Con l’articolo La madre di tutte le sette avevamo ipotizzato il probabile ruolo primario di
Gabriella Pasquali Carlizzi nel fornire a Michele Giuttari lo spunto per la
partenza della pista esoterica. Si può senz'altro scommettere a occhi chiusi – ma il verbale non è nella disponibilità di chi scrive – che nel loro incontro del 17 maggio 1996 la donna avesse
espresso la propria teoria su una complessa organizzazione della quale Pacciani
e compagni avrebbero costituito il livello più basso, quello di una manovalanza
pagata per procurare i “feticci” da utilizzare in qualche cerimonia esoterica.
Difficile pensare però che Giuttari avesse preso sul serio l’intera teoria, mentre
l’idea di Pacciani pagato da un perverso committente, eventualmente protetto
da personaggi altolocati, gli dovette sembrare senz’altro più ragionevole. E in
effetti le sue prime indagini andarono proprio in quella direzione, in accordo peraltro
con il “dottore” di Lotti, la cui tardiva comparsa sa tanto di un aiuto che il
presunto pentito – nonostante i molti scettici, un vero furbacchione nel capire
le proprie convenienze – badò bene di offrirgli su un piatto d'argento.
La moglie del ginecologo. A quanto risulta dalla documentazione fino a oggi emersa, il primo
scenario sul quale si appuntarono le attenzioni di Giuttari fu quello di un ginecologo,
maniaco per interposta persona, che per sviare le indagini poté godere della protezione
della propria potente famiglia. È quanto si deduce dalla lettura della parte
finale di Compagni di sangue (maggio 1998), libro scritto a quattro mani
assieme al noto giallista e intrattenitore televisivo Carlo Lucarelli, dove,
giocando tra realtà e immaginazione e, a parere di chi scrive, lasciandosi prendere fin troppo la mano,
i due autori tracciarono un possibile sviluppo delle indagini sui mandanti (a
testimoniare la fluidità delle ipotesi sul tavolo,
esaminarono anche una pista del tutto differente, quella di un pittore svizzero
fuggito all’estero, ne tratteremo più avanti). Dopo aver elencato una serie di
strani eventi, a loro giudizio indicativi della presenza nella vicenda di un personaggio
che operava dietro le quinte, ben più raffinato di Pacciani e complici, gli
autori si concentrarono sulla misteriosa signora che un paio d’anni prima aveva
trascorso una notte in casa di Angiolina Manni, moglie di Pacciani, vicenda che
vale la pena riassumere.
Lunedì 22 gennaio 1996, attorno alle 12.30, fu vista a Mercatale una signora bionda –
probabilmente non naturale, poiché venne notata una ricrescita di capelli di
altro colore – di circa settant’anni, avvolta in una lunga pelliccia. Riempite
due borse di generi alimentari in un supermercato locale e chieste indicazioni
a una persona incontrata per strada, la signora andò a bussare alla porta di
Angiolina. Solitamente la burbera donna non permetteva ad alcuno di entrare, ma la sconosciuta le disse di essere stata mandata da una
figlia per portarle la spesa, e con questo espediente riuscì a farsi aprire.
Attorno alle 5 del pomeriggio la signora andò in farmacia a chiedere un
tranquillante (Tavor), che però non le fu consegnato necessitando di ricetta.
Per nulla scoraggiata, si recò allora in un vicino ambulatorio medico dove
ottenne la ricetta e con quella in mano poté finalmente acquistare il
medicinale voluto. Più tardi fu vista passeggiare per strada assieme alla
Manni, in casa della quale trascorse la notte per poi prendere l’autobus alla
mattina e sparire nel nulla.
Verso le 11
Angiolina uscì e si mise a gironzolare per le strade del paese con andatura un
po’ barcollante, fino a quando non cadde battendo la faccia sul selciato
procurandosi qualche leggera ferita. Nel mentre veniva soccorsa fu sentita
lamentarsi di essere stata derubata di 200 mila lire dalla signora che aveva
dormito da lei. Per precauzione fu ricoverata in ospedale per qualche giorno,
dove le venne riscontrato un leggero stato confusionale ma nessun segno di
violenza, se non le ferite provocate dalla caduta.
Naturalmente
furono subito avvertiti i carabinieri, che effettuarono un sopralluogo
nell’abitazione della Manni trovando gli ambienti in ordine, eccettuato entrambe
le piazze del letto nella camera matrimoniale disfatte, come se vi avessero
dormito due persone. Su un guanciale vennero trovate delle macchioline di
sangue e una formazione pilifera, risultate da successivi esami del medesimo
gruppo sanguigno di Angiolina.
Sul mobile specchiera posto nella stessa
camera venne repertato un bicchiere con tracce di liquido, che, successivamente
sottoposto ad analisi tossicologica, risultò contenere il principio attivo del
Tavor, sostanza ritrovata anche nel sangue della Manni in una concentrazione,
secondo il consulente tecnico del PM, “decisamente
superiore a una dose terapeutica”, la qual cosa ben spiegava lo
stato confusionale della donna riscontrato all’atto del suo ricovero.
In una ispezione di qualche giorno dopo, nel
tratto di cortile che portava all‘abitazione della Manni, venne rinvenuto uno
scontrino di prenotazione presso l‘ufficio informazioni della stazione di Santa
Maria Novella, datato allo stesso giorno dell’arrivo della signora bionda, sul
quale, con scrittura malferma, erano annotate a penna le parole “mercata val di pesa”. Da successivi accertamenti
risultò che lo stesso era stato emesso fra le ore 11 e le ore 11:45, e che quel
giorno e in quell’orario era arrivato nella predetta stazione un unico treno
proveniente da Venezia, la qual cosa ben si accordava con l’accento
della visitatrice, definito veneto da due testimoni (per un terzo era però
lombardo).
Tutti gli indizi
portavano a pensare che la signora avesse fatto prendere ad Angiolina una forte dose di
Tavor, potendo così disporre di tutta la notte per muoversi con comodo in casa
sua. A quale scopo? Certamente il suo obiettivo primario non potevano essere
state le 200 mila lire, sempreché davvero le avesse prese lei. Sentiamo che
cosa ne pensavano Lucarelli e Giuttari.
Se questi atti non fossero veri e, invece, fossero episodi
di un romanzo giallo, la “donna misteriosa” sarebbe, allora, la moglie del
medico, o l'amica, l'amante, una che sa e condivide, una che lo protegge. La
moglie di un medico molto ricco, con gravi problemi sessuali. Un medico
specializzato, magari in ginecologia come a suo tempo vociferava l'opinione
pubblica.
Qui le deduzioni investigative si fermano e cedono il passo
alla fantasia. Ma se fosse davvero un romanzo giallo, quello dei “Mostri di
Firenze” sarebbe un romanzo con due protagonisti. Una sorta di “Dottor Jekyll e
Mister Hyde” non fusi nella stessa persona, ma divisi in due persone distinte.
Da una parte, il Dottor Jekyll, un persona colta, facoltosa,
potente. Il raffinato esponente di una famiglia d'élite che di giorno compie
una vita normale. È un medico, il nostro Jekyll, che dedica gran parte della
sua vita al suo lavoro. Il suo reparto in ospedale, le visite in clinica, gli
esami al laboratorio. Un lavoro che lo porta a contatto con la fonte stessa
della vita: la nascita. Il nostro dottor Jekyll è uno stimato ginecologo che di
giorno, nel vero senso della parola, dà la vita.
Ma di notte, la notte del cuore, della metà oscura
dell’anima, il nostro dottore è diverso. Pur essendo un uomo colto, di grande
successo professionale, un uomo ricco, stimato e potente, il nostro dottore è
infelice. È malinconico. È triste. È malato. Non riesce a raggiungere, né ha
mai raggiunto, la soddisfazione sessuale. Si è sposato ma il matrimonio non
funziona. Forse non riesce a confessare neppure a se stesso le proprie
tendenze, quello che nasconde nel cuore e che lo spinge a fantasticare in modo
inconfessabile. E irrealizzabile, perché il nostro dottore non ha il coraggio
di far emergere quell’altro, il mister Hyde che sta nascosto in lui.
Poi, però, lo incontra.
Mister Hyde è un rozzo contadino che vive quasi
esclusivamente nella brutalità fisica della materia. È l'esatto contrario di
lui: incolto, diretto, violento. Distruttivo. Uno che ha a che fare in maniera
istintiva e piena col lato oscuro delle cose. Con la morte.
Secondo
l’ipotesi formulata dal libro la misteriosa signora bionda sarebbe stata quindi
la moglie di uno stimato ginecologo, afflitto da gravi problemi sessuali, che
un giorno aveva incontrato il proprio mister Hyde in una figura reale, Pietro
Pacciani. Evidentemente la donna sarebbe andata a casa del contadino per far
sparire – nonostante le certosine perquisizioni
dell’era Perugini – eventuali prove rimaste dell’imbarazzante rapporto, così descritto da Lucarelli e
Giuttari:
Gli stessi interessi sessuali, le stesse perversioni, lo
stesso sadismo e la stessa attrazione per il sangue e per la morte. Due lupi
che si incontrano. Il dottor Jekyll che incontra il suo mister Hyde.
Quello che nasce è un legame strettissimo. Mister Hyde
subisce il fascino dell'uomo colto e raffinato, il dottor Jekyll quello
dell'essere primordiale che vorrebbe diventare. Hyde, avido e avaro,
legatissimo ai soldi, vede nel dottore l'uomo che può soddisfare i suoi bisogni
materiali. Jekyll, debole e distante, vede in lui la stessa cosa. Soddisfare il
bisogno di una brutalità che esca allo scoperto proprio nel momento in cui sta
per avere origine la vita. Colpire e straziare le coppie nel momento
dell'amore, mutilare la donna proprio in quei simboli di vita, di felicità e di
piacere che a lui, al dottor Jekyll, sono negati.
Si crea un rapporto mandante-esecutore che si rovescia
continuamente, che gira, come un vortice. Un rapporto piramidale, che si
struttura in vari livelli e che coinvolge anche altre figure. Una struttura
rara, insolita, ma tutto sommato non inedita, anche se non ancora studiata per
gli omicidi in serie. È la stessa, per esempio, che domina gran parte del mondo
della pedofilia: ricchi pervertiti che pagano sporchi mezzani che pagano
brutali pervertiti per abusare di un bambino.
Ma gli altri, gli aiutanti che vedono il dottore, che ne
sentono parlare, non lo conoscono. Non lo frequentano. Dottor Jekyll e Mister
Hyde sono soltanto loro, il ginecologo e il contadino.
Questa è la storia, una storia vera, basata su fatti
realmente accaduti, con un finale fantasioso. Anche se spesso la realtà supera
la fantasia e i finali fantastici si rivelano più limitati e meno inquietanti
di quelli reali. E forse un giorno si scoprirà che il medico e il contadino, il
dottor Jekyll e il mister Hyde di questa strana storia di realtà e fantasia
corrispondono davvero alla verità delle cose.
Anche se non sarà facile. All'epoca dell'ultimo processo il
nostro dottor Jekyll potrebbe essere già morto e non c'è nulla come una pietra
tombale per seppellire definitivamente ogni epilogo.
Anche se la prosa è certamente di Lucarelli, non c’è motivo di dubitare che
Giuttari l’avesse condivisa, mancando nel libro ogni avvertenza contraria. La qual cosa appare
eticamente censurabile per un investigatore impegnato sul campo proprio su quel tema, e dimostra come la troppa
fantasia, sollecitata e alimentata dalle malignità della gente, possa
comportare conseguenze nefaste su un’indagine giudiziaria, poiché il dottor
Jekyll del libro era una persona reale, già deceduta da quasi dieci anni, i cui
familiari subirono notevoli disagi causa meri sospetti originati da dicerie e
lettere anonime. Accenni alla sua esistenza se ne erano già sentiti qualche
mese prima dell’uscita del libro, appena morto Pacciani, quando i giornali
avevano pubblicato delle eloquenti dichiarazioni in merito da parte di Aldo
Colao, pronunciate durante l’arringa al processo contro Vanni e Lotti. Da
“Repubblica” del 25 febbraio 1998:
Ma dimenticare Pacciani non sarà facile per nessuno. La sua
figura continua a dominare il processo ai suoi scoloriti “compagni di merende”,
mentre si è scatenata la caccia al medico presunto “committente” dei delitti. “So
chi è”, ha detto ieri in aula uno degli avvocati di parte civile, Aldo Colao.
Era un ginecologo, sostiene. È morto da anni. Ma una sua familiare - afferma -
è la responsabile di una misteriosa aggressione subita il 22 gennaio 1996 dalla
moglie di Pacciani, Angiolina.
Con tono maggiormente
dubitativo, scriveva il “Corriere della Sera” nel medesimo giorno:
Ieri uno degli avvocati di parte civile, Aldo Colao, ha
detto che il misterioso medico-mandante tirato in ballo dal supertestimone
Giancarlo Lotti, potrebbe essere un ginecologo, morto da anni, che aveva in
cura anche Angiolina, la moglie di Pacciani. Ma il capo della Mobile di
Firenze, Michele Giuttari, ha precisato che Colao non ha fornito elementi di
riscontro: “L'indagine non può essere condotta sulla base di voci di paese”.
Giulio
Zucconi. Quando era stato chiamato da Vigna per cercare i complici di
Pacciani, Giuttari aveva potuto contare su un magnifico punto di partenza,
Mario Vanni, lo spaventatissimo ex postino che si era scavato la fossa da solo
durante la propria celebre deposizione al processo Pacciani. Per la nuova ipotesi
investigativa dei mandanti, invece, non c’era nulla, né elementi per
identificare il “dottore” di Lotti, né tracce dei pagamenti ricevuti da
Pacciani. C’era però il vastissimo materiale investigativo riguardante i
personaggi che nella quindicina di anni precedenti erano incappati in qualche
modo nei controlli delle forze dell’ordine, ad esempio per denunce di cittadini
sospettosi o anche soltanto per lettere anonime. Gli armadi di questura e
procura dovevano essere pieni dei loro faldoni, bastava aprire quelli dei più
ricchi, e, assecondando l’immaginario collettivo, meglio se dottori e ancora
meglio se ginecologi. A quella fonte la pista esoterica attinse a piene mani,
arrivando qualche anno dopo fino a Perugia.
Ma non
anticipiamo i tempi. Nessun dubbio che il ginecologo indicato da Colao e il
dottor Jekyll di Compagni di sangue
coincidessero, e fossero da identificarsi in Giulio Zucconi, morto nel 1989 a
54 anni, già primario di ginecologia all’ospedale Careggi di Firenze e libero
professionista a San Casciano, dove si recava a visitare una volta al mese
in un ambulatorio messogli a disposizione dal farmacista Francesco Calamandrei,
anch’egli poi finito nel mirino di Giuttari. Come altri dottori e ginecologi, Zucconi
era stato oggetto di chiacchiere malevoli che, a detta di chi lo conosceva, lo
avevano molto amareggiato.
Ma come fu che
proprio lui, a quanto sembra, ebbe l'onore di essere il primo dei personaggi estratti dal mazzo dei
possibili mandanti? Il seguente decreto di convalida a firma del GIP di
intercettazioni telefoniche chieste dal PM, datato 6 dicembre 1997, ci dà modo
di comprenderlo.
Letta la richiesta di convalida di decreto di
intercettazione telefonica emessa d'urgenza dal Pubblico Ministero Dr. Canessa
e trasmessa a questo Ufficio in data 6.12.1997 ore 9,50;
Rilevato:
- che all'udienza dibattimentale del 27.11.1997, nel corso
di svolgimento del processo avanti alla Corte di Assise di Firenze a carico di
Lotti Giancarlo, Vanni Mario, Faggi Giovanni e Corsi Alberto, l’imputato Lotti
nel corso del proprio esame ha confermato le dichiarazioni in merito a un
dottore che avrebbe ricevuto da Pacciani Pietro e dal Vanni le parti escisse
dai corpi delle vittime femminili dei duplici omicidi per cui è processo, in
cambio di denaro;
- che le dichiarazioni vengono indicate come riscontrate da accertamenti
bancari a suo tempo condotti dalla Squadra Mobile a carico del Vanni e del
Pacciani, indicanti la disponibilità da parte del Pacciani, in particolare, di
rilevanti somme di denaro accumulate negli anni degli omicidi e non
giustificate dalle modeste risorse di coltivatore diretto;
- che fra i vari medici sui quali si sono appuntate le
attenzioni investigative spicca la persona del Dr. Zucconi Giulio Cesare, ginecologo
di San Casciano deceduto nel 1989 che da una nota del 2.12.1989 risultava
indicato come persona collegata agli autori dei delitti ed in particolare al
Vanni e al Pacciani;
- che il 28.11.1997 è stata intercettata sull'utenza in uso a
Rontini Marzia, sorella di una delle vittime degli omicidi, una telefonata in
cui tale Gina, commentando le notizie apparse sugli organi di informazione in
merito alle dichiarazioni rese dal Lotti, diceva “…sarà quello dell’Impruneta...
gli è morto... questo tizio gli ha un fratello all’ambasciata... sono gente
che… pagan bene su ‘i serio” e riferendo anche di aver saputo che la moglie di
questo dottore era colei che si era introdotta in casa di Angiolina Pacciani, alludendo
al noto episodio della “bionda” introdottasi il 22.1.1996 in casa Pacciani;
- che sussistono, pertanto, sufficienti indizi in ordine al coinvolgimento
nei fatti, a titolo ancora da appurare, della sig.ra PIETRASANTA MARIA INES,
vedova del predetto Dott. Zucconi (la cui utenza è già stata sottoposta ad
intercettazione dal Pubblico Ministero con separato provvedimento già
convalidato), nel mentre anche la Sig.ra FOGGI GINA, l'interlocutrice della Rontini
che ha offerto lo spunto investigativo, appare persona a conoscenza di
circostanze inerenti i fatti per i quali sono in corso indagini;
- che, in considerazione della persistente attualità dell’argomento,
offerta dalla prosecuzione dell’interrogatorio del Lotti, appare effettivamente
necessaria alla prosecuzione delle indagini l’intercettazione dell’utenza in
uso alla Foggi, potendone scaturire ulteriori informazioni sull'individuazione
del medico che avrebbe a suo tempo acquistato dal Pacciani e dal Vanni le parti
di cui le vittime furono mutilate;
- che il titolo di reato (concorso continuato in plurimi
omicidi commessi nella provincia di Firenze fino al 1985 – artt. 110, 81, 575,
410, 416 c.p.) consente le intercettazioni telefoniche;
- che il decreto del Pubblico Ministero è stato comunicato tempestivamente;
- che vi era urgenza di disporre l’intercettazione, essendovi
fondato motivo di ritenere che dal ritardo potesse derivare grave pregiudizio
alle indagini;
P.Q.M. Visti gli artt. 266 c.p.p. e sgg. CONVALIDA il
decreto del Pubblico Ministero che dispone l'intercettazione d'urgenza
dell’utenza telefonica XXX - XXXXXXX intestata a Bindi Franco ed in uso a Foggi
Gina.
Firenze li 6.12.1997 ore 12,29 il giudice per le indagini
preliminari Dr. Antonio Crivelli.
Dunque,
riassumiamo. All’udienza del 27 novembre 1997 (vedi),
Giancarlo Lotti aveva raccontato del “dottore”, notizia ripresa dai giornali
del 28. Quella stessa sera, attorno alle 21, Marzia Rontini, sorella di Pia
uccisa a Vicchio nel 1984, si era intrattenuta in una conversazione telefonica
con “tale Gina”, in cui questa le aveva manifestato il sospetto
che il “dottore” di Lotti potesse essere Giulio Zucconi, e la donna a suo tempo
introdottasi in casa di Angiolina Manni la di lui vedova. La conversazione
venne ascoltata dalla polizia, essendo il telefono di Marzia Rontini
sotto controllo causa le note vicissitudini giudiziarie del marito, il
giornalista di RAI 3 Giovanni Spinoso, accusato di aver scritto varie lettere e
biglietti anonimi e poi assolto.
La trascrizione
della telefonata non è nella disponibilità di chi scrive, ma dalle frasi riportate
e riassunte nel documento di cui sopra sembra di poter a ragione ritenere l’uscita di Gina
un semplice riporto di chiacchiere, quelle appunto che già avevano originato la
nota del 2 dicembre 1989 in cui Zucconi “risultava
indicato come persona collegata agli autori dei delitti”. Ma il bisogno di spunti investigativi per la neonata pista esoterica aveva fatto
saltare sulla sedia i nostri inquirenti, che immediatamente avevano messo sotto
controllo il telefono della Pietrasanta, mentre qualche giorno più tardi – e il
documento citato attesta proprio questo passaggio – venne chiesto e accordato
il permesso di intercettare anche le telefonate di Gina, poiché, per la serie
“incredibile ma vero”, dalle sue conversazioni sarebbero potute “scaturire ulteriori informazioni sull'individuazione del
medico che avrebbe a suo tempo acquistato dal Pacciani e dal Vanni le parti di
cui le vittime furono mutilate”! La circostanza appare ancora più
sorprendente se si tiene conto dell’identità di Gina, che altri non era se non
Gina Foggi, sorella di Giovanni, vittima del Mostro a Scandicci, ragionevolmente in
contatto con Marzia Rontini causa la comune disgrazia. Si deve quindi
immaginare che se davvero la donna fosse stata in possesso di qualche notizia
in grado di mettere le forze dell’ordine sulla pista di eventuali mandanti
avrebbe avuto tutte le ragioni per essere stata lei a prendere l’iniziativa.
Ma torniamo a
Zucconi e alle chiacchiere su di lui. Come si desume dalla nota di Giuttari del
2 marzo 2005 (vedi),
nel fascicolo che lo riguardava c’erano almeno due lettere anonime. Nella
prima, giunta ai carabinieri il 14 gennaio 1996, lo si “segnalava quale soggetto che aveva a che vedere con le
indagini sui delitti del Mostro”; nella seconda, scritta con ritagli
di giornale e il cui timbro riportava la data del 18 gennaio 1997, si poteva
leggere: “Cercate la pistola del Mostro dentro la
bara del dott. Zucconi”. In una terza lettera, pervenuta al PM
proprio in quei giorni, l’1 dicembre 1997 – evidentemente anch’essa stimolata
dalla freschissima deposizione di Lotti – il ginecologo veniva indicato come
persona alla quale, insieme ad amici tra cui Mario Vanni, “piaceva fare visita alle ragazze. Le spogliava e metteva
nella cicalina un tralcio di vite”.
Le testimonianze. Poco prima di
ritirarsi dalla polizia per dedicarsi a tempo pieno alla propria carriera di scrittore, il 4 aprile 2007 Giuttari avrebbe scritto una nota indirizzata alla
procura di Perugia, summa di tutte le sue strenue indagini alla
ricerca dei mandanti. In quella nota vengono riportate diverse testimonianze e
notizie riguardanti Zucconi (il lungo frammento è scaricabile qui).
Già il giorno dopo l’intercettazione telefonica di Gina, il 29 novembre 1997, venne
ascoltato tale Simone Guidotti, che certo non fece economia nel riportare
tante gustose chiacchiere, tra le quali, oltre a quelle comprensibili nate dal
mestiere di ginecologo di Zucconi, ce n’erano alcune che riguardavano Pacciani:
Preliminarmente voglio farvi presente che da tanti anni mi
reco a Mercatale, paese d’origine di mio padre, e nelle varie occasioni ho
raccolto da più parti discorsi che facevano riferimento esplicitamente al
dottor Zucconi. Voglio altresì far presente che i discorsi sullo Zucconi di cui
adesso vi parlerò circolavano per tutta la gente del paese sin dagli inizi
degli anni ’80 e, dopo il delitto dei due francesi, i discorsi da un piano di
semplice sospetto passarono a qualcosa di più grave e circostanziato. Mi spiego
adesso meglio. La gente del paese nel commentare gli omicidi che venivano
attribuiti al Mostro di Firenze, in un primo tempo indicavano lo Zucconi quale
persona sospettabile che potesse avere a che fare con quegli omicidi. Dopo il
delitto del 1985, ossia quello ai danni dei due francesi, lo Zucconi venne notato
in paese con una grossa ecchimosi in volto, da lui giustificata come una caduta
da cavallo del quale sport era appassionato. Il fatto che il francese ucciso
fosse stato cintura nera di arti marziali fece immediatamente collegare una
colluttazione tra i “mostri” di cui probabilmente lo Zucconi avrebbe fatto il
capo banda e l’ecchimosi presentata dallo Zucconi nei giorni immediatamente
successivi al duplice delitto. Il particolare fu da tutti interpretato come la prova regina del
definitivo ed integrale coinvolgimento dello Zucconi nella vicenda del Mostro di
Firenze. Ad ulteriore conferma dei precedenti sospetti si aggiunge il fatto da
tutti conosciuto di ben due perquisizioni dell’abitazione subite dallo Zucconi.
Se non ricordo male le perquisizioni sarebbero state effettuate una prima e
l’altra dopo il delitto dei due francesi ed avrebbero avuto esito negativo.
Ricordo anche che, a proposito dell’interesse degli
inquirenti sullo Zucconi, i paesani raccontavano che il fratello dello stesso
avrebbe ricoperto importantissime cariche diplomatiche presso il Vaticano e con
le sue conoscenze si sarebbe adoperato per tutelare il nome del fratello
facendo in modo che i sospetti della giustizia non ricadessero sul dottor
Zucconi.
Il dottor Zucconi Giulio era un ginecologo molto apprezzato
ed affermato. Dalle informazioni raccolte in paese esercitava la libera
professione sia a Firenze che saltuariamente nei dintorni di S. Casciano…
Da come ho potuto capire le perquisizioni sarebbero state
eseguite con tutta probabilità in una abitazione che lo Zucconi aveva nei
pressi della strada di principale accesso alla piazza del paese di Mercatale.
A proposito sempre della Zucconi voglio riferire la voce del
paese secondo la quale il Pacciani fosse stato un commesso all’abitazione e
servizi vari del dottor Zucconi. I paesani in ogni caso raccontavano che il
Pacciani comunque conosceva ed aveva rapporti con lo Zucconi. Al riguardo
ricordo che raccontavano che lo Zucconi fosse un amante di armi, soprattutto da
sparo e che Pacciani provvedeva alla loro manutenzione.
Il 4 dicembre fu
la volta di Orazio Torrini, titolare di un distributore di benzina di Impruneta
di cui spesso si serviva Zucconi:
Nel corso degli anni ho avuto modo di conoscere il dottor
Zucconi, morto da qualche anno, già da moltissimo tempo in quanto abitava
proprio vicino al distributore, per cui lo stesso era solito venire da me per
il rifornimento delle proprie auto…
Ricordo che parecchi anni fa ho avuto modo di notare alcuni
carabinieri che per circa 8/10 giorni hanno piantonato la villa dello Zucconi.
Preciso che per due volte, per provare un’autovettura passai davanti alla villa
ed in entrambe le occasioni vidi dei carabinieri che erano lì nei pressi del
cancello. Voglio aggiungere, ma non ne sono sicuro, che in una di queste
circostanze, notai che vi era il maresciallo comandante della stazione
Carabinieri di Impruneta…
Vorrei inoltre aggiungere che in quel periodo si diceva che
il dottor Zucconi era implicato nei delitti del Mostro e che utilizzava le
parti del corpo femminili asportate alle vittime per fare degli esperimenti…
Penso che dall’episodio del piantonamento della villa da
parte dei carabinieri alla morte del dottor Zucconi sono passati circa due
anni.
Sentito due
giorni dopo, il figlio Tiziano aggiunse:
Intendo riferire quanto a mia conoscenza relativamente al
Dott. Zucconi Giulio Cesare da me conosciuto in quanto cliente del distributore
di mio padre e della sua officina meccanica… all’epoca dei delitti del
cosiddetto “Mostro di Firenze” la gente in paese chiacchierava del fatto che
lui c’entrasse qualche cosa infatti la gente diceva, in paese o al distributore
dove si raccolgono molte di queste chiacchiere, che lo Zucconi era sotto
indagine o comunque controllato dalle forze dell’ordine, anche perché ricordo
che all’epoca si parlava di un medico o meglio di un ginecologo…
Mi ricordo che una sera di alcuni anni fa, presumo fossero
gli anni che vanno dal 1984 al 1986, mentre tornavo a casa di ritorno da Prato,
ove allora stava la mia attuale moglie, transitando sulla via Impruneta, nei
pressi della villa del Dott. Zucconi, ho notato più volte autovetture ferme ed
in particolare una sera d’inverno notai una Fiat Uno scura che quando passai mi
sembra si mise a seguirmi. Ricordo che nella circostanza, erano forse l’una di
notte, intimorito anziché fermarmi a casa ed aprire il cancello di accesso,
proseguii sino alla piazza di Impruneta e poi visto che nessuno mi seguiva feci
rientro a casa. Riferisco questo fatto perché pensai che si trattasse di una macchina
in borghese o della polizia o dei carabinieri che stesse tenendo d’occhio la
casa del dottore e che pensavo mi volesse controllare e essendo la strada buia
dissi a me stesso “se mi devo fermare almeno mi fermo in piazza”.
Non sono a conoscenza del fatto che vi sia stata una grande
perquisizione a casa dello Zucconi, ma so per sentito dire che fu controllato
anche a casa.
Con la
testimonianza di un certo Gino Bini, il 22 gennaio 1998 si aggiunsero altre
notizie sui collegamenti con Pacciani:
Sul dottor Giulio Zucconi si diceva in paese che questi era
stato fermato o indagato per i fatti del Mostro, proprio poco dopo il delitto
degli Scopeti. Anzi si diceva in paese che lo Zucconi proprio il giorno del
delitto o il giorno dopo era passato a cavallo dagli Scopeti…
Fisicamente era molto alto, di stazza robusta: posso inoltre
dirvi che tutti dicevano che era impotente…
Posso inoltre dirvi che Zucconi era amico del Pacciani già
da molti anni. Dico questo in quanto sono a conoscenza che lo Zucconi aveva accompagnato
un suo conoscente, Sestini Franco, dal Pacciani, affinché quest’ultimo gli
governasse il cavallo…
Fu proprio il Sestini che mi disse di essere stato
accompagnato dallo Zucconi a casa del Pacciani.
L’impressione che ha avuto il Sestini è che lo Zucconi si
conoscesse molto bene con il Pacciani.
Il 16 luglio
1998 venne interpellato direttamente Franco Sestini:
Premetto che sono sempre stato appassionato di cavalli e
parlando con lo Zucconi, lo stesso mi propose di accompagnarmi in Maremma ad
acquistare un cavallo, in quanto lui stesso conosceva molto bene un mediatore
del settore... Effettivamente poco dopo averlo conosciuto andammo insieme in
Maremma dove acquistai una cavalla maremmana che per le prime due o tre
settimane tenni nella villa dello Zucconi…
Ricordo che parlando con lo Zucconi riguardo chi dovesse
governare il cavallo quando fosse stato portato alla stalla di Montefiridolfi, lo
stesso mi disse di non preoccuparmi assolutamente in quanto lui aveva una
persona di sua fiducia che sicuramente avrebbe accettato di governare il
cavallo durante la settimana, anzi fece il nome di tale “Pacciano”, che stava
nella zona di Montefiridolfi. Infatti poco prima di condurre il cavallo nella
stalla di mia cognata, io e lo Zucconi ci recammo insieme in una casa a
Sant’Anna, ove lui scese dalla macchina e si recò all’interno dell’abitazione.
Solo successivamente ho saputo che lì abitava Pacciani Pietro. Lo Zucconi
rimase in casa per circa un quarto d’ora mentre io attesi in macchina. Al suo
ritorno mi disse che il Pacciani, o meglio “Pacciano”, così lo chiamava, non
era disponibile a governare il mio cavallo per cui andammo via…
Posso dirvi che lo Zucconi era un tipo che definirei
sbruffone – sopra le righe; si vantava di essere un grande conoscitore dei boschi
della zona di Impruneta, Montefìridolfi e Mercatale, tanto che raccontava di
uscire a cavallo per boschi per due o tre giorni senza fare ritorno a casa. Si
vantava inoltre di essere un grande cacciatore e proprio a tal proposito ho
avuto modo di vedere nella sua casa numerosi fucili.
Altro motivo di vanto dello Zucconi erano le sue performance
con le donne, tanto che si definiva un donnaiolo, amante della bella vita.
Aggiungo che non mi è sembrato un instancabile lavoratore, lavorava lo stretto
necessario, ma poteva permetterselo anche perché era di ottima famiglia con un
notevole patrimonio familiare.
Qualche anno più tardi, negli anni ’80, anche io, come un
po’ tutto il paese, ho sentito delle voci sullo Zucconi che indicavano come
possibile Mostra di Firenze, anche perché si faceva riferimento ad un chirurgo
che sapesse usare il bisturi. Mi venne detto, anche perché all’epoca non
frequentavo più lo Zucconi, che lo stesso avesse preso a ridere queste dicerie,
tanto che alle sue clienti faceva la battuta “ti fai vedere la passera dal
Mostro?”. Per quanto ne sappia, inoltre, la Polizia si interessò a lui anche
con delle perquisizioni, e le voci che circolavano in paese riferivano che dopo
ogni delitto attribuito al Mostro, le forze di Polizia si recassero da lui per
rivoltargli casa.
Saranno state
vere le notizie sui rapporti tra Zucconi e Pacciani? C’è da dubitarne molto,
però la nota di Giuttari aggiunge altre informazioni sul sospettato, tra le
quali una coincidenza che andrebbe, almeno in apparenza, in tale direzione: “La famiglia Zucconi, prima di trasferirsi ad Impruneta aveva
vissuto in Mercatale in Via Sonnino 58, in una casa che confinava con il
giardino di quella che poi diventerà l’abitazione del Pacciani”.
Di pari se non
superiore spessore la nota considera questa piccante notizia, dotata di
maiuscolo nel testo originale:
Agli atti della Squadra Mobile di Firenze risulta che
Zucconi Giulio Cesare veniva esonerato dal servizio di leva ai sensi dell’art.
87 dell’elenco delle imperfezioni e delle infermità che erano causa di non
idoneità al servizio militare PER GRAVI MALFORMAZIONI AL PENE, PERDITA TOTALE O
PARZIALE DELLO STESSO. MALATTIE CHE COMPROMETTONO LE SUE FUNZIONI.
Ecco spiegato il
passaggio nella descrizione del dottor Jekyll contenuta in Compagni di sangue dove si afferma: “Il
nostro dottore è infelice. È malinconico. È triste. È malato. Non riesce a
raggiungere, né ha mai raggiunto, la soddisfazione sessuale”. Certo,
dopo aver perso il pene chiunque avrebbe sofferto dei medesimi problemi, ma
quanto si può essere sicuri che la motivazione per l’esonero dal servizio di
leva di Zucconi fosse stata veritiera? Si sa bene che chi godeva delle giuste
conoscenze e magari anche di buone disponibilità economiche poteva trovare
tanti modi per scamparla al tedioso e inutile servizio militare, per fortuna
oggi un semplice ricordo di purtroppo sempre meno persone.
Il seguente
frammento della nota ci aiuta invece a capire il perché delle testimonianze su
fantomatiche perquisizioni subite dal ginecologo:
Agli atti della stazione CC di San Casciano vi era una nota
datata 20.9.85, in cui lo Zucconi risultava in possesso di nr. 2 fucili, la cui
detenzione era invitato a regolarizzare. Agli atti della stazione CC di
Impruneta, invece, vi era una denuncia, a nome dello stesso Zucconi, datata
4.10.85, di possesso di nr. 3 fucili, nr. 1 revolver e nr. 1 carabina. Appare
singolare che tale regolarizzazione si sia verificata pochi giorni dopo il
duplice omicidio di Scopeti (8.9.85) pur essendo Zucconi residente ad Impruneta
dall’anno 1958. Evidentemente in quel periodo (settembre 1985) lo Zucconi era
stato sottoposto quantomeno ad un controllo di natura amministrativa sulle armi
in suo possesso. (Ciò rappresenterebbe quel riscontro indiretto sulla
perquisizione e/o comunque sul controllo delle armi di cui si è fatto cenno.)
Giuttari trova
singolare che Zucconi avesse richiesto la regolarizzazione delle armi in suo
possesso proprio dopo il delitto degli Scopeti. Chi scrive non è d'accordo, poiché in linea d’aria tra la sua
abitazione e la piazzola c’erano appena quattro chilometri, quindi è
comprensibile che l’individuo avesse pensato bene di non correre rischi a
fronte del pericolo di eventuali controlli conseguenti al feroce fatto di
sangue. Controlli che, dopo l’autodenuncia, in una qualche misura vi dovettero
essere stati ugualmente, la qual cosa spiega la presenza di auto delle forze
dell’ordine davanti alla sua villa, e probabilmente anche la nascita o aumento
delle chiacchiere nei suoi confronti, considerata la vicinanza temporale del
delitto.
Le indagini sulla Pietrasanta. Torniamo
ai giorni successivi alla sorprendente telefonata tra Marzia Rontini e Gina
Foggi. Zucconi era morto, ma la sua vedova no, quindi proprio su di lei si
concentrarono le indagini. Il 12 dicembre Giuttari redasse una nota in cui,
richiamando la telefonata e le audizioni di Guidotti e dei due Torrini,
indicava Ines Pietrasanta come indiziata di essere la donna che si era
introdotta a suo tempo in casa di Angiolina Manni, “giacché
la Pietrasanta sia per età, che per altezza, corporatura e capelli,
corrispondeva perfettamente alle descrizioni dei testimoni. Inoltre si trovava
corrispondenza anche per quanto concerneva l'accento, atteso che la Pietrasanta
è originaria di Milano, ove era residente fino al matrimonio con lo Zucconi”.
Sull’accento ci
sarebbe qualcosa da dire, poiché, come abbiamo visto, su tre testi soltanto uno
lo aveva definito lombardo, mentre gli altri due avevano parlato di veneto, e la quasi certa provenienza della donna da Venezia dava loro ragione.
In realtà, come vedremo più avanti, le due donne avevano davvero pochi elementi in comune, quindi la valutazione di Giuttari pare del tutto azzardata.
Il 6 gennaio
1998, in un album fotografico contenente cinque immagini di donna, Angiolina
Manni individuò la Pietrasanta come autrice dei fatti che l’avevano riguardata.
Inoltre, poiché erano a conoscenza di un aborto da lei subito, gli inquirenti le
posero anche delle domande in tal senso, alle quali la teste rispose
confermando e precisando che il marito l’aveva condotta all’Ospedale di Careggi
– dove aveva lavorato anche Zucconi – da un medico “molto
alto e giovane”, identificato tramite un secondo album fotografico proprio in
Giulio Zucconi.
Il 9 successivo anche alla farmacista che aveva venduto il Tavor, Maria Antonietta
Piscitelli, venne sottoposta un album fotografico, di fronte al quale affermò:
L’unica foto delle persone ritratte nelle foto contenute nell'album
che mi sembra possa trattarsi di quella donna è quella contrassegnata dal
numero 6. È solo questa che insomma mi sembra la più indiziata. Ci tengo però a
precisare che non posso affermare con assoluta certezza l’identità, proprio per
via del lungo lasso di tempo trascorso. Vedo nella foto di questa donna
soprattutto la stessa espressione dello sguardo e la forma del viso. Solamente
i capelli sono leggermente diversi.
Per irrobustire il tentennante riconoscimento gli inquirenti sottoposero alla teste
la medesima foto in qualità migliorata, dopodiché, finalmente, essa affermò: “Sì, in questa foto che presenta i colori più nitidi, mi
sembra proprio quella donna”. Riguardo la nulla attendibilità di
tali ricognizioni fotografiche questo blog si è già espresso (vedi). In ogni caso
altre sei persone che erano entrate in contatto con la donna misteriosa non
riconobbero alcunché, anzi, la stessa Piscitelli, risentita il 21 gennaio, si
disse non sicura di quel riconoscimento.
Anche Angiolina
Manni venne risentita in data successiva. Nell’occasione la donna confermò il
riconoscimento sia di Zucconi che della moglie, ma cambiò un importante
particolare della propria testimonianza affermando che l’aborto le era stato
praticato all’Ospedale di Ponte a Niccheri, con il quale Zucconi non aveva mai avuto
niente a che fare.
Il 2 febbraio
gli inquirenti interrogarono Gina Foggi, nel tentativo di scoprire che cosa
poteva esserci dietro la battuta che aveva dato origine a tutta la vicenda (è
quasi inutile precisare che null’altro era emerso dalle intercettazioni
telefoniche iniziate due mesi prima). La donna affermò che tutto era nato dalle
frasi pronunciate due anni prima da un uomo di Impruneta, ricoverato in
ospedale nella medesima stanza di suo padre, nelle quali riportava i
sospetti dei suoi compaesani su Zucconi, e quelli dell’individuo stesso sulla
di lui vedova rispetto all’allora fresca notizia di stampa sui fatti che
riguardavano la misteriosa vicenda della visita alla moglie di Pacciani. Fu
sentito anche Dino Foggi, padre di Gina, che di quelle frasi invece non
ricordava nulla.
Tutt’altro che scoraggiato, Giuttari riuscì a individuare l’identità del compagno di stanza di Foggi,
tale Roberto Laterini, e il giorno dopo, 3 febbraio, lo convocò. L’attonito
individuo escluse di aver mai pronunciato le frasi riportate dalla Foggi,
resistendo alle insistenze dei suoi interlocutori fino ad accusare un malore.
Subito dopo venne sentito anche il fratello, parimenti refrattario a ogni ammissione.
Finalmente, in un confronto serale con la Foggi, Roberto Laterini ammise di
aver detto qualcosa riguardo i sospetti su Zucconi, precisando però che si
trattava soltanto di “voci di paese”,
mentre continuò a negare ogni frase riferita all’ipotesi che fosse stata la
vedova del ginecologo a introdursi in casa Pacciani.
Il 6 febbraio
venne perquisita l’abitazione di Ines Pietrasanta, con un bottino magrissimo:
una scatola di Tavor parzialmente utilizzata, una pelliccia di code di visone formato
tre quarti, una parrucca di colore rossiccio di media lunghezza e due fucili
che risultarono denunciati dallo Zucconi ma non dalla vedova, divenutane
proprietaria per successione. Nel conseguente interrogatorio di fronte al PM la
Pietrasanta negò ogni addebito ed escluse ogni coinvolgimento del marito nelle
vicende dei duplici omicidi di Firenze e comunque ogni rapporto fra lui e Pacciani.
Infine le intercettazioni. Abbiamo visto che il telefono della Pietrasanta era stato il primo a essere messo sotto controllo, e a seguire anche quello della Foggi. Continuando a utilizzare senza parsimonia un istituto che la legge tende a limitare ai casi di assoluta necessità, le intercettazioni vennero poi estese a vari parenti della Pietrasanta, e persino a Roberto Laterini, in quel momento fonte primigenia delle chiacchiere da cui era partita tutta la grottesca vicenda. Serve specificare che non ne nacque nulla? Anzi, i parenti della Pietrasanta si meravigliarono molto della accuse a lei rivolte, e si dissero sicuri della sua estraneità ai fatti contestati.
Infine le intercettazioni. Abbiamo visto che il telefono della Pietrasanta era stato il primo a essere messo sotto controllo, e a seguire anche quello della Foggi. Continuando a utilizzare senza parsimonia un istituto che la legge tende a limitare ai casi di assoluta necessità, le intercettazioni vennero poi estese a vari parenti della Pietrasanta, e persino a Roberto Laterini, in quel momento fonte primigenia delle chiacchiere da cui era partita tutta la grottesca vicenda. Serve specificare che non ne nacque nulla? Anzi, i parenti della Pietrasanta si meravigliarono molto della accuse a lei rivolte, e si dissero sicuri della sua estraneità ai fatti contestati.
Il fratello ambasciatore. Mentre erano
in corso le indagini appena descritte, Giuttari preparava Compagni di sangue assieme a Lucarelli, dove, come abbiamo visto,
venivano riportati anche i sospetti su Giulio Zucconi e la moglie. Inutile
stigmatizzare l’assoluta inopportunità di tale operazione, nonostante l’assenza
di nomi, il lettore lo comprende di sicuro anche da solo. Non a caso il
Viminale vietò a Giuttari la partecipazione al Maurizio Costanzo Show dove nel
maggio 1998 il libro venne presentato.
Della mancanza
di discrezione su indagini tanto delicate e avare di certezze, a soffrirne fu
anche il fratello di Zucconi, Gaetano, ambasciatore in pensione. Gli inquirenti
non andarono né a interrogarlo né a perquisirlo, però gli organi di
informazione riportarono via via notizie sui sospetti che lo riguardavano,
procurandogli grande amarezza. Come in questo articolo del “Corriere della
Sera” del 10 settembre 2001, in pieno delirio esoterico, quando si cercava la
“Villa degli orrori” e si vociferava del coinvolgimento dei servizi segreti:
Tra gli insospettabili che avrebbero avuto rapporti con
Pietro Pacciani c'è Giulio Zucconi, il primario di ginecologia dell'ospedale
Careggi, morto nel 1989 a soli 54 anni. Sua moglie, Maria Ines Pietrasanta, è
indagata con l accusa di essere entrata in casa del contadino di Mercatale il
22 gennaio del 1996, aver narcotizzato la moglie Angiolina e aver frugato tra
le sue cose, forse alla ricerca di materiale compromettente. Di un «dottore che
ordinava i lavoretti» parlò il pentito Giancarlo Lotti durante il processo ai
«compagni di merende». Era il professor Zucconi? Per scoprirlo gli
investigatori stanno vagliando anche la posizione di suo fratello, ambasciatore
ora in pensione. Vogliono scoprire che rapporti avesse con il medico, se fosse
a conoscenza delle sue frequentazioni, se abbia mai sentito parlare di contatti
con una setta.
Dopo il fallimento della perquisizione alla villa di San Casciano, Giuttari compilò una
nota per la procura con dentro tutti i suoi residui spunti investigativi sui
mandanti. Nel resoconto che ne fece Fiorenza Sarzanini sul “Corriere della
Sera” del 23 gennaio 2002 compariva anche il povero ambasciatore in pensione:
Maria Ines Pietrasanta, indagata per rapina per essere
entrata il 22 gennaio del 1996 a casa di Pietro Pacciani, aver aggredito e
narcotizzato sua moglie Angiolina, e aver portato via documenti. La donna è la
vedova del professor Giulio Zucconi, primario di ginecologia all'ospedale
Careggi di Firenze e titolare di un laboratorio a San Casciano, sospettato di
aver avuto rapporti proprio con Pacciani. Anche il fratello di Zucconi è stato
coinvolto nell'indagine. Si tratta di un ambasciatore ora in pensione che si
sarebbe interessato in maniera sospetta agli accertamenti compiuti dalla
Procura. Che interesse aveva? Era sua intenzione «coprire» qualcuno? Che cosa
sa dei delitti del «mostro»?
Orgoglioso per
una vita da onesto servitore dello stato e mortificato per l’incubo nel quale
era caduta la propria famiglia, il malcapitato ex ambasciatore così si doleva
in un bell’articolo di Giuseppe d’Avanzo dal titolo “Il falso mostro di Firenze”, uscito su “Repubblica” del 22
giugno 2002 (qui
il testo completo, da leggere assolutamente):
In Italia non esiste la pena di morte, ma la morte civile sì
e io mi sento condannato a una morte civile. È una condanna che uccide lentamente,
che ti porta via quanto hai di più caro, un buon nome costruito dal lavoro e
dalla vita di più generazioni, gli amici che hai amato o ami; è una Gehenna che
isola la tua famiglia precipitandola nel disonore; è un fantasma che, alla
fine, ti divora come un'ossessione.
Mi è sembrato naturale e doveroso attendermi giustizia da
chi è deputato ad amministrarla. Sono stato per tutta la mia vita un
funzionario dello Stato e a quella regola di discrezione personale e di
rispetto istituzionale ho ritenuto di tener fede anche in questa penosa
circostanza, anche quando c'era chi mi consigliava di reagire, di protestare.
No, replicavo, è un lavoro che la legge assegna ai giudici. Prima o poi, mi
dicevo, queste "voci di questura" assumeranno la forma di accuse, di
contestazioni formali e allora mi difenderò davanti alla magistratura. O, se
nessuna contestazione si materializzerà, sarà un giudice a punire la
diffamazione del mio nome. Purtroppo, mi sono illuso: non vanno così le cose in
Italia.
Dovette senz’altro
essere di poca consolazione per Gaetano Zucconi la gelida replica di Canessa,
pubblicata il giorno dopo nella cronaca fiorentina dello stesso quotidiano, che
a suo riguardo precisava: “Non è iscritto nel
registro degli indagati per la vicenda dei duplici delitti del mostro di
Firenze. Non c'è alcuna indagine nei suoi confronti”.
Il 10 novembre
2005, quando ormai a Firenze le indagini sui mandanti si erano da tempo
arenate, Gaetano Zucconi venne sentito da Giuttari per conto di Giuliano
Mignini, nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Francesco Narducci. Dal
relativo verbale, scaricabile qui:
D.: È a conoscenza di rapporti di natura professionale, di
amicizia, di frequentazione del suo defunto fratello GIULIO con il farmacista
di san Casciano Valdipesa FRANCESCO CALAMANDREI?
R.: Premetto che per ovvi motivi le due vite, cioè quella mia e
di mio fratello GIULIO, per questioni professionali si erano allontanate e non vi
erano rapporti di frequentazione. Per il mio lavoro vivevo a Roma o all’estero
essendomi impegnato in carriera Diplomatica. E quando tornavo a casa a trovare
i miei genitori fermandomi di norma per il fine settimana, chiaramente con mio
fratello ci vedevamo però non avevamo amicizie e frequentazioni in comune. So
però da mia cognata che mio fratello aveva un ambulatorio mensile presso la
famiglia del Dott. CALAMANDREI dove quindi si recava una volta al mese per
ricevere i suoi pazienti. Io il Dott. CALAMANDREI non l’ho mai conosciuto.
D.: Lei sa direttamente o indirettamente se suo fratello, che
esercitava la professione di Ginecologo, aveva rapporti con colleghi ginecologi
Perugini?
R.: No.
D.: Il nome di NARDUCCI di Perugia di cui da qualche tempo si
sta parlando anche da parte dei media è un nome che lei in qualche modo ha
conosciuto o sentito dire nell’ambito familiare?
R.: No. Non l’ho mai sentito dire e l’ho letto sui giornali.
D.: Suo fratello e lei avete frequentato le scuole in Toscana o
in altre località?
R.: Entrambi abbiamo frequentato le scuole a Firenze e anche
l’Università. Le scuole medie e le superiori in via San Lorenzo e via Martelli
io poi ho preso la facoltà di Legge a Firenze e mio fratello quella di Medicina
andando a specializzarsi poi in Svezia. Mio padre era medico e c’era quindi una
tradizione in famiglia.
D.: Lei ha conosciuto PACCIANI Pietro che è andato ad abitare a
Mercatale vicino all’abitazione dei suoi genitori, ovvero è a conoscenza se suo
fratello GIULIO conosceva il PACCIANI?
R.: Posso escludere categoricamente di aver conosciuto
personalmente il PACCIANI e la stessa cosa posso dire per quanto riguarda mio
fratello sulla base di quello che mi ha detto mia cognata.
Seguendo le notizie di stampa che riguardavano il PACCIANI ho
cercato di ricostruire i fatti della permanenza della mia famiglia a Mercatale
e ho constatato che il PACCIANI è andato ad abitare in quel centro dopo almeno
sei anni che ci siamo trasferiti all’Impruneta. Osservando una foto che
ritraeva una casa del PACCIANI mi è parso di capire che lui abitasse in quei
vani che all’epoca del soggiorno della mia famiglia erano adibiti a pollaio. La
casa di Mercatale era stata presa in affitto da papà che l’ha restituita al
proprietario al momento della partenza. Credo che il proprietario o
l’amministratore di quella casa fosse tale SODERINI.
D.: A lei risulta che suo fratello negli anni ‘80 e in
particolare che dopo l’ultimo delitto degli Scopeti sia stato controllato a
casa, cioè abbia subito un controllo delle Forze dell’Ordine?
R.: Non mi risulta.
Dunque Pacciani
era andato ad abitare vicino alla vecchia casa degli Zucconi almeno sei anni
dopo il loro trasferimento, la qual cosa rende la coincidenza rilevata da Giuttari,
che nella propria nota aveva scritto genericamente di “una casa che confinava con il giardino di quella che poi
diventerà l’abitazione del Pacciani”, del tutto priva di valore.
Epilogo. Intanto l’inchiesta su Maria
Ines Pietrasanta rimaneva aperta. Finalmente, a distanza di oltre sette anni
dalla sua iscrizione nel registro degli indagati, il 21 aprile 2005 Canessa si
decise a chiedere il rinvio a giudizio della povera donna, accusandola dei
seguenti reati:
A) del delitto p. e p. dagli artt. 628 I e II co. n. 2 C.P. perché,
al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si impossessava della somma di lire
200.000 circa in contanti che sottraeva dall’armadio della camera da letto
della abitazione di MANNI Angiolino dopo avere somministrato alla stessa una
bevanda contenente sostanza ipnoinducente (contenente benzodiazepina - Lorazepam)
che le provocava un sonno profondo.
B) del delitto p. e p. dall‘art. 605 C.P. perché, al fine di
commettere il reato di cui al capo che precede, con la condotta ivi descritta,
privava della libertà personale MANNI Angiolina la notte tra il 22 ed il 23
gennaio l996;
C) del delitto p. e p. dall'art. 582, 585, 576, 61 n. 2 C.P.
per avere, in occasione dei fatti contestati sub A), e B) cagionato a MANNI
Angiolina uno stato confusionale tale che al risveglio, per il torpore, si
procurava cadendo, tra l‘altro, lesioni al volto, tanto che rimaneva ricoverata
in ospedale con prognosi di giorni 10.
All’udienza
preliminare del 4 ottobre successivo il giudice Anna Favi dispose un
riconoscimento di persona – quello con più soggetti, tra i quali l’indagata,
posti dietro un vetro unidirezionale – sia per Angiolina Manni, che non sarebbe
stato effettuato per il sopravvenuto decesso della stessa, sia per Maria
Antonietta Piscitelli, la farmacista. Inoltre richiese l’espletamento
dell’esame del DNA sul pelo raccolto da un cuscino e della perizia grafologica
sul biglietto trovato in corridoio.
All’esito di
quanto richiesto e sulla base dei presunti indizi portati dall’accusa, nell’udienza
del 4 luglio 2006 Anna Favi dispose il non luogo a procedere nei confronti di
Ines Pietrasanta per non aver commesso il fatto, condannandola invece alla
confisca dei due fucili ereditati dal defunto marito ma non denunciati, reato che si aggiungeva alle
tre richieste del PM riportate sopra.
Diamo un’occhiata alle motivazioni.
Cominciamo col
dire che sia le due perizie sia la ricognizione di persona avevano dato esito
negativo. L’esame del DNA aveva dimostrato che il pelo non era della
Pietrasanta, e quello del biglietto che la scrittura non era la sua. Riguardo
il riconoscimento da parte della Piscitelli leggiamo la sentenza:
Nella descrizione fornita preliminarmente dalla teste prima
di procedere alla ricognizione la donna sconosciuta che si era recata nella
farmacia di Mercatale veniva così delineata: ‘una signora allora sui 60 anni,
bionda, ma molto disordinata, spettinata, con un cappotto dimesso, con le
ciabatte addirittura’, la dottoressa precisava poi che i capelli erano però
tinti, ‘mezzi sì mezzi no’, che l’altezza era di circa m. l,54, che l’accento
era toscano e che il cappotto era in realtà una pelliccia, ma ‘trasandata’,
‘non elegante’.
Introdotta poi la teste nella stanza munita di specchio
unidirezionale e mostratele le tre donne (tra le quali l’imputata si era
collocata come la prima da destra per chi osservava), la medesima affermava
inizialmente che ‘come sagoma quella centrale somigliava’, precisando poi che
si riferiva alla corporatura ed alla testa e aggiungeva altresì ‘quella a
sinistra no, quella a destra nemmeno’, confermando di notare una certa
somiglianza solo con la donna posta in posizione centrale. Successivamente
invece affermava che l’ ‘espressione del viso’ somigliava a quella di destra,
precisando poi di far riferimento ai lineamenti.
Conclude il
documento: “Va dunque affermato che l’attività
istruttoria integrativa disposta dal Giudice nell’udienza preliminare non ha
fornito alcun elemento ulteriore a sostegno dell’accusa”. E
prosegue: “Restano pertanto gli elementi indizianti
acquisiti durante le indagini, in ordine ai quali può però solo formularsi un
giudizio di grave insufficienza ai fini della sostenibilità dell’accusa in
dibattimento e questo sotto vari profili”.
Gli elementi
descrittivi della donna misteriosa non coincidevano affatto con le
corrispondenti caratteristiche rilevate sulla Pietrasanta:
Quanto invece agli elementi inerenti la descrizione della
donna sconosciuta che fu vista aggirarsi in Mercatale il 22 gennaio 1996 deve
evidenziarsi come essi non possano riferirsi alla Pietrasanta né sotto il
profilo dell’accento veneto rilevato dalle testi MAZZINI e PAMPALONI (solo il
teste CIABATTI ha affermato che la donna poteva avere un accento lombardo, come
potrebbe essere quello della Pietrasanta, di origini milanesi) né sotto il
profilo della rilevata presenza di vene varicose sulle gambe della donna (v.
s.i. rese dalla PAMPALONI), di cui la Pietrasanta tuttora non sembra affatto
soffrire ad oggi e trattandosi peraltro di patologia che non migliora certo con
l’avanzare dell’età.
Quanto alla parrucca rinvenuta nell‘abitazione
dell’imputata, va certo escluso che la stessa fosse quella indossata
dall’autrice dei fatti che, come affermato dai testi COLLINI, PAMPALONI,
REDEGALLI, PISCITELLI (e confermato anche in sede di ricognizione da parte della
PISCITELLI), aveva capelli biondi tinti, con una evidente ricrescita, così da
essere incompatibili con una parrucca (come lo è anche il dato che i capelli
fossero scarmigliati). Peraltro la parrucca della Pietrasanta è rossa, mentre
la donna in questione è stata unanimemente descritta come bionda.
Ancora deve escludersi che l’autrice dei fatti indossasse la
pelliccia di visone trovata in casa dell’imputata, trattandosi di una giacca
‘3/4’ di code di visone, mentre i testi REDEGALLI, PISCITELLI e MANNI hanno
descritto una pelliccia lunga.
La sentenza
prende in esame anche i collegamenti con la vicenda dei delitti del Mostro,
assente dai capi di reato ma richiamata come movente nella richiesta di rinvio
a giudizio del PM. Dopo aver premesso che “nessuna
rilevanza potrà mai assumere in giudizio, evidentemente, quanto emerso in ordine
alle ‘voci correnti’ relative al coinvolgimento del dr. ZUCCONI nei duplici
omicidi in questione”, fa le seguenti lapalissiane osservazioni:
La fondatezza dell’accusa appare poi smentita da elementi
logici, correttamente evidenziati dalla difesa in sede di discussione: in primo
luogo il movente dei delitti viene individuato dal P.M. nell’intento della
moglie dello ZUCCONI di cercare ed eliminare eventuali tracce a carico del marito
in seguito all’emergere dei sospetti sul coinvolgimento dell’uomo nei delitti
commessi da PACCIANI e gli altri correi, ma tale scopo (che ha puntato i
sospetti fin dall’inizio sulla Pietrasanta) appare confliggere con le modalità
di comportamento adottate dall’autrice delle condotte, la quale ha veramente
fatto di tutto per concentrare su di sé le attenzioni degli abitanti di quel
piccolo paese di provincia che è Mercatale V. di Pesa, nel quale peraltro è già
ben difficile che una persona sconosciuta non venga notata. E ciò dà ancor più
valore al fatto che i testi sentiti hanno escluso di aver mai visto prima
quella donna, mentre la Pietrasanta vi si recava una volta l’anno.
Infine l’abitazione della Manni e del marito Pietro Pacciani
già a quel tempo era stata oggetto di accuratissime perquisizioni, così che
appare difficile ipotizzare che la donna potesse ancora trovarvi (e occultare
agli investigatori) alcunché di rilevante per le indagini.
Un altro
elemento favorevole all’indagata la sentenza lo rileva nella necessità che
aveva avuto la donna misteriosa di richiedere una ricetta per ottenere il Tavor.
La Pietrasanta era infatti un medico, e avrebbe potuto prescriversi il
medicinale da sola.
Infine vengono
liquidati i riconoscimenti fotografici del 1998 sia della Manni sia della
Piscitelli:
A fronte di tale quadro indiziario gravemente insufficiente
a dimostrare la fondatezza dell’accusa, le individuazioni fotografiche
effettuate dalla dr.ssa PISCITELLI e dalla p.o. all’epoca dei fatti non
appaiono tali da incidere significativamente sul medesimo: quanto alla prima
deve subito evidenziarsi che la stessa PISCITELLI affermò davanti alla PG che
fra le foto delle donne inizialmente mostratele solo la n. 6 mostrava una
somiglianza, il che è ben diverso dall’operare una individuazione certa. Anche
nella seconda individuazione, durante la quale le vennero mostrate le sole foto
ritraenti la PIETRASANTA, la donna si espresse sempre in termini di
somiglianza, non di certezza di identità, pur non essendo trascorso molto tempo
dai fatti. E infine l’esito negativo della ricognizione di persona non può
essere inficiato dalla mera notazione, fatta peraltro dopo una espressa
esclusione, di una somiglianza dei lineamenti del viso.
Quanto poi all’individuazione fotografica operata dalla MANNI,
pur essendosi la medesima espressa in termini di certezza non può non
evidenziarsi la scarsa attendibilità soggettiva della p.o., che già al tempo
mostrava una certa palese compromissione delle facoltà intellettive, né può
dimenticarsi che la stessa ha operato una individuazione analogamente certa
dello ZUCCONI indicandolo però come medico che le praticò un aborto presso
l’ospedale di Ponte a Niccheri , dove lo ZUCCONI non ha mai prestato attività
di ginecologo.
Osservazioni. Della vicenda nel suo
complesso balza oggi agli occhi soprattutto il lato grottesco, ma questo non deve
far dimenticare che fu messa in croce una famiglia di gente perbene, e sprecati
chissà quanti soldi dei contribuenti. Il tutto sulla base di semplici
chiacchiere di paese inserite in un contesto di fantasiosità poggiante sui
calcoli esagerati del patrimonio di Pacciani e sulla sospetta affermazione di
Lotti sul “dottore” (di entrambi gli argomenti si è già scritto, vedi).
Ma le macerie
lasciate dalla fallimentare pista esoterica non si fermano certo qua; siamo appena
agli inizi.
Chapeau. Questa serie di articoli dovrebbe essere fatta leggere 100 volte sia ai complottari esoterici sia ai fan di Mighelone Supercop.
RispondiElimina... o forse no, darebbero del satanista infingardo e depistatore anche a te.
Un blog così dettagliato nell'esposizione è una cosa rara nel mare d'internet al giorno d'oggi. Scrivo questo commento per lasciare una testimonianza dell'apprezzamento del lavoro e fatica profusi, almeno immagino.
RispondiEliminaVisto che mi trovo, butto lì le mie uniche due convinzioni in mezzo a questo mate magnum.
Lotti mentiva, come poteva giustificarsi la compartecipazione a degli omicidi con quella scusante così leggera (la presunta omosessualità nascosta).
Il Vanni non c'entrava nulla. Uno che va in giro a raccontare a tutto il paese della lettera che gli aveva inviato il Pacciani poteva fare parte di questa banda di merendari che avrebbe imperversato in Toscana senza farsi scappare nulla? Ma se era perennemente ubriaco suvvia.
Come idea personale il mostro era una persona sola fortemente "malata" come in sintesi diceva Filastò.
So che lei è molto critico sull'avvocato, posso anche condividere alcune considerazioni in merito alla difesa Vanni, ma credo che onestamente parlando gli siano passate talmente tante incongruenze davanti che per lui sia stato impossibile fare una difesa asciutta. Quella che probabilmente avrebbe servito meglio il Vanni.
Il carattere vulcanico ha i suoi pro e i suoi contro, ma di tutta questa vicenda per me aveva capito che c'erano come dei paletti logici che non si potevano evitare. Il mostro come assassino solitario, l'estraneità di persone con il profilo caratteriale come il Vanni, l'inattendibilità di alcune testimonianze.
Per quanto riguarda la sua teoria, lei crede sempre che sia il Lotti il più probabile?
Grazie per l'apprezzamento. Probabilmente la deluderò, ma dopo tanti anni di studi e riflessioni sono assolutamente certo che il Mostro fosse Lotti. Ogni volta che è emerso un vero dettaglio nuovo questo si è incastrato alla perfezione. L'ultimo, per il quale appena ho il tempo scriverò un breve articolo, sono i pantaloni di Michel trovati vicino al cadavere. Nessuno lo sapeva, e Lotti lo aveva detto, uno dei pochi dettagli inediti che gli era sfuggito.
EliminaCiao Antonio, a mio parere la pista Zucconi è la più probabile. I suoi familiari negano la conoscenza con Pacciani ma sembra smentita dalle dichiarazioni di Sestini.
RispondiEliminaForse si erano conosciuti solo superficialmente i due ma forse questo è stato il momento in cui Zucconi è venuto a conoscenza del delitto in gioventù del Pacciani.
Dopo l'assassinio di Baccaiano il MdF ha cominciato a sentire il pericolo di essere beccato, quello è stato probabilmente il suo delitto più rischioso. L'attenzione della polizia era alta e forse il MdF ha cominciato a cercare una via di fuga, l'unica via era quella di trovare un nuovo colpevole.
Per questo Pacciani sembrava il profilo ideale e negli ultimi 2/3 delitti aveva pianificato di tagliare il seno sinistro proprio per indirizzare le indagini verso un pregiudicato. Fino ad allora infatti era stato interessato solo al pube. In quanto ginecologo ne avevi visti parecchi ma forse era interessato a capire cosa avveniva all'organo nel momento dell'atto sessuale, cosa che non poteva aver mai visto, forse neanche con sua moglie se è vera la storia dell'impotenza.
Sei sicuramente più preparato di me sull'argomento, cosa ne pensi di questa teoria con questo movente?
Cordiali Saluti