Dopo averne
esaminato la nascita e l’utilizzo nel processo Pacciani, vedremo adesso come la
pista della lettera a Vanni andò a inserirsi nell’inchiesta successiva, dove si
arricchì di particolari nuovi emersi da nuove audizioni, che poi vennero opportunamente
stirati e deformati per adattarsi a un diverso contesto. Tali particolari riguardarono
il presunto contenuto, l’intenzione manifestata da Vanni di rivolgersi a un
avvocato e addirittura ai carabinieri e il numero delle lettere, forse due o
anche più. Nel prosieguo si cercherà di esporre e commentare queste novità con
un certo ordine.
“Fatti di sangue”. Dopo aver usufruito
del suo secondo momento di gloria in dibattimento – 8 giugno 1994, qui
la nota degli uomini della SAM che il precedente 27 maggio erano andati ad
ascoltarlo –, passato qualche mese, appena uscita la sentenza di condanna Lorenzo
Nesi ne visse un terzo sui giornali. Il 3 novembre 1994, infatti, uscì un
articolo su “Repubblica” intitolato “Ma Pacciani non colpì da solo” contenente sue
clamorose dichiarazioni. Il lettore può farsi un’idea dell’accaduto leggendo il
documento che la SAM il giorno dopo inviò in procura (vedi),
contenente sia l’articolo – stranamente non disponibile online sul sito di
“Repubblica” – sia le spiegazioni
fornite da Nesi. Riguardo la lettera, Nesi ribadì le sue precedenti dichiarazioni.
È
superfluo che io ripeta che confermo in maniera integrale quanto ho già
riferito alla A.G. e a voi della Polizia nelle precedenti verbalizzazioni. In
particolare mi riferisco al terrore esternato da VANNI Mario nel ricevere la
lettera che il Pacciani gli inviò dal carcere, alla sua frequentazione insieme
al Pacciani di un bar di Signa, ed alla loro annosa relazione con SPERDUTO
Antonietta, vedova Malatesta.
Il 13 novembre
1995, in piena epoca di ricerca dei complici, Nesi ebbe modo di fornire il
proprio aiuto ancora una volta, dando ulteriore dimostrazione della sua
tendenza a fornire “racconti a rate”, come avrebbe scritto lo stesso
Michele Giuttari ne Il Mostro.
Riguardo la lettera, infatti, ecco le sue dichiarazioni come appaiono nel sintetico
verbale riassuntivo (vedi).
Il NESI ha inoltre
parlato a lungo della lettera ricevuta dal VANNI indirizzatagli dal PACCIANI,
in particolare i motivi dell'urgenza di recarsi subito a casa dell'Angiolina
mettendo in evidenza che, secondo quanto a sua conoscenza, l'Angiolina non
sapeva leggere per cui ha capito solo che era una cosa che rendeva il VANNI
molto agitato e che nella lettera si parlava di cose grosse di “fatti di sangue” precisando,
comunque, che non aveva avuto modo di conoscere il contenuto esatto della
lettera.
Sembra niente,
ma la nuova espressione “fatti di sangue” – quando in precedenza Nesi aveva
parlato soltanto di “fatti gravi” –, avrebbe costituito una
notevolissima differenza nel peso assegnato alla lettera, che Nesi continuò ad
affermare di non aver letto; ma allora, che dentro si parlava di “fatti di sangue”
come faceva a saperlo, glielo aveva raccontato Vanni? Sembra davvero poco
probabile, e in ogni caso c’è da chiedersi il perché non lo avesse detto durante
la fase precedente, sia in istruttoria sia in dibattimento. Forse l’espressione
era magicamente sorta nell’ambito di una delle numerose scorribande condotte all’interno
dei propri ricordi – “Pensando con mente ferma e con mente lucida e chiara, in
diversi giorni, mi ricordavo di diversi episodi di Pacciani, questo il metodo –, dove veniva su quel che
veniva su, ricordo o invenzione che fosse, ed è un vero peccato che chi scrive
non abbia disponibilità della trascrizione integrale del SIT per capir meglio
il contesto in cui la locuzione era stata pronunciata. Ma vediamone lo
spregiudicato utilizzo da parte della procura qualche tempo dopo.
In seguito alle
rivelazioni di Fernando Pucci e poi di Giancarlo Lotti, il 12 febbraio 1996,
con tanto di fanfara, Mario Vanni venne portato in carcere. Il 16 comparve
davanti al giudice Valerio Lombardo per l’interrogatorio di garanzia. Purtroppo
chi scrive ha disponibilità di una trascrizione OCR del relativo verbale
piuttosto disastrata (vedi),
per quanto possibile rimessa in condizioni migliori, dalla quale si evince
comunque l’assoluta incapacità dell’individuo nel difendersi. Perché era
colpevole? Il lettore giudichi pure da sé. Riguardo la lettera, diverse furono
le domande di Lombardo, che accennò anche ai “fatti di sangue”, evidentemente
contenuti nella richiesta d’arresto della procura:
Lombardo: Ma specialmente ci fu un episodio che Lei non ha mai voluto
chiarire... cioè quando il PACCIANI era in carcere per il fatto delle figlie le
scrisse una lettera, e Lei era talmente impaurito per questa lettera che ne
parlò con quel suo amico veterinario... ne parlò con il LOTTI... aveva una gran
paura, voleva andare addirittura dai carabinieri... fece delle allusioni, fatti
gravi ... fatti di sangue..., doveva parlare anche con la moglie di PACCIANI poi non
so se ci andò o non ci andò ... Che c'era scritto in quella lettera?
Vanni: C'era scritto che l'avevan messo dentro per via delle
figliole.
Lombardo: Come?
Vanni: La lo fecer metter dentro per via delle figliole ... poi
c'era scritto: ti rammenti delle merende...
Tre giorni dopo
Vanni fu interrogato in carcere da tre magistrati, Fleury, Canessa e Crini (qui
il verbale riassuntivo, qui
una parte della trascrizione). Moltissime le domande sulla lettera, sempre
quelle però le risposte. Vale la pena notare l’insistenza di Canessa sulle “cose di sangue”,
locuzione sincretica delle “cose grosse” e dei “fatti di sangue” di Nesi.:
Canessa: Senta una cosa, sa cosa è? Il Nesi riferisce che in quella
lettera si parlava di cose di sangue, di cose brutte, dice il Nesi, che gliel’ha riferito lei.
Perché il Nesi dice che non l’ha vista. Quindi se il Nesi riferisce questo, non
glielo può che aver detto lei. Dice il Nesi: “Vanni mi disse: ‘Portami di
corsa’, perché in questa lettera si parla di cose brutte, cose di sangue”. Ecco perché
lei non la portò ai Carabinieri, secondo quello che dice il Nesi. Perché lei
disse al Nesi che si parlava di cose brutte, cose
di sangue?
Vanni: Ma io non gliel’ho detto...
Canessa: Così ha riferito il Nesi. Il Nesi dice così. Dice: “Cose
brutte, cose di sangue”, dice il Nesi. […]
Si può prendere le
dichiarazioni rese dal Nesi, sono in questi atti, le ha rese anche nel
dibattimento. Dice: “Vanni volle che lo portassi subito dall’Angiolina perché
aveva ricevuto una lettera dal Pacciani in cui si disse: si parla di cose
brutte, di cose di sangue”. Allora vede che lei... torna il discorso che prima andò
dall’Angiolina, questa ci rimase male, perché si parlava di cose di sangue... […]
Quali erano queste cose di sangue che c’erano
scritte in questa lettera? O quali erano queste cose brutte? Le scriveva lui,
quindi sono fatti che riguardavano il Pacciani, o riguardavano anche lei, e per
questo non le portò ai Carabinieri?
Vanni: Riguardavano il Pacciani. Delle figliole.
Canessa: E cos’erano le cose di
sangue? L’ha detto lei al Nesi che erano cose di sangue, e lei ha
ammesso di sì, l’ha detto ora, no? Però dice: “Riguardavano il Pacciani”.
Cioè?
Vanni: Quelle cose che gli aveva fatto alle figliole.
Canessa: Alle figliole non aveva mica fatto cose brutte, cose di sangue, era bell’e in
carcere per quelle lì, non c’era mica bisogno di correre. Dov’era la fretta?[…]
E non c’ha niente a
che fare? E gli va a portare a casa una lettera alla moglie in cui si parla di cose di sangue, violente, brutte?
O era una minaccia, perché nelle lettere... che voleva raccontare cosa faceva
lui? Difficile, che gli raccontasse cosa faceva lui. Cosa gli raccontava di
queste merende, giù? Cosa vuole dire: “Riguardavano il Pacciani”?[…]
Perché rimase male?
Cos’erano queste cose brutte e di sangue?
Probabilmente la
fortunata espressione ebbe anche una parte non indifferente nell’ispirare il titolo
di due libri di grande successo, Compagni
di sangue di Giuttari e Lucarelli e Dolci
colline di sangue di Spezi.
Naturalmente
Nesi ebbe la possibilità di illustrare i propri nuovi ricordi anche in
dibattimento, il 4 luglio 1997 (vedi).
Vediamo l’argomento dei “fatti di sangue”:
Nesi: Dunque, io ero a lavorare, era un pomeriggio verso le
cinque. […] Venne Mario, mi disse: “Mi porti a Mercatale dall'Angiolina? Perché
gli ho da fare... mi ha scritto Pietro dal carcere che gli devo portare una
lettera”. Io: “Boh, un tu puoi andar da te?”, perché teniamo presente che Mario
la mattina passava, però pioveva, sicché forse in Vespa non ci voleva andare.
[…] Io dico: “Tu passi di lì domattina”, passa a 500 metri, un chilometro. Va
be', comunque insisté e io lo portai. “Che ti scrive Pietro di carcere?” […] E
lui tirò fuori di tasca la lettera. Mentre io guidavo il furgone […] dice: “Guarda,
m'ha scritto, bisogna porti questa lettera all'Angiolina”. Io non sapevo
nemmeno che di carcere si pole scrivere, non lo so. “Icché vole?”. “Mah, c'è
cose grosse, c'è fatti brutti e c'è cose di sangue”. Io, sa, Mario l'ho
sempre...
PM: Di sangue.
Nesi: Sì, sangue, sangue. Sì, sì, questa è la realtà. Mario l'ho
sempre preso come, come gli posso dire, non gli so trovare l'espressione
giusta, come la persona che non sai mai se fa burletta, se dice le cose
scherzando […]
PM: Lei, scusi, quando disse “fatti brutti, fatti di sangue”,
gli chiese spiegazioni o no?
Nesi: No, no.
Gliene ripeto, io lo portai a Mercatale. Gli dissi: “Ti devo aspettare, Mario?
Ti devo aspettare?”.
PM: Lo portò a casa della...
Nesi: Lo portai davanti al bar a Mercatale, feci il giro così, me
ne ricordo bene; pioveva, lo lasciai davanti al bar: “Ti devo aspettare?”. Di
solito mi diceva: “Piglia un caffè, aspettami dieci minuti”. “No – mi disse – “vai
via”. Io presi e venni via.
PM: Ma pioveva, era a piedi, e come tornava da Mercatale a San
Casciano?
Nesi: Non lo so.
Secondo Nesi,
dunque, Vanni gli avrebbe detto di andarsene, la qual cosa, secondo lui,
sarebbe stata strana. Strana perché? Perché in altre occasioni invece gli
avrebbe chiesto di aspettarlo – ma in quali? non certo in quelle di
accompagnamenti a casa Pacciani, altrimenti li avrebbe raccontati! E in ogni
caso di tutto questo al giro precedente nulla aveva detto. Dalla deposizione
del 23 maggio 1994 al processo Pacciani (vedi):
PM: Lei lo accompagnò e poi lo aspettò, quando uscì Vanni…
Nesi: No, io l’accompagnai e venni via.
PM: O come? Non pioveva e lo lascia lì lei?
Nesi: Gli avrà preso l’autobus. Io… dottor Canessa l’accompagnai…
PM: Sì, sì, io… mi limito a cercar di capire. E lei non era
nemmen curioso di sapere che cosa…
Nesi: No.
PM: No.
Nesi: Non me ne importava nulla.
Si capisce bene
che Nesi, secondo questa prima deposizione, aveva accompagnato Vanni e l’aveva
lasciato lì, con un comportamento del tutto naturale e privo di ombre. Del
resto, a fronte della perplessità di Canessa per la pioggia, aveva osservato: “Gli avrà preso
l’autobus. Io… dottor Canessa l’accompagnai…”, come dire, per il
ritorno problemi suoi, io avevo già fatto anche troppo ad accompagnarlo.
Una o più lettere? Un secondo elemento
di novità fu la scissione della lettera in più di un esemplare. Per primo ne
parlò Walter Ricci, il 27 novembre 1995 (vedi).
A interrogarlo Vigna e Canessa, la qual cosa fa ben capire l’importanza di ciò
che in quel momento stava bollendo in pentola, con il processo di secondo grado
a Pacciani alle porte e le provvidenziali rivelazioni di Pucci e Lotti ancora
di là da venire.
Circa
lettere ricevute da VANNI, spedite da PACCIANI, mi sembra di ricordare che il
VANNI mi abbia parlato di due lettere in tal senso: io non le ho mai viste, il
VANNI non me le ha mai fatte vedere.
Il
racconto del VANNI era nel senso che in queste lettere PACCIANI, che era in
carcere, scriveva a VANNI minacciandolo nel senso che non doveva dire nulla, se
veniva interrogato, in merito ai loro rapporti.
Ho
ricordi più precisi circa una di queste lettere nella quale, secondo il VANNI,
il PACCIANI gli diceva di andare a casa dalla moglie a prendere o a portare
qualcosa. Per quel che ricordo il VANNI ha esitato un po’ dicendo che non
voleva andare dall'Angiolina ma il VANNI non mi ha mai raccontato se ci sia
andato o meno. Si tratta di lettere pervenute prima della scarcerazione del
PACCIANI avvenuta nel dicembre 1991.
Mai in
precedenza Ricci aveva parlato della lettera. In questo SIT fornì invece vari
particolari, alcuni inediti – più avanti ne vedremo altri –, tutti però
dipendenti da ricordi poco definiti o da supposizioni personali. Le lettere
avrebbero potuto essere addirittura due, ma l’espressione “mi sembra di ricordare” non lascia
molto tranquilli. In una Pacciani avrebbe chiesto a Vanni di andare
dall’Angiolina “a
prendere o a portare qualcosa”: qualcosa cosa? e poi, a prendere o a
portare? non è uguale. Infine, Vanni doveva andare dall’avvocato Corsi per “fargli vedere una
cosa”: la lettera? forse, aveva pensato Ricci.
Ricci venne
interrogato di nuovo il 6 maggio 1996 (vedi).
Circa
lettere pervenute a VANNI dal PACCIANI che era in carcere ho già detto tutto
ciò che so. Parlava sempre di una lettera di minaccia, che io però non ho mai
visto, ne ha parlato a lungo per diverso tempo per cui sono portato a credere
che si sia trattato di più di una lettera. Almeno due. La prima volta che mi
parlò di questa lettera il discorso era il seguente: “BISOGNA CHE VADA
DALL'ANGIOLINA IN TUTTE LE MANIERE PERCHÈ DEVO PRENDERE QUALCOSA”. Aggiungo
però che su questo ultimo particolare non ricordo se dicesse se doveva prendere
o portare qualcosa a casa dell'Angiolina. Di sicuro si riferiva a qualcosa che
doveva fare a casa dell'Angiolina.
Era una lettera
sola? Erano più d’una? “Ne ha parlato a lungo per diverso tempo per cui sono portato
a credere che si sia trattato di più di una lettera”, disse Ricci,
quindi che potessero essere state più d’una era soltanto una sua ipotesi basata
peraltro su labilissimi elementi – il fatto che Vanni ne avesse parlato a lungo
–, della quale, lo vedremo più avanti, avrebbero abusato i giudici. E sul
portare, prendere o fare?
In ogni caso l’affidabilità
della testimonianza Ricci sull’intero argomento lettera è davvero poco
rassicurante. E per dimostrarlo basta compiere un altro salto in avanti nel
tempo, fino alla sua deposizione, l’8 luglio 1997 (vedi).
PM: Senta, può darsi che lei abbia riferito di aver saputo da Vanni
che le lettere erano due, anziché una?
Ricci: Mi sembra due, però io... di una sono sicuro; dell'altra no.
PM: Lei le ha mai viste queste...
Ricci: Mai.
PM: E ricorda che tipo di minaccia riferì Vanni a lei che era
contenuta in queste lettere?
Ricci: Mah...
PM: Cosa doveva fare, perché lo minacciava?
Ricci: “Mi ha minacciato, mi ha minacciato. Ora
quando esce me la fa scontare”. Però... in che maniera gliela facesse scontare,
non lo so.
PM: Ma che cosa aveva fatto per cui...
Ricci: Perché aveva chiacchierato troppo, dice.
Sul fatto che le lettere fossero state due il teste continuò con i “mi sembra,
però…”, tantoché possiamo tranquillamente archiviarlo come puro frutto di sue
esternazioni gratuite. Nonostante questo, si noti come l’astuto Canessa avesse
continuato a parlare di più lettere, e il motivo sarà chiaro tra breve.
Sul contenuto Ricci raccontò di minacce perché Vanni aveva parlato troppo, ma il PM
non rimase soddisfatto, e lo incalzò contestandogli le dichiarazioni rese in
istruttoria.
PM: Senta una cosa: lei, può darsi che relativamente al contenuto di
una di queste lettere, ci fosse l'invito ad andare a casa della moglie di
Pacciani?
Ricci: No.
PM: Lei ha riferito, dice: “Ho ricordi più precisi circa una di queste
lettere, nella quale, secondo il Vanni, gli diceva di andare a casa della
moglie a prendere o a portare qualcosa”. Questo ricordo come le è venuto?
Ricci: Mah, me lo avrà detto lui, senz'altro. Però io, in questo
momento...
PM: Lei poi aggiunge: “Per quel che ricordo, il Vanni ha esitato un
po' dicendo che non voleva andar dall'Angiolina, ma il Vanni non mi ha mai
raccontato se ci è andato, o meno. Si tratta di lettere pervenute prima della
scarcerazione del Pacciani che è del dicembre '91”. È così?
Ricci: Va bene...
PM: No, va bene...
Ricci: No, se c'è scritto costì...
PM: Lo ha detto lei.
Ricci: Non me lo ricordo. Che vuole...
PM: Ora gliel'ho riletta...
Ricci: Benissimo, benissimo.
PM: “Benissimo”, nel senso che è così?
Ricci: Sì, è così.
Come si vede, gli
incerti – e probabilmente compiacenti – ricordi di Ricci in istruttoria
divennero un’arma in mano al PM in sede dibattimentale, con il conseguente tradimento
dello spirito del nuovo rito accusatorio. Il 27 novembre 1995 Ricci aveva
rilasciato testimonianza davanti a due PM, Vigna e Canessa, in un clima di
febbrile bisogno di novità, nel quale facilmente potrebbe essere stato
condizionato, in modo più o meno consapevole, dalle esigenze dei propri
interlocutori. Proprio per scongiurare casi come questo il rito accusatorio
prevede che il teste debba ripetere le proprie dichiarazioni in dibattimento, e
che solo queste valgano. Ma le possibili contestazioni a suon di verbali – che
la legge prevede – molto spesso finiscono per vanificare questo buon proposito,
probabilmente come nel caso di Ricci.
A gettare ombre inquietanti
sulla testimonianza Ricci concorre anche un altro elemento. Nel verbale della
prima audizione, il 13 novembre 1991, si legge il passo seguente: “A me il Vanni non
ha mai detto di aver ricevuto lettere dal carcere da parte del Pacciani”.
Nella trascrizione OCR del documento resa disponibile nella prima parte di
questo articolo – di provenienza ufficiale, peraltro – chissà perché il passo
risulta assente. La circostanza è emersa agli occhi di chi scrive al momento
della rilettura della deposizione Ricci al processo ai compagni di merende,
dove sia Pepi sia Zanobini glielo contestarono. Una successiva ricerca tra le
carte di Francesca Calamandrei ha portato al reperimento di una copia
scannerizzata del verbale (vedi),
dove in effetti il passo c’è.
A questo punto
il lettore ha abbastanza elementi per inquadrare da solo la testimonianza
Ricci. È il caso di aggiungere anche la consultazione del verbale del SIT della
moglie Laura Mazzei (6 maggio 1996, qui),
nonché della sua deposizione al processo (qui).
La donna ribadì nella sostanza quello che già aveva raccontato al processo
precedente: “Ricordo
che diceva che la lettera conteneva minacce, ma non ricordo altro”.
A contribuire alla
scissione delle lettere in più esemplari si prestò anche Lorenzo Nesi, nella
sua audizione del 28 febbraio 1996 davanti a Michele Giuttari. Dal relativo
verbale (vedi):
Voglio
precisare, a proposito del VANNI, ancora una volta l'episodio della lettera,
già riferito nel corso del primo processo anche in dibattimento. Il fatto si è
verificato nel seguente modo:
Era
di pomeriggio e pioveva, ricordo questi particolari molto bene, mentre non so
essere preciso sull'anno. Ricordo solo che il PACCIANI era detenuto. Il VANNI
venne a trovarmi ed era in stato di evidente agitazione, tanto che avevo
pensato che avesse bevuto e mi chiese con insistenza di accompagnarlo dalla
moglie di PACCIANI. Io gli risposi: “Ma cosa vai a fare a quest'ora. Puoi
allungarti domani mattina quando fai il giro della posta”.
Mario
mi precisò che aveva urgenza in quanto gli era pervenuta una lettera dal
PACCIANI, contenente, per come mi riferì, “fatti brutti, fatti di sangue, cose
grosse” e mi soggiunse che si era “bello rotto i coglioni”, perché PACCIANI una
volta gli diceva di fare una cosa e un'altra volta di fare un'altra cosa facendomi intendere in questo modo che
egli aveva ricevuto più lettere dal PACCIANI. Io non conosco il contenuto di
tale missiva, perché non mi venne fatto leggere, ma mi venne fatta vedere
solamente la busta mentre lo stavo portando con il furgone a casa di Angiolina.
Giunto
a Mercatale, lo lasciai in Piazza e gli chiesi se dovevo aspettarlo ricevendo
risposta negativa.
Quindi,
come Ricci, anche Nesi che le lettere fossero state più d’una lo aveva soltanto
dedotto, peraltro da qualcosa cui in precedenza non aveva mai fatto cenno: il
fatto che Vanni gli avesse detto di più richieste contrastanti ricevute da
Pacciani. Il lettore giudichi da sé quanta credibilità possa essere assegnata a
questo nuovo capitolo delle dichiarazioni di Nesi, che si spinse anche oltre,
aggiungendo ai propri presunti ricordi le proprie considerazioni personali:
A
proposito di questa lettera e dell'episodio connesso, ho fatto le seguenti
deduzioni:
• sicuramente Mario aveva avuto il consenso del
PACCIANI per andare a casa di questi mentre era detenuto perché, caso
contrario, sicuramente non si sarebbe permesso, anche perché la sua visita
sarebbe stata notata dai vicini di casa ed il PACCIANI l'avrebbe saputo;
• Mario doveva rimanere sicuramente molto
tempo, altrimenti mi avrebbe fatto attendere anche perché avevo dato la mia
disponibilità;
• Pacciani ha scritto a Mario e non
direttamente ad Angiolina perché questa non sa leggere e scrivere, almeno così
penso, ed il contenuto della lettera non doveva essere portato a conoscenza di
altri, tipo le figlie;
• sicuramente si trattava di un fatto
importante, perché altrimenti Mario sarebbe andato il giorno successivo anche
perché era solito, per il lavoro che svolgeva, passare sempre da lì.
In dibattimento
sul fatto che le lettere fossero state più d’una Nesi aggiunse poco:
PM: Le disse, il Mario, parlando di questa lettera, che ne
aveva... le fece capire che ne aveva ricevute anche altre?
Nesi: Sì, sì, sì. Sì, sì.
PM: Da Pacciani.
Nesi: Sì, sì.
PM: E le disse per caso una frase tipo: “Si era bell'e rotto i
coglioni...”.
Nesi: Sì.
PM: “…che il Pacciani scriveva”.
Nesi: Sì, sì. Cioè, lui si era rotto le scatole con questo
Pacciani che dal carcere…
PM: Gli dava istruzioni.
Nesi: Io icché gli dava non lo so, dottore. Icché gli dava non lo
so..
PM: Gli diceva di fare qualcosa.
Nesi: Mario era molto infastidito di questa corrispondenza con
Pacciani.
Come si vede,
Canessa lavorò molto alle più lettere, e i giudici glielo avrebbero
riconosciuto.
Dall’avvocato o dai carabinieri. Torniamo
al SIT di Walter Ricci del 27 novembre 1995. Un altro argomento nuovo introdotto
dal teste fu quello dell’idea espressa da Vanni di far leggere la lettera a
qualcuno competente.
Ricordo,
in particolare, che quando il VANNI mi parlava di una di queste lettere faceva
caldo, forse era settembre. Mi ricordo anche che diceva che doveva andare
dall’avvocato, riferendosi all'avvocato CORSI di S. Casciano e che doveva
fargli vedere una cosa. Conoscendo il VANNI ho pensato che, per avere un
consiglio, gli abbia fatto vedere la lettera del PACCIANI.
>Sempre
a tale proposito, ma è una mia supposizione, penso che una lettera di tal
genere il VANNI l'abbia fatta vedere a qualcuno e mi viene in mente, in
proposito, come possibile persona che gli abbia dato un consiglio, il MONTECCHI
Ovidio, segretario di A.N. di S. Casciano che ha un grande ascendente su VANNI.
Il MONTECCHI è una persona perbene, ha una pelletteria alla Sambuca e mi
ricordo che nello stesso periodo, cioè prima della scarcerazione del PACCIANI,
parlavano spesso la sera, da soli, in un angolo della piazza a S. Casciano e
non so cosa dicessero.
Si comincia qui
a capire il motivo per cui la procura avrebbe lavorato così tanto alla moltiplicazione
della lettera, probabilmente fin già dal momento di compilare il verbale
riassuntivo del SIT Ricci. Infatti, quali segreti di fiancheggiatore o
addirittura complice avrebbe mai potuto contenere lo scritto di Pacciani se
Vanni, a quanto ne sapeva Ricci, voleva chiedere consiglio a un avvocato? Tre
settimane dopo, il 19 dicembre 1995, si volle verificare direttamente presso
Alberto Corsi, avvocato civilista al quale tradizionalmente si rivolgevano
tutti gli abitanti di San Casciano per un parere legale. Corsi negò di aver mai
visto quella lettera (vedi):
Ricordo che nel
periodo in cui VANNI cominciò ad essere oggetto di interrogatori sia da parte
della P.G. e poi del P.M., il VANNI venne da me, dimostrandosi impaurito per
quel che gli succedeva ma senza spiegarmi il motivo esatto delle sue paure. Mi
sembra di ricordare che mi parlasse di domande che gli venivano fatte sulla
pistola del PACCIANI.
Io ho solo cercato di
tranquillizzarlo dicendo che lui era semplice testimone e che non aveva bisogno
di difensore e che comunque io non mi occupavo di materia penale.
ADR - Non mi ha mai
parlato, il VANNI, della lettera ricevuta dal PACCIANI e di cui ho letto sui
giornali. Credo che quando venne da me la lettera doveva ancora arrivare. Su
questo argomento non è mai entrato con me, neppure a livello di consiglio
amichevole ed io ho appreso delle circostanze relative alla lettera dalla
stampa e dalla TV.
Tutto sommato le
dichiarazioni di Corsi risultavano tranquillizzanti per l’utilizzo della
lettera in chiave accusatoria, ma qualche giorno prima, il 15, Michele Giuttari
aveva interrogato Giancarlo Lotti, e un nuovo e peggiore problema si era
aggiunto. Si legge nel relativo verbale
(vedi):
Mi
risulta che i rapporti tra il PACCIANI ed il VANNI erano ottimi, però devo far
presente che, quando il PACCIANI era detenuto per la questione delle figlie, il
VANNI per un periodo di tempo mi sembrò seriamente preoccupato, in quanto dal
carcere aveva ricevuto da parte del PACCIANI una lettera dal contenuto
minaccioso, della quale non mi fornì dettagli. Mi disse solamente di questa
lettera e che era sua intenzione farla vedere a qualcuno e che l'avrebbe
portata ai carabinieri. Non so però se l'abbia fatto né tantomeno a chi
l'abbia fatto vedere.
Dunque Vanni
aveva parlato della lettera anche con Lotti, suo complice secondo le successive
risultanze processuali. C’è innanzitutto da chiedersi il perché il futuro
collaboratore di giustizia, in quel momento per nulla intenzionato a
confessare, avrebbe messo una pulce nell’orecchio di Giuttari raccontandogli un
episodio in grado d’inguaiarlo. Ma supponiamo pure che se lo fosse lasciato
sfuggire per merito dell’abilità di Giuttari nel condurre l’interrogatorio. Ma
allora, in quale modo si può inquadrare l’intenzione manifestata da Vanni di
portare la lettera dai carabinieri? L’individuo avrebbe dovuto essere del tutto
fuori di testa per anche aver soltanto immaginato un’azione del genere, quella
cioè di consegnare alle forze dell’ordine su un piatto d’argento una pista in
grado di svelare le proprie malefatte. Tra l’altro anche Lotti avrebbe corso il
medesimo rischio, quindi anche lui doveva aver avuto qualche rotella fuori
posto per non aver preso Vanni per il bavero sconsigliandolo caldamente. È
chiaro che niente torna.
Un piccolo
aggiustamento forse Lotti lo fece durante il ben noto interrogatorio dell’11
febbraio 1996, quello delle sue prime parzialissime ammissioni della sosta a
Scopeti per fare pipì, e quindi fortuito spettatore del delitto. Si legge nel
relativo verbale (qui):
Circa
una lettera pervenuta al VANNI dal PACCIANI, di cui si è parlato anche nel
processo a carico di quest'ultimo, io ricordo che una volta il VANNI mi disse
che doveva portare una lettera ai carabinieri. Me lo disse di mattina. Mi disse
che era arrivata da Firenze. Non mi disse chi gliel'aveva mandata. Non mi disse
perché la voleva portare ai carabinieri.
Quindi, secondo
queste dichiarazioni, Lotti non sapeva quale fosse stato il mittente della
lettera, mentre in precedenza aveva detto che era Pacciani. Se a pensar male ci
s’indovina, si potrebbe anche ritenere che il verbalizzante avesse tentato di
distinguere tra la lettera di cui parlava Lotti e l’altra portata all’Angiolina,
della quale invece aveva parlato Nesi. In ogni caso quell’intenzione di far
vedere la lettera ai carabinieri era ormai sul tavolo, quindi si dovette farvi
fronte.
Canessa affrontò
l’argomento nel suo primo interrogatorio di Vanni in carcere (19 febbraio
1996), cercando un possibile rimedio al problema:
Canessa: Senta una cosa ancora, lei al G.I.P. l’altro giorno ha
parlato di quella lettera che le arrivò e che lei voleva portare ai
Carabinieri. Ricorda? Lei al dibattimento a carico di Pietro Pacciani, sentito,
mi sembra, proprio da me sul punto, comunque nel corso degli interrogatori
precedenti senz’altro, disse che con questa lettera un giorno, se è la stessa
lettera non lo so, era andato anche a casa dell’Angiolina Pacciani, portato dal
Nesi. Io le chiedo: è la stessa lettera, quella con cui andò dall’Angiolina,
di quella che voleva portare ai Carabinieri, o sono due lettere diverse?
Vanni: No, è una sola.
Niente
duplicazione della lettera, quindi, secondo Vanni, quella portata
dall’Angiolina era la medesima che avrebbe voluto far leggere anche ai carabinieri.
Ecco quindi le inevitabili ma inutili richieste di chiarimenti, avanzate dai
tre PM e anche da Pepi, il difensore di Vanni.
Canessa: Come mai la voleva portare ai
Carabinieri?
Vanni: Mi venne due idee...
Canessa: Due idee, che idee le vennero?
Vanni: Dapprima la volevo portare, poi dopo la strappai.
Pepi: Ci spieghi perché la voleva portare ai Carabinieri. Si parlava di
un reato nella lettera? C’erano minacce? La si accusava di qualche cosa?
Risponda. Cioè, dai Carabinieri si porta...
Canessa: Se uno ha paura.
Pepi: ... una cosa di cui i Carabinieri si fossero occupati, no?
Canessa: Per cautelarsi.
Pepi: Che gli si porta a fare una lettera ai Carabinieri? Uno riceve una
lettera, che va con la posta ai Carabinieri?
Canessa: Per star tranquilli si va dai
Carabinieri. Glielo disse all’Angiolina: “Guarda, porto la lettera ai
Carabinieri”?
Vanni: No.
Canessa: Le venne in mente di portarla ai
Carabinieri prima di andare dall’Angiolina o dopo che aveva parlato con
l’Angiolina?
Vanni: Dopo.
Canessa: Come mai le venne in mente dopo?
Vanni: ... così...
Fleury: C’erano minacce contro di lei in questa
lettera?
Vanni: No, no.
Fleury: Perché...
Canessa: Ce l’ha detto lui che lo minacciò anche
per telefono. Allora, stia a sentire, parla di merende, parla delle ragazze,
lei va dall’Angiolina, e poi la vuole, dopo, portare ai Carabinieri. Come mai
questo meccanismo?
Vanni: Ho avuto quest’idea.
Vanni continuava
a far di tutto per acuire i sospetti dei propri interlocutori, come dimostrano anche
gli inutili sforzi di Pepi per farlo ragionare nell’ottica di una miglior
difesa.
Due giorni dopo
Lotti fornì un aiutino alla procura, cambiando ancora le proprie dichiarazioni
sulla lettera. Dal relativo verbale (21 febbraio 1996, vedi):
Per
quanto riguarda la lettera ricevuta dal VANNI, ricordo che un giorno, di
pomeriggio, il VANNI mi disse che aveva ricevuto una lettera che doveva portare
a far vedere perché era minacciosa. Lui diceva che non sapeva se portarla ai
Carabinieri o all’avvocato Alberto CORSI che anche io conosco. Mi diceva “dove
la devo portare?” e io gli dissi che erano cose sue e di vedere come doveva far
meglio. Gli dissi che doveva portarla ad una persona un po’ più̀ esperta che
poteva dargli dei consigli.
Dopo
un paio di giorni o tre, VANNI mi disse che l’aveva portata a vedere
all’avvocato che lo aveva un po’ tranquillizzato però poi, quando gli chiedevo
come stava, si mostrava sempre impaurito della lettera e io gli dicevo “perché
sei impaurito se ti hanno tranquillizzato?”.
In precedenza
Lotti aveva parlato soltanto di carabinieri, lo abbiamo visto. Questa volta si
agganciò alle dichiarazioni di Walter Ricci, che per primo aveva accennato ad
Alberto Corsi, affermando però qualcosa in più: Vanni gli aveva detto che la
lettera all’avvocato gliel’aveva fatta leggere. A quel punto davanti alla
procura si apriva un’unica strada: la possibile incriminazione di Alberto Corsi
per favoreggiamento.
Uccidi per me! Si legge in Compagni di sangue:
M.R.,
pregiudicato per reati contro la persona e il patrimonio, di 32 anni, nel mese
di maggio del 1996, dopo la scarcerazione, si presentava presso la stazione
carabinieri di Rufina, riferendo spontaneamente di essere a conoscenza di
alcuni elementi utili alle indagini, relative al “Mostro di Firenze”. In
particolare, precisava che, negli anni '80, durante la sua detenzione nella
casa circondariale di Sollicciano, aveva conosciuto Pietro Pacciani, all'epoca
ristretto per motivi diversi di quelli attinenti alla vicenda del “Mostro”.
Raccontò che Pacciani gli aveva confessato di essere responsabile dei delitti
ai danni delle coppiette. Un giorno, gli aveva chiesto, qualora fosse uscito
prima di lui dal carcere, di effettuare l'omicidio di una coppietta,
utilizzando una pistola che lui gli avrebbe procurato. Il delitto gli avrebbe
consentito di essere scagionato dall'accusa di essere il “Mostro di Firenze”.
In cambio, Pacciani gli aveva promesso che gli avrebbe regalato una casa e
parte dei soldi relativi al risarcimento dei danni morali derivati dalle ingiuste
accuse. Gli confidava anche che nel luogo dove teneva la pistola nascondeva
anche il coltello usato per le incisioni sui cadaveri.
I
carabinieri informarono prontamente il Pubblico Ministero, che procedeva,
insieme a me, all'interrogatorio del teste, che confermava le dichiarazioni
rese ai carabinieri. Specificava di aver detto la verità e di non aver alcun
motivo né richieste da avanzare alla giustizia.
Pare
impossibile che un commissario di polizia e un pubblico ministero avessero
anche soltanto per un momento creduto a panzane simili. E Vanni e la lettera?
Prosegue il libro:
Alla
domanda di precisare meglio i discorsi che Pacciani gli aveva confidato nel
1991, il testimone riferiva che gli aveva accennato solo che una volta fuori
gli avrebbe dovuto risolvere un problema e, poi, quando anche lui fosse stato
scarcerato, lo avrebbe dovuto aiutare ad ammazzare una persona, che lo aveva
deluso e ingannato. In cambio gli avrebbe dato una casa e molti soldi. Ma non
aveva avuto modo di approfondire l'argomento, perché era stato trasferito.
Rientrato a Sollicciano nel 1994, era stato, per alcuni giorni al centro
clinico, dove aveva rivisto Pacciani, che aveva subito iniziato ad inviargli
lettere e bigliettini tramite i lavoranti della sezione. Aveva poi distrutto
quelle lettere così come Pacciani stesso gli aveva chiesto di fare. I messaggi
dicevano che lui ce l'aveva a morte con una persona, qualcuno che gli era stato
accanto e ora, che lui era in carcere, non faceva niente per aiutarlo. Lo
considerava un traditore. Gli spiegò che quest'amico si era rifiutato di
uccidere una coppia, mentre lui era in carcere, per scagionarlo.
M.R., al
secolo Massimo Ricci, era uno spudorato mentitore, non ci sono dubbi, non
essendo per nulla credibile che il sospettosissimo Pacciani avesse rischiato di
farsi denunciare vuotando il sacco con un estraneo. Peraltro lo squallido
personaggio sarebbe tornato alla carica il 6 dicembre 1997 – mentre era in
pieno svolgimento il processo ai compagni di merende – millantando confidenze ricevute
in prigione da Vanni. Questi gli avrebbe raccontato che Pacciani lo stava
ricattando con la minaccia di svelare una brutta storia di violenze a una
ragazza handicappata. Canessa parve credergli, forse anche perché le parole di
Ricci erano suffragate dalle dichiarazioni di due compagni di carcere
extracomunitari, e ne richiese l’audizione. Per fortuna la pur accondiscendente
Corte badò bene di respingere una richiesta che di sicuro avrebbe riempito
l’aula di ridicolo. Di questa seconda fase delle rivelazioni di Ricci in Compagni di sangue non ci sono tracce,
in ogni caso sorprende che invece ve ne siano della prima: ancora Giuttari dava
credito a questo individuo?
Ma torniamo
alle prime rivelazioni di Ricci, il cui SIT di fronte a Canessa e Giuttari è
del 31 maggio 1996 (purtroppo chi scrive non ha disponibilità del verbale). Chi,
se non Vanni, poteva essere l’amico che si era rifiutato di uccidere una coppia
per scagionare Pacciani? E in quale altro modo Pacciani poteva aver chiesto a
Vanni se non attraverso la misteriosa lettera? Non fu certo per caso se il 12
giugno successivo Lotti venne interrogato proprio su questo argomento. Si legge
nel relativo verbale (vedi):
Lei
mi chiede ancora se con riferimento alla lettera inviata da Pacciani, che era
in carcere, a Vanni di cui ho già parlato abbia capito o meno che Pacciani
chiedeva a Vanni di fare qualcosa per scagionarlo quando era accusato di essere
il mostro di Firenze. Io non so niente in proposito. Si dà atto che il P.M.
informa il Lotti che anche su tale circostanza le indagini hanno fornito
elementi in tal senso.
A.D.R.
Anche di questa cosa non so niente. Si dà atto a questo punto che il Lotti si
manifesta agitato e dice, come del resto ha fatto più volte sino ad ora, di
soffrire di un dolore alla schiena che lo preoccupa da diversi giorni e che gli
ha impedito di rispondere all'interrogatorio del 28 Maggio u.s..
Si
dà atto a questo punto che l'interrogatorio viene sospeso dalle ore 18.45 alle
ore 19.00 ed in tale lasso di tempo il difensore ha chiesto ed ottenuto di
parlare con il proprio assistito.
Dunque nulla
disse di sapere Lotti di quel che aveva raccontato Massimo Ricci, nonostante le
energiche sollecitazioni degli inquirenti.
Per
giudicare il successivo comportamento del presunto pentito va tenuto presente
il suo status di quel periodo. Dopo essere stato costretto a confessare la
propria partecipazione ai delitti di Scopeti e Vicchio, il 26 aprile 1996 aveva
dovuto ammetterla anche per Giogoli e Baccaiano. A quel punto era stato lasciato
a bollire a fuoco lento per un mese e mezzo, con lo spettro di finire in
carcere a far compagnia a Vanni, e durante quel periodo la sua disponibilità ad
assecondare ogni esigenza degli inquirenti doveva aver raggiunto i massimi
livelli. Aveva soltanto da capire quel che loro si aspettavano da lui. E nel
quarto d’ora di colloquio a due, Alessandro Falciani, il suo difensore del
momento, dovette senz’altro averglielo spiegato. Infatti, così prosegue il
verbale:
Alla
ripresa dell'interrogatorio A.D.R.: In merito alla lettera che il Vanni disse
di avere ricevuto da Pacciani, intendo fare delle precisazioni. Io la lettera
come ho già detto non l'ho vista anche se più volte quando me ne parlò chiesi
al Vanni di farmela leggere. Il Vanni mi disse che non poteva e che la doveva
portare a qualcuno che si intendeva di quelle cose. Io capii che era sua
intenzione portarla forse ai carabinieri ma la cosa mi sembrava improbabile o
più probabilmente al suo avvocato.
Alle
mie insistenze il Vanni diceva: “PERCHE' TE LA DEVO FARE LEGGERE?” al che io
gli dicevo: “NON HAI FIDUCIA IN ME!” e lui mi diceva di no perché aveva paura
che io lo raccontassi. Io comunque capivo che in quella lettera il Pacciani
minacciava in qualche modo il Vanni e che chiedeva di fare qualcosa per farlo
uscire dal carcere, ma il Vanni era così impaurito e preoccupato che non volle
farmi vedere il contenuto di quella missiva. Voglio spiegare ancora che io ero
curioso e che gli sono andato dietro per vedere dove la portava ed ho visto che
si dirigeva verso lo studio dell'avv.to CORSI che si trova vicino al semaforo
nei pressi della Cassa Rurale e la pensione “MERI”. Io gli chiesi se potevo
andare anche io con lui ma lui mi disse di no e volle andare da solo anche
perché era molto amico dell'avvocato CORSI e quando aveva bisogno di qualcosa
la portava a lui.
Dopo
diversi giorni mi disse che aveva lasciato la lettera ed io capii anche se non
me lo ha detto espressamente, che l’aveva portata all'avvocato CORSI. Del resto
erano molto amici da tanto tempo ed andavano a cena insieme anche con quelli
del loro partito.
Come si
vede, l’aggancio con le panzane di Ricci c’è: in quella lettera Pacciani “chiedeva di fare qualcosa per farlo
uscire dal carcere”. In più
Lotti – o meglio, il Lotti del verbale! – si allontanò in modo definitivo
dall’ipotesi che Vanni avesse avuto intenzione di portare la lettera ai
carabinieri, e fornì invece nuovi elementi per incastrare il povero Alberto
Corsi. Corsi venne ascoltato di nuovo il 15 giugno (vedi), quindi tre giorni dopo le nuove
rivelazioni di Lotti, per essere poi iscritto il 27 nel registro degli
indagati, con il sospetto che non avesse voluto rivelare il contenuto della
lettera.
Il 4 luglio
la notizia sulla richiesta di compiere un omicidio uscì in modo clamoroso sui
giornali (qui una piccola raccolta). Il 15 Canessa
interrogò Vanni, mettendolo di fronte alle rivelazioni di Ricci. Dal relativo verbale
(vedi) si comprende come, a ragione,
Vanni fosse caduto dalle nuvole di fronte alle assurde contestazioni.
Leggiamone qualche gustoso frammento:
Canessa: Ecco, le leggo dei pezzi in qua e là,
sempre di questa persona. “Mi diceva che gli dovevo risolvere un problema fuori
e aggiungeva che quando saremmo stati entrambi fuori lo avrei dovuto aiutare ad
ammazzare questa persona e mi avrebbe ricompensato. Capii che era stato deluso
ed ingannato da questa persona che lo aveva tradito ma non mi disse all’epoca,
poi l’ha spiegato dopo, in che cosa lo aveva deluso. Mi diceva che gli avrebbe
dato parecchio denaro ed una casa”. Poi spiega, io glielo leggo a pezzi. Lui
gli chiede anche che gli doveva fare un omicidio lui, lui questa persona e poi
dice: “La seconda volta che ci parlammo, mi ha riferito che quel suo amico
l’aveva tradito perché già nel ‘92 e nel ‘93 per lettera gli aveva chiesto di
scagionarlo facendo un omicidio e dato che lui era fuori ma il Pacciani in
carcere aveva ricevuto un messaggio che gli aveva risposto: “Perché non ti
ammazzi?”, mi disse che questo amico fuori gli doveva fare l’omicidio perché
lui e Pacciani... – questo gliel’ho già letto – avevano fatto prima gli omicidi
insieme. Pacciani mi ha detto che con questa persona erano come fratelli, hanno
la stessa età, non mi ha detto che lavoro fa, né tanto meno chi. Mi ha detto
però che per ammazzarlo, questa persona, doveva ammazzare lei...”
Vanni: Accidenti, dico...
Canessa: “...lo avrei dovuto innescare tramite
una prostituta alle Cascine, lo avrei poi dovuto far portare in montagna in un
posto lontano dove avrei dovuto fingere come una rapina, poi sarebbe uscito
fuori lui Pacciani e lo avrebbe scannato e poi avremmo dovuto ammazzare anche
la donna e per questo era necessaria una prostituta. Lei mi chiede di spiegare
meglio perché Pacciani mi diceva queste cose...”
Vanni: Io, la senta, non ne so nulla di queste...
Canessa: Aspetti, lei non ne sa nulla, però
questa... […]
Vanni: È un pazzo quello.
Canessa: Sarà un pazzo, comincia a essercene
troppi perché è la stessa cosa che dice Lotti, anche Lotti dice che dal
carcere Pacciani voleva che faceste un omicidio e questo dice la stessa cosa.
Siccome lei gli disse, secondo quello che dice questa persona: “Perché non ti
ammazzi?”, questo era talmente inviperito che dice: “Va be’, allora al Vanni ci
penso io”. […]
Vanni: A far fuori me, eh. Almeno... Questa l’è grossa, non la sapevo.
Io so che non gli ho fatto mai nulla né a lui, né al Lotti e né a altri, ho
sempre fatto il mio dovere per bene.
Il 21 ottobre
Vanni fu interrogato da Vigna, naturalmente anche sulla lettera. Nel relativo
verbale (vedi) si legge una novità:
È
vero che l'avvocato CORSI lesse la lettera. Io la stavo leggendo lì in paese, o
al Bar Italia o in piazza, e capitò il CORSI che visto che avevo ricevuto una
lettera mi chiese di leggerla. La lesse e poi mi consigliò di strapparla e io
dopo la strappai e la buttai via.
Vanni dunque
ammise di aver fatto leggere la lettera all’avvocato Corsi, ma, se davvero fu
così – Corsi lo avrebbe sempre negato – le circostanze appaiono tutt’altro che
favorevoli a una interpretazione “cattiva” del contenuto. Pare possibile,
infatti, che Vanni avesse tenuto in mano una lettera così compromettente mentre si trovava
in piazza o in un bar? Dell’interrogatorio è qui disponibile una stralcio di
trascrizione, un’attenta lettura del quale è caldamente raccomandata a chi
ancora crede alla colpevolezza del povero cristo.
Torniamo
però a Lotti e alla richiesta di Pacciani di compiere un omicidio. Il presunto
pentito venne interrogato il 19 febbraio 1997 nella forma dell’incidente
probatorio, la cui trascrizione in tre fascicoli è scaricabile qui, qui e qui. Nel primo fascicolo l’argomento
viene affrontato nelle pagine 93-98, durante l’interrogatorio del PM:
PM: Lei ha mai sentito parlare di una lettera di minacce che era arrivata
a Vanni?
Lotti: Sì, me l’aveva descritto, questa lettera... non so, se lo
minacciava dal Pietro... Queste erano cose sue, io non potevo intervenire su
cose...
PM: Lei l’ha vista questa lettera?
Lotti: Eh, io ho visto la lettera. Però...
PM: L’ha letta?
Lotti: No, io no.
PM: E sa qual era il contenuto di questa lettera?
Lotti: No, lui dice che minacciava questo Pietro, non lo so. E che... Non
l’ho capita per bene.
PM: In questa lettera che tipo di minacce c’era e perché?
Lotti: No, se voleva farlo sortir fuori, non lo so. Questo... Io ho
sentito questo discorso qui.
PM: Ecco, che era una lettera con cui Pietro chiedeva che Vanni lo
facesse sortir fuori.
Lotti: No, che lo minacciava così, come mi ha riferito lui. Poi io non
ho... Lui, sono quei discorsi che mi ha fatto così. Poi non lo so.
Come si
vede, al fatto che Pacciani avesse chiesto a Vanni di compiere un omicidio per
farlo uscire dal carcere Lotti fece soltanto un timidissimo cenno: “No, se voleva farlo sortir fuori, non lo
so”. Canessa tentò
poi di approfondire, ma, avendo capito che la strada era molto impervia – e
quindi rischiosa per la credibilità del teste – passò subito alla questione
Corsi, sulla quale il lettore interessato può farsi la propria idea da solo,
anche e soprattutto attraverso il controinterrogatorio di Zanobini, riportato
alle pagine 43-62 del fascicolo 3. In ogni caso il GIP accolse la richiesta
della procura e rinviò a giudizio Alberto Corsi per favoreggiamento.
Interrogando
Lotti in dibattimento il 27 novembre 1997 (vedi), Canessa affrontò anche il tema
della lettera, prendendola molto alla larga. A un certo punto chiese dell’omicidio.
PM: Senta una cosa, lei dice che Vanni aveva paura che lo ammazzasse.
Il Vanni gli ha mai spiegato meglio il contenuto di questa lettera? Cosa doveva
fare perché non lo ammazzasse?
Lotti: Mah, io... Questo che m'ha detto lui gl'è così. Quello... e basta,
non c'è altro. Non lo so.
PM: Lei però dice - le contesto e stimolo il suo ricordo su questo -
dice: “Quando Pacciani era in carcere, Vanni aveva una grande paura” -
interrogatorio 12/06/96 – “che succedesse qualcosa anche a lui, Vanni, e che
Pacciani parlasse. Aveva paura di finire in carcere anche lui, Vanni. Lotti
aggiunge che Vanni diceva sempre: 'se fo così, bene, sennò vado dentro
anch'io'. E che lo stesso Vanni gli aveva spiegato che Pacciani voleva che
facesse un omicidio per farlo uscire e che lo minacciava che altrimenti prima o
poi lo avrebbe ammazzato; e che avendo paura di ciò era andato più di una volta
dall'avvocato Corsi”. È così?
Lotti: Quello che m'ha spiegato, è così.
Presidente: Cioè, cosa? Cosa ha spiegato?
PM: È una minaccia piuttosto forte. Cioè, gli chiedeva di fare un
omicidio?
Presidente: Lotti, spieghi un po' questo discorso.
Lotti: Quello delle minacce...
Presidente: Eh, quei discorsi che ha letto il
Pubblico Ministero. Come sta la cosa?
Lotti: Sì. Come c'è scritto lì...
Presidente: Ce lo ripeta lei.
Lotti: Che lo minacciava, sennò lo faceva... lo ammazzava.
Presidente: Lo minacciava...
Lotti: No, sennò lo ammazzava... sul punto della lettera.
Ancora una
volta venne tradito lo spirito del rito accusatorio, con la subitanea lettura
di un verbale d’istruttoria fin già dalle prime avvisaglie dei tentennamenti
del teste. Ma nonostante questo Lotti parve comunque non ricordare nulla di
quella richiesta d’omicidio contenuta nella lettera. E Canessa fu costretto a
insistere con le stimolazioni (il lettore tenga presente che il testo non
riporta le legittime proteste dei difensori di Vanni e Corsi).
PM: Le ho contestato che lei ha riferito che nella lettera ci sarebbe
stata una richiesta di Pacciani a Vanni di fare un omicidio. È così?
Lotti: Sì. Ma questo fatto quando sarebbe?
PM: Non ne ho la più pallida idea io, l'ha detto lei.
Lotti: No, ma dico, sul delitto o altra cosa della lettera?
PM: Non lo so.
Presidente: No, sulla lettera, sulla lettera.
Parliamo della lettera ora.
Lotti: No, sennò poi...
PM: Lei ricorda questi discorsi quando glieli ha fatti? Innanzitutto
se glieli ha fatti. Secondo, quando glieli ha fatti.
Questo, come fo a ricordammi preciso quande.
Presidente: Ma gli ha fatto un discorso di questo
tipo, riferendosi alla lettera? O gli ha fatto un discorso di quel tipo
indipendentemente dalla lettera?
Lotti: Sì, indipendentemente dalla lettera.
Presidente: Eh, allora ci spieghi come. Cosa gli ha
detto il Vanni.
Lotti: Che lo minacciava sul fatto della lettera, così.
Presidente: Quello, lo abbiamo capito. Siccome lei
dice, secondo il Pubblico Ministero, che avrebbe parlato anche di, diciamo di
un ordine dato dal Pacciani di ammazzare un'altra persona per farlo uscire dal
carcere. È vero questo? E se è vero, in che termini è vero. Cosa sa di questo
punto lei?
Lotti: Che doveva sortire una persona, ma lui doveva sortire?
Presidente: Lui, Pacciani.
Lotti: Sì.
Lotti si
stava confondendo tra due argomenti differenti, entrambi panzane. Nelle sue
compiacenti dichiarazioni d’istruttoria, infatti, c’era anche quella
dell’omicidio di Giogoli che sarebbe stato chiesto da Francesco Vinci a
Pacciani e Vanni per farlo uscire dal carcere. Ecco allora la sua domanda al
presidente – “Che
doveva sortire una persona, ma lui doveva sortire?” – prontamente soddisfatta: “Lui, Pacciani”. A questo punto il PM e il
presidente potevano anche sperare che la retta via fosse ormai stata imboccata,
ma non era ancora così:
Presidente: E il Vanni cosa doveva fare?
Lotti: Che doveva fare? Questo...
Presidente: Gli ha detto qualcosa il Vanni, o no?
Lei ha riferito una versione al Pubblico Ministero, che l'ha letta ora il
Pubblico Ministero. Noi gli chiediamo di spiegarci un po' meglio questa storia.
Perché sembrava che fosse detto in quella lettera.
Lotti: Non mi ricordo di preciso quello che ho detto.
Presidente: Scusi, aspetti un po'. Sembrava che
fosse detto in quella lettera di cui ha parlato. Ora dice: 'in quella lettera
no'. Allora, cosa gli ha riferito il Vanni di questo, diciamo, desiderio del
Pacciani dal carcere?
Lotti: No, riferiva che doveva sortire uno, una persona di dentro. Però
non so chi doveva sortire: se doveva sortire Pietro, o no. Questo non riesco a
spiegare. Non lo spiego bene io.
Presidente: Non lo spiega bene no.
PM: No, non lo spiega per niente bene Lotti. È un discorso che è
relativo a quella lettera, o è un discorso che non ha niente a che vedere con
quella lettera?
Lotti: Per me c'ha a che vedere la lettera, compreso questo fatto.
PM: È nel discorso della lettera. Ho capito. E erano discorsi che le
faceva Vanni e che lui, Vanni, aveva paura di essere ammazzato dal Pacciani se
non faceva qualcosa.
Lotti: Sì, se non faceva qualcosa.
PM: Qualcosa era fare un omicidio.
Seguirono le
veementi ma inutili proteste di Filastò per lo “spettacolo indecoroso”. È chiaro che Lotti non ricordava bene le fandonie
raccontate in istruttoria, alla cui verbalizzazione non è neppure detto avesse
partecipato in modo del tutto consapevole.
La lettera nella sentenza. La sentenza inizia a trattare della
lettera sposando fin da subito l’ipotesi della sua moltiplicazione, dando per
scontato che le incertissime sensazioni di Lorenzo Nesi e Walter Ricci fossero corrispondenti
alla realtà.
Risulta
infatti che il Pacciani, quando era in carcere in espiazione di una pena
detentiva riportata per violenze sessuali in danno delle figlie, ha scritto più
lettere al Vanni, tanto che costui, ad un certo momento, non ne poteva più e si
mostrava molto seccato di tali continui scritti.
A
riferirlo è stato in particolare il teste Nesi Lorenzo, che è amico “fraterno” del
Vanni […]
Di Nesi fu creduta anche la sparata dei “fatti di sangue”.
Durante
il viaggio, il Vanni aveva tirato fuori da una tasca la lettera del Pacciani,
dicendo che aveva urgenza di portarla dall'Angiolina perché essa parlava di “cose
brutte”, di “fatti brutti”, di “cose di sangue”.
A quando risaliva questa lettera? Nesi non era stato in grado di specificarlo con
esattezza. Ecco allora che i giudici ricorsero alle parole dello stesso Vanni:
Ha
invece ricordato l'epoca lo stesso Vanni che, interrogato sulla predetta
lettera dal PM in data 21.10.1996, ha confermato l'episodio ed ha nel contempo
precisato che si trattava della “fine del ‘91”, quando il Pacciani stava per
uscire dal carcere per la condanna per le figlie.
Ma se andiamo a leggere il passo corrispondente, scopriamo che le cose stanno in modo
un po’ diverso:
Vigna: Abbia pazienza, Vanni, segua me: quando gli scrive questa lettera
siamo alla fine del’91.
Vanni: Sì. Va bene.
Vigna: Bene. Il Pacciani era bell’e stato condannato. Era in carcere
esattamente dal 1987...
Vanni: Io non me ne ricordo.
Era stato Vigna a parlare della fine del ’91, Vanni aveva solo annuito senza troppo
riflettere. In realtà, come abbiamo visto nella prima parte, Vanni aveva
parlato della lettera già nel SIT del 10 luglio 1991, sul cui verbale si legge:
“Circa due anni fa almeno
credo mi pervenne una lettera dal carcere di Sollicciano, spedita dal Pacciani
Pietro”. Quindi l’anno
era il 1989, a meno di non fare appello al trucco delle più lettere. D’altra
parte anche Francesca Bartalesi, nipote di Vanni, aveva collocato la lettera
più indietro negli anni durante l’udienza del 14 luglio 1997 (vedi):
PM: Quando le fece questo discorso, eravate a casa sua, eravate fuori,
c'erano altre persone...
Bartalesi: No, l'unica cosa che mi ricordo è che
eravamo fuori, all'aria aperta. Però...
PM: Eravate solo voi due?
Bartalesi: Mi sembra. Però non sono sicura, non me
lo ricordo, sono passati tanti anni.
PM: Tanti anni, lo sa collocare nel tempo? Quattro-cinque-sei-sette...
Bartalesi: No, molti di più. Una decina d'anni,
insomma, tanti. Una decina d'anni per dire parecchio, ecco. Ora con
precisione...
PM: Suo zio poi ha parlato... Abbiamo focalizzato fine '90, un'epoca
così. Anni '90-'91. Può essere? Lo ha detto suo zio, eh, o altri testi.
Bartalesi: No, per me... '91, sono sei anni? No,
sono... A quello che posso ricordarmi io, per me sono passati di più, più anni.
Ma perché ai giudici, e agli inquirenti prima di loro, interessava collocare la lettera alla
fine del ’91?
La
suddetta lettera è stata quindi scritta dal carcere, quando il Pacciani era già
indagato per i duplici omicidi di cui è processo, risultando che lo stesso
Pacciani è rimasto in carcere per i reati in danno delle figlie dal 30 maggio
1987 al 6 dicembre 1991 e che in data 29 ottobre 1991 si è visto notificare in carcere
I' informazione di garanzia per i vari duplici omicidi e per i relativi reati
connessi.
È chiaro che
l’interesse era quello di interfacciare la figura di un Pacciani già consapevole
di essere sotto indagine per i delitti del Mostro. Ecco allora l’ipotesi dei
giudici sul contenuto della lettera.
Si è
trattato comunque di una cosa molto urgente (non certo delle “’merende” o del
motivo per cui il Pacciani era finito in carcere, per giunta quattro anni prima),
atteso che il Vanni non ha potuto aspettare nemmeno la mattina successiva e che
ha voluto subito farsi accompagnare e lasciare a Mercatale, nonostante che
piovesse e che non avesse neanche un mezzo per far ritorno a San Casciano.
Sicché
è facile dedurre che si è trattato di andare a casa del Pacciani per prendere o
rimuovere qualcosa, tenuto anche conto del fatto che il teste Ricci Walter,
genero di una cugina del Vanni, ha parlato di due lettere scritte dal carcere
dal Pacciani al Vanni, ed esattamente di una con cui lo aveva minacciato perché
“aveva chiacchierato troppo” e di un’altra con cui gli aveva invece ingiunto “di
andare a casa della moglie a prendere o a portare qualcosa...” (cfr. verb. ud.
8.7.97, fasc. 20, pagg. 19, 20 e 21).
Come in mille altre occasioni, la sentenza trucca le carte. Walter Ricci aveva parlato
dubitativamente di due lettere (“Mi
sembra due, però io... di una sono sicuro; dell'altra no”), senza distinguerle affatto tra
quella portata all’Angiolina e un’altra contenente minacce. Si tratta di
un’invenzione dei giudici.
Continua la sentenza, parlando della lettera in cui Pacciani avrebbe ingiunto a Vanni “di andare a casa della moglie a prendere
o a portare qualcosa”:
Si è
trattato, inoltre, di una questione di estrema gravità, ritenuta tale sia dal
Pacciani che dal Vanni, data l’urgenza con cui quest'ultimo si è precipitato a
Mercatale.
È insuperabile,
quindi, il collegamento logico coi delitti di cui è processo, atteso che il
Pacciani già sapeva di essere indagato
per tali
fatti e che lo stesso Pacciani, a detta del Lotti, custodiva in casa la pistola
dei delitti […].
Va
inoltre segnalato che la lettera è stata immediatamente distrutta, come afferma
lo stesso Vanni, e che pertanto anche tale fatto conferma il contenuto compromettente
della missiva, segno evidente che il Pacciani aveva conferito al Vanni un
incarico particolare, che poteva essere affidato solo ad un complice, coinvolto
nelle stesse vicende (verosimilmente, si è trattato della pistola, nel fondato timore
che essa venisse rinvenuta in occasione di qualche perquisizione).
Si tratta di pure illazioni, indegne di una sentenza emessa in un pase civile come l’Italia
del 1997. E come la mettiamo con il proposito di Vanni di portare la lettera a
un avvocato o addirittura ai carabinieri? Qui la sentenza chiede aiuto alla
moltiplicazione delle lettere, dichiarata fin dalla prima riga in cui tratta
dell’argomento.
Né si
può ritenere che tale lettera sia stata la stessa di cui parla il Lotti in
relazione alla posizione di Corsi Alberto, perché il comportamento del Lotti appare
obbiettivamente non conseguenziale, nel senso che ha spinto il Vanni ad andare
dall'avv. Corsi o da altri e quindi tenuto una condotta contraria a quella
ipotizzabile nel caso in cui si fosse trattato invece della stessa lettera,
dato che anche il Lotti avrebbe avuto tutto l'interesse a non farla conoscere
ad altri, per il timore di essere prima o poi coinvolto anche lui.
Ma come? Lotti aveva parlato di una sola lettera contenente la richiesta di compiere un
omicidio, quindi il suo comportamento contraddittorio rimane incancellabile. Ma,
per non dover affrontare il conseguente problema, di tale argomento la sentenza
tace del tutto.
Arrivano infine le sorprendenti conclusioni:
La
predetta lettera del Pacciani dal carcere, con tutto quello che ne è seguito a
Mercatale, costituisce quindi una prova inconfutabile dell'intesa esistente tra
lo stesso Pacciani ed il Vanni anche successivamente al duplice omicidio di
Scopeti, nonostante che fossero passati da esso ben sei anni.
Ma
tale lettera costituisce anche l'anello di congiunzione e comunque il
corollario di tutte le prove come sopra analizzate a carico del Vanni, prove
che conducono tutte nella stessa direzione e che pertanto inchiodano lo stesso
Vanni alla sua responsabilità.
Addirittura la lettera assurta ad anello di congiunzione di tutte le prove contro il povero
Vanni! Basterebbe solo questo a dimostrare la faziosità di una sentenza che si
colloca ai livelli più bassi della nostra civiltà giuridica recente.
Infine solo un breve cenno alla conclusione della vicenda di Alberto Corsi, il quale,
soprattutto grazie alla concretezza del proprio avvocato Gabriele Zanobini che
non si perse dietro l’individuazione di mostri alternativi a quelli presentati
dall’accusa, venne assolto con le seguenti motivazioni:
Nessuno
ha potuto riferire che il Vanni sia stato realmente dall’avv. Corsi per fargli
vedere la lettera del Pacciani e che l'avv. Corsi, dopo aver letto la lettera, abbia
consigliato al Vanni di distruggerla o di strapparla. […]
Comunque
sia, il Corsi non appare raggiunto da alcun elemento di prova, per tutte le
ragioni già indicate, per cui se ne impone l'assoluzione con formula piena.
La lettera in appello e dopo. La sentenza d’appello non menziona
neppure la lettera, che la stessa accusa ritenne di nessun valore probatorio.
Ecco uno stralcio della requisitoria di Daniele Propato (20 maggio 1999, vedi):
Vi è
poi la lettera Nesi, ricevuta da Vanni, il quale ha precisato la data, fine del
'91, ci sono un sacco di lettere che escono dal carcere, Pacciani è in carcere
condannato per fatti relativi alle figlie, però ad un certo punto, riceve
un'informazione di garanzia per i reati di questo processo e quindi può
esserci. È stato in carcere dal 30 maggio '87 al 6 dicembre '91, il 29 ottobre
riceve l'informazione di garanzia. Di questa lettera ne sappiamo ben poco, così
come non si sa se la lettera strappata, della quale si è parlato con
l'avvocato, ma della quale non conosciamo il contenuto, non possiamo dire, come
si dice in sentenza, che la fretta di andare dall’Angiolina accompagnato sotto la pioggia dal Nesi
Lorenzo, dimostra l'urgenza di recarsi a casa. E che doveva fare? Doveva far
sparire qualche cosa? E che cosa doveva far sparire? La pistola. Ma se avessimo
avuto questa lettera allora questo sarebbe stato un elemento forte, ma questa
lettera non l'abbiamo e di questa lettera si dice parli di “gravi fatti di
sangue”, dall'altra parte si dice che il Pacciani avrebbe rimproverato Vanni: “Tu
parli troppo” io non ho trovato da nessuna parte qualche elemento di conforto a
questa faccenda.
Se non altro a livello di pura curiosità, va infine menzionata una coda riguardante la
lettera, a opera di Lorenzo Nesi il chiacchierone, il quale, durante
l’inchiesta sui mandanti, offrì molte volte il proprio contributo. Si legge nel
verbale della sua testimonianza del 22 maggio 2003 resa di fronte a Giuttari (vedi):
Dai
discorsi che mi fece Vanni all’epoca ho dedotto alcune cose che reputo possano
interessarvi. Mi spiego meglio. All’epoca Vanni faceva spesso riferimento a
Calenzano, dove si recava la sera e talvolta lo accompagnai anch’io,
lasciandolo in un bar, i1 Tucano, per riprenderlo dopo qualche ora sempre allo
stesso posto. Questo si verificò dopo che aveva ricevuto la lettera. Cercai di
sapere i motivi di quelle visite, ma lui non volle mai darmi spiegazioni. Altro
fatto che mi incuriosì e che più volte, sempre dopo la lettera, quando si
ragionava sui delitti del Mostro, mi diceva testualmente “la verità sta coi
morti” senza aggiungermi altro.
Dedussi
da tutti i discorsi che la pistola dovesse essere custodita nella bara di
qualche persona deceduta e sepolta nel cimitero di Calenzano.
A Calenzano
lo accompagnai sempre nel pomeriggio quando Vanni non lavorava. Secondo quello che
ho capito Vanni certamente custodiva e continua a custodire tutti i segreti di
questa vicenda del Mostro, ma non volle mai spingersi oltre con me, anche se
qualche volta ebbi l’impressione che fosse lì per lì pronto ad aprirsi data
l’amicizia che ci legava. Voglio ancora precisare che questi discorsi Vanni me li
fece quando ancora non si sapeva che Pacciani era indagato per la vicenda del Mostro,
ma sicuramente Pacciani lo aveva capito e si sentiva il fiato di Perugini addosso.
In pratica ancora non c’erano state le perquisizioni a casa del Pacciani, che
era detenuto per le violenze alle figlie. Pensai successivamente che la famosa
lettera del Pacciani in realtà non contenesse minacce come si pensò ma
indicazioni date dal Pacciani al Vanni per andare a prendere qualcosa di compromettente,
credo la pistola od altro, dall’abitazione e portarla in un posto sicuro. […]
A proposito
sempre della lettera ho riflettuto molto e mi sono convinto che in effetti non
dovesse contenere minacce perché in questo caso, conoscendo bene Vanni,
l’avrebbe sicuramente conservata e magari al momento opportune esibirla anche
per dimostrare che aveva detto la verità sul punto. Voglio precisare anche – e
di questo ne sono proprio certo – che Vanni non butta mai nulla di posta siano
lettere, cartoline od altro.
Non si ha notizia di effettive ricerche tra le bare del cimitero di Calenzano…
Conclusioni. L’articolo finisce qui. La
documentazione fornita o indicata è abbondante, quindi il lettore ha la
possibilità di tirare le proprie conclusioni. A giudizio di chi scrive la “misteriosa”
lettera di Pacciani a Vanni costituisce un perfetto esempio di come nella
vicenda giudiziaria relativa ai delitti attribuiti al cosiddetto Mostro di
Firenze si siano costruite fantasiose architetture basate sul nulla.