martedì 9 ottobre 2018

Il dottore di Lotti e il patrimonio di Pacciani (1)

Qualcuno avrebbe dato soldi a Pietro Pacciani in cambio delle parti mutilate, anzi, di più, per ottenere quelle parti avrebbe anche commissionato i delitti. Questo era il presupposto della cosiddetta “pista esoterica”, il filone d’indagine, aperto già pochi mesi dopo l’ingresso di Giancarlo Lotti nella vicenda, che si proponeva di individuare gli eventuali mandanti. A tutt’oggi non si sa bene se tutti i suoi numerosi rami germinati nel tempo si siano chiusi, da recenti notizie giornalistiche parrebbe di no, in ogni caso possiamo individuarne la fine reale nel pronunciamento sugli ultimi scampoli dell’inchiesta Narducci, 16 luglio 2014. Si tratta quindi di ben 18 anni di sforzi che non solo non hanno portato alla scoperta di alcun mandante, ma neppure hanno chiarito se mai mandanti vi siano stati. In compenso la forsennata e spesso impietosa attività investigativa ha messo in croce decine di persone, causando ad alcune di loro danni devastanti. In più, quanti milioni di euro appartenenti alla collettività sono stati spesi inutilmente? Qualcuno si sarà preso o si prenderà mai la briga di calcolarli? Chi scrive ha studiato a lungo la documentazione disponibile riguardo gli eventi accaduti in questo lunghissimo periodo, facendo spesso enorme fatica a orizzontarsi. Nonostante la disponibilità di due fondamentali sentenze in quel momento non ancora pronunciate – De Luca su Calamandrei, Micheli su Narducci – rimane valido quanto aveva scritto con mano felice Mario Spezi nel 2006 nel suo Dolci colline di sangue:

Il problema maggiore a raccontare quest’ultima parte della storia è che ogni capitolo sembra diverso da quello precedente e non si capisce se devono essere tenuti tutti in vita o se l’ultimo sostituisce quanto detto prima. Tutti insieme mettono a dura prova la capacità di sintesi di chiunque, perché la scena è molto affollata, i personaggi assai diversi e spesso senza apparenti rapporti tra loro. Le storie di ognuno sono complicatissime e non solo sono slegate l’una dall’altra, ma a volte sembrano contraddirsi.

Insomma, un vero e proprio minestrone, diventato alla fine, a forza di aggiungere ingredienti, una brodaglia indigesta dal sapore indefinibile, della quale si proverà in questa sede a isolarne almeno le parti fondamentali. Partiremo esaminando la consistenza, o meglio, l’inconsistenza, dei due elementi che ne costituiscono i presupposti: il “dottore” di Giancarlo Lotti e il patrimonio di Pietro Pacciani.

Nasce il “dottore”. Il punto d’origine della pista esoterica potrebbe essere individuato nella ormai ben nota “lettera spontanea” di Giancarlo Lotti, dove il presunto pentito scrisse di un “dottore” che avrebbe acquistato da Pacciani le parti di donna escisse. Il condizionale però è d’obbligo, lo vedremo più avanti. Intanto diamo un’occhiata alla lettera, trasmessa dalla Polizia Giudiziaria al PM il 15 novembre 1996 e pubblicata molti anni dopo da Giuttari ne Il Mostro:

Sono venuti a casa via Lucciano, ano pichito a la porta. Chi e. Siamo noi. Chi. Mario. Pietro Pacciani. Che volete da me. Devi venire con noi. Perché devo venire. Se no si parla. Che vacevi in quella piazzetta che la strada. verso il bardella. Ti inculavi Fabrizio. Sono andato con loro.

La strada che va a Giovoli. Siamo arivati vicino ale piazetta dove avenuto omicidio. Io sono ceso da la machina. Mario e Pacciani erano gia cesi e andavano il fulgone. Poi mi a chiamato. Vieni qui. Perche. Vieni devi sparare tu. Io. Allora mi a dato la pistola in mano. Spara e o sparato diverse colpi. Se li o presi bene. Poi mia presa la pistola di mano. Andate verso la parte sinistra. Altri spari. Poi aperto lo sportelo. A visto che erano due omini. Allora sie incazzato come una bestia. Allora io mi sono alotanato verso la machina. Pietro mi a detto va via. Si vado via. Perche vai via. Poi sono salito in machina. Sono andato a casa.

Andato a letto. Ma no mi riuciva dormire. Dove li date queste cose della donna. Il seno vagina o fica Mario volio sapere chi le date dottore che si serviva Pietro Pacciani. Vi pagava in soldi. Ma quello no mi voleva dire per che ne faceva di vagina e se perche fate cose mostrose. Ma io no. Le altri fatte. Non avete rimorsi. A me mi fato schifo e co bestie come voi Mario e Pacciani per me vi farrei sparire per sempre dalla circlazino.


La sgrammaticatissima lettera va divisa in tre parti ideali, quelle che nella trascrizione soprastante risultano separate. Con la prima Lotti cerca una giustificazione, fino a quel momento mai fornita in modo plausibile, al suo andare con Vanni e Pacciani­: dopo averlo visto mentre si intratteneva in macchina con un uomo, i due avrebbero minacciato di “parlare” se non fosse andato con loro. Nella seconda racconta il delitto di Giogoli, confessando la propria diretta partecipazione alla sparatoria, pur costretto da Pacciani.
Nella terza parte esce fuori il “dottore” che avrebbe acquistato le parti escisse da Pacciani. Era la prima volta in cui Lotti affrontava il tema, almeno a quanto risulta dagli atti. L’interrogatorio conseguente, condotto il 16 novembre da Vigna e Canessa, fu videoregistrato e nella parte relativa al “dottore” secretato, come si vede anche dalla trascrizione OCR disponibile su questo blog (qui). Ne avrebbe scritto Giuttari ne Il Mostro:

«E il dottore che si serviva di Pietro Pacciani cosa vuol dire, signor Lotti?»
Dice di aver saputo che le parti asportate dal corpo delle ragazze uccise venivano consegnate da Pacciani a un dottore che gliele pagava.
«Chi è questo dottore?»
Afferma di non saperlo, ma che una volta era stato nella piazza di San Casciano. Era buio e si era fermata una macchina, racconta. L'autista aveva fatto un cenno con la mano e Vanni gli si era avvicinato mentre lui era rimasto distante a osservare. I due avevano discusso un po'. Poi, quando Vanni era tornato, su sua richiesta gli aveva spiegato che era il dottore a cui Pietro consegnava quelle cose e che stava andando proprio a casa di Pietro. Vanni non aveva voluto aggiungere altro.
Siamo allibiti, quasi increduli.
È la prima volta che Lotti parla di un suo pieno e diretto coinvolgimento nell'esecuzione di un delitto, e questo, più o meno coscientemente, ci aspettavamo che prima o poi accadesse. Ma è anche la prima volta che accenna a un "committente", un "dottore" che avrebbe pagato Pacciani per ottenere i macabri feticci.


Una menzogna colossale. Questa vicenda del “dottore” altro non era che una menzogna bella e buona, come moltissimi elementi inducono a supporre. Innanzitutto non si comprende per quale motivo il presunto pentito avrebbe atteso mesi e mesi prima di raccontare il fatto. In questo caso non è possibile invocare la motivazione di un tentativo di nascondere le proprie responsabilità, come fecero i giudici di primo grado in varie altre occasioni, poiché si trattava di un argomento per lui del tutto neutro. Anzi, il parlarne non avrebbe fatto altro che migliorare il suo status di collaboratore di giustizia. E invece la prima spiegazione fornita sull’utilizzo dei “feticci”, nell’interrogatorio dell’11 marzo 1996, era stata questa:

Mario mi disse che le parti della donna che lui aveva asportato li aveva portati a casa Pietro per nasconderli nel garage mettendoli in un involto. Mario mi disse che Pacciani voleva farli mangiare alle figliole ma non so se effettivamente lo abbia fatto.

Ma come, non si trattava forse dello stesso Mario che Lotti aveva anche visto incontrare il “dottore” in piazza, Vanni, insomma? Quando ascoltò la “dolorosa confessione”, Giuttari gliene chiese conto? Forse Lotti a marzo non se lo era ricordato, oppure, più probabilmente, non lo aveva ancora inventato. In ogni caso in aula sia il PM sia, e soprattutto, gli avvocati di parte civile – comprensibilmente interessati a un argomento che prometteva una lunga prosecuzione del loro mandato – avevano cercato di ottenere maggiori informazioni; senza successo, però. Il “dottore” Lotti lo aveva visto da lontano e seduto dentro un’auto, quindi non poteva descriverlo nemmeno un po’ (“Un l'ho vista per bene, la persona come l'era”, “Gl'era a sedere. Se gl'era calvo o no, un lo so”), non sapeva che tipo di dottore fosse, se medico oppure no (“A me m'hanno detto un dottore. Come fo’ a capirlo se gl'era un dottore di medicina, o di coso”), né da dove provenisse (“A me un m’hanno mica detto se gl'era di Firenze, o se gl'era di Prato, o di coso”). Mentre l’avvocato Curandai si dannava per ottenere qualche informazione in più, a un certo punto era intervenuto il presidente, anche lui disperato. Vale la pena leggere il frammento (vedi):

Curandai: Coraggio, coraggio, coraggio. Bisogna tirarla fuori, questa verità. Questo è il momento opportuno. Mi scusi, io insisto perché rappresento una delle parti...
Presidente: L'avvocato vuol sapere se sa qualcosa di questo dottore, di questo medico.
Lotti: Mah, a me m'aveva detto un dottore, però le altre cose non le so io.
Curandai: Ma io ho l'impressione che le sappia le cose, lei, invece. Le dica, le dica, è il momento opportuno.
Presidente: Ora, senza volermi inserire nelle domande che poi arriverà il mio turno, ma possibile che una persona come il Vanni, come il Pacciani, vengano a parlare a lei di tante cose e lei non ha, neanche per curiosità, dice, non fa nessuna domanda? Si limita così. Perché lei ha confessione di tutti. Abbia pazienza, eh.
Lotti: Ma se un me l'hanno detto...
Presidente: Lei le cose le sa molte di più, caro Lotti. Eh, se non le vuol dire è un altro discorso e non gliele possiamo strappare con le mani, con le tenaglie. Però qualcosa in più dovrebbe dire. Per suo interesse, interesse di tutti, per la Giustizia.
Curandai: Se sa qualcosa di più, ce lo dica, serenamente.
Presidente: Com'è la domanda, allora. Se non vuol rispondere, che si può fare? Andiamo.
Curandai: No, ma sta riflettendo. Forse...
Lotti: No, non sto riflettendo. Se dico una cosa e io non so altro, i' che devo dire cose che un so?

(Audio)

Era giustificata la convinzione di presidente e avvocato che Lotti stesse nascondendo qualcosa? Si può esser sicuri di sì, visto il suo comportamento, ma di sicuro non ulteriori informazioni sul “dottore”, che se avesse posseduto non si capisce per quale motivo avrebbe dovuto tenere per sé, poiché il tirarle fuori gli sarebbe stato soltanto di beneficio. Vale la pena ricordare che la battaglia del suo avvocato per fargli ottenere la pena minima contava principalmente sui vantati meriti di collaboratore di giustizia. Si può poi senz’altro concordare con la perplessità del presidente sul fatto che Lotti non avesse mai chiesto nulla a Vanni riguardo il fantomatico personaggio, se non altro per semplice e legittima curiosità. Queste considerazioni amplificano il sospetto che dietro il racconto del “dottore” si nascondesse soltanto una menzogna. Anche perché durante l’interrogatorio del 16 novembre 1996 aveva detto qualcosa in più, come dimostra l’immagine successiva, dove viene riportata la parte di verbale fino a oggi mancante.


Quindi Vanni avrebbe identificato il personaggio come “un dottore che curava Pietro”, e ne avrebbe anche fatto il nome, che però Lotti non ricordava. Ecco spiegata l’insistenza di Curandai in dibattimento, di fronte a un Lotti che stava dicendo ancora meno di quel poco che aveva detto in istruttoria. Che cosa era successo, il presunto pentito non ricordava più che Pacciani aveva venduto i “feticci” al proprio medico curante? Oppure aveva intuito che non era il caso di insistere su una strada poco gradita ai suoi interlocutori? Di sicuro la storia del “dottore che curava Pietro” non era piaciuta a Giuttari, che forse non a caso la tace nel resoconto su Il Mostro, poiché poco si sarebbe accordata con tutte le sue indagini successive.
Torniamo all’incontro con il fantomatico “dottore”, e concentriamoci sull’automobile che l’uomo avrebbe guidato. Lotti era un appassionato di automobili, che cambiava spesso e dentro le quali trascorreva gran parte del proprio tempo libero. In varie occasioni aveva dimostrato di masticare assai bene la materia, in termini di modelli e cilindrate. Crediamo pure al fatto che non avesse potuto vedere bene il “dottore” seduto dentro, l’auto però l’aveva vista, quindi ci si sarebbe aspettati che almeno quella l’avesse identificata, o almeno descritta. E invece no. Ecco il punto del dibattimento nel quale il PM aveva cercato di farsi dire qualcosa al riguardo:

PM: Che macchina era lo ricorda, l'ha vista, è in grado di spiegarcelo? Se lei l'ha vista che era a 10 metri...
Lotti: Le macchine le conosco però... mi pare un'Alfa.
PM: Un'Alfa era? Cioè un'Alfa Romeo? Mi sa che un'Alfa Romeo è una marca, quindi bisognerebbe...
Presidente: Il tipo, il tipo.
PM: Lei ricorda... Era un'Alfa Romeo grossa, piccola, chiara, scura?
Lotti: Tanto piccola no.
PM: "Tanto piccola no", scusi, era grossa, o media? Ci sa indica... Se lei le conosce, dovrà pure indicarci...
Lotti: Sì, le conosco, però mica tutte...
PM: Un'Alfa, scusi, c'ha in mente qualche tipo di Alfa che poteva essere quella?
Lotti: Non mi ricordo se era a quattro porte, o tre porte.
PM: Cioè, tre porte... o un coupé, o una berlina non ce lo sa dire?
Lotti: Di preciso no.
PM: Le sembrò grossa?
Lotti: Grossa, sì.
PM: Grossa. Chiara, o scura?
Lotti: Mi pare sullo scuro.
PM: Lo scuro per lei, scusi, cos'è? Nera, blu, marrone?
Lotti: Scura... Può essere anche nera o un altro colore.
PM: Nera, blu,marrone. Colori di questo genere?
Lotti: Su un colore così.
PM: Lei ha presente l'Alfetta dell'Alfa Romeo? Una macchina così?
Lotti: Dell'Alfa ce n'è diverse.
PM: Ho capito. Io ho provato a dirgliene una che mi è venuta in mente. L'ha vista lei, io non c'ero.
Lotti: Mi pareva a quattro porte.

(Audio)

È del tutto pacifico che Giancarlo Lotti non avesse visto alcuna auto, non è possibile dubitarne dopo aver letto la trascrizione dell’avvilente confronto. Si tenga presente peraltro che in istruttoria Lotti l’aveva collocata a una distanza di tre o quattro metri (“Ero a qualche metro di distanza, saranno stati tre o quattro metri”), e non dei dieci indicati dal PM.
Le perplessità riguardo il “dottore” aumentano ancora quando si riflette sulle modalità con le quali il fantomatico personaggio avrebbe incontrato Vanni. Perché si era fermato in piazza? Disse Lotti in risposta a Colao: “Per chiedere a uno di noi per andare da Pietro a Mercatale, e andette il Vanni”. Sembra insomma che il “dottore” avesse chiesto indicazioni per trovare la casa di Pacciani, come poi aveva confermato Lotti a domanda di Mazzeo: “Voleva indicazioni sull'abitazione del Pacciani. Dico bene?”, “”. Ma la scena appariva del tutto inverosimile e grottesca. Che si fosse trattato o no del suo medico curante, come compratore abituale delle parti escisse – anzi, secondo le successive ipotesi investigative, come mandante dei delitti commessi al fine di ottenerle – il personaggio avrebbe dovuto conoscere bene Pacciani. E invece, dopo l’ultima scellerata impresa dei suoi prezzolati complici, tale individuo ancora avrebbe ignorato dove abitava il capo della scalcagnata banda. Si tratta di un’eventualità davvero improbabile, ma prendiamola pure per vera e proseguiamo. Lotti non aveva spiegato il motivo per il quale il “dottore” stava cercando Pacciani – forse per ritirare i feticci, forse per pagarli avendoli già dissepolti dalla buca in cui sarebbero stati nascosti, oppure per programmare nuove imprese –, in ogni modo era la prima volta che si recava a casa sua, visto che non sapeva dov'era. È credibile che fosse arrivato a San Casciano senza saper bene dove andare, avesse incontrato Mario Vanni – non si sa se per caso o per un precedente accordo, scenari entrambi del tutto assurdi – e avesse rischiato di farsi vedere assieme a lui in una piazza centrale del paese soltanto per chiedere informazioni sul percorso?
Come ben si comprende, il racconto di Giancarlo Lotti risulta ridicolo, inverosimile da qualunque parte lo si guardi, e quindi la figura del “dottore” va ritenuta una pura invenzione. Eppure proprio quella avrebbe costituito il pretesto principale per tutte le indagini successive, il che fa inevitabilmente venire il sospetto che dietro la menzogna di Lotti ci fosse il tentativo di compiacere le esigenze degli inquirenti.

La vera partenza della pista esoterica. Riprendiamo il racconto che Giuttari fa ne Il Mostro della clamorosa rivelazione di Lotti sul “dottore”. Si tenga presente che si tratta di eventi della metà di novembre 1996.

Non ci sono abbastanza elementi investigativi per poterla seriamente affrontare, ma la dolorosa confessione, frutto forse anche della pressione di don Fabrizio su un animo indebolito e stanco di nascondersi, travolto dal suo stesso stillicidio di parziali ammissioni, mi mette inevitabilmente la fatidica pulce nell'orecchio.
A scanso di equivoci chiedo alla Procura l'autorizzazione a eseguire accertamenti di natura patrimoniale e finanziaria nei confronti di Pacciani, Vanni e Lotti.


Il libro di Giuttari contiene tanti adattamenti dei fatti reali, magari anche soltanto per esigenze letterarie, e questo è uno. Il riferimento non è alla “dolorosa confessione” e a tutto quel che segue, il leitmotiv solito per spiegare il contraddittorio comportamento di Lotti, ma agli “accertamenti di natura patrimoniale e finanziaria nei confronti di Pacciani”. Quando l’ex investigatore afferma di averne chiesto l’autorizzazione in seguito al clamoroso racconto sul “dottore” – che gli avrebbe messo “la fatidica pulce nell'orecchio” – di sicuro sta dimenticando qualcosa, poiché quell’autorizzazione l’aveva già chiesta sei mesi prima, come si evince dal seguente documento, datato 20 maggio 1996.


Due giorni dopo Canessa rispondeva in modo positivo concedendo le deleghe richieste:


In più il PM prese carta e penna e scrisse ai direttori di vari uffici postali per richiedere la documentazione riguardante i risparmi di Pacciani. Ecco le tre lettere relative a Scandicci (22 maggio), Cerbaia (25 maggio) e San Casciano (25 maggio):


Seguirono a ruota vari interrogatori dei soggetti coinvolti nelle operazioni di natura economica di Pacciani, per il danaro guadagnato, per quello risparmiato e per quello speso. Tra i primi, il 27 maggio, i precedenti proprietari delle due case acquistate nel 1979 (piazza del Popolo) e 1984 (via Sonnino), dei quali furono anche acquisiti gli estratti conto bancari.
Il 12 giugno Giuttari inviò a Canessa un prospetto riepilogativo di tutte le sue ricerche, dal quale il patrimonio mobiliare di Pacciani risultava ammontare a lire 152.740.380. Andremo più avanti a guardare dentro l’interessante documento, per adesso teniamolo in sospeso (il lettore può scaricarlo qui).
Anche in Compagni di sangue Giuttari aveva posticipato la data dei controlli sul patrimonio di Pacciani, ma soltanto di un mese o poco più.

Gli accertamenti nei confronti di Pacciani erano stati eseguiti ancor prima delle dichiarazioni riguardanti il mandante. Prendevano le mosse dal sequestro di buoni postali effettuato nel corso di una perquisizione domiciliare a carico di Suora Elisabetta, la suora laica dell'ordine "Figlie della Carità", che aveva seguito, durante la detenzione, il Pacciani e che aveva continuato a seguirlo fino alla sua morte.

Si ammetteva che i controlli avevano preceduto la “lettera spontanea”, ma anche questa non era la verità, come dimostrano i documenti prima presentati. In ogni caso il sequestro dei buoni postali custoditi da suor Elisabetta costituisce un altro tassello della sconcertante vicenda, che vale la pena approfondire. Leggiamo ancora Il Mostro, dove Giuttari racconta che il 28 giugno era stata registrata una per lui “interessante” conversazione telefonica tra suor Elisabetta e Pacciani, nella quale si parlava di buoni postali affidati dall’uomo alla religiosa.

Quando Pacciani accenna a Lotti e a Vanni, lo invita alla prudenza dicendo: «Se loro hanno il telefono sotto controllo, prendono i provvedimenti».
Concetto ribadito poco più avanti: «Bisogna stare attenti a dire tutte queste cose per telefono, Pietro, perché senz'altro ha il telefono sotto controllo».[…]
E la telefonata si fa ancor più interessante verso la fine, quando suor Elisabetta gli dice che dovranno incontrarsi presto per andare all'ufficio postale a rinnovare i «fondi» di Pacciani che lei ha in deposito.
«Poi presto ci vediamo per andare alla posta... riprendo tutto... mettiamo a posto le cose, se lei vuole lasciarli a me questi fogli li riprendo io.»
Pacciani le risponde che si metteranno d'accordo per andare la prossima settimana.
Non è il primo riferimento ai fondi. Già in altre telefonate, registrate nei giorni immediatamente precedenti, la suora ha chiesto a Pacciani quando sarebbero andati alla posta ricevendo in risposta vaghe assicurazioni che avrebbero sistemato tutto in seguito.
La ripetizione mi insospettisce, perché se si tratta di piccoli risparmi, come abbiamo immaginato in un primo momento, tanta insistenza non sarebbe forse giustificata.


Giuttari sapeva bene però che non si trattava affatto di “piccoli risparmi”, ma erano i 152 milioni e rotti calcolati dai suoi uomini un paio di settimane prima, quindi non fu certamente l’intercettazione in oggetto a insospettirlo. Del resto già ai tempi di Perugini, durante la maxi perquisizione dell’aprile-maggio 1992, erano stati ritrovati buoni e libretti postali in rilevante quantità – per un totale di circa 120 milioni di lire, dettagliati dallo stesso Giuttari nella sua richiesta del 20 maggio – ma non si era provveduto ad alcun sequestro. Dopo il rientro di Pacciani in carcere, quei documenti – in gran parte buoni postali – erano finiti in custodia presso i carabinieri di San Casciano, dai quali suor Elisabetta si era recata a ritirarli su regolare delega del proprietario. Rinnovare dei buoni postali scaduti o non più convenienti è un’operazione del tutto normale, e la religiosa quella intendeva fare, ma Giuttari ci volle vedere del torbido, e richiese e ottenne un decreto di perquisizione (vedi).
In sostanza suor Elisabetta veniva sospettata di complicità, se non per aver partecipato ai delitti, almeno per averne gestito i proventi! Alle 7 di mattina del 3 luglio gli uomini di Giuttari frugarono in lungo e in largo il centro di accoglienza “Il Samaritano”, dove operava la religiosa e dove anche Pacciani era stato ospite per un breve periodo dopo la sua assoluzione. Suor Elisabetta, ancora in gamba ma pur sempre una donna di 62 anni, fu poi portata in Questura e torchiata per ben 13 ore. Dal “Corriere della Sera” del 5 luglio 1996:

"Sono allibita”, si è sfogata, “finalmente ho avuto l’opportunità di toccare con mano l’incapacità totale degli investigatori a seguire un filo logico nelle loro domande". Non ha voluto aggiungere altro e il resto dello sfogo lo ha raccolto l’avvocato Nino Marazzita, il legale che assiste Pacciani. "Immagino che tutto quel tempo trascorso in Questura”, ha detto Marazzita, “servisse agli inquirenti per intimorirla. Forse si aspettavano che alla fine crollasse e dicesse «il mostro di Firenze sono io»”. L’avvocato ha aggiunto che qualche giorno fa la suora era stata derubata per strada della borsetta nella quale c’era la sua agenda. "Ovviamente questo non vuol dire che ci siano legami con la perquisizione", ha concluso.[…]
Cercavano, gli inquirenti, il "tesoro" che il contadino di Mercatale ha affidato alla religiosa. Si tratta di 150 milioni in buoni postali e libretti di risparmio intestati a Pacciani e alla moglie che sarebbero stati versati tra l’80 e l’85, il periodo in cui il mostro compì sei duplici omicidi. Con gli accertamenti su quel capitale gli uomini della squadra mobile fiorentina cercano di verificare se esiste nel giallo del mostro un misterioso personaggio che avrebbe pagato per far commettere i delitti e per assistervi. Da una prima analisi sui documenti sequestrati, risulterebbe che le somme di denaro sarebbero state versate in contanti e frazionate presso uffici postali di Mercatale, della Rufina e di Firenze.


La legittima curiosità del lettore per l’episodio del furto della borsetta può essere soddisfatta, almeno in parte, dalla seguente gustosa intercettazione di una telefonata del 4 luglio tra la suora e Marazzita:

Suora: Comunque le volevo dire anche questo, che ho l’impressione che questo scippo che mi è stato fatto due giorni fa… troppo dolcemente mi è stato fatto...
Marazzita: Le è stato fatto uno scippo di cosa, della borsetta?
Suora: Della borsa, sì, che avevo con me. C’era dentro un taccuino con tutti i telefoni.
Marazzita: Ah beh… allora non è occasionale questo scippo…
Suora: Io credo che l’hanno fatto loro, poi una macchina che arriva… dolcemente… carica questo. Se ne vanno tranquillamente… troppo calma la cosa.
Marazzita: E che cosa c’era nella borsa?
Suora: Avevo il taccuino con segnato tutti gli indirizzi, telefoni… poi avevo un milione e cinquecentomila lire che ero andata a ritirare la pensione della mia mamma… Non è tanto per i soldi, mi interessava avere i miei indirizzi, i miei numeri di telefono… ma io sono convinta… e questa convinzione è venuta anche ad altre persone… che loro…
Marazzita: La coincidenza… la coincidenza è molto sospetta, no? Si attaccano a tutto ormai, mi guardo i giornali e poi la richiamo.
Suora: Va bene grazie… eh sì, questi sono disperati, non sanno a che attaccarsi…


Torniamo però alla perquisizione. Oltre ad appunti, agende, memoriali e lettere, fu sequestrato il discreto gruzzolo, intestato a Pacciani e famiglia, di 157,890,039 lire, corrispondenti a 81,543 euro nominali e 119 mila circa rivalutati a oggi (2018). Discuteremo tra breve della possibilità che quel danaro fosse stato frutto di oneste o nascoste attività, adesso interessa mettere bene in evidenza il fatto che gli inquirenti avevano cominciato a metterlo in relazione a un eventuale compenso per la vendita dei “feticci” già molti mesi prima della “lettera spontanea” di Lotti, come si è dimostrato. Il che, assieme a certe perplessità che suscita la genesi di tale lettera, rende più che probabile l’inversione di causa ed effetto: non fu l’accenno di Lotti al “dottore” a provocare la partenza delle indagini sui soldi di Pacciani, ma furono quelle indagini già iniziate da molti mesi a indurre il falso pentito a offrire il proprio aiuto agli inquirenti inventandosi il “dottore”.

Una lettera molto poco spontanea. Che l’iniziativa di scrivere la “lettera spontanea” fosse stata tutta di Giancarlo Lotti non è da credere neppure un po’. Cominciamo con l’indagare sulla sua strana genesi, partendo da questa nota di Canessa del 7 novembre.


Quindi Lotti, che alloggiava in un appartamento segreto presso la questura di Arezzo, l’8 novembre venne trasferito a Firenze, e non per un giorno soltanto. Il 15 successivo, con la nota seguente, la PG trasmise al PM la sua “lettera spontanea”.


Dalla nota si deduce che Lotti era stato sistemato in una struttura alberghiera di pertinenza della questura di Firenze, dove ancora il 15, quindi da una settimana, continuava ad alloggiare. Quali erano stati i motivi che avevano indotto gli inquirenti a tale cambio di residenza? Che cosa aveva inteso Canessa con la locuzione “incombenti relativi alle indagini in corso” della sua nota? Non suona un po’ strano che proprio in quella settimana al presunto pentito fosse venuta l’ispirazione per scrivere la famosa e densa di conseguenze “lettera spontanea”? Si tenga presente che nello scriverla di sicuro non aveva consultato il proprio legale, in quel momento Alessandro Falciani, il quale anzi, proprio per il contenuto della lettera sarebbe giunto alla grave decisione di rinunciare all’incarico. Si tratta di una vicenda inquietante, che vale la pena approfondire per quel poco che ne consentono le tracce contenute nelle cronache dei giornali.
Abbiamo visto che nella lettera Lotti aveva ammesso di aver sparato a Giogoli, costretto da Pacciani: “Vieni devi sparare tu. Io. Allora mi a dato la pistola in mano. Spara e o sparato diverse colpi.”. Il 16 novembre, davanti a Vigna e Canessa, aveva poi spiegato meglio, confermando il grave episodio. Il suo difensore c’era? A leggere il verbale parrebbe proprio di sì: “Si dà atto che è presente l'avv. Alessandro FALCIANI del Foro di Firenze, difensore di fiducia del LOTTI”. Ma allora non si spiega il contenuto di questo articolo uscito sulla “Nazione” del 3 gennaio 1997, dove per la prima volta si raccontava dell’ammissione di Lotti di aver sparato anche lui.

Secondo l’avvocato Falciani, che è difensore del Lotti dal maggio 1996, in nessuno degli interrogatori ufficiali il pentito avrebbe ammesso di aver sparato in occasione di uno dei duplici omicidi del “mostro”. Anche l’avvocato Neri Pinucci, primo difensore di Lotti, non ha memoria di confessioni di questo tipo.
Il dubbio appare lecito: la procura potrebbe aver interrogato Lotti senza avvocato? “No, non credo proprio”, replica l’avvocato Falciani. “Lotti è un pentito, inserito nel programma di protezione, che ha ammesso le sue responsabilità. È un indagato, quindi non può essere sentito come informatore o persona informata sui fatti. Quando rilascia dichiarazioni che devono essere messe a verbale, deve farlo alla presenza di un legale. Fa parte delle regole del gioco”.
Ma si parla anche di un interrogatorio al quale Lotti sarebbe stato sottoposto il 23 dicembre, due giorni prima di Natale. “Non ne so niente”, replica Falciani. Gli unici interrogatori del pentito ai quali l’avvocato ha partecipato risalgono al giugno e al luglio scorsi. In entrambi Lotti fece molte ammissioni circa i delitti del “mostro”, ai quali disse di aver partecipato in qualità di “palo”. Ma mai ha confessato di aver sparato.
Il sospetto, dunque, è che Lotti possa aver cambiato avvocato. Un’ipotesi che però Falciani tende ad escludere. “Io sono il suo legale di fiducia, se mi avesse sostituito avrei ricevuto una revoca, cosa che non è avvenuta”.


In base all’articolo, mai smentito, sembra proprio di poter concludere che Lotti fu interrogato senza l’assistenza di un legale, sia il 16 novembre sia il 23 dicembre, nonostante la legge lo imponesse essendo indagato. Ma in entrambi i verbali è dichiarata la presenza di Falciani, quindi, dove sta la verità? È comunque un fatto che Falciani si dimise. Dalla “Nazione” del 5 gennaio 1997:

Giancarlo Lotti […] è rimasto senza difensore. L’avvocato Alessandro Falciani […] se ne è andato sbattendo la porta. Ha rinunciato all’incarico per essersi trovato in mezzo al guado delle polemiche seguite alla fuga di notizie, nonostante avesse coerentemente e correttamente mantenuto il segreto sulla clamorosa confessione di “Katanga” che ha segnato la nuova svolta delle indagini. La rinuncia all’incarico è stata comunicata sia al procuratore Vigna, il quale ha espresso il suo rammarico e riconosciuto il “comportamento esemplarmente corretto dell’avvocato Falciani”, sia alla direzione del servizio centrale di protezione dei pentiti cui è affidato Lotti. Già martedì, comunque, la difesa di “Katanga” sarà affidata a un altro penalista.

Sarà vero che Falciani si era arrabbiato soltanto per la fuga di notizie, e non perché non era stato presente alla confessione del suo assistito? Bisognerebbe chiedere a lui.
Torniamo però a quello strano trasferimento di Lotti a Firenze. A parere di chi scrive c’era dietro la nota perizia Fornari-Lagazzi. I colloqui dei due consulenti con Giancarlo Lotti, in totale cinque, erano terminati con quello del 29 ottobre, quindi, nonostante la data della perizia sia 20 novembre, si può ritenere certo che i risultati ufficiosi del lavoro fossero stati presentati già a cavallo tra ottobre e novembre. Il documento è ormai ben noto, tutti possono leggerlo e trarre le loro conclusioni; a chi scrive pare che gli elementi principali di novità che gli inquirenti avevano potuto desumere dal lavoro dei due periti fossero questi: Lotti aveva latenti tendenze omosessuali (“sicuramente presenta pesantissime istanze di carattere omosessuale”) e, soprattutto, stava nascondendo qualcosa.

Quali consulenti del P.G., dobbiamo mettere in luce come si sia ricavata la netta impressione che egli sia in grado di dare molte più risposte ed informazioni di quanto finora fornite, ma che giochi con astuzia nel centellinare il suo dire; infatti non dice più di tanto e, al contempo, gode di tutti i vantaggi di una persona inserita in un programma di protezione; di qui il ferreo, impenetrabile, non scalfibile suo atteggiamento di chiusura e di rifiuto ad “andare oltre”.

Considerando il lavoro che avevano fatto sui soldi di Pacciani, la convinzione dei periti dovette sembrare agli inquirenti la miglior dimostrazione della bontà delle loro intuizioni. Quindi non ci vuole molto a ipotizzare un colloquio informale dei primi di novembre in cui Lotti venne posto davanti alle conclusioni dei periti, durante il quale, con l’aiuto di qualche inconsapevole suggerimento – nato magari anche dalle notizie giornalistiche sul tema – fece capolino l’ammissione che sì, quei troppi soldi di Pacciani nascondevano un “dottore” che lo pagava. E per rendere più credibile il clamoroso ma fin troppo tardivo racconto Lotti si rassegnò a pagare un prezzo, che poi poteva anch’esso risultare parte di quanto avrebbe nascosto fino a quel momento: a Giogoli aveva sparato anche lui. Infine, nell’intento di limitare i danni, venne buona la storia dell’omosessualità, con la quale tentò di trovare una pur maldestra giustificazione, alla quale comunque Giuttari parve credere (da Il Mostro: “Si spiega così la minaccia, il ricatto subito, la necessità di ubbidire che prima aveva solo giustificato limitandosi a dire «lo sanno loro». Il quadro ambientale si completa sempre più. Lotti ha tendenze omosessuali.”; e non è certo un caso che in nota venga richiamata proprio la conclusione della perizia Fornari-Lagazzi sulla presunta omosessualità di Lotti).
L’abbozzo di tali argomenti in possibili colloqui informali ben giustificherebbe il successivo trasferimento di Lotti a Firenze, dove questi vennero meglio definiti nella “lettera spontanea” e nel successivo interrogatorio. È pensare troppo male? Forse, ma a chi scrive pare lecito che si possa anche pensar male, almeno a fronte di elementi poco chiari come in questo caso, e soprattutto ben ammettendo che si tratta soltanto di ipotesi, sulle quali ognuno è libero di formulare un proprio giudizio. In ogni caso le perplessità suscitate dallo scenario in cui nacque la “lettera spontanea” di Lotti lasciano molti dubbi sul “dottore”, una figura già di per sé poco credibile. Ma non per i giudici di primo grado del processo Vanni, che su quella figura chiesero di indagare, anche perché

le indagini di carattere finanziario, eseguite dalla PG sul conto di Pacciani, hanno portato ad una situazione economica del tutto incompatibile con la sua condizione di contadino, che lavorava i terreni altrui e che guadagnava appena il sufficiente per vivere, essendo risultato che lo stesso Pacciani ha acquistato in quegli anni un immobile urbano in Mercatale Val di Pesa per il prezzo di £. 35.000.000 milioni di allora (anno 1984) ed ha poi investito la somma di £.157.890.038 in "buoni postali", disseminandoli tra i vari uffici del circondario (Mercatale, Montefiridolfi, San Casciano, Cerbaia e Scandicci), chiaramente per tener nascosta tanta provenienza di denaro, non sicuramente di fonte lecita.

È arrivato dunque il momento di guardare dentro i risparmi di Pacciani, per valutarne l’effettiva entità e scoprire se davvero poteva esserci stata correlazione tra i prelievi degli organi dalle donne uccise e il danaro da lui investito. Ma prima il lettore si goda un’ultima chicca: la copia manoscritta della “lettera spontanea” di Lotti, fino a oggi mai pubblicata.


Come si vede, una parte del documento allegato agli atti risultava censurata, e, di certo non a caso, era proprio quella relativa al “dottore”, di gran lunga la più importante e clamorosa.

Segue

9 commenti:

  1. Ciao Antonio e come sempre grazie per il tuo lavoro. Vorrei chiederti una cosa.
    Nella deposizione di Butini al processo, lui racconta che ha cominciato a frequentare Lotti DOPO essersi separato dalla moglie, e ADR "mi sono separato nel '90", il che, ovviamente, sarebbe un ulteriore chiodo nella bara del suo resoconto di Baccaiano (e della lettera spontanea).
    Ora io non sono così presuntuoso da pensare di aver trovato una chicca sfuggita persino ai pool difensivi e ai ricercatori, e ho pensato che magari è stato un lapsus (come parlava Butini lo sappiamo tutti) e che in realtà intendesse '80 e non '90.
    Tu ne sai qualcosa? Se no, come si può verificare l'effettiva data di separazione del Butini dalla moglie?
    Grazie!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Guardi, mi ha invogliato a leggere la deposizione di Butini, e tutto porta verso una conoscenza risalente al '90, con tutta probabilità in conseguenza della sua separazione dalla moglie. La macchina di cui parla Butini, la 131 rossa, Lotti la comprò nel 1988, quindi torna anche questo. Butini non sapeva niente né del 128 né del 124 giallo precedente, che dovrebbe essere quello del supposto fattaccio. Purtroppo ci sarà sempre qualcuno a sostenere che per vergogna Buntini ha mentito, ma la lettura della sua deposizione e ancor più l'ascolto del relativo audio lo fa escludere.

      https://www.radioradicale.it/scheda/99395/processo-ai-presunti-complici-del-mostro-di-firenze-vanni-3

      In realtà sappiamo bene che il bugiardo era Lotti.

      Elimina
    2. Ciao Antonio, a questo punto sorge spontanea una domanda. Visto che gli stessi inquirenti raccontarono al processo che Lotti era stato ricattato da Pacciani per il presunto avvistamento durante un approccio col Butini, possibile che non abbiano verificato col Butini stesso quale sia stato l'anno in cui ha conosciuto Lotti? Visto che hanno dato credito al ricatto di Pacciani nei suoi confronti che lo avrebbe indotto a partecipare al delitto di Giogoli. Possibile che non si resero conto da soli che le date non coincidevano? Ci ricordiamo tutti le domande anche francamente imbarazzanti che vennero poste al Butini al processo. Comunque ti faccio gli auguri sapendo che abiti in Lombardia, vista la situazione attuale, sperando non sia successo nulla di troppo grave.

      Elimina
    3. Una vicenda davvero vergognosa questa.
      Grazie per gli auguri, Lorenzo, qui va male per tutti, e il futuro non si prospetta tanto roseo. Spero domani di poter fare la mia prima uscita in bicicletta, magari mi tiro su di morale.

      Elimina
    4. E allora la rottura dell'amicizia tra Pucci e Lotti, datata domenica 15 settembre 1985 quando invece è di 5-6 anni dopo? Ma i giudici dov'erano in quel processo, a cosa pensavano? E la procura che sapeva benissimo che Lotti da mesi aveva un'altra auto e fa finta di cadere dal pero... ce n'è a bizzeffe di queste cose.

      Elimina
    5. Se davvero tra Lotti e Pucci ci fosse stata un'interruzione brusca della frequentazione immediatamente dopo Scopeti, si potrebbe credere a un coinvolgimento di Lotti nel delitto. Se invece continuarono beatamente a uscire insieme, magari anche a frequentare prostitute o a sbirciare coppiette in amore, la partecipazione di Lotti al delitto, da solo o in compagnia, con annesse confidenze all'amico oligofrenico, credo che sarebbe poco credibile. Non fu però lo stesso Pucci a raccontare di non essere più uscito con Lotti? A che scopo lo avrebbe detto? Per prendere le distanze dall'amico ormai nel mirino della Procura?

      Elimina
  2. Non ricordavo che Butini avesse anche nominato il 131, a questo punto allora è proprio pacifico. Ma non stupefacente...

    @ Omar
    Uh, questa discrepanza sull'allontanamento dei due non la sapevo, puoi darci qualche informazione? O un link, se ne parli sul tuo blog?

    @ tutti
    Da piemontese capisco molto bene lo scoramento e le preoccupazioni di Antonio, siamo sulla stessa barca, incrociamo le dita e usiamo la massima prudenza, e teniamo duro.

    Grazie a tutti per le risposte!

    RispondiElimina
  3. @Giulio G leggi per esempio qui http://mostrodifirenzevolumei.blogspot.com/2017/05/il-teste-alfa-4.html

    ma su Pucci tutta la serie di articoli "Il teste Alfa" è importante, in particolare la critica della consulenza dei luminari Lagazzi e Fornari

    RispondiElimina