È stato pubblicato di recente un video su Youtube (vedi) dove l’appassionato Luca
Scuffio di Prato propone un’inedita ricostruzione del delitto di Giogoli. Attraverso
un chiaro dialogo con l’intervistatore e l’aiuto di splendide videate in 3D –
ottenute con l’applicativo Blender – Scuffio è riuscito a trasmettere in modo
esaustivo la sua idea della dinamica, molto diversa dalla proposta di questo
blog (vedi). Che soffre
però, a parere di chi scrive, di un peccato originale, che ne ha condizionato
in modo irrimediabile i risultati: il tentativo di impedire il calcolo della statura
del Mostro a partire dai fori sul furgone. In questo modo la sua dinamica parte
da un presupposto azzardato e opinabile, al quale il resto cerca di adeguarsi con
evidenti forzature.
In questo articolo la proposta di Scuffio verrà analizzata e fortemente criticata, senza sconti, com’è tradizione di chi scrive. Il suo lavoro è certo apprezzabile, se non altro perché è frutto di pura passione, ma in questa brutta storia ci sono già troppe fantasie per aggiungerne altre. In più non mi pare il caso di mettere in dubbio uno dei pochi elementi di relativa certezza sul Mostro: la sua alta statura. Anche se non si accorda con le bassezze di Pietro Pacciani e Salvatore Vinci.
La commedia delle parti. Che Scuffio si sia lasciato condizionare dalla questione della statura lo si capisce quasi subito, appena accenna al calcolo effettuato dall’equipe De Fazio nella nota perizia. Sulla base di considerazioni partenti dall’altezza del foro sulla carrozzeria, avevano scritto i criminologhi: “Si può quindi ipotizzare che l'omicida abbia una statura considerevole, molto probabilmente superiore, e non di poco, a cm. 180”. Nel 1994 De Fazio e colleghi furono chiamati a deporre al processo Pacciani, dove si trovarono nel grave imbarazzo di conciliare il loro calcolo con la statura dell’imputato, di quasi 20 cm inferiore. Ecco il dialogo tra De Fazio e Canessa (vedi):
De Fazio: Devo anche chiarire che, per ciò che riguarda il camper, noi abbiamo tenuto conto non solo dei fori sui finestrini […] abbiamo tenuto conto anche del fatto che questa traiettoria è iniziata con il foro è poi finita con il proiettile che ha colpito il soggetto. Soggetto che noi abbiamo, secondo i verbali di Polizia, considerato situato nel pianale.
PM: Cioè voi credevate che fossero sul pianale in basso.
De Fazio: Per forza, c'è scritto nel verbale di polizia che “i cadaveri giacciono sul pianale”. Allora, se questo è il vetro del camper e questo il pianale, noi dobbiamo ipotizzare un'inclinazione così.
PM: Dall'alto verso il basso.
De Fazio: E un'inclinazione cosi ci porta ad un determinato soggetto, rispetto ad un'inclinazione così. Cioè, in poche parole, in questa posizione, arto addotto, o in posizione arto esteso o del tutto innalzato, io posso prevedere una traiettoria di tipo orizzontale che mi comporta un'altezza. Ma se devo prevedere una traiettoria che mi va verso il basso, devo presupporre un altro tipo di altezza.
PM: E invece avete...
De Fazio: Noi abbiamo fatto il calcolo in base a cadaveri poggiati sul pianale dell'automezzo.
PM: E invece non sono – lei l'ha visto nelle fotografie, le possiamo riguardare, Presidente – non sono sul pianale, ma sono all'altezza...
De Fazio: È un'emergenza processuale della quale io... che apprendiamo questa mattina.
PM: Che non conoscevate. Bene.
Chi scrive ha a disposizione il verbale della polizia scientifica, allegato al fascicolo fotografico, dove viene descritto l’interno del furgone, e dove non si legge la frase riportata da De Fazio (“I cadaveri giacciono sul pianale”). Si legge invece: “A sinistra è un letto a due piazze su cui giacciono in parte avvolti tra le coperte in più̀ punti macchiate di sangue, i due cadaveri”. Può darsi che su un altro verbale compaia la frase indicata, è certo però che esisteva un fascicolo fotografico comprendente anche l’interno del furgone, alcune immagini del quale circolano in rete da anni.
Ora, come si può davvero pensare che l’equipe De Fazio, alla quale era stato chiesto di studiare tutti i delitti per proporre un ritratto dell’assassino, non ne avesse avuto disponibilità? È chiaro che al processo si era svolta una ridicola commedia delle parti, alla quale però Scuffio sembra voler credere. Anzi, nella perizia trova persino una frase che la confermerebbe: “Sul piantito del veicolo, accanto al «letto a due piazze» su cui sono stati rinvenuti i cadaveri di due giovani, venivano rinvenute «scatole di succhi di frutta aperte»”. Secondo Scuffio quell’avverbio “accanto” potrebbe indicare che effettivamente i periti credevano che anche il “letto a due piazze” stesse sul pavimento. Come se il dire che le scarpe sono accanto al letto implicasse che il materasso sia sul pavimento!
In realtà la valutazione di De Fazio era sì sbagliata, ma per altri motivi, come riporta l’articolo di questo blog.
Perplessità. Prima di proporre la sua dinamica Scuffio mette al corrente lo spettatore di un paio di sue perplessità, propedeutiche alla ricostruzione e delle quali è importante dimostrare l’infondatezza.
La prima riguarda l’apparente mancanza di una sequenza iniziale di sparo, almeno a giudicare dai fori sui finestrini e sulla lamiera, tutti singoli. Una sequenza iniziale che c’era sempre stata. Per giustificare tale perplessità Scuffio chiede anche aiuto al noto “Profilo FBI”, leggendone un frammento, che qui riporto prendendolo da “Insufficienza di prove” (vedi):
L’aggressore, utilizzando un avvicinamento improvviso, ha scaricato la sua arma più volte a distanza ravvicinata concentrando prima il fuoco sulla vittima maschile neutralizzando in tal modo il suo pericolo più immediato. Una volta che la vittima maschile è stata neutralizzata, l’aggressore si è sentito sufficientemente sicuro di perpetrare il suo attacco alla vittima femminile.
Si tratta di un modus operandi che la ricostruzione proposta su questo blog rispetta ampiamente: i primi due proiettili colpirono Horst, che si presume il Mostro avesse ritenuto l’unico maschio. E furono sparati in rapida successione, anche se da due finestrini adiacenti. Ma il motivo è semplice e logico, anche se Scuffio pare non volerlo accettare: il primo finestrino si era spezzettato in minutissimi frammenti e aveva impedito di prendere ancora la mira.
È vero che nei casi precedenti il Mostro non si era spostato. Ma si trattava di finestrini di auto, con le vittime molto vicine, dunque un secondo colpo sparato alla cieca ci poteva stare. D’altra parte in quei casi spostarsi di finestrino voleva dire allontanarsi eccessivamente dal bersaglio e agire su un vetro troppo inclinato. Horst era molto più lontano, c’era quindi l’esigenza di inquadrarlo di nuovo. D’altra parte lo spostamento di finestrino non cambiava di molto né la prospettiva né l’inclinazione del vetro.
Veniamo alla seconda perplessità, il numero di colpi. In totale ne furono esplosi sette, cinque dall’esterno e due dall’interno. Secondo Scuffio sarebbe strano che il Mostro avesse evitato di scaricare del tutto l’arma, risparmiando le ultime due cartucce delle nove totali. Non si comprende davvero da dove nasca questa perplessità. I ragazzi furono uccisi entrambi, quindi perché esplodere ancora due inutili colpi? Chi scrive è convinto che il Mostro da Giogoli in poi avesse iniziato a risparmiare le munizioni, essendo la sua scorta agli sgoccioli – non a caso utilizzò anche una cartuccia ramata che aveva conservato per tanti anni – e su questo Scuffio si dice in disaccordo. Va bene, opinioni differenti sono legittime, ma il Mostro non aveva mai sparato dei colpi in più del necessario – magari per altre ragioni, come il rumore – semmai aveva messo mano al coltello. A Scandicci aveva tenuto due cartucce, a Calenzano una, a Giogoli due e in futuro a Vicchio addirittura quattro. Che in quest’ultimo caso avesse risparmiato è peraltro evidente dalle dieci coltellate con cui uccise il povero Claudio Stefanacci. Piuttosto che sparargli in testa preferì entrare parzialmente nell’abitacolo e accoltellarlo a ripetizione, esponendosi al pericolo di non accorgersi dell’eventuale arrivo di qualcuno.
Infine non una perplessità ma un errore. Scuffio afferma che non sarebbero state trovate tracce di affumicatura sui vetri dei finestrini e sulla lamiera. Dunque i cinque colpi sarebbero stati sparati tutti da una distanza dal furgone di almeno 40 cm. In effetti nella sentenza di primo grado contro Pacciani si legge questo passo:
Va rilevato inoltre che non furono trovate tracce di affumicatura né sui vetri dei finestrini né sulle fiancate in corrispondenza dei fori dei proiettili, circostanza che, secondo i periti balistici, starebbe ad indicare una distanza minima di 40 cm dalla bocca da fuoco al momento dello sparo, il che ulteriormente dimostra che l'omicida non aveva sparato a contatto o quasi a contatto con le fiancate del furgone.
Non è ben chiaro a quali periti balistici si riferiscano i giudici. Nella perizia Arcese-Iadevito non si fa cenno all’argomento. I periti riprendono le considerazioni del referto autoptico, indicando in 80-100 cm la distanza di sparo riguardo Horst (“I colpi furono esplosi da una distanza compresa fra gli 80 e i 100 cm.”). Ma evidentemente Maurri l’aveva calcolata rispetto al corpo, tenendo conto della sua posizione nello spazio interno. Quindi la fiancata non c’incastrava nulla. Che i giudici avessero capito fischi per fiaschi è dimostrato da quest’altro passo, indicativo della confusione tra distanza dalle fiancate e distanza dai corpi:
Tutti colpi, poi, sparati da una certa distanza (i periti parlano, naturalmente in via presuntiva, di 80-100 cm.) ma, comunque, da distanza non inferiore a 40 cm., stante, come si è detto, l'assenza di tracce di affumicatura sulle fiancate dei furgone.
A questo punto andiamo a vedere i rilievi della polizia scientifica. Nel rapporto che accompagna il fascicolo fotografico, datato 10 settembre 1983 e firmato da Giovanni Autorino, non si fa cenno alcuno alla questione degli aloni. Sollecitato da Canessa, Autorino ne parlò invece al processo Pacciani (vedi):
PM: Nel caso in cui l'arma da fuoco spari sulla carrozzeria, a secondo della distanza che l'arma ha rispetto alla carrozzeria, secondo la sua esperienza rimangono degli aloni e delle affumicature – come sui corpi, per intendersi – oppure questo dato non è così apprezzabile?
Autorino: Sicuramente, diciamo, l'epidermide o una stoffa reagisce in modo diverso che non una superficie dura come può essere un vetro, come può essere... però nulla esclude che per, diciamo, per composizione stessa della carica di lancio e dei gas che fuoriescono poi dalla bocca di volata dell'arma, possono produrre sulla superficie, laddove attinge poi il proiettile, qualche alone. Sicuramente più visibile sul corpo umano, perché troviamo addirittura come una forma di tatuaggio. Sicuramente su una stoffa perché assume proprio una configurazione di combustione; ma molto meno su superfici metalliche o affini.
PM: Ispettore, quindi, il fatto che su quel colpo che abbiamo visto, che lei ha contrassegnato se non sbaglio con il C […] “apparentemente”, lei ha già risposto, “non c'era un alone visibile”". Può avere importanza e essere oggi rilevato per stabilire un'ipotetica distanza dello sparo, o è un campo da abbandonare perché non sappiamo cosa dire?
Autorino: Io penso che sia un campo da abbandonare.
Come si vede, secondo Autorino su superfici rigide la polvere da sparo rimane poco, tantoché è poco utile tentare di rilevarne le tracce. Si consideri poi che erano trascorse almeno una ventina d’ore prima che la polizia scientifica esaminasse il furgone. In ogni caso chi avrebbe dovuto rilevare gli aloni, Autorino, non se ne preoccupò affatto. Può darsi che ci avessero provato i carabinieri più tardi, quando il furgone venne portato in caserma, ma ci si chiede quali aloni si sarebbero potuti cercare dopo la bolgia che c’era stata sulla piazzola e le operazioni di spostamento.
In ogni caso è lo stesso buonsenso a dirci che lo sparatore dovette accostare l’arma ai finestrini, se non altro perché doveva mirare. Che motivo avrebbe avuto di allontanarsene addirittura di 40 cm, in un caso in cui era già molto più difficile del solito inquadrare i bersagli? L’unico colpo per il quale i centimetri in più o in meno contarono poco è quello sulla lamiera, dove non c’era bisogno di mirare. Per esso, e soltanto per esso, De Fazio e colleghi scrivono: “Mancano segni di affumicatura e di polveri”. Ma anche in questo caso è legittimo dubitare che tale mancanza potesse aver rivestito qualche valore.
I primi due colpi. Forte di tutte le convinzioni appena elencate, a questo punto Scuffio si è sentito abbastanza motivato per azzardare con grande coraggio una modalità di attacco inedita e originalissima. Si osservi la foto sottostante.
Come si vede, il vetro posteriore destro, quello opaco basculante, è aperto. Si tratta di un dettaglio cui nessuno fino ad oggi aveva annesso importanza, neppure chi scrive, che pure lo aveva notato. E non c’è motivo di ritenere che lo avessero aperto i pur maldestri rappresentanti delle forze dell’ordine accalcati attorno al furgone. Quel finestrino era così da prima, lo avevano aperto i ragazzi per far entrare un po’ d’aria, è logico. Solo quello però, l’altro, sulla fiancata sinistra, le foto dall’interno ce lo mostrano chiuso.
Si può notare quanto piccolo sia lo scostamento del vetro dalla lamiera, meno di una decina di centimetri. Ebbene, è da quel pertugio che Scuffio immagina siano stati sparati i due primi colpi, che si andrebbero ad aggiungere ai sette fino a oggi conteggiati. In questo modo elimina entrambe le sue perplessità: da una parte introduce la mancata sequenza iniziale di almeno due colpi e dall’altra ne fa sparare nove in totale.
Purtroppo si tratta di un’ipotesi alla cieca, non suffragata dal conteggio di bossoli e proiettili. Ma neppure contrastata, questo va riconosciuto. All’esterno furono trovati due bossoli soltanto – e non c’è da meravigliarsi, considerando la bolgia attorno al furgone – quindi già ne mancavano tre. A questo punto aggiungere i due di Scuffio non sarebbe uno scandalo.
Riguardo i proiettili disponiamo di qualche piccola informazione in più. La perizia Arcese-Iadevito – che è della primavera successiva – li trovò rinchiusi in tre provette, corrosi dai residui organici dai quali non erano stati ripuliti. In una con targhetta “MEYER WILHELM” ne erano contenuti due interi più un grosso frammento, in una con targhetta “UWE RUSCH SENS.” due frammenti, in una terza con targhetta quasi illeggibile (due parole, delle quali la prima era forse “QUELLO”) uno quasi completo e un frammento.
Si può presumere che la terza provetta contenesse quanto era rimasto dei due proiettili “ufficiali” non estratti dai corpi. Nessuna traccia, quindi, dei due in più ipotizzati da Scuffio. Potrebbero essersi persi, senz’altro, dobbiamo però chiederci per quale motivo se ne debba ipotizzare l’esistenza. Anzi, sembra abbastanza strano che il Mostro avesse scelto di utilizzare quel piccolo pertugio invece dell’ampio finestrino centrale, dal quale avrebbe sparato poi. La visuale per uno sparatore a braccio teso e occhio sulla tacca di mira sarebbe stata molto ristretta, e i bersagli più lontani. Bersagli che Scuffio è costretto a mettere in una posizione ben precisa, anche per far tornare un minimo le traiettorie delle due corrispondenti ferite. Ecco come.
L’ipotesi è quella che i ragazzi fossero intenti in un rapporto intimo, ipotizzando tra di loro un legame omosessuale, cosa che del resto emerge tra le righe degli atti. Ci si deve chiedere però se davvero sia ipotizzabile che si fossero lasciati andare a un’attività così impegnativa a luce e autoradio accese e con il portellone non bloccato! Anche oggi vedere due persone dello stesso sesso in atteggiamento erotico o anche soltanto troppo affettuoso dà nell’occhio, figurarsi quasi 40 anni fa. Non si può pensare che i ragazzi – a giudicare dalle foto due chierichetti – avessero avuto quel coraggio. Senza contare che si trovavano in una zona non proprio deserta dove il campeggio libero non era certo consentito. Tra l’altro è molto probabile che la sera prima un metronotte li avesse allontanati da via Scopeti.
Le ferite. Scuffio immagina che il ragazzo sopra fosse Horst, e che uno dei due proiettili fantasma fosse quello mortale al fianco destro. L’altro invece lo avrebbe colpito alla nuca senza penetrare. Riguardo la ferita al gluteo sinistro, invece, immagina un successivo colpo di rimbalzo, uno qualsiasi dei cinque che avevano attraversato i vetri e la carrozzeria. Ma niente torna.
Partiamo dal colpo al fianco. Il povero ragazzo ci rimase secco, poiché il proiettile gli attraversò il fegato, il cuore e il polmone sinistro. Scuffio ritiene che dopo i due colpi Uwe si sarebbe divincolato da sotto cercando di sottrarsi ai successivi. E il corpo di Horst, a quel punto già morto? Sarebbe ricaduto bocconi, nella posizione mostrata dalla foto sottostante.
Si vede bene che il povero Horst abbracciava il cuscino, il braccio sinistro sotto e il destro sopra, le dita piegate a tenerlo. Come avrebbe fatto a ritrovarsi in tale posizione dopo che Uwe gli si era sfilato da sotto?
Vediamo adesso il colpo alla nuca. Sappiamo che non penetrò, quindi dovette essere rallentato da qualcosa. Non avendo a disposizione un vetro Scuffio immagina che fosse stata la mano sinistra di Uwe poggiata sulle spalle dell’amico. In effetti un proiettile attraversò quella mano, ma la ferita non era affatto quella descritta anche a parole da Scuffio. Secondo lui il proiettile sarebbe entrato dalla parte superiore del polso e uscito dal palmo, come si desume anche dalla traiettoria disegnata per il relativo proiettile. Ma non è così.
Scrissero Arcese e Iadevito: “Il colpo che attinse la mano sinistra ebbe il suo ingresso a livello della membrana interdigitale tra primo e secondo dito e foro di uscita in corrispondenza dell’eminenza ipotenar”. E De Fazio: “Un colpo alla piega tra 1° e 2° dito della mano SX. posteriormente, con tramite interessante la regione metacarpale e proiettile fuoriuscito all'eminenza ipotenaria”.
Quindi più o meno la traiettoria mostrata nella figura sottostante, totalmente diversa da quella descritta da Scuffio.
Riguardo il colpo al gluteo si può escludere che fosse di rimbalzo. Così lo descrive De Fazio:
Un colpo in regione glutea sx., al quadrante superomediale, con tramite obliquo dal basso in alto e dall'avanti all'indietro, interessante il peritoneo posteriore, lo stomaco alla piccola curvatura, e proiettile ritenuto nello spessore della parete anteriore dell'addome.
Il proiettile attraversò obliquamente il corpo del ragazzo dal dietro al davanti fermandosi contro la parete addominale, quindi con una forza di penetrazione notevole, incompatibile con un colpo di rimbalzo. Tra l’altro sappiamo che dal corpo del poveretto vennero estratti due proiettili completi e un frammento. Pare logico ritenere che il frammento provenisse dalla nuca, dove non era riuscito a superare le ossa del cranio proprio perché di rimbalzo, quindi rallentato dall’impatto con una superficie rigida e frammentato. Quello al gluteo era uno dei due completi, pertanto non di rimbalzo ma diretto.
A questo punto le supposizioni di Scuffio palesano tutta la loro erroneità: non ci fu alcuno sparo dal pertugio del finestrino aperto, e i ragazzi non erano in quella posizione. Quindi la sua dinamica è da bocciare senza rimedio.
La posizione di Horst. Le ferite di Horst ci dicono che il ragazzo doveva essere in una posizione trasversale rispetto al furgone, un po’ obliqua con le gambe verso il centro. In questo modo tornano bene le traiettorie convergenti della ferita al fianco destro dal finestrino centrale e della ferita al gluteo sinistro dal finestrino opaco. Ma Scuffio osserva che il furgone era largo appena un metro e mezzo, quindi sembra difficile che i giovani dormissero in posizione trasversale, ma più ragionevolmente dormivano in posizione longitudinale. Forse sì, possiamo però ipotizzare che dormissero in una posizione a V, le teste lontane e i piedi vicini, magari accostati a trasmettersi complicità, oppure che la posizione di Horst al momento dell’attacco fosse provvisoria.
A questo punto si pone un problema, non evidenziato nella ricostruzione di questo blog e che un lettore aveva già fatto notare: il corpo di Horst venne trovato con il busto in posizione non compatibile con le ferite al fianco e al gluteo a fronte di proiettili provenienti dalla fiancata destra. Poteva essere stato spostato dagli agenti prima delle foto della scientifica? È senz’altro possibile, però anche improbabile, non sussistendone motivo. La spiegazione potrebbe essere un’altra.
Come si vede in foto, il corpo di Horst, liberato dalla coperta, si presenta con le gambe piegate ed è un po’ sul fianco sinistro, come se qualcuno dal fondo lo avesse tirato a sé per il bacino, avvicinandone il busto alla fiancata.
A completare il quadro c'è la figura di Uwe sullo sfondo: come non vedere il povero ragazzo che cerca di proteggersi tirando a sé il corpo dell’amico, compresa la sua coperta?
Edit: La foto di cattiva qualità mi aveva fatto prendere per sangue la grande macchia scura vicino al braccio, che invece sangue non è. Analogo valore ha però una macchia riconducibile alla ferita alla nuca, vedi articolo successivo.
In più ho preferito togliere un addendum nel quale cercavo di dimostrare che i materassini erano posti di traverso. Purtroppo le foto non consentono valutazioni certe, in ogni caso il fatto non sarebbe dirimente per ciò di cui qui si discute.
L’altezza dello sparatore. A questo punto dimentichiamo la ricostruzione di Scuffio ed esaminiamo il foro sul vetro centrale, corrispondente alla ferita al fianco di Horst, distante 150 cm circa da terra. Nella ricostruzione di questo blog si è ipotizzato che il Mostro avesse esploso il colpo con gli occhi vicini al vetro e il braccio addotto. In questo caso non avrebbe potuto tenere la pistola ad altezza superiore a quella della spalla, semmai qualche centimetro al di sotto. E sulla base di questo dato si era proposto una statura di circa un metro e ottanta. Però il Mostro potrebbe anche aver sparato a braccio teso prendendo la mira, anzi, secondo alcuni sarebbe questo lo scenario più naturale per il primo colpo, e anche chi scrive ha finito per convincersene.
La situazione potrebbe dunque essere stata simile a quella della foto sottostante.
Il mezzo è lo stesso di Giogoli, soltanto in un diverso allestimento con diversi finestrini. Si tenga presente che l’attore in foto è alto un metro e 73 – più le scarpe con un tacco di 2 cm – e che la mira è stata presa un po’ sotto il finestrino opposto. Il segmento più basso unisce gli occhi dello sparatore alla canna. Quello stesso segmento è stato traslato più in alto cercando di farlo finire più o meno dov’era il foro sul vetro – che si vede nel riquadro aggiunto – così da dare l’idea della superiore statura del Mostro.
A questo punto proviamo a calcolare l’altezza degli occhi dello sparatore, dalla quale dedurremo la sua statura. Si osservi l’immagine seguente, dove la scena viene rappresentata in modo schematico. Abbiamo bisogno di altri tre dati, oltre quello dell’altezza da terra del foro, che è di 150 cm: altezza da terra del punto di arrivo del proiettile (dove lo sparatore mirava, segmento EG = BF), la sua distanza dalla fiancata destra (segmento DE), la distanza degli occhi dello sparatore dal vetro (segmento AC). Poi con qualche calcolo troveremo il valore del segmento AB, che sommato a BF ci darà l’altezza degli occhi dello sparatore. Aggiungendo 10 cm troveremo poi la sua statura approssimativa. Il punto di arrivo del proiettile è il fianco destro di Horst, per cui il primo dato di cui si ha bisogno è l’altezza della corrispondente ferita da terra, segmento EG. Per calcolarla in modo approssimativo si può partire dalla presumibile altezza del piano di appoggio dei materassi, che nelle misure fornite da Scuffio vale 97.5 cm. Come mostra il fascicolo fotografico, il foro della ferita era a circa metà del fianco (nel senso dello spessore), quindi pare abbastanza plausibile che si possa collocare prudenzialmente a un’altezza da terra di 120 cm., aggiungendone 22.5 per il materasso, il suo cedimento e metà del bacino. Tale valore viene confermato a occhio dalla foto sottostante.
Il segmento rosso vale il doppio della distanza tra il foro sul vetro e la cornice, misurata da Autorino in 10 cm, quindi 20. Considerando che quel foro era ad un’altezza di 140 cm, con i 120 calcolati prima ci siamo.
Adesso calcoliamo la distanza della stessa ferita dalla fiancata destra del furgone, segmento DE. A giudicare da una foto del fascicolo fotografico il foro si colloca a circa due terzi della statura, qualcosina meno. Proporzionando il dato alla larghezza del furgone, 154 cm, possiamo ritenerla distante dalla fiancata circa un metro. Quindi abbiamo la seconda misura richiesta: segmento DE = 100 cm.
Per la distanza degli occhi dello sparatore dal vetro non si può che fare qualche prova. Le prove condotte dallo scrivente con un posizionamento simile a quello della foto con il furgone ha restituito un valore di 75 cm. La canna è stata posizionata a sette o otto centimetri dal vetro, ignorando il problema degli aloni (va da sé che allontanandola aumenta la statura dello sparatore). Quindi abbiamo anche la terza misura: segmento AC = 75 cm.
Possiamo a questo punto calcolare per differenza il segmento CD = 150 – 120 = 30 cm, e applicando il teorema di Pitagora il segmento CE = radice (30x30 + 100x100) = 104 cm. Adesso applichiamo la proporzione ai lati omologhi dei due triangoli simili ABE e CDE per trovare il segmento AB. Abbiamo AB : CD = AE : CE, quindi AB = CD x AE / CE = 30 x (104+75) / 104 = 52 cm. Troviamo adesso l’altezza degli occhi dello sparatore: AF = AB + BF = 52 + 120 = 172 cm. Aggiungiamo i 10 cm dagli occhi alla cima della testa e avremo una statura di 182 cm, compresi i tacchi!
La statura di 178 cm a qualcuno ricorda qualcosa?
Salvatore Vinci. Il lettore può modificare a suo piacimento le tre misure qui proposte, e rifare i calcoli. Possiamo osservare che la statura diminuisce sia diminuendo la distanza dello sparatore dal vetro, sia aumentando l’altezza della ferita e la sua distanza dalla fiancata. In ogni caso pare abbastanza evidente che non si riuscirà mai ad arrivare alla statura di Salvatore Vinci. C’è da dire che purtroppo il valore preciso non è noto. Nel rapporto Torrisi si parla di 165-170 cm, ma c’è da scommettere che il colonnello l’avesse stirato un bel po’, con la stessa disinvoltura con la quale aveva aggiustato altri dati in chiave iper colpevolista.
Probabilmente Vinci faceva fatica a toccare il metro e sessanta, a giudicare dalle foto e da alcune frasi leggibili qua e là. Per esempio nella Città del 13 aprile 1988, in occasione del noto processo, si legge: “È un uomo piccolo ma battagliero”. Se si pensa che un italiano della sua età (era nato nel 1935) era alto in media uno e 68 (dati ISTAT) la definizione di “piccolo” si commenta da sola. Con un foro sul finestrino ad altezza 150 cm l’uomo avrebbe dovuto sparare in orizzontale! Sussiste anche qualche legittimo dubbio che sarebbe riuscito a mirare dai finestrini parzialmente opachi. La fascia trasparente iniziava ad un’altezza di quasi 160 cm, quindi Vinci avrebbe dovuto alzarsi in punta di piedi! Se poi ci mettiamo le impronte di ginocchia sulla Panda di Vicchio (vedi) lo scenario è completo. Anzi, aggiungiamo pure le tre foto sottostanti.
Prosegue su Ancora Giogoli
In questo articolo la proposta di Scuffio verrà analizzata e fortemente criticata, senza sconti, com’è tradizione di chi scrive. Il suo lavoro è certo apprezzabile, se non altro perché è frutto di pura passione, ma in questa brutta storia ci sono già troppe fantasie per aggiungerne altre. In più non mi pare il caso di mettere in dubbio uno dei pochi elementi di relativa certezza sul Mostro: la sua alta statura. Anche se non si accorda con le bassezze di Pietro Pacciani e Salvatore Vinci.
La commedia delle parti. Che Scuffio si sia lasciato condizionare dalla questione della statura lo si capisce quasi subito, appena accenna al calcolo effettuato dall’equipe De Fazio nella nota perizia. Sulla base di considerazioni partenti dall’altezza del foro sulla carrozzeria, avevano scritto i criminologhi: “Si può quindi ipotizzare che l'omicida abbia una statura considerevole, molto probabilmente superiore, e non di poco, a cm. 180”. Nel 1994 De Fazio e colleghi furono chiamati a deporre al processo Pacciani, dove si trovarono nel grave imbarazzo di conciliare il loro calcolo con la statura dell’imputato, di quasi 20 cm inferiore. Ecco il dialogo tra De Fazio e Canessa (vedi):
De Fazio: Devo anche chiarire che, per ciò che riguarda il camper, noi abbiamo tenuto conto non solo dei fori sui finestrini […] abbiamo tenuto conto anche del fatto che questa traiettoria è iniziata con il foro è poi finita con il proiettile che ha colpito il soggetto. Soggetto che noi abbiamo, secondo i verbali di Polizia, considerato situato nel pianale.
PM: Cioè voi credevate che fossero sul pianale in basso.
De Fazio: Per forza, c'è scritto nel verbale di polizia che “i cadaveri giacciono sul pianale”. Allora, se questo è il vetro del camper e questo il pianale, noi dobbiamo ipotizzare un'inclinazione così.
PM: Dall'alto verso il basso.
De Fazio: E un'inclinazione cosi ci porta ad un determinato soggetto, rispetto ad un'inclinazione così. Cioè, in poche parole, in questa posizione, arto addotto, o in posizione arto esteso o del tutto innalzato, io posso prevedere una traiettoria di tipo orizzontale che mi comporta un'altezza. Ma se devo prevedere una traiettoria che mi va verso il basso, devo presupporre un altro tipo di altezza.
PM: E invece avete...
De Fazio: Noi abbiamo fatto il calcolo in base a cadaveri poggiati sul pianale dell'automezzo.
PM: E invece non sono – lei l'ha visto nelle fotografie, le possiamo riguardare, Presidente – non sono sul pianale, ma sono all'altezza...
De Fazio: È un'emergenza processuale della quale io... che apprendiamo questa mattina.
PM: Che non conoscevate. Bene.
Chi scrive ha a disposizione il verbale della polizia scientifica, allegato al fascicolo fotografico, dove viene descritto l’interno del furgone, e dove non si legge la frase riportata da De Fazio (“I cadaveri giacciono sul pianale”). Si legge invece: “A sinistra è un letto a due piazze su cui giacciono in parte avvolti tra le coperte in più̀ punti macchiate di sangue, i due cadaveri”. Può darsi che su un altro verbale compaia la frase indicata, è certo però che esisteva un fascicolo fotografico comprendente anche l’interno del furgone, alcune immagini del quale circolano in rete da anni.
Ora, come si può davvero pensare che l’equipe De Fazio, alla quale era stato chiesto di studiare tutti i delitti per proporre un ritratto dell’assassino, non ne avesse avuto disponibilità? È chiaro che al processo si era svolta una ridicola commedia delle parti, alla quale però Scuffio sembra voler credere. Anzi, nella perizia trova persino una frase che la confermerebbe: “Sul piantito del veicolo, accanto al «letto a due piazze» su cui sono stati rinvenuti i cadaveri di due giovani, venivano rinvenute «scatole di succhi di frutta aperte»”. Secondo Scuffio quell’avverbio “accanto” potrebbe indicare che effettivamente i periti credevano che anche il “letto a due piazze” stesse sul pavimento. Come se il dire che le scarpe sono accanto al letto implicasse che il materasso sia sul pavimento!
In realtà la valutazione di De Fazio era sì sbagliata, ma per altri motivi, come riporta l’articolo di questo blog.
Perplessità. Prima di proporre la sua dinamica Scuffio mette al corrente lo spettatore di un paio di sue perplessità, propedeutiche alla ricostruzione e delle quali è importante dimostrare l’infondatezza.
La prima riguarda l’apparente mancanza di una sequenza iniziale di sparo, almeno a giudicare dai fori sui finestrini e sulla lamiera, tutti singoli. Una sequenza iniziale che c’era sempre stata. Per giustificare tale perplessità Scuffio chiede anche aiuto al noto “Profilo FBI”, leggendone un frammento, che qui riporto prendendolo da “Insufficienza di prove” (vedi):
L’aggressore, utilizzando un avvicinamento improvviso, ha scaricato la sua arma più volte a distanza ravvicinata concentrando prima il fuoco sulla vittima maschile neutralizzando in tal modo il suo pericolo più immediato. Una volta che la vittima maschile è stata neutralizzata, l’aggressore si è sentito sufficientemente sicuro di perpetrare il suo attacco alla vittima femminile.
Si tratta di un modus operandi che la ricostruzione proposta su questo blog rispetta ampiamente: i primi due proiettili colpirono Horst, che si presume il Mostro avesse ritenuto l’unico maschio. E furono sparati in rapida successione, anche se da due finestrini adiacenti. Ma il motivo è semplice e logico, anche se Scuffio pare non volerlo accettare: il primo finestrino si era spezzettato in minutissimi frammenti e aveva impedito di prendere ancora la mira.
È vero che nei casi precedenti il Mostro non si era spostato. Ma si trattava di finestrini di auto, con le vittime molto vicine, dunque un secondo colpo sparato alla cieca ci poteva stare. D’altra parte in quei casi spostarsi di finestrino voleva dire allontanarsi eccessivamente dal bersaglio e agire su un vetro troppo inclinato. Horst era molto più lontano, c’era quindi l’esigenza di inquadrarlo di nuovo. D’altra parte lo spostamento di finestrino non cambiava di molto né la prospettiva né l’inclinazione del vetro.
Veniamo alla seconda perplessità, il numero di colpi. In totale ne furono esplosi sette, cinque dall’esterno e due dall’interno. Secondo Scuffio sarebbe strano che il Mostro avesse evitato di scaricare del tutto l’arma, risparmiando le ultime due cartucce delle nove totali. Non si comprende davvero da dove nasca questa perplessità. I ragazzi furono uccisi entrambi, quindi perché esplodere ancora due inutili colpi? Chi scrive è convinto che il Mostro da Giogoli in poi avesse iniziato a risparmiare le munizioni, essendo la sua scorta agli sgoccioli – non a caso utilizzò anche una cartuccia ramata che aveva conservato per tanti anni – e su questo Scuffio si dice in disaccordo. Va bene, opinioni differenti sono legittime, ma il Mostro non aveva mai sparato dei colpi in più del necessario – magari per altre ragioni, come il rumore – semmai aveva messo mano al coltello. A Scandicci aveva tenuto due cartucce, a Calenzano una, a Giogoli due e in futuro a Vicchio addirittura quattro. Che in quest’ultimo caso avesse risparmiato è peraltro evidente dalle dieci coltellate con cui uccise il povero Claudio Stefanacci. Piuttosto che sparargli in testa preferì entrare parzialmente nell’abitacolo e accoltellarlo a ripetizione, esponendosi al pericolo di non accorgersi dell’eventuale arrivo di qualcuno.
Infine non una perplessità ma un errore. Scuffio afferma che non sarebbero state trovate tracce di affumicatura sui vetri dei finestrini e sulla lamiera. Dunque i cinque colpi sarebbero stati sparati tutti da una distanza dal furgone di almeno 40 cm. In effetti nella sentenza di primo grado contro Pacciani si legge questo passo:
Va rilevato inoltre che non furono trovate tracce di affumicatura né sui vetri dei finestrini né sulle fiancate in corrispondenza dei fori dei proiettili, circostanza che, secondo i periti balistici, starebbe ad indicare una distanza minima di 40 cm dalla bocca da fuoco al momento dello sparo, il che ulteriormente dimostra che l'omicida non aveva sparato a contatto o quasi a contatto con le fiancate del furgone.
Non è ben chiaro a quali periti balistici si riferiscano i giudici. Nella perizia Arcese-Iadevito non si fa cenno all’argomento. I periti riprendono le considerazioni del referto autoptico, indicando in 80-100 cm la distanza di sparo riguardo Horst (“I colpi furono esplosi da una distanza compresa fra gli 80 e i 100 cm.”). Ma evidentemente Maurri l’aveva calcolata rispetto al corpo, tenendo conto della sua posizione nello spazio interno. Quindi la fiancata non c’incastrava nulla. Che i giudici avessero capito fischi per fiaschi è dimostrato da quest’altro passo, indicativo della confusione tra distanza dalle fiancate e distanza dai corpi:
Tutti colpi, poi, sparati da una certa distanza (i periti parlano, naturalmente in via presuntiva, di 80-100 cm.) ma, comunque, da distanza non inferiore a 40 cm., stante, come si è detto, l'assenza di tracce di affumicatura sulle fiancate dei furgone.
A questo punto andiamo a vedere i rilievi della polizia scientifica. Nel rapporto che accompagna il fascicolo fotografico, datato 10 settembre 1983 e firmato da Giovanni Autorino, non si fa cenno alcuno alla questione degli aloni. Sollecitato da Canessa, Autorino ne parlò invece al processo Pacciani (vedi):
PM: Nel caso in cui l'arma da fuoco spari sulla carrozzeria, a secondo della distanza che l'arma ha rispetto alla carrozzeria, secondo la sua esperienza rimangono degli aloni e delle affumicature – come sui corpi, per intendersi – oppure questo dato non è così apprezzabile?
Autorino: Sicuramente, diciamo, l'epidermide o una stoffa reagisce in modo diverso che non una superficie dura come può essere un vetro, come può essere... però nulla esclude che per, diciamo, per composizione stessa della carica di lancio e dei gas che fuoriescono poi dalla bocca di volata dell'arma, possono produrre sulla superficie, laddove attinge poi il proiettile, qualche alone. Sicuramente più visibile sul corpo umano, perché troviamo addirittura come una forma di tatuaggio. Sicuramente su una stoffa perché assume proprio una configurazione di combustione; ma molto meno su superfici metalliche o affini.
PM: Ispettore, quindi, il fatto che su quel colpo che abbiamo visto, che lei ha contrassegnato se non sbaglio con il C […] “apparentemente”, lei ha già risposto, “non c'era un alone visibile”". Può avere importanza e essere oggi rilevato per stabilire un'ipotetica distanza dello sparo, o è un campo da abbandonare perché non sappiamo cosa dire?
Autorino: Io penso che sia un campo da abbandonare.
Come si vede, secondo Autorino su superfici rigide la polvere da sparo rimane poco, tantoché è poco utile tentare di rilevarne le tracce. Si consideri poi che erano trascorse almeno una ventina d’ore prima che la polizia scientifica esaminasse il furgone. In ogni caso chi avrebbe dovuto rilevare gli aloni, Autorino, non se ne preoccupò affatto. Può darsi che ci avessero provato i carabinieri più tardi, quando il furgone venne portato in caserma, ma ci si chiede quali aloni si sarebbero potuti cercare dopo la bolgia che c’era stata sulla piazzola e le operazioni di spostamento.
In ogni caso è lo stesso buonsenso a dirci che lo sparatore dovette accostare l’arma ai finestrini, se non altro perché doveva mirare. Che motivo avrebbe avuto di allontanarsene addirittura di 40 cm, in un caso in cui era già molto più difficile del solito inquadrare i bersagli? L’unico colpo per il quale i centimetri in più o in meno contarono poco è quello sulla lamiera, dove non c’era bisogno di mirare. Per esso, e soltanto per esso, De Fazio e colleghi scrivono: “Mancano segni di affumicatura e di polveri”. Ma anche in questo caso è legittimo dubitare che tale mancanza potesse aver rivestito qualche valore.
I primi due colpi. Forte di tutte le convinzioni appena elencate, a questo punto Scuffio si è sentito abbastanza motivato per azzardare con grande coraggio una modalità di attacco inedita e originalissima. Si osservi la foto sottostante.
Come si vede, il vetro posteriore destro, quello opaco basculante, è aperto. Si tratta di un dettaglio cui nessuno fino ad oggi aveva annesso importanza, neppure chi scrive, che pure lo aveva notato. E non c’è motivo di ritenere che lo avessero aperto i pur maldestri rappresentanti delle forze dell’ordine accalcati attorno al furgone. Quel finestrino era così da prima, lo avevano aperto i ragazzi per far entrare un po’ d’aria, è logico. Solo quello però, l’altro, sulla fiancata sinistra, le foto dall’interno ce lo mostrano chiuso.
Si può notare quanto piccolo sia lo scostamento del vetro dalla lamiera, meno di una decina di centimetri. Ebbene, è da quel pertugio che Scuffio immagina siano stati sparati i due primi colpi, che si andrebbero ad aggiungere ai sette fino a oggi conteggiati. In questo modo elimina entrambe le sue perplessità: da una parte introduce la mancata sequenza iniziale di almeno due colpi e dall’altra ne fa sparare nove in totale.
Purtroppo si tratta di un’ipotesi alla cieca, non suffragata dal conteggio di bossoli e proiettili. Ma neppure contrastata, questo va riconosciuto. All’esterno furono trovati due bossoli soltanto – e non c’è da meravigliarsi, considerando la bolgia attorno al furgone – quindi già ne mancavano tre. A questo punto aggiungere i due di Scuffio non sarebbe uno scandalo.
Riguardo i proiettili disponiamo di qualche piccola informazione in più. La perizia Arcese-Iadevito – che è della primavera successiva – li trovò rinchiusi in tre provette, corrosi dai residui organici dai quali non erano stati ripuliti. In una con targhetta “MEYER WILHELM” ne erano contenuti due interi più un grosso frammento, in una con targhetta “UWE RUSCH SENS.” due frammenti, in una terza con targhetta quasi illeggibile (due parole, delle quali la prima era forse “QUELLO”) uno quasi completo e un frammento.
Si può presumere che la terza provetta contenesse quanto era rimasto dei due proiettili “ufficiali” non estratti dai corpi. Nessuna traccia, quindi, dei due in più ipotizzati da Scuffio. Potrebbero essersi persi, senz’altro, dobbiamo però chiederci per quale motivo se ne debba ipotizzare l’esistenza. Anzi, sembra abbastanza strano che il Mostro avesse scelto di utilizzare quel piccolo pertugio invece dell’ampio finestrino centrale, dal quale avrebbe sparato poi. La visuale per uno sparatore a braccio teso e occhio sulla tacca di mira sarebbe stata molto ristretta, e i bersagli più lontani. Bersagli che Scuffio è costretto a mettere in una posizione ben precisa, anche per far tornare un minimo le traiettorie delle due corrispondenti ferite. Ecco come.
L’ipotesi è quella che i ragazzi fossero intenti in un rapporto intimo, ipotizzando tra di loro un legame omosessuale, cosa che del resto emerge tra le righe degli atti. Ci si deve chiedere però se davvero sia ipotizzabile che si fossero lasciati andare a un’attività così impegnativa a luce e autoradio accese e con il portellone non bloccato! Anche oggi vedere due persone dello stesso sesso in atteggiamento erotico o anche soltanto troppo affettuoso dà nell’occhio, figurarsi quasi 40 anni fa. Non si può pensare che i ragazzi – a giudicare dalle foto due chierichetti – avessero avuto quel coraggio. Senza contare che si trovavano in una zona non proprio deserta dove il campeggio libero non era certo consentito. Tra l’altro è molto probabile che la sera prima un metronotte li avesse allontanati da via Scopeti.
Le ferite. Scuffio immagina che il ragazzo sopra fosse Horst, e che uno dei due proiettili fantasma fosse quello mortale al fianco destro. L’altro invece lo avrebbe colpito alla nuca senza penetrare. Riguardo la ferita al gluteo sinistro, invece, immagina un successivo colpo di rimbalzo, uno qualsiasi dei cinque che avevano attraversato i vetri e la carrozzeria. Ma niente torna.
Partiamo dal colpo al fianco. Il povero ragazzo ci rimase secco, poiché il proiettile gli attraversò il fegato, il cuore e il polmone sinistro. Scuffio ritiene che dopo i due colpi Uwe si sarebbe divincolato da sotto cercando di sottrarsi ai successivi. E il corpo di Horst, a quel punto già morto? Sarebbe ricaduto bocconi, nella posizione mostrata dalla foto sottostante.
Si vede bene che il povero Horst abbracciava il cuscino, il braccio sinistro sotto e il destro sopra, le dita piegate a tenerlo. Come avrebbe fatto a ritrovarsi in tale posizione dopo che Uwe gli si era sfilato da sotto?
Vediamo adesso il colpo alla nuca. Sappiamo che non penetrò, quindi dovette essere rallentato da qualcosa. Non avendo a disposizione un vetro Scuffio immagina che fosse stata la mano sinistra di Uwe poggiata sulle spalle dell’amico. In effetti un proiettile attraversò quella mano, ma la ferita non era affatto quella descritta anche a parole da Scuffio. Secondo lui il proiettile sarebbe entrato dalla parte superiore del polso e uscito dal palmo, come si desume anche dalla traiettoria disegnata per il relativo proiettile. Ma non è così.
Scrissero Arcese e Iadevito: “Il colpo che attinse la mano sinistra ebbe il suo ingresso a livello della membrana interdigitale tra primo e secondo dito e foro di uscita in corrispondenza dell’eminenza ipotenar”. E De Fazio: “Un colpo alla piega tra 1° e 2° dito della mano SX. posteriormente, con tramite interessante la regione metacarpale e proiettile fuoriuscito all'eminenza ipotenaria”.
Quindi più o meno la traiettoria mostrata nella figura sottostante, totalmente diversa da quella descritta da Scuffio.
Riguardo il colpo al gluteo si può escludere che fosse di rimbalzo. Così lo descrive De Fazio:
Un colpo in regione glutea sx., al quadrante superomediale, con tramite obliquo dal basso in alto e dall'avanti all'indietro, interessante il peritoneo posteriore, lo stomaco alla piccola curvatura, e proiettile ritenuto nello spessore della parete anteriore dell'addome.
Il proiettile attraversò obliquamente il corpo del ragazzo dal dietro al davanti fermandosi contro la parete addominale, quindi con una forza di penetrazione notevole, incompatibile con un colpo di rimbalzo. Tra l’altro sappiamo che dal corpo del poveretto vennero estratti due proiettili completi e un frammento. Pare logico ritenere che il frammento provenisse dalla nuca, dove non era riuscito a superare le ossa del cranio proprio perché di rimbalzo, quindi rallentato dall’impatto con una superficie rigida e frammentato. Quello al gluteo era uno dei due completi, pertanto non di rimbalzo ma diretto.
A questo punto le supposizioni di Scuffio palesano tutta la loro erroneità: non ci fu alcuno sparo dal pertugio del finestrino aperto, e i ragazzi non erano in quella posizione. Quindi la sua dinamica è da bocciare senza rimedio.
La posizione di Horst. Le ferite di Horst ci dicono che il ragazzo doveva essere in una posizione trasversale rispetto al furgone, un po’ obliqua con le gambe verso il centro. In questo modo tornano bene le traiettorie convergenti della ferita al fianco destro dal finestrino centrale e della ferita al gluteo sinistro dal finestrino opaco. Ma Scuffio osserva che il furgone era largo appena un metro e mezzo, quindi sembra difficile che i giovani dormissero in posizione trasversale, ma più ragionevolmente dormivano in posizione longitudinale. Forse sì, possiamo però ipotizzare che dormissero in una posizione a V, le teste lontane e i piedi vicini, magari accostati a trasmettersi complicità, oppure che la posizione di Horst al momento dell’attacco fosse provvisoria.
A questo punto si pone un problema, non evidenziato nella ricostruzione di questo blog e che un lettore aveva già fatto notare: il corpo di Horst venne trovato con il busto in posizione non compatibile con le ferite al fianco e al gluteo a fronte di proiettili provenienti dalla fiancata destra. Poteva essere stato spostato dagli agenti prima delle foto della scientifica? È senz’altro possibile, però anche improbabile, non sussistendone motivo. La spiegazione potrebbe essere un’altra.
Come si vede in foto, il corpo di Horst, liberato dalla coperta, si presenta con le gambe piegate ed è un po’ sul fianco sinistro, come se qualcuno dal fondo lo avesse tirato a sé per il bacino, avvicinandone il busto alla fiancata.
A completare il quadro c'è la figura di Uwe sullo sfondo: come non vedere il povero ragazzo che cerca di proteggersi tirando a sé il corpo dell’amico, compresa la sua coperta?
Edit: La foto di cattiva qualità mi aveva fatto prendere per sangue la grande macchia scura vicino al braccio, che invece sangue non è. Analogo valore ha però una macchia riconducibile alla ferita alla nuca, vedi articolo successivo.
In più ho preferito togliere un addendum nel quale cercavo di dimostrare che i materassini erano posti di traverso. Purtroppo le foto non consentono valutazioni certe, in ogni caso il fatto non sarebbe dirimente per ciò di cui qui si discute.
L’altezza dello sparatore. A questo punto dimentichiamo la ricostruzione di Scuffio ed esaminiamo il foro sul vetro centrale, corrispondente alla ferita al fianco di Horst, distante 150 cm circa da terra. Nella ricostruzione di questo blog si è ipotizzato che il Mostro avesse esploso il colpo con gli occhi vicini al vetro e il braccio addotto. In questo caso non avrebbe potuto tenere la pistola ad altezza superiore a quella della spalla, semmai qualche centimetro al di sotto. E sulla base di questo dato si era proposto una statura di circa un metro e ottanta. Però il Mostro potrebbe anche aver sparato a braccio teso prendendo la mira, anzi, secondo alcuni sarebbe questo lo scenario più naturale per il primo colpo, e anche chi scrive ha finito per convincersene.
La situazione potrebbe dunque essere stata simile a quella della foto sottostante.
Il mezzo è lo stesso di Giogoli, soltanto in un diverso allestimento con diversi finestrini. Si tenga presente che l’attore in foto è alto un metro e 73 – più le scarpe con un tacco di 2 cm – e che la mira è stata presa un po’ sotto il finestrino opposto. Il segmento più basso unisce gli occhi dello sparatore alla canna. Quello stesso segmento è stato traslato più in alto cercando di farlo finire più o meno dov’era il foro sul vetro – che si vede nel riquadro aggiunto – così da dare l’idea della superiore statura del Mostro.
A questo punto proviamo a calcolare l’altezza degli occhi dello sparatore, dalla quale dedurremo la sua statura. Si osservi l’immagine seguente, dove la scena viene rappresentata in modo schematico. Abbiamo bisogno di altri tre dati, oltre quello dell’altezza da terra del foro, che è di 150 cm: altezza da terra del punto di arrivo del proiettile (dove lo sparatore mirava, segmento EG = BF), la sua distanza dalla fiancata destra (segmento DE), la distanza degli occhi dello sparatore dal vetro (segmento AC). Poi con qualche calcolo troveremo il valore del segmento AB, che sommato a BF ci darà l’altezza degli occhi dello sparatore. Aggiungendo 10 cm troveremo poi la sua statura approssimativa. Il punto di arrivo del proiettile è il fianco destro di Horst, per cui il primo dato di cui si ha bisogno è l’altezza della corrispondente ferita da terra, segmento EG. Per calcolarla in modo approssimativo si può partire dalla presumibile altezza del piano di appoggio dei materassi, che nelle misure fornite da Scuffio vale 97.5 cm. Come mostra il fascicolo fotografico, il foro della ferita era a circa metà del fianco (nel senso dello spessore), quindi pare abbastanza plausibile che si possa collocare prudenzialmente a un’altezza da terra di 120 cm., aggiungendone 22.5 per il materasso, il suo cedimento e metà del bacino. Tale valore viene confermato a occhio dalla foto sottostante.
Il segmento rosso vale il doppio della distanza tra il foro sul vetro e la cornice, misurata da Autorino in 10 cm, quindi 20. Considerando che quel foro era ad un’altezza di 140 cm, con i 120 calcolati prima ci siamo.
Adesso calcoliamo la distanza della stessa ferita dalla fiancata destra del furgone, segmento DE. A giudicare da una foto del fascicolo fotografico il foro si colloca a circa due terzi della statura, qualcosina meno. Proporzionando il dato alla larghezza del furgone, 154 cm, possiamo ritenerla distante dalla fiancata circa un metro. Quindi abbiamo la seconda misura richiesta: segmento DE = 100 cm.
Per la distanza degli occhi dello sparatore dal vetro non si può che fare qualche prova. Le prove condotte dallo scrivente con un posizionamento simile a quello della foto con il furgone ha restituito un valore di 75 cm. La canna è stata posizionata a sette o otto centimetri dal vetro, ignorando il problema degli aloni (va da sé che allontanandola aumenta la statura dello sparatore). Quindi abbiamo anche la terza misura: segmento AC = 75 cm.
Possiamo a questo punto calcolare per differenza il segmento CD = 150 – 120 = 30 cm, e applicando il teorema di Pitagora il segmento CE = radice (30x30 + 100x100) = 104 cm. Adesso applichiamo la proporzione ai lati omologhi dei due triangoli simili ABE e CDE per trovare il segmento AB. Abbiamo AB : CD = AE : CE, quindi AB = CD x AE / CE = 30 x (104+75) / 104 = 52 cm. Troviamo adesso l’altezza degli occhi dello sparatore: AF = AB + BF = 52 + 120 = 172 cm. Aggiungiamo i 10 cm dagli occhi alla cima della testa e avremo una statura di 182 cm, compresi i tacchi!
La statura di 178 cm a qualcuno ricorda qualcosa?
Salvatore Vinci. Il lettore può modificare a suo piacimento le tre misure qui proposte, e rifare i calcoli. Possiamo osservare che la statura diminuisce sia diminuendo la distanza dello sparatore dal vetro, sia aumentando l’altezza della ferita e la sua distanza dalla fiancata. In ogni caso pare abbastanza evidente che non si riuscirà mai ad arrivare alla statura di Salvatore Vinci. C’è da dire che purtroppo il valore preciso non è noto. Nel rapporto Torrisi si parla di 165-170 cm, ma c’è da scommettere che il colonnello l’avesse stirato un bel po’, con la stessa disinvoltura con la quale aveva aggiustato altri dati in chiave iper colpevolista.
Probabilmente Vinci faceva fatica a toccare il metro e sessanta, a giudicare dalle foto e da alcune frasi leggibili qua e là. Per esempio nella Città del 13 aprile 1988, in occasione del noto processo, si legge: “È un uomo piccolo ma battagliero”. Se si pensa che un italiano della sua età (era nato nel 1935) era alto in media uno e 68 (dati ISTAT) la definizione di “piccolo” si commenta da sola. Con un foro sul finestrino ad altezza 150 cm l’uomo avrebbe dovuto sparare in orizzontale! Sussiste anche qualche legittimo dubbio che sarebbe riuscito a mirare dai finestrini parzialmente opachi. La fascia trasparente iniziava ad un’altezza di quasi 160 cm, quindi Vinci avrebbe dovuto alzarsi in punta di piedi! Se poi ci mettiamo le impronte di ginocchia sulla Panda di Vicchio (vedi) lo scenario è completo. Anzi, aggiungiamo pure le tre foto sottostanti.
Prosegue su Ancora Giogoli