martedì 24 dicembre 2019

I bossoli, i bossoli, i bossoli... e i proiettili?

La recentissima pubblicazione della mitica perizia Zuntini sul delitto di Signa ha dato nuovo fiato agli irriducibili sostenitori del depistaggio, secondo i quali i 5 bossoli e i 5 proiettili allegati a tale perizia, recuperata nel 1982 dal fascicolo processuale Mele, sarebbero stati sostituiti. L’entità detta volgarmente “Mostro di Firenze” – un uomo con protezioni nelle forze dell’ordine? una setta? una loggia massonica? non mettiamo troppi confini alla fantasia  – avrebbe quindi esploso 5 cartucce, recuperato i relativi 5 bossoli e 5 proiettili, sarebbe andato nel posto dove veniva custodito il fascicolo processuale Mele e li avrebbe sostituiti agli originali. La qual cosa, tramite sua stessa segnalazione anonima, avrebbe fatto partire la inutile pista sarda, in grado di tenerlo al riparo dalle indagini per tanti anni, fino all’avvento di Giuttari e Mignini.
C’è da dire che nel documento pubblicato non compaiono fotografie, anzi, la mancanza di qualsiasi riferimento a esse porta a pensare che neppure fossero mai state fatte. Peccato, perché la loro presenza avrebbe tolto ogni dubbio. Nondimeno si cercherà qui di dimostrare che la perizia non contiene alcun argomento davvero valido che favorisca l’ipotesi della sostituzione.

I ragionamenti di Amicone. Per introdurre l’argomento si riporta qui un intervento sulla pagina Facebook di Flanz a firma Francesco Amicone, un giornalista che gli appassionati conoscono bene per aver portato alla ribalta la fantasiosa ipotesi: Mostro di Firenze = Zodiac = Joseph Bevilacqua.

Dalla perizia Zuntini del 1968 si evince che le prove trovate nel 1982 nel faldone del caso Locci-Lo Bianco sono in contraddizione con l'esame peritale del 1968. Sui bossoli (autentici) del 1968 le tracce dell'espulsore e dell'estrattore, scriveva il perito, non si vedevano. Sui reperti del caso Mostro l'impronta dell'espulsore si vede. La classe dell'arma usata nel 1968 (che doveva essere una diffusissima Beretta 70) non fu individuata dopo 35 comparazioni al poligono, nonostante fosse stato ipotizzato che fosse una Beretta. Nel 1974, invece, lo stesso perito la individuò facilmente. Come fa a essere la stessa pistola?

Cominciamo col dire che è interesse di Amicone, come di moltissimi altri, eliminare dallo scenario il delitto del 1968. Questo per la solita questione del passaggio della pistola, che sarebbe davvero difficile immaginare tra i sardi e Bevilacqua! A meno di non collocare l’italoamericano anche a Signa, ma chi scrive non sa se l’ipotesi porrebbe dei problemi ad Amicone. Forse qualche lettore può aiutare.
Dice dunque Amicone che le tracce dell’espulsore e dell’estrattore, presenti sui bossoli dei delitti del Mostro, “non si vedevano” in quelli del 1968 esaminati da Zuntini (una prova quindi della loro sostituzione, poiché nelle perizie successive tali tracce sarebbero invece state individuate). Ma non è proprio così, poiché Zuntini scrive che tali tracce ci sono, anche se “quasi irrilevabili”.
Amicone afferma altresì che le comparazioni con i bossoli espulsi da 35 armi diverse non consentirono allo Zuntini del 1968 di individuare il tipo di pistola, mentre invece quello del 1974 ci riuscì al primo colpo (Beretta classe 70).  Leggiamo direttamente la perizia:

Sono state effettuate prove di tiro con 35 armi diverse, tutte però del tipo “Long Rifle” cal. 22 ma in nessuna siamo riusciti a trovare un percussore che desse un segno di percussione della stessa forma di quella impressa nei bossoli in sequestro. […]
Vi sono alcune armi il cui segno di percussione (a sbarretta eccentrica) si avvicina a quello rilevabile sui bossoli in sequestro ma nessuno può darci la sicurezza assoluta per l’individuazione dell’arma incriminata.

Ci si deve però domandare: come si può essere sicuri che tra le 35 armi testate vi fosse una Beretta della serie 70? Poi Zuntini ammette di aver rilevato segni di percussione simili (“a sbarretta eccentrica”), però scartati, poiché non davano “la sicurezza assoluta”. Ma forse la sicurezza assoluta non era possibile ottenerla, almeno non dalla comparazione del solo segno lasciato dal percussore. In ogni caso la descrizione che Zuntini fece di tale segno risulta perfettamente compatibile con quello rilevabile dalle foto dei bossoli del Mostro: “Forma approssimativamente rettangolare con contorni leggermente ovalizzati caratteristici del percussore a sbarretta eccentrica della percussione anulare”. Come è ben visibile nella foto sottostante, la stessa utilizzata da Amicone.


In realtà possiamo tranquillamente affermare che la perizia Zuntini del 1968 si distingue per un raro livello di confusione e approssimazione, al pari di quella del 1974 relativa al delitto di Borgo San Lorenzo, criticata qui. L’apice viene raggiunto dal tentativo di ricostruzione della dinamica, ma anche la descrizione delle ferite non scherza. Per quanto riguarda l’individuazione del tipo di pistola, si deve ritenere altamente probabile che Zuntini si fosse incaponito sull’ipotesi di un esemplare molto vecchio, usurato e mal mantenuto. E quindi che molte sue considerazioni, come quelle relative alla poca evidenza delle impronte di estrazione ed espulsione, fossero viziate da questo suo aprioristico convincimento. Che era sbagliato.

Una pistola usurata? A far ritenere a Zuntini che la pistola fosse usurata fu principalmente la presenza di un rigonfiamento poco sopra il collarino in tutti e cinque i bossoli.

Ad un primo esame alla lente i bossoli apparivano con contrassegni del tutto identici […], soprattutto appariva evidente in posizione diametralmente opposta a segno di percussione a sbarretta, ma dietro il righellino sulla parte cilindrica, un rigonfiamento dovuto ad una imperfezione dell’arma.

Sulla parte cilindrica a ridosso del righellino (orlo del fondello) si rileva un piccolo rigonfiamento […].
Tale rigonfiamento, prodotto dalla pressione dei gas della camera di lancio determinatasi al momento della partenza del colpo, è indubbiamente originato da un difetto esistente nella parte cilindrica terminale (in senso longitudinale) e bassa (in senso verticale) della camera di cartuccia ove, nell’arma che ha esploso le cartucce delle quali facevano parte i bossoli in giudiziale sequestro, deve certamente esistere un difetto sotto forma di corrosione e di mira.
Tale difetto (che si rileva talvolta in armi molto usurate e comunque non di ottima qualità), è del tutto eccezionale ed è dovuto all’usura prodotta dalla cartuccia che viene sfilata dal caricatore ed introdotta nella camera di cartuccia, in tale movimento la stessa sfregando sulla parte bassa dell’orifizio della camera di cartuccia può provocare, col tempo, l’usura, la quale talvolta è aumentata da ruggine originata da imperfetta manutenzione.

Abbiamo visto altresì come sia stata rilevata sulla parte cilindrica di tutti i bossoli, dietro il righellino, un rigonfiamento del metallo.
Tale segno, che può essere considerato una “firma occasionale” dell’arma è dovuto a un difetto esistente sull’orifizio posteriore della canna ed è tanto caratteristico che potrebbe far riconoscere un bossolo esploso dall’arma incriminata fra un numero qualsiasi di altri bossoli esplosi da altre armi.

Alla luce di quanto riportato sopra, diventa legittimo sospettare che il giudizio di poca rilevabilità dei segni di estrattore e percussore – ci si deve domandare: a quali gradi di rilevabilità era abituato Zuntini? – fosse dipendente dal significato attribuito al rigonfiamento.

Rileviamo ancora che su tutti i bossoli in sequestro sono quasi irrilevabili i segni dell’estrattore […] e dell’espulsore […].
Tale deficienza è caratteristica di armi molto usurate con superfici di contatto dell’estrattore e dell’espulsore molto levigate per l’usura e camera di cartuccia ormai allargata.

Niente di tutto questo appare nella perizia del 1974. Niente rigonfiamento sul bossolo, niente impronte di estrattore ed espulsore poco rilevabili, niente pistola vecchia e usurata, insomma. Eppure su quattro dei cinque bossoli recuperati a Borgo San Lorenzo i rigonfiamenti c’erano! Lo scrissero Arcese e Iadevito nella loro perizia del 1983, dove prendevano in esame i quattro delitti dal 1968 al 1982. Lo si legge a pagina 91, sotto il paragrafo “EPISODIO GENTILCORE-PETTINI”.

Bossoli cal. 22 L.R. repertati: n. 5 bossoli, di cui 4 leggermente rigonfiati in prossimità del bordo interno del collarino, a 180° rispetto all’impronta del percussore.

Ma c’è di più. A pagina 89, sotto il paragrafo “EPISODIO LO BIANCO-LOCCI”, si legge:

Bossoli cal. 22 L.R. repertati: n. 5, con leggero rigonfiamento in prossimità del bordo interno del collarino, a 180° rispetto all’impronta del percussore.

Quindi possiamo dire che quel rigonfiamento, che per lo Zuntini del 1968 sarebbe stato “del tutto eccezionale” e “tanto caratteristico che potrebbe far riconoscere un bossolo esploso dall’arma incriminata fra un numero qualsiasi di altri bossoli esplosi da altre armi”, per lo Zuntini del 1974 non merita neppure una citazione. Eppure c’era!
In più bisogna rilevare come i bossoli del 1968 esaminati da Arcese e Iadevito riportassero anch’essi i rigonfiamenti notati da Zuntini. Dobbiamo quindi ritenere usurata anche la pistola del Mostro? Però non per le impronte dell’estrattore e dell’espulsore… [Addendum: come si può leggere negli interventi sottostanti, Francesco Amicone mi ha segnalato che anche nella perizia del 1974 Zuntini aveva riportato il rigonfiamento. Non ritenendolo però indice di una pistola vecchia e usurata.]

Munizioni da caccia. In realtà le considerazioni sullo stato dell’arma dello Zuntini del 1968 erano profondamente sbagliate. Lo dice nel seguente video il generale Romano Schiavi, uno dei massimi esperti di balistica in Italia, al quale l’avvocato Vieri Adriani ha commissionato una perizia sugli atti.

Lui [Zuntini] si è fermato su un altro segno del bossolo che è un rigonfiamento che c'è vicino all'orletto. E questo lui lo attribuisce a un rilassamento della molla recuperatrice mentre molto più facilmente secondo me è dovuto al fatto che la cartuccia aveva una potenza troppo elevata per una pistola e quindi avevamo un piccolo arretramento del bossolo quando ancora il proiettile era in canna.
[…] questo segno è dovuto al fatto che probabilmente non era una pistola avariata o invecchiata o con qualche particolare che non funzionava bene, come la molla di recupero in questo caso, che, essendo più molle, arretrava un attimo prima quindi provocava questo rigonfiamento. Ma è dovuta al fatto della potenzialità superiore perché una supersonica non avrebbe ragione di essere impiegata in una pistola.

Prima di esaminare il significato delle frasi precedenti, va fatta una premessa: nella propria perizia, Zuntini non dà la colpa del rigonfiamento a una molla recuperatrice rilassata (come sempre si è ritenuto), ma a un difetto della camera di sparo. Probabilmente Schiavi è stato fuorviato dalla voce comune – chi scrive non sa come tale notizia sia nata – e magari da quanto ha sempre ritenuto lo stesso Adriani, che potrebbe averglielo suggerito. In ogni caso la sostanza non cambia, poiché sempre di pistola usurata o difettosa secondo Zuntini si trattava.
Ma veniamo a un argomento, affrontato da Schiavi, che risulta invece assente in tutte le perizie balistiche ufficiali: la differenza d’uso tra cartucce ramate e cartucce in piombo nudo, le prime utilizzate a Signa e a Borgo, le altre poi. Fino al 1977 le cartucce di calibro 22 andavano bene anche per la caccia, poi vennero proibite poiché facevano poco rumore e quindi favorivano i bracconieri. Naturalmente venivano utilizzate con le carabine, non con le pistole (a parte Pacciani, secondo Nesi…). E il tipo giusto per la caccia era il supersonico, con palla ramata e carica più potente – quindi gittata maggiore – rispetto a quella delle cartucce di tipo subsonico, in piombo nudo. Queste ultime venivano adoperate soltanto nei poligoni di tiro.
Secondo Schiavi, l’uso di cartucce da caccia in una pistola poteva provocare, per la loro eccessiva potenza, un piccolo arretramento del bossolo rispetto alla camera di lancio, con conseguente rigonfiamento della parte che fuoriusciva. È probabile che tale effetto fosse dipeso anche da altri fattori, tra cui la non perfetta uguaglianza tra tutte le cartucce di uno stesso tipo. Abbiamo visto che la perizia Arcese-Iadevito riporta uno dei cinque bossoli di Borgo senza rigonfiamento, quando invece tutti dovrebbero averlo avuto, essendo il munizionamento di tipo supersonico, a palla ramata. Nel caso di Scandicci, dove furono usate soltanto cartucce di tipo subsonico, a piombo nudo, si legge invece (p. 93): “Bossoli cal. 22 L.R. repertati: n. 7, di cui soltanto uno leggermente rigonfiato”, quindi un bossolo ebbe un comportamento anomalo rigonfiandosi. Per Calenzano si legge esattamente lo stesso di Scandicci (p. 95), mentre per Baccaiano nessuno dei 9 bossoli ebbe rigonfiamenti (p. 97).
In ogni caso la perizia Arcese-Iadevito, comparando le impronte su di essi rilevate, stabilì che anche i bossoli del 1968 erano stati espulsi dalla stessa pistola dei delitti successivi. E qui torniamo al problema del depistaggio: furono sostituiti? Per adesso si è dimostrato che la pretesa di Amicone di utilizzare la perizia Zuntini del 1968 a favore del depistaggio non ha basi valide. Ma c’è di più.

I proiettili. Le perizia comparative che stabilirono l’univocità della pistola per tutti i duplici omicidi, comprendendo anche quello del 1968, si basarono non soltanto sull’esame dei bossoli ma anche su quello dei proiettili. Quindi il presunto depistatore avrebbe dovuto sostituire anche quelli. Ma se ottenere bossoli compatibili poteva essere facile – bastava sparare cinque colpi al vento e raccoglierli – ottenere proiettili compatibili molto meno, poiché gli originali risultavano deformati dall’impatto con i corpi. E, pur senza averli fotografati, Zuntini li descrisse. Ecco che cosa ne pensava il giudice Micheli.

Non bastava ottenere dei bossoli, ma ci voleva anche qualche proiettile (quello che si riteneva fosse stato estratto dal corpo del LO BIANCO fu esaminato, come appena ricordato); e non uno qualsiasi, comunque sparato da una certa pistola, bensì proiettili che presentassero le caratteristiche di deformazione tipiche di quando si attinge un corpo umano e che fossero in numero esattamente corrispondente a quello dei colpi sparati per uccidere il LO BIANCO e la moglie del MELE.
Da un lato, ci sarebbe voluto qualcuno che avesse fornito allo sparatore le informazioni necessarie (avevano studiato il fascicolo? Gli avvocati del MELE o delle parti civili, se ve ne furono, sono altrettanti complici? Fu il solito maresciallo?); dall’altro, si sarebbe dovuto sparare contro un essere vivente, magari uno o più animali domestici, per poi sezionarne il corpo e recuperare il/i proiettile/i.
Ammesso peraltro che l’autopsia praticata sulle due vittime del 1968 avesse parlato di attingimento di certi organi, soprattutto se di certe ossa, i proiettili da sostituire avrebbero dovuto presentarne di ulteriori, di caratteristiche peculiari: e quanti tentativi avrebbe dovuto fare, il nostro sparatore, comunque preoccupandosi di far sì che i proiettili rimanessero nel corpo del bersaglio attinto e non ne fuoriuscissero, sennò bisognava ricominciare daccapo?

Le considerazioni del giudice sono, come al solito, di sano buonsenso. In questa sede esamineremo le descrizioni dei cinque proiettili periziati da Zuntini nel 1968 mostrando come essi fossero ragionevolmente gli stessi che Arcese e Iadevito esaminarono nel 1983. Quindi niente sostituzione.
Zuntini elenca con le lettere A, B, C, D, E i cinque proiettili repertati, descrivendone le deformazioni e specificando dove ognuno di essi fu rinvenuto. Molto probabilmente l’indicazione era stata riportata anche sulla bustina che conteneva ogni proiettile, trovata tal quale da Arcese e Iadevito nel 1983, che la utilizzarono. Va tenuto presente che soltanto uno tra i cinque proiettili fu descritto da Zuntini come un “frammento”, quindi si deve presumere che gli altri, pur deformati, fossero tutti integri. Ma ecco l’elenco:

# A: “Proiettile estratto in sede di autopsia dal corpo della Locci regione ombelicale”. Esso corrisponde al proiettile alla foto 96 della perizia Arcese-Iadevito, integro (g. 2,540): “Il proiettile fu estratto dalla regione ombelicale della Locci”.

# B: “Proiettile rinvenuto fra le vesti della Locci”. Per Arcese e Iadevito si tratta del proiettile alla foto  95, integro (g. 2,555):  Il proiettile fu rinvenuto fra i panni della Locci”.

# C: “Proiettile rinvenuto nell’interno della autovettura sul pavimento (dietro il sedile anteriore destro)”. Corrisponde a quello alla foto 98 della perizia Arcese-Iadevito, integro (g. 2,570): “Il proiettile fu rinvenuto sul pavimento dell’autovettura”.

# D: “Proiettile estratto in sede di autopsia dalla regione scapolare profonda [della Locci]: si tratta di un frammento di proiettile dello stesso tipo dei precedenti, fortemente deformato”. Nella perizia Arcese-Iadevito la foto di tale frammento ha il numero 97: “Si tratta di un grosso frammento di un proiettile in piombo ramato, dal peso di g. 1,895 […]. Fu estratto dalla regione scapolare della Locci”.

# E: “Proiettile estratto, in sede di autopsia, dal corpo del Lo Bianco”. La corrispondenza nella perizia Arcese-Iadevito è con il proiettile, integro (g. 2,545), alla foto 99: “Il proiettile fu estratto dal corpo di Lo Bianco”.

Purtroppo Zuntini non aveva pesato i proiettili, ma appare chiaro, dalle indicazioni del tutto coincidenti dell’una e dell’altra perizia, che erano gli stessi esaminati da Arcese e Iadevito. Compreso l’unico frammentario, in entrambi i casi indicato come quello estratto dalla spalla della Locci. Ora ci si deve chiedere come il presunto depistatore sarebbe potuto riuscire a truccare le carte in un modo così perfetto, stante la difficoltà intrinseca di ottenere proiettili compatibili.
Riguardo le comparazioni, Arcese e Iadevito ne effettuarono prima una tra alcuni proiettili dello stesso delitto – quelli dove le deformazioni e la cattiva conservazione lo rendevano possibile – rilevando una completa compatibilità: tutti risultavano sparati dalla medesima pistola. Poi presero un proiettile per ciascun delitto e li compararono tra di loro. Per il delitto di Signa scelsero quello alla foto 95, ritrovato tra le vesti della Locci, che compararono con uno del delitto di Borgo, uno del delitto di Scandicci e  uno del delitto di Calenzano, rilevando assoluta compatibilità: l’arma che li aveva sparati era la stessa. A completamento, furono confrontati i due proiettili scelti per i delitti di Calenzano e Baccaiano, con esito del tutto identico.

Conclusioni. Purtroppo chi scrive non ha il permesso di rendere pubblica la perizia Arcese-Iadevito, quindi i lettori devono fidarsi. Ma tra di loro ci sarà senz’altro qualcuno che ce l’ha, quindi potrà controllare. Si rende invece qui disponibile un pdf della perizia Zuntini, dove sono state raccolte le immagini pubblicate sul Forum dei Mostri, per le quali ringrazio l’utente “janh1”.
Alla fine credo che lo scopo dell’articolo sia stato raggiunto, dimostrando che la perizia Zuntini del 1968 non fornisce alcun appoggio significativo alla teoria del depistaggio tramite la sostituzione dei bossoli e dei proiettili nel faldone Mele. Anzi, la descrizione dei proiettili consente al contrario di escluderla quasi definitivamente. Quindi l’eterno enigma del passaggio della pistola rimane a disturbare i piani di tutti. Non quelli di chi scrive, che lo ritiene invece l’evento più importante nella nascita della figura del Mostro di Firenze.

Addendum. Avendo visto che su Facebook qualcuno ha già pubblicato la perizia Arcese-Iadevito del 1983, la metto anche qui

28 commenti:

  1. Caro Antonio, lasciando perdere Bevilacqua, sa meglio di chiunque che valutazioni, deduzioni e considerazioni hanno un valore diverso dalle osservazioni.

    Il perito balistico, nel 1968, dopo avere osservato minuziosamente il fondello dei bossoli rinvenuti a Signa, scrive a pagina 8 della sua analisi:

    "Rileviamo che in tutti i bossoli sono quasi irrilevabili i segni dell'estrattore (che deve apparire in genere dietro il righellino in corrispondenza delle ore 15) e dell'espulsore (che di norma si rileva sull'orlo del fondello alle ore 20 circa).
    Tale deficienza è caratteristica di armi molto usurate con superfici di contatto dell'espulsore e dell'estrattore molto levigate per l'usura e camera di cartuccia ormai allargata".

    Esistono le macrofotografie degli anni '80 sui bossoli rinvenuti in un faldone del caso Mele che si possono confrontare con la descrizione, per verificare se questa collima, senza scomodare la perizia del 1974, nella quale il perito fa tutt'altro tipo di osservazioni, che però collimano con i reperti trovati sulle scene del crimine del Mostro.
    Questo è ciò che osserva il generale nel 1974:

    - a pagina 11
    “Esaminando attentamente i bossoli con una lente (oppure al microscopio) ci si rende conto benissimo che egli stessi furono invece esplosi con una pistola automatica, in quanto sul fondello di ciascuno di essi è visibile il duplice segno dell’espulsore rilevabile alle ore 7 e alle ore 9”

    “Si notano poi come già detto i 2 segni dell’espulsore”

    - a pagina 27:
    “I bossoli esplosi portano incisa sul bordo l’impronta di un percussore a sbarretta di dimensioni ben precise (mm 1,6 x 0,75) ed inoltre, l’impronta dall’espulsore con 2 segni in posizione pressoché ortogonale alle ore 7 ed alle ore 9 ( rispetto al segno del percussore)”.

    La descrizione dei proiettili non serve ad escludere la possibilità che quelle deformità siano state riprodotte esplodendo una certa quantità di cartucce in un poligono di tiro, un laboratorio, una cava, o in qualsiasi altro posto, e poi allegate alla perizia insieme ai bossoli che contraddicono il collegamento.

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    1. Forse non ha letto bene il mio articolo. Zuntini è quello che si inventò i rimbalzi dei bossoli sul vetro per far quadrare i conti con la sua ricostruzione sbagliata nel delitto del 1974. E non solo quelli. Quindi che avesse descritto i segni del percussore e dell'estrattore come quasi irrilevabili al fine di irrobustire la sua causa sbagliata della pistola vecchia a me non stupisce affatto. Non dimentichi il rigonfiamento, che nella perizia del 1974 neppure cita.
      Infine i proiettili. Cosa vuole che le dica, lei ritenga pure possibile una falsificazione così precisa con tanto di frammento di proiettile e compagnia bella, io non ci credo neppure un po'.

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    2. Le segnalo che sulla perizia Zuntini del 1974 si legge (pagina 11 della versione trascritta):

      "... Altro segno caratteristica delle pistole aut. è rilevabile alla base della parte cilindrica di ciascun bossoletto, quasi a contatto con l’orletto anulare di base (rim), in posizione diametralmente opposto al segno del percussore che è visibile sull’orlo della faccia di ciascuno fondello; tale segno è costituito da un piccolo rigonfiamento che si forma per la mancanza di appoggio in tal punto in corrispondenza del quale sull’arma abbiamo la gola di caricamento della cartuccia. In tal modo abbiamo già potuto constatare che i 5 bossoletti in reperto furono esplosi con una pistola automatica."

      Buon Natale

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    3. Il rigonfiamento è citato anche a pagina 27:
      "la bombatura alla base della parte cilindrica (v. cap. 3 a)."

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    4. È vero, non avevo riletto la perizia '74. Avendo a mente che non si giungeva alla conclusione di una pistola vecchia e usurata ho immaginato che il rigonfiamento non fosse stato rilevato.
      Rimane il fatto di un elemento che aveva portato lo Zuntini a ritenere la pistola vecchia e usurata nel 1968 e nel 1974 no. Il che non depone a favore della sua competenza.
      Lo Zuntini del 1974 truccò le carte, per far quadrare la propria ricostruzione, pensare che quello del 1968 avesse giudicato le impronte di estrattore ed espulsore "quasi irrilevabili" per accreditare la sua tesi di pistola vecchia e usurata non mi pare così impossibile.
      D'altra parte la sostituzione di bossoli e proiettili pone problemi astronomici.

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    5. Un tecnico mi ha fatto notare che se il generale Zuntini non ha riportato l'ipotesi della marca della pistola nella perizia è perché, da perito serio, non avendone la certezza decise di non esprimersi al riguardo. 
      Zuntini aveva ipotizzato che la pistola usata a Signa fosse una Beretta, prova ne è ciò che scrive il brigadiere Matassino un mese prima. La descrizione che fa dell'impronta lasciata dal percussore ci permette di dire che forse aveva ragione. Anche questo dimostra che, nel 1968, il perito tiene ben separate le sue convinzioni da ciò che constata oggettivamente. Se scrive che l'impronta dell'espulsore era scarsamente visibile, è perché era così. Non c'è ragione di dubitarne.
      Nel rapporto Matassino si citano alcune fotografie dei bossoli scattate dai Carabinieri. Non sono le macrofotografie di quindici anni dopo, ma forse possono essere utili in un confronto, per stabilire se ci fu un depistaggio. Se i bossoli fossero certamente gli stessi ritratti in foto, questa ipotesi andrebbe esclusa.

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    6. Che non ci sia ragione di dubitarne è tutto da vedere, anche perché bisognerebbe definire cosa fosse per Zuntini tale visibilità. Forse non era troppo abituato a lavorare sul calibro 22, considerando la sua cappellata sulla valutazione del rigonfiamento dei bossoli. Lei capisce bene che incamminarsi sull'improba strada del depistaggio in base alla semplice locuzione usata da Zuntini ("quasi irrilevabili") è quantomeno azzardato. Abbiamo una sua analoga valutazione sui bossoli del 1974, dove le munizioni erano del medesimo tipo? La sua frase "chiaramente impresso il segno dell'espulsore" si riferisce alla sua profondità oppure al semplice fatto che c'era, quindi che il bossolo era stato espulso da un'arma semiautomatica, come voleva dimostrare in quel contesto?

      "i 5 bossoli repertati hanno chiaramente impresso il segno dell'espulsore il che le fa assegnare alla categoria delle armi automatiche"

      Nel 1968 il contesto era diverso, essendo quello della pistola usurata.

      "in tutti i bossoli sono quasi irrilevabili i segni dell'estrattore e dell'espulsore. Tale deficienza è caratteristica di armi molto usurate..."

      Mi lasci dire che un segno "quasi irrilevabile" può anche essere considerato "chiaramente impresso", dipendendo la valutazione dal fine che ci si propone.

      Infine. Sulla serietà di molti tecnici e investigatori ho qualche dubbio. Se dovessi prendere per oro colato le considerazioni dello Zuntini del 1974 dovrei credere alla sua prova dei rimbalzi dei bossoli sul vetro con sorvolo dell'auto e caduta dal lato opposto, e non ci credo. Come non credo che le traiettorie dei due proiettili finiti nel sedile fossero da destra a sinistra.

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    7. Non vorrei esprimere un giudizio di metodo sull'operato di Zuntini nel '68: mi limito a confrontare lo Zuntini del '68 con quello del '74. Nella prima perizia non c'è una misura che sia una. Riporta ripetutamente una conversione fra pollici e millimetri, ma questo è tutto. Abbiamo almeno un proiettile intero in buone condizioni e neppure viene pesato. Eppure sul sito di Edoardo Mori si legge: "La palla standard per il 22 l.r. è quella da 40 grani (2,6 grammi) [...] palle di peso inferiore, da 29 a 37 grani, sono usate principalmente per la caccia ai nocivi. "
      Quindi non basta l'attribuzione del calibro e del formato (Long Rifle) per determinare automaticamente il peso che, essendo variabile, poteva essere un dato importante. Neppure le dimensioni dell'impronta del percussore vengono rilevate. Anche delle 35 semiautomatiche provate non abbiamo una lista (a meno che non fosse in un allegato, ma neppure sono citati allegati nel '68, al contrario che nel '74). Sempre nel '74, a proposito del "rimbalzo e scavalco" si legge: "Diamo atto che lo scrivente ha effettuato alcune prove per avere la conferma pratica di tale fatto e che quanto sopra descritto si è verificato". Piacerebbe sapere in quali condizioni si è verificato il fatto e con quale frequenza: uno su mille? uno su cento? cinque su cinque? Non è dato di sapere, ma dobbiamo "dare atto" sulla parola. E la pistola era tenuta in mano o su un cavalletto? Ricordiamo che se avesse sparato davvero sul lato destro, avremmo un colpo diretto verso il binario del sedile del passeggero (arma angolata verso il basso) e un colpo nella spalliera del guidatore (arma quasi parallela al terreno o comunque molto meno angolata). Un simile cambio di angolazione non ha effetto sul risultato delle "prove"? Francamente credo ci sia molto per cui andare quantomeno cauti...

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    8. Per quanto riguarda i cinque proiettili repertati del 1968, il generale Zuntini li descrive così:

      A) proiettile totalmente schiacciato sulla punta, leggermente curvo, con alcuni solchi in senso longitudinale
      B) proiettile totalmente schiacciato sulla punta
      C) proiettile quasi integro, leggermente curvo sulla punta, con lievi deformazioni sia davanti che dietro
      D) proiettile deformato
      E) proiettile schiacciato lateralmente (non in punta), nella cui parte deformata c'è una sbavatura di metallo che segue l'andamento delle rigature

      Sui proiettili rinvenuti nel faldone Mele nel 1982 ritratti nelle foto postate da Giuseppe Fabozzi sul forum I Mostri, thread "Perizia Zuntini 1968" pagina 2:
      1. il proiettile A ha la deformazione posteriore che dovrebbe avere il proiettile C
      2. c'è un'ogiva schiacciata in più di quelle descritte, che nella descrizione sono due (A, B) e non tre.

      Nelle foto, inoltre, non sono visibili:
      3. i solchi del proiettile A;
      4. le leggere deformazioni (due, oltre alla curvatura) sul proiettile C;

      Di tutte queste descrizioni, soltanto quella del proiettile E sembra offrire la possibilità di una verifica approfondita. Si parla di una caratteristica peculiare: una “sbavatura di metallo” che segue l'andamento delle rigature. Nelle foto relativa a quello che dovrebbe essere il proiettile E si vede un'ogiva con un buco e una strisciata grossolana che occupa un terzo della lunghezza del reperto. Questa “deformazione” assomiglia più al segno lasciato da un qualche attrezzo meccanico con più denti, tipo tenaglia, che non a una “sbavatura”.
      Anche se non vi fossero segni contraddittori nei proiettili, non può essere escluso che si tratti di repliche. Il depistatore potrebbe essere stato abbastanza scrupoloso da ottenere reperti compatibili con la descrizione generica fatta dal perito.

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    9. Ho fatto un po' di confusione con le foto. Il proiettile C ha una deformazione nella parte posteriore. Ma a prescindere da ciò che coincide o diverge, sono tutte deformazioni che si possono procurare sparando su una superficie da varie angolazioni. Per il proiettile non schiacciato, si può utilizzare un bersaglio che attutisca i colpi, come una vecchia poltrona, per esempio. Mi scusi per i doppi commenti, ma continuo a sbagliare discussione.

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  2. Buonasera Antonio, visto che non mi ha risposto sugli articoli di giornale apparsi sulla Nazione a metà dicembre devo dedurre che non li ha presi sul serio come pensavo. Quindi le chiedo, anzi chiedo a chiunque di ipotizzare uno scenario realistico nel quale, una persona estranea al duplice omicidio lasci, in un modo o in un altro, la proprio traccia biologica sui jeans di Nadine. Io ci ho provato ma non mi è venuta in mente nessuna idea perciò credo che sia molto probabile che quel Dna sia per forza dell'assassino.

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    1. Avendo letto l'articolo su Giallo ho ritenuto che quelli della Nazione non riportassero niente di più.
      La possibilità che quel DNA sia dell'assassino effettivamente c'è. Potrebbe aver spostato i pantaloni nella fase delle mutilazioni con le mani ferite dalla lotta precedente con il ragazzo.
      Bisognerebbe saperne di più, innanzitutto di quale tipo di materia organica si fosse trattato, e poi quale etnia il DNA potrebbe indicare.
      Probabilmente riesumando i cadaveri di Vanni e Lotti potrebbero ottenere i loro DNA, bisogna vedere se c'è la volontà di farlo.

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    2. Potrebbe anche essere di un estraneo in teoria. Se qualcuno, avesse trovato la tenda dopo il delitto, ma prima della scoperta ufficiale. Avrebbe potuto benissimo toccare la vittima per accertarsi che fosse morta, e non solo ferita. Salvo poi andarsene senza testimoniare "per non avere noie". Oppure potrebbe anche essere del mostro. Speriamo.

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    3. Sembra che sia dentro una tasca, in ogni caso fino a che non si avranno notizie complete poco si può dire. E' però vero che il punto del ritrovamento comporta conseguenze importanti. Essendo vicino al cadavere, vuol dire che quei pantaloni il ragazzo li aveva indosso quando scappò.

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    4. Buon giorno Antonio sto leggendo questi vecchi post e quindi, nel frattempo puo' darsi che mi sia perso qualche aggiornamento, ma qui si stava parlando dei pantaloni di Nadine o di quelli di Jean Michel?

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    5. Si tratta dei pantaloni di Michel, che fino a poco tempo fa non si sapeva che vennero ritrovati accanto al suo cadavere.

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  3. Ok ma quindi è d'accordo con me sul fatto che non ci sia uno scenario realistico che preveda un estraneo lasciare il proprio Dna sui pantaloni di Nadine? Insomma… se si trattasse di un impronta digitale lasciata, che ne so, sul vetro della macchina, potrebbe anche trattarsi di un curioso… ma proprio sui pantaloni dentro la tenda? Io credo che finalmente la procura di Firenze abbia imboccato la strada giusta; anche perché se no dare queste notizie?

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    1. Le notizie non le ha date la procura ma i giornali.

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    2. Sicuro al 100% che le notizie vengono dalla procura. Sono dati di fatto che hanno confrontato i Dna.

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    3. Fino a quando non confermeranno credo non si possa dare niente per certo. Nemmeno i risultati dell'ultima perizia sulla cartuccia di Pacciani, per modo di dire, non sono stati rivelati dalla Procura, che non ha fatto conferenze o comunicati, ma dai giornali. Che certamente saranno ben informati. Assolutamente non si può dire che sia stata la Procura ha voler rendere di pubblico dominio le analisi del DNA, le fughe di notizie sono purtroppo all'ordine del giorno. Anzi, mi sembra altamente improbabile che i PM coscientemente facciano uscire fuori questa cosa, perchè pensano che quello sia il DNA dell'mdf. Potrebbe anche esserlo, a maggior ragione occorrerebbe cautela. Essendo un DNA estraneo ai condannati, affermare che quello è il DNA dell'assassino, significherebbe, implicitamente e platealmente, ribaltare il lavoro dei loro predecessori. Molto difficile che ciò avvenga, perlomeno in tempi brevi. Speriamo siano sulla strada giusta.

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  4. Antonio segnini un passaggio mi sfugge... Come viene in possesso il lotti delle due scatole di munizioni?

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    1. Le consiglio di leggere qui

      https://quattrocosesulmostro.blogspot.com/2016/02/la-scatola-di-cartucce-1.html

      Si tratta di una leggenda che fa comodo a tutti i sostenitori della pista sarda. Lotti o non Lotti. Nasce da un'azzardata affermazione di Torrisi, ripresa malamente da Spezi nel suo famoso libro, priva di qualsiasi fondamento.
      La pistola venne raccolta da un estraneo sulla scena del crimine, dove era stata lasciata dalla famiglia Mele, come si evince dalla testimonianza di Natalino,che vide lo zio Piero gettarla a terra. Un estraneo che comprò cartucce da caccia come erano quelle usate dai Mele, trovandone di simili, le più vendute al tempo.
      Pensi che Torrisi, nelle sue fantasiosità per sostenere le proprie convinzioni sulla colpevolezza di Salvatore Vinci, che si trattasse di cartucce da caccia neppure lo menzionò. E come lui il giudice Rotella nella sua sentenza (dice che nei poligoni di tiro si usavano soltanto cartucce in piombo nudo, ma non qualifica quelle in bagno di rame come cartucce da caccia). Personalmente l'ho scoperto soltanto nel video menzionato dall'articolo.
      La questione non è per nulla irrilevante, poiché cartucce a piombo nudo molto probabilmente in armeria non se ne vendevano quasi. Essendo munizioni da poligono di tiro, chi vi andava le comprava direttamente lì, nel quantitativo che gli serviva. Lei pensi che c'era e c'è un limite di detenzione di 200, con gravi conseguenze se viene superato, e in una seduta di tiro a segno un appassionato non è difficile che lo superi.
      In armeria credo che si trovassero quasi soltanto cartucce da caccia, quelle usate dai sardi a Signa e dal Mostro a Borgo. In questo caso si comprava una scatola da 50 che bastava e avanzava per un'intera giornata di caccia.
      Nel 1977 la legge proibì la caccia con la carabina da 22, quindi quel tipo di cartucce non venne più venduto, e infatti a partire dal 1981 il Mostro usò munizioni da tiro a segno. Comprate poco prima.

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  5. Buonasera Antonio,
    innanzitutto mi complimento per l'accuratezza del lavoro che ha svolto: sicuramente nel variegato panorama su internet dell'argomento i suoi articoli sono un punto di riferimento. Premesso che la tesi di Lotti come unico Mostro ha convinto anche me, volevo chiederle se, per quanto lei sappia, ci sia qualche evidenza di Lotti come "conoscitore" di armi da fuoco. Per quella che è la mia poca esperienza fatta durante il servizio militare, le armi da fuoco necessitano comunque di una manutenzione per mantenerle efficienti nel tempo. Soprattutto se consideriamo i più di 15 anni di possesso della famigerata pistola da parte del Mostro, sarebbe poco credibile pensare che non fosse mai stata smontata e pulita, nonché lubrificata, anche perché magari tenuta nascosta in luoghi poco idonei. Si sa mica, ad esempio, se il Lotti avesse fatto il servizio militare?
    Grazie e complimenti ancora. Francesco.

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    1. Buonasera a lei Francesco. Non so se Lotti avesse fatto il servizio militare. In ogni caso io l'ho fatto ai tempi, ma non ho imparato nulla sullo smontaggio di armi. Ho solo sparato con il Garand. D'altra parte, come si vede bene anche da qualche filmato su Youtube, smontare e rimontare una Beretta della serie 70 è davvero facile. Poi anche all'epoca erano numerose le riviste di armi che si potevano trovare in edicola.

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    2. anche io mi son posto il problema, e trovo che sia un punto importante, oggi con you tube imparare a fare la manutenzione minima di una pistola per tenerla efficiente per 20 anni credo sia facile, ma a quei tempi... chiarire questo punto a mio avviso sarebbe importante. Se togliamo il servizio militare, bho... Temo si possano fare solo delle ipotesi: forse in terra di cacciatori e bracconieri poteva essere piu facile reperire le info necessarie. Qualche familiare stretto con la licenza di caccia? (mario cremascoli)

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    3. Nell'incidente probatorio, terzo fascicolo pagina 64, Lotti accenna alla cosa quando gli chiedono dell'altezza.

      C'è scritto:

      IMPUTATO Lotti: Io sono stato alla visita, però avevo il babbo malato, insomma gli era invalido, allora io lo potevo fare perché avevo il fisico per fare il militare, però mi hanno congedato subito perché...

      Giudice: Insomma, scalzo, quando era alla visita militare era un metro e 78.

      IMPUTATO Lotti: No, per quello lo dovevo fare, però c'avevo il babbo invalido, poi...

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    4. Ottimo Damiano, non ci avevo fatto caso. Dunque niente militare.

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