In questo articolo si cercherà di ricostruire la dinamica
del delitto di Scandicci, avvenuto sabato 6 giugno 1981 con vittime Carmela De
Nuccio e Giovanni Foggi. Al contrario di quella del delitto di Borgo San
Lorenzo, non esistono elementi oscuri o controversi, come non esiste una
perizia da confutare. Le azioni compiute dall’assassino risultano chiare, anche
perché, lo vedremo, il suo rapporto con la vittima femminile fu lineare e freddissimo.
La coppia era uscita verso le 22, dopo una cena a casa
di Carmela. L’accordo con i suoi severi genitori era quello di rientrare entro
un’ora e mezza al massimo. I ragazzi, che si frequentavano da poco tempo, avevano
detto loro che sarebbero andati a mangiare un gelato; in realtà si recarono
immediatamente nel posto dove sarebbero stati uccisi.
I corpi furono rinvenuti per caso la mattina dopo da un
brigadiere di Polizia, Vittorio Sifone, il quale andò subito a chiamare i suoi
colleghi, che a quanto sembra non preservarono troppo la scena del crimine in
attesa dell’arrivo della Scientifica.
La Fiat Ritmo di Giovanni era parcheggiata a lato di una
strada di campagna, poco addentro a un campo di ulivi sul fianco di una
collina, con i quattro sportelli chiusi dei quali i posteriori bloccati
dall’interno e gli anteriori no. Il vetro del finestrino del guidatore era
infranto. Sul sedile di guida, dalla spalliera solo leggermente reclinata,
giaceva il ragazzo con indosso una camicia, gli slip e un paio di jeans sfilati
soltanto dalla gamba sinistra. Il sedile del passeggero era macchiato di sangue
e vuoto, la spalliera reclinata a metà. Fuori, nei pressi dello sportello di
guida, c’era la borsetta di Carmela con il contenuto sparso a terra (almeno così fu trovata dalla Scientifica).
La ragazza giaceva dal lato opposto della strada, in
posizione più bassa, a circa 12 metri dal fidanzato. Le mancavano le scarpe, ritrovate
nell’auto, per il resto era completamente vestita, jeans e camicetta. All’altezza del pube i pantaloni erano stati tagliati
per operare la tristemente nota mutilazione. Particolare che avrebbe ingenerato
sorprendenti supposizioni: la catenina le era salita fin sulle labbra.
Bossoli,
proiettili e ferite. In totale furono recuperati sette bossoli calibro 22, quattro
sul terreno a sinistra dell'auto, poco prima della ruota posteriore a distanza tra i 75 e i 90 centimetri dal centro della stessa, e tre all’interno, due sul tappetino e uno sul divanetto posteriori.
Secondo la perizia De Fazio i proiettili repertati furono sei, tre estratti dal
corpo di Giovanni, uno da quello di Carmela, uno dalla spalliera anteriore
destra e uno raccolto dal tappetino posteriore destro. La perizia Arcese-Iadevito elenca invece tre proiettili e otto frammenti; senza addentrarsi troppo nel confronto va comunque detto, a dimostrazione della solita poca affidabilità delle fonti, che non vi compare il proiettile raccolto dal tappetino.
Giovanni era stato colpito in regione occipitale da due
proiettili (1-2), entrambi ritenuti, uno soltanto dei quali aveva attraversato
le ossa del cranio, e per questo mortale. Un terzo proiettile (6), anch’esso ritenuto
e anch’esso mortale, era penetrato nel torace con un colpo che aveva lasciato
tracce di affumicatura sul foro d’entrata, quindi sparato quasi a contatto.
Il ragazzo aveva inoltre ricevuto tre coltellate, due al
collo sul lato sinistro e una al torace, poco sopra il capezzolo sinistro. Le
tre ferite, poco sanguinanti, erano state inferte post mortem.
Carmela aveva due ferite agli arti superiori: una
all’avambraccio destro (3), con entrata al polso interno e uscita verso il
gomito esterno (per De Fazio la direzione sarebbe stata però contraria), una
all’avambraccio sinistro in prossimità del gomito (4), con entrata sulla parte
esterna e uscita sulla parte interna. Vedremo che questo secondo proiettile aveva
anche prodotto una ferita di striscio al mento. Un terzo proiettile (5),
mortale, aveva attraversato il collo da sinistra a destra, lesionando
irrimediabilmente la colonna vertebrale. Infine un quarto proiettile (7),
ritenuto e mortale, era entrato sotto la scapola sinistra. Tracce di
affumicatura sulla camicetta indicavano una posizione della canna quasi a
contatto.
Nessuna ferita di coltello era stata inferta a Carmela, a
parte la mutilazione del pube.
L’attacco. C’è
chi ritiene che Carmela e Giovanni, al momento dell’aggressione, avessero già
fatto l’amore e quindi stessero rivestendosi. Il motivo fondamentale sarebbe il
lungo lasso di tempo, due ore, tra il momento in cui uscirono e quello in cui i
risultati dell’autopsia collocarono il decesso, mezzanotte. Ma quei risultati
non potevano avere una tale precisione, e nessun altro elemento confermava
quell’orario, poiché nessun testimone aveva visto i ragazzi in giro e non erano
stati uditi colpi di pistola. Nessuna traccia di liquido seminale fu
riscontrata addosso ai cadaveri, e la bustina vuota di un profilattico
recuperata dal pavimento dell’auto poteva risalire a chissà quanto tempo prima
(in effetti nessun profilattico risulta repertato). Anche il fatto che la
ragazza fosse completamente vestita, a parte le scarpe, e il ragazzo già quasi
privo di pantaloni fa presumere l’imminente inizio di un rapporto sessuale, più
che la fine, poiché di solito è sempre il maschio a spogliarsi più in fretta e
soprattutto a rivestirsi più in fretta.
L’aggressore doveva essere già molto vicino al posto,
quando la coppia parcheggiò la propria Ritmo. Forse aspettava proprio loro, che
altri sabati si erano appartati lì, forse contava di sorprendere una coppia
qualsiasi in una zona adatta alla ricerca di intimità. In ogni caso si accorse
dell’arrivo dei ragazzi, si avvicinò e li aggredì quasi subito, quando avevano
appena iniziato a spogliarsi a luce accesa.
Come a Borgo attaccò dalla parte sinistra, ancora una
volta con due colpi in rapida successione a cercare il capo del ragazzo. Il
primo sparo infranse il vetro e colpì di sorpresa Giovanni alla nuca, mentre
era voltato un po’ verso destra nell’atto di sfilarsi la seconda gamba dei
pantaloni. Frenato dall’impatto con il vetro, il proiettile non ebbe la forza
di attraversare la parete ossea del cranio e non fu mortale, ma subito dopo, più
o meno nella stessa zona, ne arrivò un altro, questa volta penetrante con
effetti letali.
Dopo aver liberato il finestrino da qualche frammento di
vetro, l’aggressore rivolse l’arma contro Carmela, sparando ancora due
colpi da fuori, ma la distanza maggiore e soprattutto i movimenti di reazione
della vittima gli impedirono di essere altrettanto preciso. Il primo fu quello
che la ferì all’avambraccio destro, in quel momento alzato e posto più o meno con
l’asse maggiore lungo la linea di tiro. Il proiettile entrò alla base del
polso, uscì in prossimità del gomito e attraversò il sedile, impattando infine
contro la parete dell’auto. Va precisato che Carmela doveva essersi addossata al compagno molto più che l’attrice in foto, altrimenti il proiettile in uscita
non sarebbe potuto entrare nella spalliera.
Per reazione Carmela dovette ruotare un po’ verso la sua
destra, continuando a proteggersi il volto con il braccio sinistro alzato. Il
secondo proiettile la colpì all’avambraccio sinistro, uscì, le sfiorò il mento
e finì la sua corsa dentro la spalliera del sedile, verso la sua sommità (anche
in questo caso l’attrice avrebbe dovuto essere più vicina al ragazzo). Il corrispondente
foro nella fodera presentava tracce di sostanza ematica e capelli, che il
proiettile evidentemente si era portato dietro.
A questi primi quattro colpi esplosi con l’arma fuori dal
finestrino corrispondono i quattro bossoli trovati sul terreno.
A quel punto Giovanni giaceva immobile, mentre Carmela, sopraffatta
dal dolore e dal terrore, si era lasciata cadere sul sedile semi reclinato,
quasi sul fianco destro, urlando o almeno lamentandosi. Per esser sicuro di
ucciderla, l’aggressore decise di avvicinarsi ulteriormente, mise la mano
dentro l’abitacolo e le sparò un colpo cercando la testa. Con mira non proprio
perfetta la colpì invece al collo; il proiettile, passante, incontrò una
vertebra lesionando il midollo e paralizzandola immediatamente. Il bossolo fu
uno dei tre trovati all’interno.
La foto sopra ci mostra gli effetti dell’impatto del proiettile contro la portiera
posteriore destra, con l’evidenza del materiale ematico che vi era schizzato
sopra. Tra questo proiettile e l’altro che aveva attraversato la spalliera ne
fu recuperato soltanto uno dal tappetino posteriore destro.
Con entrambe le vittime ormai neutralizzate l’assassino fece una breve
pausa, durante la quale si guardò intorno e pensò al da farsi. Gli erano
rimasti ancora quattro colpi; decise di usarne due per esser sicuro della morte
dei poveretti. Attraverso il finestrino infranto sbloccò lo sportello di guida,
aprì e sparò un colpo al torace di Giovanni, con l’arma a contatto o quasi.
Poi si sporse ancora e raggiunse il corpo di Carmela, che
dopo il colpo al collo si trovava un po’ sul fianco destro con la spalla
sinistra rialzata. Cercando il cuore, le sparò sotto la scapola.
Entrambi i proiettili furono ritenuti, ed entrambi i
bossoli finirono dentro l’abitacolo.
Infine, per maggior sicurezza e anche per smaltire
l’adrenalina, ripose la pistola e mise mano al coltello vibrando
tre fendenti a Giovanni, due al collo e uno al torace.
Lo spostamento di
Carmela. Raggiunta la sicurezza che i due poveretti erano ormai deceduti, l'assassino iniziò a preoccuparsi della fase successiva, nella quale doveva mettere le mani sul corpo di Carmela. A questo scopo si sporse verso lo
sportello del passeggero sbloccandolo, spense la luce interna e infine uscì dall’abitacolo richiudendo lo sportello di guida. Se fu lui a tirar fuori la borsetta, lo fece in questa occasione. È presumibile che a questo punto avesse fatto una pausa per guardarsi
intorno e raccogliere le idee. Doveva portare a termine un'operazione molto delicata, durante la quale si sarebbe esposto al
pericolo d'esser visto. Quindi dovette accertarsi dell’assenza di estranei in
arrivo e scegliere un posto dove depositare il cadavere.
Il terreno sul quale l'assassino si trovava a dover operare era in pendenza, molto esposto al possibile passaggio di altre
coppiette in cerca d’intimità. Qualche metro più in basso correvano due strade
che s’incrociavano, e quindi gli sarebbe servito a poco nascondersi dietro la
Ritmo, dall’una o dall’altra parte i fari delle eventuali auto in transito
avrebbero illuminato la scena. D’altra parte anche i radi ulivi lo potevano
aiutare ben poco, quindi non gli rimaneva che allontanarsi alla ricerca di un posto più riparato. Una volta effettuata la sua scelta, tornò all'auto, spalancò
la portiera del passeggero, estrasse il corpo di Carmela e richiuse
(come già aveva fatto con la portiera di guida, dimostrando quindi
prudenza e freddezza assieme).
Come si vede nell’immagine sopra, l'individuo trasportò il corpo oltre la strada più in basso. A questo scopo dovette compiere un tragitto di circa 12 metri, probabilmente tenendo Carmela sollevata da terra, anche se i dati disponibili sono contrastanti. Al processo Pacciani (vedi), durante il controinterrogatorio della difesa, il brigadiere Sifone raccontò di aver visto evidenti tracce di trascinamento.
Bevacqua: C'erano tracce di trascinamento di questo cadavere?
Sifone: C'era dalla macchina al luogo dov'era posta la ragazza.[...] C'era l'erba accanto, sulla scarpata piccola che fiancheggiava l'autovettura, c'era l'erba alta di circa 40/50 centimetri, non voglio esagerare.
Bevacqua: Era piegata.
Sifone: Era schiacciata
dalla parte dell'autovettura verso il luogo dove si trovava la ragazza poi
ancora sulla strada del contadino, che c'è la ghiaia, presentava dei segni
dov'era stata trascinata probabilmente la ragazza. Poi ancora l'erba sull'altro
pezzettino di strada residuale era pure schiacciata verso il luogo dove si
trovava la ragazza.
Però quel trascinamento non aveva lasciato alcun segno particolare sul corpo, tanto da far ritenere a Giovanni Autorino della Scientifica, e non solo a lui, che fosse stato sollevato (vedi).
PM: Allora, veniamo a qualche domanda. Fra l'auto e il posto dove era la ragazza apprezzate segni di trascinamento?
Autorino: [...] Abbiamo fatto un'ispezione intorno perché
rientra, diciamo, tra quella che è la nostra attività, però se debbo dirle che
lì io ho visto segni di trascinamento, purtroppo no. Posso dire un'altra cosa
quasi in fine, in coda al sopralluogo, abbiamo voluto verificare sotto i
talloni della ragazza se vi erano tracce. [...]
Abbiamo guardato anche il fondo dei pantaloni per vedere se nel
trascinamento si fosse imbrattato di terriccio; e stessa osservazione l'abbiamo
rivolta alla parte posteriore del tronco e dei capelli. Sì, è vero che c'erano
delle pagliucole e cose del genere, ma questo poteva essere dovuto alla caduta
nel piccolo precipizio che stava lì oltre la strada.
PM: Quindi su questi
talloni segni evidenti di trascinamento non ci sono.
Autorino: Assolutamente,
perché fra l'altro l'abbiamo guardato con quelli di medicina legale, perciò...
PM: Il suo collega
invece ha detto che era rimasto impressionato dall'erba abbassata. Lei questo
dato non l'ha apprezzato?
Autorino: Non l'abbiamo
apprezzato e penso che, poi sul posto c'era il dottor Izzo, seppure ne avesse
sentito lui prima di noi, sicuramente ce lo avrebbe fatto notare, ecco.
Autorino e colleghi erano giunti con ritardo sul posto rispetto a Sifone, quindi è senz'altro possibile che al loro arrivo i segni di trascinamento sul terreno si fossero ridimensionati, sia per l'erba tornata in posizione, sia per il maldestro calpestio di poliziotti e carabinieri. Sembra strano però che di quel lungo trascinamento tra erba e terriccio non fosse rimasta traccia alcuna sul corpo di Carmela.
Le perplessità aumentano di fronte alla foto in cui si vede la collana tra le labbra della
ragazza. Si tratta di una posizione non conseguente a un trascinamento, ma al
collo penzoloni, probabilmente mentre l'assassino si era caricato il corpo
sopra una spalla. Quindi doveva trattarsi di un individuo piuttosto robusto,
come già aveva ipotizzato l'equipe De Fazio:
Il corpo della ragazza ormai
esamine è stato asportato dall'auto e trasportato, più che non trascinato a
10-12 metri di distanza dall'auto, e di qui sospinto o trasportato in un
infossamento del terreno: la manovra [...] denota di per sè una certa forza e
robustezza da parte dell'omicida [...]
In ogni caso lo sforzo fu premiato dal
raggiungimento di una posizione ben riparata rispetto alle strade sovrastanti, come ben mostra la foto sopra.
La luce dei fari e il rumore del motore avrebbero avvertito per tempo
l’assassino dell’arrivo di un’auto, consentendogli di acquattarsi e spegnere la
luce della torcia che doveva aver piazzato a terra mentre stava effettuando la
tristemente nota operazione del taglio del pube.
La borsetta. Uno dei primi elementi che insospettì Vittorio Sifone, almeno da quanto lui stesso avrebbe dichiarato al processo Pacciani, fu una borsetta giacente a terra, davanti allo
sportello di guida. Si trattava della borsetta di paglia di Carmela. I
documenti ci riportano che il contenuto – un mazzo di chiavi, la carta
d’identità, oggetti per il trucco, due biglietti del bus – era sparso all’intorno,
tanto da far ritenere a tutti i commentatori che fosse stato l’assassino, in
cerca di qualche souvenir, a
rovesciarvelo. Ma si può esser proprio sicuri di questo? Non troppo.
Va innanzitutto preso atto di tre
elementi. Il primo: le cronache non ci riportano di alcun oggetto mancante. Il
secondo: l’assassino non prese la collanina rimasta appoggiata alle labbra di
Carmela, un souvenir che
difficilmente avrebbe potuto essere migliore. Il terzo: in tutti i delitti
successivi la borsetta, dove c’era, sarebbe stata comunque lasciata al suo
posto (Calenzano, Baccaiano, Vicchio).
Sifone e colleghi rimasero per un
po’ a presidiare la scena del crimine prima dell’arrivo dei rinforzi. In quel
frangente si accertarono dell’identità delle vittime recuperando i loro
documenti, e inevitabilmente inquinarono almeno un po’ la scena del crimine. La
carta di Carmela da dove l’avevano presa? Era già a terra oppure l’avevano
recuperata dalla borsetta e a terra l’avevano poi lasciata loro, magari assieme
ad altri oggetti anch’essi tolti? La domanda è legittima, anche perché al
processo Pacciani la deposizione del poliziotto (vedi)
lasciò qualche dubbio.
Cominciamo col dire che, descrivendo le circostanze della scoperta del delitto, il teste affermò senza incertezze di aver trovato la borsetta a terra.
Sifone: Fatti alcuni passi
ancora notai che alla parte esterna sinistra della macchina sul terreno c'era
una borsa di colore chiaro.
PM: Una borsa?
Sifone: Una borsa o bianca
o beige, se ricordo bene.
PM: Una borsa grande o
una borsa piccola?
Sifone: Piccola. Una borsa
che portano le signore.
PM: Da signora. Era
fuori della macchina, lato sinistro.
Sifone: Lato della
macchina, per terra.
PM: Lato sinistro.
Sifone: Lato sinistro.
PM: Vicino allo
sportello.
Sifone: Vicino allo
sportello al posto di guida.
Interrompendo il teste che aveva proseguito la propria narrazione, il Pubblico Ministero si mostrò ancora interessato alla borsetta.
PM: Questa borsetta o borsa era aperta o chiusa?
PM: Questa borsetta o borsa era aperta o chiusa?
Sifone: Mi scusi, se lei mi fa raggiungere il racconto...
Se è comprensibile che Sifone avesse preferito proseguire con il racconto che si era preparato in anticipo, lo è un po' di meno la mancata risposta alla semplice domanda. In ogni caso salta all'occhio che non
parlò affatto di oggetti per terra. E la carta d’identità?
PM: Quello che voglio chiedere a lei è che da quando voi arrivate con questa volante, siete lei e dei suoi colleghi, poi arrivano gli altri, nessuno tocca nulla?
Sifone: Nessuno,
assolutamente.
PM: La macchina non
viene toccata.
Sifone: Assolutamente.
PM: Voi presidiate,
come si suol dire, la zona in attesa delle persone che...
Sifone: Mi scusi, l'unica
cosa che è stato fatto, ecco, è stato prelevato un documento di riconoscimento,
non so se era patente di guida o carta d'identità, non ricordo ora, per
identificare le persone. È l'unico...
PM: È stato prelevato
sia dall'uomo che dalla ragazza?
Sifone: È venuto fuori
quello della ragazza.
PM: È stato prelevato
sia dall'uomo che dalla donna?
Sifone: Sì.
PM: Per vedere chi
erano?
Sifone: Chi erano.
PM: Benissimo. Quindi
poi toccaste solo per fare quest'operazione. La fece lei questa operazione?
Sifone: Io e un altro
collega che era sopraggiunto sul posto.
PM: Ecco, fatta questa
operazione, i documenti li trovaste addosso?
Sifone: No, no, la borsa
era aperta.
PM: Oh, ecco. La borsa
era fuori della macchina già aperta.
Sifone: Già aperta, sì.
PM: Non la aprì lei.
Sifone: No, non la aprii
io, era già aperta.
PM: Bene, lei...
Sifone: Poi il collega
successivamente si interessò di identificare la persona che era al posto di
guida chi era.
PM: Quindi la donna fu
identificata dal documento che era nella borsa già aperta.
Sifone: Sì
Quindi non soltanto dalla
deposizione non erano ancora emersi gli oggetti sparsi a terra, ma Sifone aveva lasciato intendere che la carta d’identità di Carmela l’aveva
presa dalla sua borsetta – trovata già aperta – confermandolo poi a domanda
diretta del Pubblico Ministero. Di oggetti sparsi a terra nessuno parlò neppure
quando quegli oggetti comparvero in almeno una delle foto visionate in aula. Fu
il Presidente a farlo, dopo il controinterrogatorio di Bevacqua, in uno scambio
che aggiunge un’importante informazione.
Presidente: Piuttosto, mi pare
d'aver visto in una di queste fotografie che il contenuto della borsetta era
rovesciato tutto al di fuori. Possiamo tornare indietro e vederlo? Era al
suolo.
Sifone: Sì, per terra,
accanto alla macchina, al lato posteriore sinistro accanto al posto di guida.
Era per terra.
Presidente: Come se si fosse
rovesciato nel cadere, o sembrava fosse stata aperta? Vediamo un po' questa
fotografia, ecco.
Sifone: L'impressione, mi
scusi, può anche non tenerne conto.
Presidente: No, no, lei...
Sifone: L'impressione
che...
Presidente: L'impressione sua
di allora, oggi è una circostanza di fatto, capito? Quindi lo dica:
l'impressione?
Sifone: L'impressione che
io ho avuto allora è che la borsa è stata buttata all'assassino dalla ragazza
che si trovava in macchina per difendersi. […]
Presidente: Ricorda questo
particolare, gli oggetti sparsi attorno alla borsa?
Sifone: Sì, sì, lo
ricordo.
Presidente: La borsa era aperta
o era chiusa?
PM: Ecco, ecco…
Sifone: Naturalmente era
aperta, la borsa, perché c'era la roba per terra.
Presidente: “Naturalmente”,
non è detto.
Sifone: Eh, si.
PM: A noi sembra
chiusa.
Presidente: Si ricorda se era
aperta?
Sifone: La borsa l'ho
vista per terra, e gli oggetti sparsi accanto la borsa.
PM: Sembra chiusa.
Sifone: Ma comunque io non
voglio affermare al cento per cento che sia chiusa. Io ho notato la borsa e
questi oggetti sparsi accanto alla borsa, non mi sono soffermato a vedere se
era aperta o era chiusa, perché non era il caso in quella circostanza.
Presidente: Il dato obiettivo è
lì.
Dopo l’osservazione del
Presidente riguardo gli oggetti sparsi a terra anche Sifone parve ricordarsene
(ma la foto l’aveva vista anche lui). E una borsa che fino a quel momento si
era detto sicuro d’aver trovata aperta si scopre poi che in foto appariva chiusa.
Sono percepibili il suo imbarazzo e la perplessità del Presidente. A questo
punto il sospetto che la carta d’identità, con gli altri oggetti, fosse stata
tolta e lasciata a terra dal brigadiere – e la borsetta stessa chiusa poi con
gesto meccanico, o forse richiusa – è legittimo, anzi, a parere di chi scrive è
qualcosa in più di un sospetto. A darne conferma è anche l'ipotesi avanzata dallo stesso Sifone che quella borsetta l'avesse lanciata la ragazza contro il suo aggressore. Avrebbe avuto quest'impressione se avesse trovato la borsetta vuota con il contenuto sparso a terra? Probabilmente no, avrebbe pensato all'opera del Mostro.
Come era finita la borsetta
fuori dall’auto? Che fosse stata ritrovata aperta oppure chiusa, piena oppure vuota, l’ipotesi di Sifone è comunque da scartare. Dal proprio posto Carmela
ben difficilmente avrebbe potuto lanciarla attraverso l’apertura opposta, per
di più in gran parte coperta dalla sagoma dell’aggressore. Se era stato il Mostro a tirar fuori la borsetta, l'unico momento logico in cui poteva averlo fatto era quello successivo ai due colpi di grazia, mentre stava sporgendosi per sbloccare la portiera del passeggero. In questo modo se ne spiegherebbe bene il ritrovamento accanto allo
sportello di guida.
Ma perché l’aggressore avrebbe tirato fuori la borsetta per poi ignorarla? Forse si era trattato di una questione pratica. Al momento dell’attacco poteva stare sulle gambe o sul grembo di Carmela che vi stava prendendo o riponendo qualcosa, quindi forse aperta. Quando, a vittime neutralizzate e luce interna spenta, l'aggressore cercò di raggiungere la maniglia dello sportello opposto è possibile che avesse deciso di sbarazzarsene per non trovarsela tra i piedi nella fase di estrazione del corpo, o anche perché in quel momento stava coprendo la maniglia stessa. Si tratta di un'ipotesi un po' forzata, ma d'altra parte chi scrive non ne ha trovata una migliore. E allora, pensando molto male, si potrebbe persino sospettare che non soltanto i maldestri poliziotti ne avessero rovesciato a terra il contenuto, ma che anche fossero stati loro a toglierla dall'interno dell'auto dove doveva stare in origine.
Ma perché l’aggressore avrebbe tirato fuori la borsetta per poi ignorarla? Forse si era trattato di una questione pratica. Al momento dell’attacco poteva stare sulle gambe o sul grembo di Carmela che vi stava prendendo o riponendo qualcosa, quindi forse aperta. Quando, a vittime neutralizzate e luce interna spenta, l'aggressore cercò di raggiungere la maniglia dello sportello opposto è possibile che avesse deciso di sbarazzarsene per non trovarsela tra i piedi nella fase di estrazione del corpo, o anche perché in quel momento stava coprendo la maniglia stessa. Si tratta di un'ipotesi un po' forzata, ma d'altra parte chi scrive non ne ha trovata una migliore. E allora, pensando molto male, si potrebbe persino sospettare che non soltanto i maldestri poliziotti ne avessero rovesciato a terra il contenuto, ma che anche fossero stati loro a toglierla dall'interno dell'auto dove doveva stare in origine.
Considerazioni. La questione della borsetta potrebbe sembrare
irrilevante, ma non è così. Il fatto che l’assassino l’avesse ignorata non
farebbe altro che confermare una generale ed enorme differenza del suo
atteggiamento verso Carmela De Nuccio rispetto a quello di sette anni prima
verso Stefania Pettini. La borsetta di quest’ultima lo aveva interessato,
eccome, tanto da essersela portata via per esaminarne il contenuto in tutta
tranquillità a casa propria, anche se poi era stato costretto a rinunciare. Molti
altri elementi facevano supporre un suo interesse speciale per Stefania, lo
abbiamo visto, mentre per Carmela manifestò una completa indifferenza. Voleva
ucciderla subito e subito la uccise dandole anche un freddo colpo di grazia con
la pistola, e non con il coltello, arma di elezione per la maggioranza dei suoi
tristi colleghi. Era ancora vestita e vestita rimase, con un taglio dei
pantaloni strettamente funzionale alla mutilazione, la quale venne compiuta in
modo asettico, quasi si fosse trattato di un prelievo in sede autoptica.
Di lì in avanti il Mostro, così
iniziò a essere chiamato, si comportò in modo identico nei riguardi di tutte le
proprie vittime femminili, tantoché possono avanzarsi seri dubbi sulle sue
motivazioni, per il taglio del pube e poi di un seno di apparente natura
sessuale. Il lettore rifletta bene sulle parole pronunciate dal giudice Mario
Rotella in questo filmato,
tratto dalla puntata di "Telefono Giallo" trasmessa il 6 ottobre 1987.
Questi omicidi sono compiuti freddamente,
senza una ragione, senza un interesse a commetterli, come di norma avviene
quando si commette un omicidio. Ecco, questo aspetto deve, a mio avviso, farci
riflettere che il tipo di autore che si è costruito nell’opinione pubblica
attraverso la divulgazione dei particolari, anche agghiaccianti scoperti sui
luoghi del reato, direi questa divulgazione erronea dà una falsa idea
dell’autore dei delitti. Potrebbe essere un maniaco sessuale, ma non mi pare
sia questo il dato pregnante. Il dato pregnante, nel caso di specie, è che si
tratta di una persona che uccide senza motivazioni concrete altre persone […].
Ogni volta questo avviene, e ogni volta non c’è un metro di riferimento. Ecco che il tipo di autore che bisogna cercare
a mio avviso è diverso da quello che si pensa si debba ritrovare. Non è il
maniaco sessuale, nell’accezione comune del termine. Abbiamo a che fare
piuttosto con un pazzo paranoico.