mercoledì 27 febbraio 2019

La moglie del farmacista

Nell’articolo La vedova del dottor Jekyll abbiamo visto quale ruolo fondamentale (e deleterio) ebbero le chiacchiere della gente nell’assegnare a Giulio Zucconi il ruolo di possibile mandante dei delitti del Mostro. A quanto risulta dalla documentazione nota, riguardo Francesco Calamandrei, classe 1941, titolare in San Casciano di una storica farmacia fondata dal nonno e dal padre, non erano state lettere anonime o malevole voci di popolo ad allertare le forze dell’ordine, anzi, la persona in paese era benvoluta da tutti e, quando vennero alla luce i primi sospetti sul suo coinvolgimento nel presunto commercio dei feticci, nessuno ci voleva credere. Furono invece un'infelice coincidenza e soprattutto una penosa sventura che arrivava da lontano a far convergere su di lui i maggiori sospetti del superpoliziotto Michele Giuttari.
Liquidiamo subito la coincidenza. “Lo Zucconi Giulio Cesare aveva svolto la propria attività di ginecologo anche nell’ambulatorio di Piazza Pierozzi di S. Casciano di proprietà di Francesco Calamandrei”, si legge nella nota di Giuttari del 4 aprile 2007. Nella palazzina a due piani di proprietà della famiglia Calamandrei al piano terra c’era la farmacia, e una serie di locali attrezzati ad ambulatorio che il farmacista rendeva disponibili ai vari medici della zona per effettuarvi visite private. Tra di essi c’era anche Giulio Zucconi, che vi andava una volta al mese. Forse la semplice coincidenza di un farmacista che mette a disposizione una stanza per l’attività professionale di un ginecologo presunto mandante sarebbe stata, di per sé, non abbastanza per coinvolgere anch’egli nelle indagini. Ma Calamandrei aveva già un peccato originale che stava per presentargli il suo terribile conto.

Nascita di un pensiero folle. Si legge in una nota inviata dai carabinieri di Borgo Ognissanti alla procura, datata 21 settembre 1988:

Oggetto: indagini circa segnalazioni anche anonime concernenti i duplici omicidi ai danni di giovani coppie.
In data 28.6.1988, persona conosciuta da questo Nucleo, che ha chiesto di rimanere anonima, ha riferito di nutrire sospetti nei confronti di Calamandrei Francesco […] ritenendolo il possibile autore dei delitti in oggetto ed al riguardo esternava fatti ed episodi che suffragherebbero i suoi sospetti, tra i quali, oltre ad una serie di comportamenti ambigui, avrebbe notato che il Calamandrei, dopo l’ultimo omicidio avvenuto in S.Casciano V.P., aveva dei graffi al volto ed in altre parti del corpo. […] Detta persona riferiva altresì che il Calamandrei era o è in possesso di una pistola non denunciata, della quale se ne sarebbe disfatto gettandola in mare.
Stante ad una successiva informazione fornita dalla stessa persona il Calamandrei avrebbe dovuto possedere due pistole, all’apparenza molto simili, che avrebbe dovuto detenere nella casa al mare.
Questo Nucleo svolgeva i dovuti accertamenti e veniva a conoscenza che il sospettato non ha armi denunciate […] pertanto riteneva opportuno procedere a perquisizione domiciliare […] che dava esito negativo. […]
Sul conto del sospettato non sono emersi  elementi che suffragano i sospetti forniti, pertanto questo Nucleo non ritiene che possa essere considerato il possibile autore della serie dei duplici omicidi attribuiti al c.d. “mostro” di Firenze.
Il Calamandrei da qualche tempo vive separato dalla moglie Ciulli Mariella […]. È noto a questo Ufficio che la coppia suddetta attualmente sta vivendo il momento più difficile a causa del perfezionamento della loro separazione.

Certe volte è possibile individuare un evento all’origine delle disgrazie di qualcuno, e nel caso dello sfortunato farmacista lo è: aveva scelto la moglie sbagliata, una donna che portava dentro di sé il seme della follia. Come ben si comprende dalla lettura del verbale, la persona che nutriva sospetti verso di lui e che aveva chiesto di rimanere anonima era, infatti, proprio sua moglie.
Francesco Calamandrei e Mariella Ciulli si erano sposati nel 1969, e presto avevano messo al mondo due bambini, Francesca e Marco. Purtroppo nel loro matrimonio erano anche emersi gravi problemi, acuiti dalla fragilità di due condizioni psicologiche entrambe difficili. L’uomo era affetto da sindrome bipolare, quindi soggetto a forti oscillazioni dell’umore tra stati di esaltazione e stati di depressione; ma a covare i disturbi di gran lunga più importanti era la donna, un soggetto fragile e problematico fin dall’adolescenza. Di condizione benestante, certamente i genitori non le avevano fatto mancare nulla, ma non erano riusciti a comprenderla, provocando le sue reazioni esagerate, tra le quali lei stessa ricordava un periodo di anoressia e la finzione di forti dolori addominali che l’avevano condotta verso un’inutile appendicectomia. La ricerca inconscia di una nuova famiglia l’aveva poi indotta a sposarsi troppo presto, a 21 anni, e troppo in fretta, dopo appena pochi mesi di frequentazione con il futuro marito.
Nel 1985, in piena crisi coniugale, Mariella Ciulli si era presentata presso il Centro di Salute Mentale Infanzia-Adolescenza di Firenze per discutere dei disturbi comportamentali del figlio Marco, dopo una sollecitazione ricevuta dalla scuola. Il ragazzo venne poi preso in carico da apposito specialista, ma intanto erano emersi anche importanti problemi della madre – depressione, ansia, attacchi di panico – fronteggiati alla bisogna con qualche compressa di Tavor. Per questo la medesima struttura aveva organizzato per la donna un ciclo di colloqui psicoterapici che sarebbero andati avanti per qualche anno, senza però miglioramenti, anzi, con un progressivo aggravamento del disagio mentale.
Scorrendo il diario clinico tenuto dalla sua psicologa, Adima Ringressi, si ha modo di comprendere come Mariella Ciulli si fosse avviata verso un percorso purtroppo irreversibile di allontanamento dalla realtà, nel quale, a un certo punto, alla figura negativa del marito si saldarono le emozioni altrettanto negative per la vicenda del Mostro di Firenze. Si tenga presente che quelli erano gli anni del dopo Scopeti, quando ancora si temevano nuove feroci imprese del misterioso assassino, e tutti in città e in provincia ne erano angosciati. Al mese di maggio 1987, dopo un anno e mezzo di sedute, emersero i primi segnali di pensiero paranoide.

Il ripensare alla sua vita matrimoniale le fa focalizzare il pensiero sulle parti più cupe. Il suo dover sempre lottare per poter avere un po’ di amore, l’essere sempre stata sola nell’affrontare le difficoltà, l’avere la coscienza di non aver mai avuto accanto un uomo come lei sognava, tutto questo le fa apparire coloro che la circondano come nemici.
Consiglio alla sig.ra Ciulli di farsi aiutare farmacologicamente in questo momento così delicato e di rivolgersi pertanto ad uno psichiatra.

A novembre dello stesso anno entrò nei colloqui la figura del “mostro”.

In questo periodo si è venuta a creare una situazione estremamente critica. C’era stato un riavvicinamento da parte del marito ma nel contempo c’è stata una nuova grossa frustrazione per la signora Ciulli che riferisce di un interesse del marito per una sua amica. Questo ha fatto scatenare la sua rabbia che si è risolta in una violenta scenata cui ha fatto seguito una denuncia da parte di questa amica e del marito, che ha chiesto la separazione per colpa.
Nel parlare del marito la signora fa dei riferimenti ad una serie di pensieri che le affollano la mente. Dice che è come se, nel ripensare al passato, in lei affiorassero delle immagini che la turbavano, tanto che le era venuto il sospetto che il marito potesse entrarci qualcosa nelle vicende del mostro di Firenze.
Lei è molto angosciata ed io molto preoccupata.
Le dico che, probabilmente, tutto ciò che sta vivendo e che, ripensando alla sua vita, le è tornato alla mente, potrebbe aver procurato in lei un’immagine così negativa del marito da viverlo come un “mostro”. [...]
Le rinnovo il consiglio di rivolgersi ad un medico specialista e non solo al medico curante.

Nell’aprile del 1988 si svolse il processo contro Salvatore Vinci, con un prepotente ritorno dell’argomento “mostro” sugli organi di stampa. L’evento dovette costituire per Mariella Ciulli una ulteriore fonte di angosce, percepite anche dalla sua terapeuta che nel giugno scrisse queste frasi:

Compaiono sempre più massicciamente pensieri legati alle vicende del mostro. È molto interessata a tutto quello che viene scritto e si sente molto coinvolta in tutto ciò. Mi sembra che questo pensiero stia diventando un’ossessione.
Le cose che dice di ricordare sono francamente confuse, almeno per me. Non riesco bene a distinguere se sono cose lette o conosciute in altro modo – oppure una alterazione della percezione della realtà.

Come abbiamo visto, il 28 di quello stesso mese Mariella Ciulli andava dai carabinieri a raccontare i propri sospetti sul marito. Il perché sarebbe stata lei stessa a spiegarlo alla dottoressa Ringressi, come risulta dal diario clinico del gennaio 1989: “Mi ha riferito di aver avuto bisogno di andare a parlare alla SAM perché i pensieri che le assillavano la mente potessero essere valutati e sperando che le potessero togliere quell’idea fissa”. Un’idea fissa che purtroppo non se ne andò affatto, anzi, continuò a radicalizzarsi nella mente malata della donna, che tra l’altro rifiutava di assumere i farmaci indispensabili a una persona nel suo stato. Come risulta da una dichiarazione scritta rilasciata in seguito dalla responsabile della struttura, le venne diagnosticato il gravissimo disturbo di “psicosi schizoaffettiva di tipo depressivo”.
Prima di proseguire è bene che il lettore interessato si fermi un momento a riflettere. L’ipotesi sulla quale si sarebbe basata l’assunzione a prova delle farneticazioni di Mariella Ciulli in sede di futuro processo è quella di una donna inizialmente lucida – le cui accuse al marito erano quindi pienamente valide –, e che poi, proprio per lo scetticismo di chi non le aveva voluto credere, sarebbe andata fuori di testa. Se davvero fosse questo lo scenario corretto, ci si deve allora chiedere il perché, durante i primi due anni di terapia, la dottoressa Ringressi non sentì parlare di “mostro”, e come lei nessun altro. Possibile che nulla sarebbe emerso di un segreto così sconvolgente in una donna tanto fragile e per di più in grave contrasto con il marito? E ancora, il modo in cui l’argomento “mostro” iniziò a presentarsi durante i colloqui è del tutto incompatibile con la rivelazione progressiva di un segreto, mentre lo è totalmente con la nascita di un pensiero intrusivo nella psiche disturbata della donna (“Dice che è come se, nel ripensare al passato, in lei affiorassero delle immagini che la turbavano, tanto che le era venuto il sospetto che il marito potesse entrarci qualcosa nelle vicende del mostro di Firenze”). Infine non pare davvero possibile che il solo fatto di non essere stata creduta avesse potuto devastare in modo così importante la mente della poveretta, che invece doveva covare la malattia già dentro di sé.
Nel 1991 il caso di Mariella Ciulli fu preso in carico dal Centro di Igiene Mentale, una struttura dedicata agli adulti e senz’altro più idonea a fronteggiare la sua difficile situazione. Ma il peggioramento era ormai inarrestabile, nonostante l’impegno dei medici e della figlia Francesca, che dopo i primi contrasti si era resa conto della gravità della sua malattia e si era assunta l’onere di seguirla in modo costante.
Nel valutare gli eventi che stanno per essere qui riassunti, si tenga presente che Mariella Ciulli era lucidissima durante i propri racconti, tantoché i suoi interlocutori rimanevano sconcertati per il contrasto tra il loro contenuto inverosimile e la sicurezza con cui venivano riferiti. Affinché il lettore se ne faccia un’idea, giova precisare che al suo primo TSO – Trattamento Sanitario Obbligatorio, procedura riservata a chi risulta del tutto fuori di testa – i medici che ne disposero il ricovero descrissero la donna come “disponibile, cortese, collaborativa, lucida”.

Escalation di denunce. Dopo la prima segnalazione ai carabinieri nel 1988, Mariella Ciulli riferì dei propri sospetti in molte altre occasioni e non soltanto alle forze dell’ordine. Non è molto noto, ma nel luglio 1994 Rosario Bevacqua tentò senza fortuna di introdurre in dibattimento una testimone, Morella Sani, con la speranza che le sue dichiarazioni potessero scagionare Pacciani. La donna gli aveva fatto pervenire un memoriale nel quale raccontava fatti risalenti al 1988, quando, assieme al marito Paolo Caramelli, gestiva un bar situato nelle vicinanze del luogo del delitto di Signa, nel quale Mariella Ciulli era entrata più volte facendola partecipe dei propri angosciati pensieri. Eccone alcuni brani:

Nel corso del 1988 ho avuto modo di fare conoscenza con una signora, di cui successivamente ho raccolto le confidenze che mi ha fatto partecipe di un segreto che la angosciava; la stessa all’epoca era lucida, benché angosciata e disperata per il terribile segreto […]
La signora ricordava, a proposito del delitto del 1968, di essere stata sul luogo dello stesso e di aver corso durante la notte con un bambino in braccio; diverse volte portò mio marito sul luogo, per cercare di ricostruire tutta la vicenda, perché di quella sera rammentava soltanto di aver partecipato ad una seduta presso un (od una veggente), e sicuramente di essere stata sotto l’effetto di qualche medicinale o “intruglio” […]
La Ciulli rammentava anche che una sera il marito fu chiamato telefonicamente da una persona con la quale fissò un appuntamento in via del Moro a Firenze; un paio di giorni dopo apprese dai giornali che proprio quella sera in quella via una prostituta fu uccisa a coltellate. […]
La signora Ciulli disse di aver realizzato la terribile ed agghiacciante verità dopo il delitto del 1985; il marito rientrò in nottata graffiato al volto, e lei successivamente rinvenne presso la residenza familiare una maschera di carnevale (dei figli) in gomma od in lattice lacerata in alcuni punti, nonché una borsa di plastica macchiata di sangue, con dei guanti da chirurgo; successivamente la signora rinvenne nel freezer un fagotto (che il marito aveva sempre sostenuto contenere cibo per cani), che rivelò contenere una mammella femminile (qualcosa di spugnoso) e l’organo genitale femminile (sembrava, “con quei peli, un collo di pollo”).

Sembra evidente come Mariella Ciulli si fosse fatta suggestionare dai molti, troppi articoli che stava leggendo sulla vicenda – “È molto interessata a tutto quello che viene scritto e si sente molto coinvolta in tutto ciò”, si legge non a caso nel suo diario clinico – dove comparivano alcuni degli elementi che poi erano entrati a far parte dei suoi falsi ricordi. Molto probabilmente la fonte primaria delle sue farneticazioni era il libro Il Mostro di Firenze, di Mario Spezi, uscito nel 1983, nel quale si riscontrano moltissimi elementi presenti anche nelle sue dichiarazioni scritte. A titolo di esempio, ecco da dove arrivavano i guanti da chirurgo raccontati alla Sani: “[…] si copre le mani con i guanti sottili del chirurgo per non lasciare impronte”; il fagotto in freezer: “È il professore Garimeta Gentile […]. Ormai lo sanno tutti che a denunciarlo è stata la moglie che in un frigorifero ha trovato i terribili trofei del mostro”; la seduta dalla veggente: “[…] anche un magistrato che indaga sul Mostro di Firenze si rivolge a una veggente”.
Mariella Ciulli andava a cercare anche soggetti coinvolti in prima persona nella vicenda. Fu notata a Mercatale, ad esempio, dove si fece accompagnare a casa Pacciani, come attesta la seguente nota di questura del 16 ottobre 1992:

Noi sottoscritti Ass della P.S. DI GENOVA Callisto e Ag. SCIROCCHI Lidia in servizio presso la Squadra Mobile Sez. S.A.M. riferiamo che, nel corso di un consueto servizio di vigilanza eseguito in MERCATALE nei pressi dell'abitazione dell'indagato PACCIANI Pietro, alle ore 11.10, abbiamo notato giungere in paese CIULLI Mariella, in altri atti distinta, coniugata e separata con il farmacista di San Casciano V/P CALAMANDREI Francesco. La stessa entrava nel negozio di abbigliamento posto nei pressi dello sdrucciolo che consente l’accesso a casa PACCIANI e chiedeva alla titolare BANDINELLI Anna […] se poteva accompagnarla a trovare PACCIANI Angiolina poiché era una sua amica, che aveva conosciuto in Ospedale.
La BANDINELLI, meravigliata replicava che Angiolina non era mai stata in Ospedale e che forse la Ciulli si sbagliava con la figlia Rosanna. Tuttavia, considerate le insistenze della sconosciuta cliente (la CIULLI acquistava un giaccone) la negoziante acconsentiva ad accompagnarla per un breve tratto inoltrandosi nello sdrucciolo. L’accompagnamento era completato da un vicino di casa di PACCIANI, tale ROSANO, che abita proprio accanto al civico 28 di via Sonnino.
Si riferisce quanto sopra per opportuna conoscenza significando che CIULLI Mariella è uscita da casa PACCIANI alle ore 12.20. Si  sottolinea pure l‘espediente alquanto scaltro da lei usato vantando una amicizia di vecchia data con la moglie dell’indagato ed acquistando pure un indumento per indurre la BANDINELLI ad accompagnarla.

Ma fu soprattutto la figura di Renzo Rontini a diventare per Mariella Ciulli un interesse tanto continuo quanto morboso, con frequenti telefonate e anche visite, fino a indurre l'uomo ad avvertire le forze dell’ordine. Il 19 marzo 1991 Rontini chiamò la SAM affermando di aver ascoltato dalla viva voce della donna, recatasi qualche giorno prima a casa sua, un lungo racconto nel quale forse potevano cogliersi elementi di un certo interesse per le indagini. Quello stesso pomeriggio la donna si presentò in questura, dove venne invitata a mettere per iscritto i propri sospetti. E qualche giorno dopo tornò con un memoriale manoscritto di dieci pagine, nel quale raccontava tutte le sue peripezie di sposa e madre infelice, mischiandole con falsi ricordi legati alle vicende del Mostro. Leggiamone un frammento che riguarda il delitto di Signa:

Questa tizia mi telefona spesso tanto che mi decido ad incontrarla. Mi dice che è l‘amica del Piero Magi (ecco perché era lì alla Nazione senza invito) e mi parla di una “mamma” che toglie il malocchio, fa filtri d’amore. Sta a Signa. Ci andiamo ed è lì che Francesco incontra suo fratello. Persona ch’io intravedo soltanto (la casa era a Castelletti di Signa). Ci offre uno spuntino e dice a me di prendere una polverina bianca che mi servirà per rompere la fattura (il malocchio) che mi era stato fatto. Già poco dopo comincio a non star bene. Do la colpa al vino bevuto (io allora ero astemia). Con Francesco andiamo via, per la strada ci fermiamo in un viottolo a parlare. Ad un tratto si sentono degli spari. Ho paura dice che sono i cacciatori. Nel frattempo si avvicina all’auto un bambino; è piccolo, scalzo piange perché vuole andare a casa. Parla un italiano non chiaro. Lo prendo in braccio ci indica di andare verso un’auto che era poco più in là. Al di là di una siepe. Nell’auto non c’era nessuno: Francesco è andato a vedere. Decide di portarlo lui a casa. Lì vicino c’è una bici abbandonata. Monta su con il bambino e se ne va. Lo vedo attraversare un ponticino. Mi sento sempre peggio. Ho nausea, mi gira la testa. Mentre aspetto (e passa molto tempo prima che torni) passa un tizio strano indossa una mantella ed un cappello. Si avvicina alla nostra auto soffermandosi, poi prosegue e si ferma all‘altra. Dopo se ne va. Quando torna Francesco a piedi, gli racconto dell’uomo ed in più che mi era sembrato che nell’auto davanti ci fossero delle persone. Torna a vedere e non c’è nessuno. È un auto bella (non so perché ma mi ricordo che la cosa mi aveva stupito perché chi ne era sceso poco prima sembrava povera gente: quindi li avevo visti arrivare? Ce ne eravamo allontanati perché volevamo stare soli.
Con quelle persone c’era un bambino se questo fosse allora non era ancora buio!

È persino inutile evidenziare quanto poco si adatti il racconto della donna a quanto è noto del delitto di Signa, poiché è lampante come esso sia soltanto il frutto di una mente malata.
Nei mesi successivi Mariella Ciulli contattò molte altre volte la SAM, fino a diventare una presenza quasi fissa, come ci attesta questo passo del libro Un uomo abbastanza normale, di Ruggero Perugini:

«Dottore, ha visto chi è che sta piantonando la porta?» «No, chi è?»
«La moglie del mostro...» «Quale? quella dell'altra settimana?»
«No, no... la solita, quella che dice che sono tutti collusi con il marito tranne che lei...» «O Madonna santa! Falla parlare coll'ispettore...»
«Non posso... l'ispettore appena l'ha vista s'è squagliato... ha detto che doveva andare a finire l'accertamento di ieri e s'è portato appresso pure gli altri...» «Vigliacco disertore... vabbe', parlaci tu...»
«Niente da fare, le sto antipatica e con me non ci parla. Poi me l'ha detto subito che vuol parlare solo con lei che è l'unico che la capisce...» «E dille che devo andare all'estero, inventati qualche cosa...»
«Mi posso pure inventare che deve partire per la luna. Ha detto che di qua non si muove fino a che non ha parlato con lei. Ha detto che fa il sit in se lei non la riceve.» «Vabbe', falla passare. Però torna in ufficio e richiamami fra cinque minuti.»
Capita anche questo alla SAM. Per fortuna non è che il teatrino sia un fatto quotidiano da noi, però non è infrequente. E siccome sappiamo bene che i mitomani, a cacciarli in malo modo dalla porta, ti rientrano dalla finestra, ci è toccato studiare il modo di neutralizzarli con la massima educazione e il minimo danno. Altrimenti si mettono a scrivere lettere a tutti quanti, Santo Padre compreso, e ogni lettera diventa una formale richiesta di accertamento a cui rispondere, una perdita di tempo inutile. Inoltre niente vieta di pensare che dietro un racconto forsennato ci possa essere un fondo di verità o che l'assassino, travestendosi da mattacchione, si diverta, come ho detto, a stuzzicare. Un minimo di verifiche, perciò, vanno fatte comunque. È uno dei costi di questa indagine.

A dimostrazione che proprio di Mariella Ciulli il libro parlava si prenda quest’altro frammento: “Per non parlare delle Marielle, delle Marie, delle Margherite e di tutte le donne, fra i quindici e i settantacinque anni, il cui nome cominciava per M, che persero e ci fecero perdere il sonno con le loro continue telefonate”.
Il seguente frammento di una nota della SAM inviata al procuratore Vigna a fine 1994 riassume il via vai della donna successivo alla presentazione del suo memoriale di dieci pagine:

In data 11.04.1991 la Ciulli si ripresentava alla SAM per integrare le sue precedenti dichiarazioni ed esternava rammarico per quella che considerava inerzia da parte della P.G. e della A.G. in ordine alle accuse da lei mosse nei confronti del marito.
Pertanto la Ciulli veniva sentita a verbale dalla S.V. il 16 aprile 1991 alle ore 16.45. Emergeva con tutta evidenza la inattendibilità della teste, nonché la incrollabile volontà di nuocere al Calamandrei in quanto la stessa sosteneva di essersi nuovamente recata con lui sul luogo del delitto il pomeriggio seguente all’omicidio del 1968 e di aver preso una coperta da dentro l’auto degli uccisi mentre il Calamandrei aveva preso un beauty-case. La S.V. contestava alla Ciulli che ciò non poteva essere vero perché dagli atti processuali risultava che l’auto era stata rimossa e posta sotto sequestro presso la Compagnia di Signa alle ore 9.30 del giorno 22.8.1968, poche ore dopo il delitto, avvenuto nella notte precedente. Dal momento in cui furono rinvenuti i cadaveri del Lo Bianco e della Locci l’auto fu piantonata dai CC fino alla rimozione. La Ciulli prese atto della contestazione, si dichiarò sollevata nella coscienza e disse che l’auto da lei vista quel pomeriggio era sicuramente un’altra vettura.

Mariella Ciulli non si perse d’animo neppure di fronte all’evidenza dei fatti che lo stesso procuratore capo le aveva illustrato, e continuò con il suo via vai alla SAM.

Non contenta della deposizione di cui sopra, il giorno seguente, 17.4.1991, la Ciulli denunciava che il marito poteva aver occultato una pistola in un soppalco di casa sua per cui, su delega del PM, SAM e ROS si recavano nella sua abitazione fiorentina dove procedevano ad una accurata ispezione con esito negativo.
In ultimo la Ciulli contattò la SAM in data 26 aprile 1991 coinvolgendo nelle sue farneticanti dichiarazioni anche il giornalista Mario Spezi che, a suo dire, avrebbe custodito per alcuni mesi una pistola affidatagli dalla Ciulli (che l’aveva sottratta al marito). Secondo la donna questi se ne era impossessato prelevandola dalla macchina del Lo Bianco.

Come si vede, nelle farneticazioni della donna che era rimasta così colpita dal libro Il Mostro di Firenze a un certo punto entrò anche il suo autore.

Il coinvolgimento di Vigna. Infine, per completare lo scenario di quel terribile 1991, vale la pena esaminare un episodio risalente al 22 dicembre, così raccontato in un’annotazione di servizio dei carabinieri: 

Il 22 corrente alle ore 20.00 circa, lo scrivente, Cap. P. SCRICCIA veniva avvertito telefonicamente dal comandante della Compagnia Carabinieri Firenze-Oltrarno che, poco prima, il parroco della parrocchia di S. Jacopo, in Fraz. Sambuca di San Casciano Val di Pesa, aveva riferito al comandante della Stazione Carabinieri di Tavarnelle Val di Pesa, di aver appreso, in una situazione assimilabile alla confessione, dell'imminenza di un omicidio ad opera del c.d. “mostro” di Firenze.
Lo scrivente, dopo aver allertato i servizi esterni e la S.A.M, unitamente al M.llo FRILLICI Pietro si portava presso la Stazione Carabinieri di Tavarnelle Val di Pesa per aver un colloquio con il religioso al fine di meglio chiarire il contenuto delle notizie che questi aveva appreso.
Il parroco, Don Attilio BELLADELLI, nato a Vagnolo San Vito (MN) 1'8.12.1937, residente a Sambuca, via Senese nr. 36, riferiva agli scriventi uff.li di p.g. che intorno alle ore 14.00 si era presentata da lui una donna, mai vista in precedenza, condotta dalla cognata di costei.
La donna, che appariva al religioso in uno stato di agitazione, riferiva che:
- alla mezzanotte del giorno del 22 corrente si sarebbe verificato un omicidio in danno di una coppia di giovani appartati in località Madonna del Sasso, nel comune di Pontassieve;
- i due giovani sarebbero stati oggetto di verifiche precedenti riguardo alle loro abitudini ed ai loro spostamenti;
- i responsabili della serie omicidaria si identificavano in un gruppo di persone, tra cui anche il marito della donna, fatto che la rendeva altrettanto agitata, anche perché, a suo dire, dopo il duplice omicidio sarebbe stata lei un’ulteriore vittima della organizzazione;
- già in precedenza aveva riferito ad una Autorità (A.G. o Forze dell’Ordine) le sue conoscenze in merito alle vicende, ma non le era stato dato credito;
- nella organizzazione sarebbe inserita, in posizione di spicco, persona che svolge funzioni importanti nelle indagini sul “mostro”;
- di essersi messa a riferire questo in sua conoscenza, in quanto temeva che della serie omicidaria sarebbe stata incolpata persona innocente.
Gli scriventi, sentito quanto riferito dal religioso, chiedevano allo stesso di recarsi dalla donna per convincerla a presentarsi ai Carabinieri o, quanto meno, mettersi in contatto telefonico per fornire ulteriori più precise notizie.
Va soggiunto, inoltre, che gli scriventi, mentre il religioso riferiva le notizie apprese si rendevano conto che queste non possedevano molta credibilità e ritenevano che si trattasse di persona già nota per precedenti, analoghe iniziative.
Dopo qualche tempo, il religioso faceva ritorno in caserma, riferendo che la donna non intendeva presentarsi dai Carabinieri, ma aggiungeva altri particolari sulla vicenda:
- alle ore 23.00 uno dei componenti dell'organizzazione sarebbe stato ucciso ad opera degli altri membri per un rifiuto opposto alla decisione di procedere ad un ulteriore duplice omicidio;
- tra i membri del gruppo vi sarebbe stato anche il figlio, indotto a tale attività dal padre, sotto l’influsso di sostanze stupefacenti;
- tra le persone citate quali responsabili dei fatti riconducibili al “mostro” vi sarebbe stato anche il Procuratore della Repubblica;
A questo punto la narrazione appariva sicuramente il frutto di una persona in stato di alterazione psichica e veniva avvalorato il. convincimento che potesse trattarsi di persona nota all'ufficio.
Infatti il religioso, dopo il suo allontanamento dalla caserma per conferire con la donna, veniva notato entrare nella abitazione di CIULLI Pietro, nato a Firenze il 30.07.1946, residente a San Casciano Val di Pesa, Frazione Sambuca via B. Cellini nr. 56, industriale, fratello di CIULLI Mariella, nata a Firenze il 13.02.1948, ivi residente, via San Niccolò nr. 82, già nota all'A.G. in quanto non nuova ad analoghi episodi non ultimo essersi presentata spontaneamente nel marzo scorso alla P.G. per essere successivamente, il 16.4.1991, assunta a verbale.
Non appena ricevute le notizie del religioso, comunque veniva allertata l’Arma di Pontassieve che provvedeva a svolgere adeguati servizi di vigilanza nella zona indicata, con il concorso di altro personale del Gruppo di. Firenze.

Il Procuratore della Repubblica era Piero Luigi Vigna, della cui moglie Mariella Ciulli era stata buona amica, con frequentazioni reciproche dei rispettivi figli. Nell’ambito delle successive indagini sulla pista esoterica, il 5 luglio 2005 Don Belladelli venne sentito dal PM, al quale manifestò lo sconcerto da cui era stato preso all’epoca di fronte all’apparente lucidità della donna:

[…] il racconto della Ciulli era molto preciso e perentorio, nel racconto non c’era nessuna componente che denotasse in sé un qualche squilibrio. In altri termini, la donna parlava come un’agitata, ma con la testa a posto. In particolare, non cadde mai in una qualche contraddizione, da farmi sospettare che la cosa fosse inventata, magari per darsi importanza, o comunque che lei fosse fuori di testa. Il fatto che la donna parlasse di un evento di quella stessa notte e il realismo con cui parlava, mi indussero a cercare un contatto immediato con le Forze dell’Ordine, cosicché contattai telefonicamente il maresciallo Tagliaferri, che la conosceva bene.

Soltanto dopo aver parlato con gli agenti il parroco si rese conto di aver avuto a che fare con una donna malata, ma quasi non ci voleva credere.

Uno dei Carabinieri, sentendo che questa donna si agitava molto, mi chiese nel dettaglio che tipo di movimenti costei faceva: a seguito delle indicazioni che io detti mi fu detto che in effetti si trattava di persona che loro conoscevano, perché aveva già fatto a loro questo tipo di rivelazioni. Devo dire con sincerità che fu solo in quel momento e a seguito di questa affermazione, che mi venne il sospetto che la donna potesse essere una persona con dei problemi mentali e che quindi parlava per esibizionismo o millanteria. […]
Essendo i fatti tanto gravi era meglio secondo i CC svolgere gli opportuni accertamenti in merito, io, per parte mia, tornai in parrocchia talmente colpito dalla cosa che mi raccolsi in preghiera, andando addirittura in chiesa, che riaprii per questo specifico scopo. Seguii con apprensione le cronache giornalistiche del giorno dopo, rimanendo rinfrancato dall'assenza di qualsiasi riferimento al racconto fatto dalla Ciulli. Ricordo che addirittura aprii il televisore alle sei della mattina, per seguire i primi annunci di cronaca.

Il farmacista. Come già il lettore può immaginarsi, nel 1998 la situazione mentale di Mariella Ciulli aveva raggiunto punte di gravità estrema. A complicare la sua travagliata esistenza si erano aggiunti i problemi del figlio Marco, che nel dicembre del 1987 era entrato in contatto con il mondo dell’eroina (il 4 marzo 2008 sarebbe morto per overdose sulle mura di Grosseto). La povera donna viveva ancora da sola a Firenze, seguita dalla figlia, ma era soggetta a sempre più frequenti TSO (dal 2000, dopo l’incendio del proprio appartamento, fu ricoverata in modo permanente, e dal 2002 interdetta). Anche l’ex marito non stava bene, sempre preda di gravi angosce e tormenti a causa della sua sindrome bipolare e conseguente abuso di farmaci che certo a lui non mancavano. Questo era il tragico quadro familiare in cui a un certo punto, senza alcun riguardo e senza alcuna cautela, irruppero le ancora acerbe indagini della pista esoterica.
In una lettera inviata da Giuttari a Canessa il 10 giugno 1998 si legge:

In riferimento al procedimento penale in oggetto si trasmette il verbale di assunzione di informazioni rese da Rontini Renzo in data 06 maggio u.s.
In merito si precisa che nel predetto verbale il Rontini riferisce che la moglie del Dott. Calamandrei, farmacista di San Casciano, lo contattò telefonicamente più volte nel 1990 per riferirgli circostanze che avrebbero visto lo stesso medico coinvolto nei delitti del c.d. Mostro di Firenze.
L’anno seguente fu lo stesso Dott. Calamandrei a recarsi a casa di Rontini per esternargli la sua totale estraneità ai fatti per i quali la moglie lo accusava. Lo invitò insistentemente anche ad andarlo a trovare, cosa che Rontini fece più volte senza mai trovarlo.
A seguito di questa serie di contraddizioni, supportate anche dal fatto che il medico in questione fu uno dei primi al quale Mario Vanni scrisse durante la sua detenzione ed al fine di chiarire l’episodio esposto da Rontini, si chiede alla S.V. di voler delegare questo ufficio ad assumere informazioni dal Dott. Calamandrei […] valutando l’opportunità di autorizzare altresì l’esecuzione di perquisizione domiciliare volta a rinvenire cose utili e/o pertinenti alle indagini in corso.

Come abbiamo visto, che Rontini e Ciulli avessero avuto dei contatti era ben noto alle forze dell’ordine, Rontini stesso lo aveva denunciato; che cosa c’era quindi di nuovo su Calamandrei tale addirittura da giustificare la richiesta di una perquisizione domiciliare? Il documento accenna a una “serie di contraddizioni” che sarebbero emerse dalla recente audizione di Rontini, che però sembrerebbero limitarsi al contrasto tra l’insistenza di Calamandrei affinché Rontini lo andasse a trovare e il fatto che questi vi fosse poi andato senza rintracciarlo. Si legge nel verbale:
 
Giunto alla farmacia parlai con la commessa lì presente, la quale mi disse che il Calamandrei non era al momento presente in farmacia, ma sarebbe arrivato di lì a poco. Aspettai ancora altro tempo, ma ritornato per più volte la commessa mi disse che il Calamandrei non si era visto ed allora me ne andai.
Dopo qualche tempo ritornai alla sua farmacia di S.Casciano ed anche questa volta incontrai la commessa che mi riferì che il Calamandrei non era al momento in negozio, ma era lì nei pressi, per cui a breve sarebbe sicuramente arrivato. Aspettai per qualche ora ma, anche in questo caso il dottore non si fece vivo, per cui me ne andai senza averlo visto.
Aggiungo, ma non ne sono certo, di essermi recato alla farmacia del Calamandrei anche una terza volta, ma neanche in quest’ultima occasione ebbi modo di incontrarlo.
A.d.r. Non ho altro da dire.

Secondo Giuttari il non farsi trovare di Calamandrei sarebbe stato dunque sospetto. Ma di che cosa poteva aver avuto paura il farmacista se in precedenza era andato lui stesso da Rontini per respingere le farneticanti accuse della moglie? Alle quali peraltro il fin troppo coinvolto – nelle indagini – genitore di una delle vittime non aveva mai creduto, se è vero come è vero che non risulta una sua particolare pressione affinché venissero approfondite. Evidentemente in quelle due o tre occasioni Calamandrei, che magari si trovava nella fase depressiva della sua sindrome, non se l’era sentita di affrontare un colloquio che di sicuro non si preannunciava troppo piacevole. Del resto il suo invito doveva essere stato più un pro-forma che altro, come spesso succede.
C’è però un ulteriore elemento messo sul piatto da Giuttari: una lettera che Vanni aveva scritto a Calamandrei dal carcere, una delle tante lamentazioni inviate dal pover’uomo a mezza San Casciano nei primi mesi della sua detenzione. Leggiamola, compresi gli errori di ortografia:

Carissimo Farmacia Calandrei gli scrivo questa lettera per farli sapere che stò male in 9 mesi non mi è riuscito di telefonare alla moglie Luisa che schifo cari farmacisti che vergogna è questa non ne posso più di stare in galera non ho fatto nulla è una vergogna questa e chiedo la Nazione e non la portano da 10 giorni che sistema è questo… Mi ha detto il mio avvocato di Firenze che fino al processo non mi mandano a casa il signor giudice Vigna e Canessa insomma siamo a un bel punto ha detto l’avvocato Pepi Gianpiero che stia tranquillo e beato ci vuole pazienza insomma.
Quando tornerò a casa faremo un bel (carteggio ???) se lo permette il Maresciallo perché io sono innocente non ho fatto nulla di male e vi faccio tanti saluti a Francesca e signorina farmacista
Arrivederci a presto tanti saluti Vanni Mario

A chi scrive pare davvero incredibile, ma queste disperate e toccanti parole fossero state interpretate come indizio di un rapporto mandante-esecutore tra Calamandrei e Vanni! Sempre a parere di chi scrive, a una valutazione più serena si sarebbero invece dovute considerare come la più evidente dimostrazione della non esistenza di questo rapporto, altrimenti giammai Vanni avrebbe scritto una lettera di tal tenore. Semplicemente, quando ancora faceva il postino, ogni tanto la farmacia Calamandrei gli chiedeva il favore di consegnare dei farmaci a persone che non erano in grado di muoversi, quindi si era creato un rapporto non tanto con il titolare quanto con la stessa farmacia e i suoi dipendenti, ai quali, infatti, il pover'uomo si rivolgeva: “Carissimo Farmacia Calandrei”, “cari farmacisti”, “vi faccio tanti saluti”.
In realtà quel che più interessava i nostri investigatori erano le farneticanti accuse di Mariella Ciulli opportunamente riesumate, per avvalorare le quali, come già si è detto, si sarebbe cercato di far partire la sua malattia in un punto successivo al loro inizio, con aspri scontri in sede processuale. Al momento quel che serviva era un pretesto per riaprire il vecchio faldone, per il quale non fu trovato di meglio che tirare in ballo Rontini e la lettera di Vanni. Ma bastò, poiché le autorizzazioni necessarie furono prontamente concesse.
Il 7 luglio si procedette sia a interrogare Calamandrei sia a perquisire la sua casa di San Casciano, con un bottino però molto, molto misero. Tra gli oggetti sequestrati – quadri, agende, libri, giornali – il più intrigante fu ritenuto “Diva satanica”, una rivista così descritta nella nota GIDES del 2 marzo 2005:

Al suo interno (risultavano mancanti, siccome strappate, le pagg. 9 e 10, il cui contenuto quindi si ignorava) c’erano racconti di satanismo sessuale del tipo “Streghe, passione e crudeltà – I trionfi della Luna nera” (pag.20), “I circoli satanici del libertinaggio” (pag.46), “Il sangue e la Rosa” (pag.56), nonché foto e fumetti di tortura, anche estrema, nei confronti della donna. In pratica, quei contenuti denotavano uno specifico interesse di un particolare tipo di lettore amante dei significati esoterici e di scene di violenta perversione sessuale che sembrava compatibile con la personalità perversa dei presunti mandanti degli omicidi.

Ma l’opera che aveva così allarmato Giuttari altro non era che un libro di “studio, ricerca e documentazione sull'erotismo satanico”, come esso stesso si definisce, edito da Glittering Images e facente parte di una celebre collana specifica (altri eloquenti titoli: “Diva desiderio”, “Diva fetish”, “Diva puttana”, “Diva bizzarre”).


All’interno non racconti, ma saggi di storia dell’erotismo in triplice lingua (italiano, inglese, francese), con magnifiche immagini di genere tratte da fumetti, soprattutto, ma anche da film, fotoromanzi, quadri e illustrazioni d’autore. Un salto in libreria avrebbe potuto facilmente procurare una copia integra – la seconda edizione riveduta e corretta risaliva a due anni prima – risolvendo così il mistero delle pagine mancanti. Per la cronaca, la pagina 9 riporta la fine della traduzione inglese di un saggio sulle figure sataniche femminili nella storia (Eva, la prima tentatrice, Lilith, demone femminile di origine mesopotamica, Salomè, celebre personaggio del Vangelo di Marco), la 10 l’inizio di un saggio sulle antiche feste orgiastiche, intitolato “Le Baccanti delle selve – Orge per Priapo e Dioniso”. Certamente un’opera per un pubblico adulto, cui, a suo dire, Calamandrei sarebbe stato interessato in qualità di pittore, per ricopiarne alcune immagini – e il foglio strappato, sul quale ce n’erano quattro, gli darebbe ragione – ma che in ogni caso ritenere compatibile con le perversioni dei presunti mandanti dei delitti del Mostro pare davvero un’eresia. Anzi, va tenuto presente che Calamandrei, da persona istruita e benestante qual era, teneva in casa una biblioteca di qualche migliaio di volumi, quindi il fatto che Diva satanica fosse stato ritenuto l’unico compromettente per i suoi supposti contenuti esoterici dimostra soltanto il suo totale disinteresse per il tema.
A mettere ancor più in cattiva luce il povero cristo fu il rinvenimento di “varia documentazione cartacea (agende, appunti, riflessioni…), che sembrava attestare una forma di depressione acuta e di crisi di paura di cui il Calamandrei probabilmente doveva essere affetto”. In seguito le frasi disperate scritte da Calamandrei furono oggetto di analisi da parte di un ufficiale di polizia, con relativa nota inviata a Giuttari, alcune delle quali qui si riportano a titolo di esempio:

Ora vedo la vita tinta di nero. Vorrei essere in un altro pianeta. […] Non voglio essere uno zombi. Perché non riesco a esprimere quello che sento! Perché ho come un presentimento che succederà qualche cosa ma non so che cosa?[…]
Intontimento. Intontimento è un termine che non conoscevo prima d’ora. Come posso fare per passare il tempo? Sono invalido. Non si può vivere come vivo io. […]
Che ne farò della mia ultima parte della mia vita? Ora devo guarire. E poi? In questo momento non so chi sono, che cosa ho fatto, che cosa farò. Il fallimento di una vita sono io: questa è la verità.

Che l’uomo avesse sofferto di gravi problemi dell’umore non era però un segreto – del resto migliaia e migliaia di altri italiani gli facevano buona compagnia. In più con una ex moglie schizofrenica che lo accusava di essere un assassino e un figlio caduto nel tunnel della droga, la depressione di Francesco Calamandrei si poteva anche comprendere, ma per i nostri investigatori, evidentemente poco inclini a valutare situazioni psicologiche, anch’essa sarebbe stata un motivo di compatibilità con i mandanti degli omicidi del Mostro!
Infine l’interrogatorio, nel quale Calamandrei ammise d’essere stato amico d’infanzia di Giulio Zucconi e di avergli concesso l’utilizzo di un ambulatorio medico annesso alla propria farmacia. Coincidenze che i nostri investigatori ritennero molto significative, poiché, ai loro occhi, il rapporto tra i due rafforzava la sospettosità di entrambi.
Per quanto risulta a chi scrive, cominciava a delinearsi qui l’ipotesi dei “mandanti gaudenti” di San Casciano, asse portante del futuro processo che sarebbe stato intentato contro Calamandrei. Ma questa è storia successiva, poiché al momento Giuttari dovette fermarsi: il 20 agosto 1998 gli furono comunicati dal Ministero dell’Interno una promozione a vicequestore vicario e un trasferimento presso altra questura. Quindi niente più indagini sui mandanti dei delitti del Mostro.

5 commenti:

  1. Puntuale ed esaustivo. Complimenti.

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  2. vorrei sapere quando è morta Mariella Ciulli e, se possibile, chi le è stato vicino negli anni che lei praticamente ha pssato rinchiusa _____mi viene da dire in manicomio

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    1. é ancora viva, dovrebbe avere, se non ricordo male, poco più di 70 anni. Le è stata vicina la figlia, Francesca Calamandrei, persona davvero eccezionale, che è riuscita a mantenere i nervi saldi in una situazione difficile anche soltanto da immaginare.

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  3. Comunque se si valuta la malattia di lei va anche dato lo stesso peso al bipolarismo di lui.....come avete detto in questo articolo... grazie

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    1. Non so a che cosa porta secondo lei questa considerazione, di sicuro però i due disturbi ebbero un peso molto diverso sulle vicende della famiglia. Quello della donna era molto più grave per la vita di relazione, non per niente venne sottoposta a vari TSO.

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