. Solo così possono poi emergere elementi di merito rilevanti per accertare la verità o escludere tutta quest'ala della storia del Mostro dalla rilevanza degli atti e delle risultanze. Intanto, c'è il problema giudiziario: siamo tutti divisi in due categorie: i detrattori della sentenza del GUP Micheli e i suoi sostenitori. Ora, io credo che siano ingiustificate le critiche alla lunghezza della decisione redatta da Micheli. L'incipit della sentenza spiega la complessità e l'inedita ampiezza del materiale istruttorio, nonchè la natura intricata della vicenda perugina. Inoltre, Micheli ha avuto l'indiscusso merito di aver selezionato tra: gli elementi rilevanti e supportati da indizi; le assurdità logiche in cui incorreva talvolta l'impianto accusatorio; tutto lo sciame di sentito dire che grava sulla vicenda Narducci, che era molto e di serio ostacolo a cogliere la verità. Poi la vicenda giudiziaria aveva numerosi problemi di partenza: 1 il tempo lungo trascorso dagli accadimenti del 1985; 2 il fatto che tutto era nato dall'assurda sequela delle telefonate "a Vera" le quali erano un manifesto pretesto per aprire un'indagine (che - come dice lo stesso Micheli - andava tuttavia svolta); 3 che la prescrizione incombeva su tutto, poichè non si poteva procedere per omicidio; 4. che la collaborazione con Firenze non era piena nè salda.
    Premesso ciò non può negarsi che Mignini fece una notevole opera di studio del caso, pur avendo sostenuto tesi non sempre convincenti, ma spesso funzionali al ruolo dell'accusa e all'estensione del campo delle conoscenze sulla storia del Narducci; soprattutto, gli riuscì di sovvertire gli esiti della sentenza Micheli, nelle due parti più rilevanti: la causa della morte di Narducci e la sostituzione di cadavere. Questo sul piano del metodo. (segue)

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  12. (Segue) Vorrei dire adesso dei convincimenti che mi sono fatto dagli elementi che emergono dalla vicenda Narducci. Sul problema del cadavere, Micheli, a mio parere, sbagliò. La riesumazione diede alla luce un corpo corificato, in perfetto stato e totalmente riconoscibile nelle fattezze del Narducci. Il cadavere di Sant'Arcangelo non poteva essere lo stesso poi tumulato. Era pacificamente descritto come gonfio, in condizioni derivanti dalla permanenza prolungata in acqua, per non dire del fatto che uscì dell'acqua dalla gola, secondo almeno tre testimoni. Ma quello che è proprio impossibile è che il cadavere di Sant'Arcangelo sia deperito mummificandosi, restituendo le sembianze del Narducci quasi cristallizzate nel tempo. Ci sono convalide esterne e concordanti in questo senso: a. non c'erano tracce di diatomee nel corpo riesumato del Narducci; b. il professor Pierucci fu il primo ad essere sorpreso per la non coincidenza del cadavere e fu anche il primo a rilevarla e a motivarla; quindi della buona fede degli inquirenti a quello stadio, davvero non si ha ragione di dubitare; c. le fattezze negroidi e la mancanza di capelli sono asseverate da tutti e persino la foto del cadavere di Sant'Arcangelo aiuta a convincersi di questo. Il sempiterno dibattito sugli abiti del cadavere - che ancora una volta è stato ricostruito con sapienza da Segnini - non può riequllibrare l'impressione che il cadavere di Sant'Arcangelo non fosse quello poi riesumato. Qui sta la principale debolezza della sentenza Micheli: il giudice aveva molte ragioni a non darsi una spiegazione della duplicità dei cadaveri (e di certo non credeva alla teoria della procura) e impostò la sentenza su un accurato tentativo di far coincidere il morto di Sant'Arcangelo con il Narducci in vita. Ma la sentenza non sfugge a rilievi critici forti (almeno secondo me) quando tenta di ipotizzare un'equiparazione sui centimetri di altezza tra Narducci in vita (1.82) e quel corpo che invece le perizie avevano stabilito essere nettamente più basso. A non convincere è il tentativo del giudice di sostituirsi alla discrezionalità tecnica dei periti e dei consulenti, evidentemente forzando per metodo e merito gli esiti del confronto. Infatti, a presentarsi inverosimile è il paragone tra il cadavere di Sant'Arcangelo e quello rieusmato; non tanto, invece, il raffronto (difficilissimo e quasi arbitrario, dopo tutto quel tempo) tra quest'ultimo e il Narducci in vita.

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  13. Quest'ultimo profilo della questione fu quello che si venne a porre davanti agli occhi di tutti, la mattina del ripescaggio del corpo, nell'ottobre del 1985 e dovrebbe indurre a molte cautele: si deve pensare a una circostanza in cui si rinviene un corpo, mentre sono in corso le ricerche di uno scomparso. Si deve dunque valutare la concitazione, l'emotività, la fretta e soprattutto il bisogno di evitare a tutti costi scandali e maldicenze che, dato quel finale di vita, sarebbero stati (e poi furono in realtà) inevitabili. Se i due cadaveri non sono gli stessi, però non si è autorizzati a credere alla dogmatica dell'omicidio della setta, del complotto massonico e nemmeno al legame di Narducci con gli omicidi. C'è un punto di caduta di questo indebito legame: è il famoso asciugamano rinvenuto sul corpo del Narducci riesumato. A mio parere su questo ha ragione Micheli e soprattutto Segnini: l'asciugamano, pur insolito come oggetto in quel contesto, trova una sua spiegazione solida nell'esigenza di gestire escoriazioni o infiammazioni rinvenute sulla cute del cadavere. Però, non darei peso al fatto che proprio l'asciugamano dimostrerebbe l'identità del cadavere riesumato con quello rivestito nella villa. Questo prova troppo, assolutamente. Non è dunque il simbolo di punizione massonica, ma non assevera neanche l'identità tra i due cadaveri che, invece, resta esclusa per quanto detto in precedenza. Si giunge così ad una più meditata e meno estremistica ricostruzione: i cadaveri non coincidono, ma tale fatto non rileva penalmente per via della prescrizione e della totale condivisibilità dell'analisi giuridica sul reato associativo (neanche ipotizzabile) svolta da Micheli in apertura della sua sentenza. Soprattutto, questa analisi nulla ci dice sul ruolo di Narducci negli omicidi e su questo, invece, è stato sempre buio pesto. Così proporrei una strada teorica per fare luce su questa ben più rilevante questione una volta per tutte. Credo, infatti, di averla scorta in controluce (segue).

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    1. Penso che Kemperboyd non abbia proseguito, non mi risultano interventi rimossi a suo nome

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  14. Salve Antonio, lei si ricorda in quale modo Narducci entrò nelle indagini negli anni 80? Mi pare che qualcuno sostenga che sia stata vista la sua auto transitare per S.Casciano ma non ho trovato nulla di concreto.

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    1. Bell'argomento! Qui sconfiniamo nella leggenda. Posso dirle per certo che la SAM si interessò per la prima volta a Narducci all'inizio del 1987, dopo aver ricevuto qualche segnalazione anonima.
      Ho un bell'articolo per ora off line per le proteste di Giuliano Mignini, dove se ne parla. Sono in fervida attesa del libro dell'ex PM per riprendere in mano l'argomento, e cercare di far chiarezza una volta per tutte sulla base della documentazione nota.

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  15. Grande come sempre! Aspettiamo con trepidazione! Una curiosità: Ma lei la segue la "Notte del Mistero" in onda su Florence International Radio?

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    1. Purtroppo non ne ho il tempo. Mi faccio giusto un giro rapido sul facebook di Flanz per carpire le novità.

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  16. Gentile Segnini più o meno quanto manca ancora?

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    1. Per la sua felicità ho iniziato la ripubblicazione di "Firenze - Perugia andata e ritorno". Ma adesso la prego di non mettermi fretta per il resto.

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  17. Scusate,mi sento di lasciare il mio commento,in quanto dopo tutto l emerso in qwesti anni credo proprio sia assodato e provato che la morte del dott narducci non e chiara,in quanto,in qwale famiglia,muore un marito giovane e sportivo,e la moglie non viene chiamata a riconoscerlo?come e possibile che il questore(senza nessuna autorita per esser li presente) fosse (gia ) sulla banchina con padre fratello e colleghi del presunto cadavere del narducci al momento del ritrovamento?come e possibile che il corpo sia stato portato in villa di famiglia e non all obitorio?come e possibile che non sia stato chiamato il medico legale ma una giovane dottoressa che non aveva le credenziali per imporsi sul fatto,e perché nonostante il suo parere di procedere con l autopsia non venga ascoltata?e dopo 20 anni viene fatta l autopsia e il corpo del narducci non ha segni di annegamento ma una frattura sospetta che può esser spiegata in più modi e vero,ma qwesto conferma che l autopsia doveva esser fatta subito,altresi il padre del dottor narducci,ha fatto qwalunqwe cosa per far in modo che non avvenisse.perché? E cmq dall autopsia si evince che il corpo del narducci sotto gli indumenti era stato avvolto non da un asciugamano,ma da un drappo di lino con impresse stelle a 5 punte,e professionisti intervenuti all autopsia,hanno dichiarato che non avesse nessuna funzione evidente,ma fosse da ricondurre a un particolare rito di declassamento e punizione.se a qwalcuno e mancato un caro in modo non lineare sapra bene che le procedure e l interesse nel voler sapere la verita sull accaduto non e propriamente l atteggiamento tenuto dai familiari del narducci

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    1. Lungi da me scoraggiarla dal fantasticare, tra l'altro si tratta di un hobby a buon mercato, ma un esame sereno della documentazione porta verso un suicidio. In ogni caso con la vicenda del Mostro non c'incastra nulla.

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  18. Antonio ma almeno lei ha potuto ricostruire alcuni elementi su Narducci come, ad esempio, se e quando e per quanto tempo avrebbe vissuto a Firenze? Io ci ho provato ma non ho trovato niente di concreto. Credo che per una ricostruzione storica potrebbe essere importante sapere particolari come questo. Grazie come sempre.

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    1. Non so risponderle, mi dispiace, però che Narducci avesse avuto a che fare con Firenze lo ritengo molto improbabile. Se così fosse stato, non vedo perché non dovremmo saperlo con chiarezza, dopo tanti anni d'indagine.
      Spero di potermi occupare ancora del personaggio, per prima cosa ripubblicando gli articoli sulle telefonate, spero entro l'anno.

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  19. Tra l'altro una cosa che mi sono sempre chiesto è: possibile che un uomo con un lavoro impegnativo come il suo sarebbe sparito x diversi fine settimana nel corso degli anni senza suscitare i sospetti della moglie? Purtroppo anche il famoso libro intervista di Diego Cugia nulla dice di concreto. Alla fine nn esiste un solo documento che attesti la presenza di Narducci a Firenze. Ovviamente se qualche altro lettore afferma il contrario spero che porti qualche cosa di concreto anche solo x dimostrare l'effettiva presenza di Narducci a Firenze tralasciando quelle testimonianze confuse e contraddittorie che hanno generato i risultati che tutti noi conosciamo. Ripeto che potrebbe essere importante per una ricostruzione storica che prescinde le opinioni personali.

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  20. Buonasera Sig. Segnini, avei un chiarimento da chiederle.
    Quale sarebbe stato lo scopo della doppia sostituzione del cadavere in questione? Perdoni se la domanda è troppo banale, ma proprio non riesco a capirne il motivo.
    La cosa avrebbe senso se il dott. Narducci fosse stato ucciso da un killer che avesse fatto successivamente scempio del cadavere in maniera evidente e la famiglia avesse voluto nascondere il fatto ai media o ai curiosi.
    Ma dall'autopsia del 2002 effettuata su quello che sappiamo essere il vero Narducci, non risultavano evidenze in questo senso.
    E se le autorità, al tempo, avessero disposto l'autopsia subito dopo il ritrovamento?
    Se il corpo fosse quello del vero Narucci avrebbero trovato la famosa frattura al corno rilevata poi nel 2002, con più di una spiegazione possibile, come anche da lei dimostrato.
    E se differentemente fosse stata fatta invece sul corpo del famoso messicano? Gli anatomopatologi non avrebbero avuto dubbi sul fatto che la persona oggetto di autopsia era stata vittima di omicidio e si sarebbe di conseguenza iniziato ad indagare, con il risultato che ci si sarebbe presto reso conto di non aver a che fare con il corpo del vero dott. Narducci.
    Cosa mi sfugge?
    Actarux

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    1. Direi che non le sfugge niente. Questa storia del doppio cadavere non sta in piedi, non ha alcun senso, oltreché quasi impossibile da attuare sarebbe stata una pezza peggiore del buco. Pensare a quanti dei nostri soldi di contribuenti ci sono stati spesi viene da piangere.

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  21. Un altra cosa: vedo che si discute spesso del panno di lino con un simbolo satanico impresso sopra che starebbe ad indicare una punizione per qualcuno che avrebbe commesso cose terribili da vivo. Ma se il corpo non era del Narducci per quale motivo qualcuno avrebbe dovuto mettere questo panno che, tecnicamente, avrebbe dovuto servire per punire il vero Narducci?

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  22. Antonio volevo farle una domanda ma forse lei la potrà ritenere provocatoria quindi se non vorrà rispondere capirò ma sono troppo curioso. Che Ne pensa del processo Knox- Sollecito?

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    1. Penso che quando uscì fuori il vero colpevole non ebbero più il coraggio di riconoscere l'errore iniziale e andarono avanti con un accrocchio illogico. Preghiamo di non cadere mai per sbaglio nelle mani della giustizia italiana.

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  23. Antonio, ultimamente si discute molto sull'arresto di Spezi. Ho visto che i fautori della pista perugina sostengono che fu arrestato per i noti fatti di villa Bibbiani ma non per essere stato colluso con i presunti mandanti. Invece il suo avvocato sostiene il contrario. L'idea che mi sono fatto io è che abbia ragione l'avvocato perché altrimenti come spiegare la confisca del fermaporte a forma piramidale? Te che ne pensi?

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    1. A quanto ne so io venne accusato di depistaggio, cioè di aver fabbricato false prove contro Antonio Vinci. Intanto però Mignini contava di raccogliere prove della sua collusione con i mandanti, della quale si era convinto attraverso il dossier Rizzuto.
      Devo però confessarti di essere arrugginito su questa materia, della quale mi ero interessato anni fa leggendo la sentenza Micheli e "Inviato in galera" di Spezi. Si tratta di un bel libro, che ti consiglio.

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