domenica 23 settembre 2018

La dinamica di Scopeti

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Siamo finalmente giunti alla ricostruzione del delitto degli Scopeti, da alcuni miei lettori attesa con grande impazienza. Premetto che non mi dilungherò sulla descrizione delle condizioni al contorno, sulle quali non potrei dire (quasi) nulla più del moltissimo che già è stato detto. A questo proposito segnalo due fondamentali documenti: lo studio liberamente scaricabile Il delitto degli Scopeti, di Vieri Adriani, legale delle famiglie, e il libro Delitto degli Scopeti – Giustizia mancata, dello stesso Adriani, Francesco Cappelletti e Salvatore Maugeri, quest’ultimo amico di gioventù della vittima maschile. Mi concentrerò invece sulla dinamica vera e propria, dove ritengo di poter presentare degli elementi in grado di aggiungere chiarezza o almeno di  stimolare la riflessione. E a questo proposito devo segnalare almeno quattro precedenti tentativi di proporne una ragionevole: i due ufficiali, contenuti nelle perizie di Mauro Maurri e collaboratori (una trascrizione incompleta è scaricabile qui) e Francesco De Fazio e collaboratori (qui), peraltro poco convincenti, soprattutto il secondo; quello contenuto nel libro sopra citato, assai migliore anche se su alcuni particolari chi scrive dissente; infine quello generoso e per alcuni aspetti piuttosto riuscito (il documento è scaricabile qui) di un forumista, Vigneron.
Nadine Mauriot, 36 anni, madre separata di due figli, e Jean Michel Kraveichvili, 25 anni, suo compagno, partirono dalla Francia mercoledì 4 settembre 1985 a bordo di una Volkswagen Golf bianca. Si erano portati dietro una tenda, nella quale dormirono a campeggio libero per due notti sulla costa toscana. Giunsero a San Casciano nel primo pomeriggio di venerdì 6, dove furono visti da un testimone attendibile montare la tenda sulla piazzola degli Scopeti. Un’altra testimonianza certa li colloca quella stessa sera a cena alla festa dell’Unità di Cerbaia, da dove non c’è motivo di dubitare che fossero poi tornati alla loro tenda. Da quel momento tenda e auto, poste vicinissime l’una all’altra, rimasero sempre nella medesima posizione, senza che nessun testimone attendibile avesse più visto la coppia, né sulla piazzola né da qualsiasi altra parte. Fino al lunedì, quando un ragazzo scoprì il corpo di Michel tra la vegetazione, e poco dopo i carabinieri anche quello di Nadine, all’interno della tenda.
Sono ben note le discussioni nate attorno alla data di morte dei due poveretti, stabilita dall’anatomopatologo Mauro Maurri nella domenica sera, ma in seguito contestata numerose volte con argomenti assai fondati che non è il caso di ripetere in questa sede. È ferma opinione di chi scrive che tale data debba essere retrocessa di due giorni, poiché, al di là di tutte le considerazioni su rigor mortis e larve di mosca, la coppia non aveva alcun motivo di trattenersi sulla degradata piazzola per più di una notte. Nadine e Michel vennero uccisi venerdì 6 settembre 1985, poco dopo il loro ritorno da Cerbaia, quindi a partire dalle ore 23 ma non troppo oltre, come dimostrano i resti di cibo trovati nel loro stomaco, compatibili sia con le pappardelle al sugo di lepre servite alla festa dell’Unità sia con un tempo di digestione valutato in un paio d’ore. Considerando la fuga di Michel cui seguirono gli spari e l’inseguimento del Mostro, che nella circostanza ben difficilmente poteva aver tenuto in mano una fonte di luce, è molto probabile che l’orario sia da collocarsi in vicinanza delle 24, quando la luna – che sorgeva alle 23:29 ed era al suo primo quarto – illuminava pur debolmente la piazzola.
 
Edit 3/12/2020: In realtà, secondo questo sito, la luna sorgeva alle 22:53, vedi. Il dato erroneo delle 23:29 è quello riportato dal libro Delitto degli Scopeti – Giustizia mancata. Questa precisazione in prospettiva di esaminare, ed eventualmente confutare (ma ci vorrà del tempo), le motivazioni che hanno indotto un noto mostrologo a collocare il delitto all'alba di domenica.
  
Ancora un paio di considerazioni, prima di proseguire. Al di là delle sciocchezze raccontate dieci anni dopo da Pucci e Lotti sui due assassini Vanni e Pacciani, ancora oggi c’è chi ipotizza l’intervento di un complice. Senza poter escludere per certo questa eventualità, come vedremo lo studio della dinamica del delitto la rende comunque non necessaria, anzi, del tutto improbabile, in particolare se si intende mettere in mano una pistola anche al secondo individuo (come pure si è fatto con un fantomatico revolver che non avrebbe lasciato bossoli).
Infine, nell’ipotesi di un delitto avvenuto al venerdì sera, è opportuno riflettere sulla residenza dell’assassino. Chi meglio di qualcuno abitante in zona avrebbe potuto accorgersi, passando forse per caso al pomeriggio, della tenda e quindi della possibilità di trovarvi alla sera una coppia da uccidere? Per un residente nel Mugello, distante 50-60 km, sarebbe stata una bella coincidenza il passare di lì proprio al venerdì pomeriggio, ma anche per chi abitava a Firenze. A meno dei momenti in cui i due si stavano preparando alla notte – quindi con qualche luce accesa, ma per quanto tempo? – calato il buio la tenda non era più visibile dalla strada. Con grande probabilità l’assassino era già sul posto quando Nadine e Michel tornarono dalla festa dell’Unità; attese che si ritirassero poi li aggredì.

La scena del crimine. La foto sottostante, che nella sua nota versione a colori è tagliata sulla sinistra e che quindi conviene riportare anche in quella meno nota in bianco e nero, risulta molto più efficace di qualsiasi descrizione riguardante l’auto e la tenda, della quale si nota esternamente il telo argenteo impermeabile sotto cui ce n’era uno giallo.


A completamento, va detto che il lato nascosto della tenda con davanti il marker “E” – rappresentante una macchia di sangue della quale si dirà – era quello d’entrata, con una cerniera verticale sotto cui ce n’era un’altra che chiudeva la zanzariera. Sul lato opposto, con davanti il marker “F”, si apprezza il noto squarcio verticale alto 40 cm. Nella foto in bianco e nero è presente anche l’albero, sul lato dell’entrata, che costituì il riferimento per le misure prese dalla Scientifica. I marker “C” e “D” rappresentano la posizione di due bossoli. Infine la freccia tracciata sul montante sinistro dell’auto indica una macchia di sangue che Michel lasciò durante la sua fuga.
Nella piantina sottostante, redatta dalla Scientifica e pubblicata dal libro di Valerio Scrivo Il Mostro di Firenze esiste ancora, si apprezza la presenza  di una fila di cespugli che divideva la piazzola in due parti, la seconda delle quali, sulla destra, era una specie di corridoio dove andò a infilarsi Michel fuggendo.


Si noti il cadavere del ragazzo sulla destra, rappresentato con le braccia distese verso l’alto a dimostrarne il trascinamento per i piedi, del quale si tratterà più avanti. Va però detto che – incredibile ma vero! – il disegno non rispetta la posizione della tenda, la quale presentava il suo lato anteriore di sghimbescio rispetto alla via Scopeti, e quindi andrebbe ruotato in senso orario di circa 45 gradi.
Nella prossima immagine, tratta dal medesimo libro, la Scientifica riprodusse la planimetria del luogo (ripetendo il medesimo errore riguardo la posizione della tenda). Si può apprezzare sulla destra l’ampia sterrata in salita per l’accesso alla piazzola, lunga una cinquantina di metri, e la buona visibilità della tenda e dell’auto dalla adiacente strada asfaltata, che correva più in basso di qualche metro.


Questa invece è una foto del cadavere di Nadine dentro la tenda.


Si può notare il telo argenteo esterno sollevato e il telo giallo interno al quale era fissata la zanzariera, la cui chiusura avveniva tramite una cerniera a “L”, e che poteva essere coperta dal lembo di tessuto che in foto risulta fissato in alto. La distanza della parte orizzontale della cerniera dal suolo, probabilmente rappresentata dalla freccia rossa sotto il marker “G”, non è nota; in questa sede sarà considerata di circa 15 cm, misura che appare ragionevole. Si tratta di un elemento di rilievo, poiché sulla zanzariera furono trovati cinque fori di proiettile – messi in verticale poco a destra della cerniera – dei quali furono misurate le relative altezze rispetto alla base della zanzariera stessa, risultate di 10, 20, 24, 46, 56 cm, corrispondenti quindi, aggiungendo i presunti 15 sopra valutati, a 25, 35, 39, 61, 71 dal suolo. I fori numero 1, 2 e 5 (partendo dal basso) risultarono allineati tra loro sulla verticale, da cui il 3 era spostato di 6 cm a destra e il 4 di 7 a sinistra. La figura sottostante dà un’idea di quanto appena scritto.


Sulla parte posteriore della tenda c’era una seconda apertura a cerniera, che non ha però interesse in quanto chiusa e non utilizzata. Hanno invece interesse sia uno squarcio verticale che si estendeva per circa 40 cm con partenza dal vertice, sia uno strappo a “L” posto in basso sul lato destro rispetto all’entrata principale a circa 30 cm dal suolo. A questo strappo corrispondeva sul tessuto giallo interno un foro ovalare, quindi si deve presumere che responsabile della formazione di entrambi fosse stato un proiettile.


Nella foto sopra – che poi è la parte mancante sulla sinistra di quella già presentata – sono apprezzabili sia lo squarcio, in alto a destra, sia la posizione dello strappo a “L” in corrispondenza della freccia rossa.

Bossoli e proiettili. Furono repertati nove bossoli, tutti nei pressi della tenda. La foto sottostante mostra la posizione di sei, cinque sul terreno molto vicini alla tenda, uno sul materassino. I tre non visibili vanno posti nella parte in basso a destra (due sono i “C” e “D” della foto sopra).


L’immagine è del giorno successivo a quello della scoperta del delitto, quando vennero recuperati, con l’aiuto di un metal detector, i cinque bossoli sul terreno più uno dei tre non visibili, sfuggiti alle ricerche del giorno prima. Intanto la tenda era stata smontata, rimontata – a beneficio di Francesco De Fazio giunto qualche ora dopo la Scientifica – e poi ancora smontata, con un lavoro che venne criticato nella stessa relazione di Mauro Maurri e collaboratori (“la tenda fu rimossa dal punto in cui era stata piantata con tecnica e modalità tutt’altro che ineccepibili”). Sono note le distanze dei bossoli dal rimasto materassino – rimesso nella posizione originaria ma difficilmente al centimetro – e dall’albero antistante la tenda, del quale però non è nota a chi scrive la posizione esatta rispetto alla stessa. In ogni caso, anche con l’ausilio delle foto, è possibile collocare in modo ragionevole tutti i bossoli sul terreno, come nella piantina sottostante.


Si possono notare la macchia di sangue appartenuto a Nadine – di forma ovalare e dimensione di circa 20 cm – repertata a 80 cm dalla tenda e un metro dall’albero (marker “E”), l’albero e la posizione della colonna dei fori sulla zanzariera, poco sulla destra della quale può essere collocato il bossolo numero 1 e accanto il 2 e il 3. Tornando alla foto della tenda con i marker, il bossolo 9 corrisponde al “C” e il 5 al  “D”. Il numero 4 non risulta da alcuna foto reperibile in rete, poiché al momento di quella della tenda con i marker non era ancora stato trovato, e in quella del materassino è fuori dal campo visivo. Per poterlo collocare nella piantina si è qui cercato di interpretare la seguente descrizione, contenuta nel libro Delitto degli Scopeti: “mt. 1,40 dall’abete e cm 95 dal materassino (A)”. Naturalmente sarò grato a ogni lettore che mi dovesse comunicare informazioni o anche ragionamenti migliori..
Prima di andare avanti è bene chiarire una questione importante. Se le modalità di smontaggio della tenda non furono ineccepibili, niente però autorizza a supporre che i bossoli fossero stati spostati dalla loro posizione originaria prima delle misurazioni. Vedremo presto che la posizione dei numeri 1, 2 e 3 costringerà a prendere atto di una conseguenza assai importante, per escludere la quale uno dei relatori a un passato convegno sul Mostro – Armando Palmegiani, cui l’anno precedente chi scrive aveva esposto il problema – fece una supposizione quantomeno azzardata: i sei bossoli trovati il giorno dopo (1-2-3-4-7-8) potevano essere stati raccolti da un agente e sparsi sul davanti della tenda! Si tratta di un’operazione difficile da immaginare anche nel contesto del cumulo di errori compiuti dalle nostre forze dell’ordine. Del resto si legge nel rapporto della Polizia Scientifica: Si è proceduto ad una ispezione con uso del metal detector. Detta operazione ha portato al ritrovamento, tra i ciuffi di erba secca antistanti l’apertura principale della tenda di n.6 bossoli”. Che bisogno ci sarebbe stato di usare un metal detector se i bossoli fossero stati sparsi a mano? Evidentemente l’attività del Mostro davanti alla tenda li aveva infossati tra i radi ciuffi d’erba secca e il terriccio.
Riguardo i proiettili, due completi e molto deformati furono estratti dalla testa e dal muscolo pettorale sinistro di Nadine, uno diviso in due frammenti fu invece estratto dall’omero destro di Michel. Un altro grosso frammento venne rinvenuto tra il lenzuolo e il materasso. Nella relazione di Maurri si suppone la presenza di altri due proiettili non repertati, uno nel piumone e uno in un cuscino. Infine un settimo proiettile si perse tra la vegetazione dopo aver forato la parte posteriore della tenda. Vedremo che i due proiettili mancanti furono probabilmente sparati contro Michel che stava fuggendo ma non lo colpirono, quindi si persero anch’essi tra la vegetazione.

Ferite. Su Nadine vennero riscontrate quattro ferite d’arma da fuoco, tutte con traiettoria da destra a sinistra: una trapassante alla guancia destra (2), una trapassante alla fronte con scalfittura superficiale dell’osso (3), una all’emitorace sinistro (4), con proiettile ritenuto e infine una alla tempia destra (5), anch’essa con proiettile ritenuto. Solo quest’ultima fu mortale, avendo determinato gravissimi danni al cervello, le altre tre possono considerarsi tutte superficiali. Le ferite alla testa avevano una leggerissima obliquità verso il basso. Conviene anticipare che il proiettile numero 1 probabilmente andò a vuoto colpendo un cuscino.


Va poi menzionata una ferite d’arma bianca al lato sinistro del collo,  inferta quando la donna era ormai morta o in fin di vita.
Infine le escissioni, che riguardarono sia il pube sia il seno sinistro. Per quella al pube, va registrata una chiara limitazione alla zona dei peli, ma anche il raggiungimento di tessuti profondi, per un lavoro abbastanza grossolano.
Anche su Michel vennero riscontrate quattro ferite d’arma da fuoco: una al labbro superiore nella sua parte sinistra (2), con il proiettile che ruppe un dente e cadde poi a terra (come vedremo, probabilmente si trattava dello stesso che in precedenza aveva colpito Nadine alla guancia destra fuoriuscendo), una all’eminenza tenar della mano sinistra (5), una alle ultime tre dita della mano sinistra (4) e infine una alla base del braccio destro nella sua faccia posteriore (9). Vedremo che una delle due ferite alla mano sinistra fu prodotta dal medesimo proiettile che colpì Nadine al torace, ma non si può dire quale, mentre l’altra potrebbe essere stata l’effetto sia di uno degli altri quattro sparati in tenda (più probabile a giudizio di chi scrive), sia di uno sparato contro il ragazzo durante la sua fuga.
 

Come si può facilmente intuire, nessuno dei proiettili che aveva colpito Michel poteva averne provocato la morte. Il ragazzo morì per le successive coltellate, ben 13, per le quali è il caso di osservare la prossima figura, dove le frecce indicano la direzione del fendente e i numeri la probabile sequenza progressiva.


Le coltellate più gravi, quelle che determinarono il decesso, furono le quattro all’emitorace sinistro (8-9-10-11), tutte sferrate dall’alto in basso e da sinistra a destra. Anche la 7, che raggiunse il fegato dal basso in alto, fu molto grave, e la 3, che trapassò il collo da destra a sinistra forando la trachea ma non i grossi vasi sanguigni, mentre la 12 e la 13 furono poco profonde. Nella ferita numero 2, direzione trasversale da sinistra a destra, la lama incontrò un vertebra fermandosi, la ferita numero 1 fu come un taglio, anch’esso trasversale. Infine le ferite 4-5-6 furono da difesa, da collocarsi molto probabilmente appena prima della 7, come vedremo, ma la loro progressione relativa è impossibile da determinarsi.

Alcune premesse. Qualche parola va spesa per sgomberare il campo da alcuni elementi d’incertezza se non di confusione, da sempre ostacolo a ogni tentativo di ricostruire una dinamica corretta. Partiamo dal taglio sul retro della tenda. La spiegazione più banale per la sua presenza è quella di un tentativo fallito da parte del Mostro di crearsi un’apertura per sparare o addirittura entrare. Era stata questa, ad esempio, l’interpretazione di De Fazio:

È da ritenere che il reo […] abbia prima accortamente studiato il luogo di intervento, decidendo di operare sulla tenda dalla parte posteriore (elemento sorpresa) aprendosi un varco nel telo con uno strumento tagliente (verosimilmente la medesima arma bianca usata per le successive operazioni). Egli deve tuttavia aver trovato, quale fatto non previsto, il secondo telo di riparo, (il che deporrebbe per una non piena dimestichezza con tende da campeggio), che da un lato avrebbe impedito l’accesso all’interno, dall’altro avrebbe evocato l’allarme degli occupanti.
È da supporre che l’aggressore a questo punto abbia rinfoderato il coltello (il che pone il problema di un’idonea guaina di collocamento o impugnamento rapido), abbia impugnato la pistola, esplodendo prima un colpo contro lo spigolo della tenda, forse indirizzato verso le voci o i rumori dell’interno della tenda i cui occupanti, allarmati, si accingevano ad uscire.

Cominciamo col dire che il Mostro non sparò affatto dalla parte posteriore, poiché nessun bossolo vi venne trovato, e il leggere tale erratissima ipotesi nella perizia De Fazio sconcerta alquanto. Del resto, come vedremo, le vittime furono colte completamente di sorpresa dalla prima sequenza di proiettili, quindi nessun rumore anomalo le aveva allarmate; il che porta anche a escludere che il taglio avesse preceduto la sparatoria. Con la cerniera sul davanti aperta – non è pensabile che i due si fossero ermeticamente chiusi dentro uno spazio così piccolo e soffocante – qualsiasi aggressore sarebbe partito da lì, come fece anche il Mostro. E allora, il taglio? Di sicuro venne effettuato dopo, per ragioni di altro tipo e di non facile individuazione, e che comunque in questa sede non vale la pena discutere (chi scrive le collega all’attività di oscuri personaggi che nei due giorni successivi si aggirarono attorno alla piazzola).
Un altro argomento da chiarire è quello della luce. Nella tenda non fu trovata alcuna lampada da campeggio, ma è del tutto impossibile che i due, facendo campeggio libero, ne fossero stati sprovvisti. Le uniche fonti di luce presenti tra le loro cose erano una candela e una torcia a batteria, chiuse però in una borsa trovata all’interno dell’auto; si comprende bene quali sarebbero stati i problemi in caso di esigenze corporali nelle ore serali e notturne, tanto per fare un esempio. Ma, senza una fonte di luce, anche semplici operazioni all’interno della stessa tenda sarebbero state difficili, come prendere un fazzoletto, ritrovare i propri indumenti intimi, aprire e chiudere la zanzariera. Quindi si deve senz’altro supporre che in tenda una lampada da campeggio vi fosse stata, e che poi il Mostro l’avesse portata via, non come souvenir ma semplicemente perché se ne era avvalso durante le tristi manovre su Nadine, lasciandovi sopra le proprie impronte insanguinate.
In più va anche supposto che al momento dell’attacco la lampada fosse accesa. Un fascio di luce esterno, come quello prodotto da una torcia a mano, avrebbe dovuto superare il tessuto traforato della zanzariera, con una resa sulle figure interne molto ridotta, tanto da impedire di distinguerne i particolari. Si è già accennato al fatto che dei cinque colpi sparati attraverso la zanzariera soltanto uno andò a vuoto colpendo un cuscino, quindi le vittime dovevano essere ben visibili dal di fuori.
Infine il problema della scarpata. Davanti all’ingresso della tenda il terreno iniziava a scendere, come si vede bene dall’immagine della planimetria. Secondo un’opinione circolata nelle discussioni in rete e accennata anche dal libro Delitto degli Scopeti - Giustizia mancata il Mostro si sarebbe avvicinato in piedi alla zanzariera percorrendo il terreno in salita antistante e sparando via via sempre più in alto. Ma davanti alla tenda non c’era alcun terreno in salita, perlomeno non in forte salita, come risulta ben chiaro da alcune foto, ad esempio dalla sottostante.


Tra l’altro risulta ben visibile la macchia di sangue ovalare, la cui distanza dalla tenda fu misurata in 80 cm e il diametro in 20, quindi davanti all’ingresso c’era almeno un metro di terreno pianeggiante, al massimo in leggero declivio. Se si pensa che tutti e cinque i fori sulla zanzariera erano caratterizzati da aloni di affumicatura, e che quindi la pistola aveva sparato a pochissima distanza dal tessuto, si comprende bene come l’ipotesi della scarpata non possa reggere.

I colpi di pistola. I due vennero sorpresi mentre stavano amoreggiando, lui disteso supino e lei sopra con le gambe flesse, i piedi a sinistra e la testa a destra rispetto all’ingresso. Il Mostro si presentò davanti alla cerniera aperta forse accucciato, ma molto più probabilmente in ginocchio, con un arto che teneva la pistola e l’altro poggiato a terra a rendere stabile la posizione (qui si ipotizza questo secondo scenario). A dividerlo dalle vittime c’era soltanto il tessuto traforato della zanzariera chiusa, attraverso il quale ne vedeva bene i corpi nudi illuminati dalla lampada accesa.
Nella prima fase dell’attacco vennero sparati i cinque colpi che forarono la zanzariera, di sicuro per primi, in rapida sequenza, quelli corrispondenti ai tre fori più in basso, in quale ordine non è possibile stabilirlo, poi, dopo una brevissima pausa, i due più in alto; qui si ipotizza una progressione ascendente per tutti e cinque. Si ipotizzerà anche l’effetto di ogni proiettile, senza l’illusione di averli azzeccati tutti.


Potendo contare su una buona visibilità, l’aggressore decise di mirare al capo dei due che si stavano baciando o sbaciucchiando. Molto probabilmente il primo colpo, troppo basso, finì dentro il cuscino, ma i due successivi raggiunsero il bersaglio: il numero 2 la guancia destra di Nadine e, in uscita, il labbro superiore sinistro di Michel, il numero 3 di striscio la fronte di Nadine. Quest’ultimo, fuoriuscendo, attraversò la parete posteriore della tenda producendo il foro nel tessuto interno e lo strappo a “L” in quello esterno, perdendosi poi tra la vegetazione. Stranamente i tre bossoli finirono tutti molto vicino al punto di sparo, pochi centimetri sulla destra.
Come sempre il Mostro fece una pausa per rendersi conto degli effetti dei suoi primi colpi, probabilmente alzandosi sulle ginocchia. Intanto, sia forse per un suo riflesso automatico, sia spinta da Michel, Nadine iniziò a sollevare il busto. Il movimento attirò l’interesse dello sparatore, che indirizzò il suo quarto colpo verso di lei, colpendola nella zona del seno sinistro; con tutta probabilità il proiettile aveva attraversato prima la mano sinistra del ragazzo mentre la stava spingendo, producendo una delle due ferite. L’ipotesi è ben suffragata dal percorso molto breve del proiettile nei muscoli di Nadine, spiegabile soltanto con una perdita di velocità per l’attraversamento di un precedente ostacolo (Maurri: “La […] ferita […] dimostra la scarsa forza viva posseduta e quindi, lo scarsissimo potere lesivo, in quanto il proiettile è stato repertato solo nel contesto delle fibre del muscolo gran pettorale”).


Seguì dopo pochi istanti un quinto colpo, ancora sparato verso Nadine ma con mira aggiustata; la poveretta venne infatti colpita alla tempia destra in modo preciso e mortale, accasciandosi. È possibile che il proiettile avesse prima attraversato una seconda volta la mano sinistra di Michel protesa verso lo sparatore come a difendersi, in questo caso senza subire particolari rallentamenti. Sia questo bossolo (5) che il precedente (4) furono scagliati verso l’albero sulla destra, uno dei due, forse il 4, colpendolo e rimbalzando.
I due poveretti giacevano uno sopra l’altro, Nadine morente e Michel con ferite non gravi ma comunque sotto shock. Fin troppo sicuro di sé – voleva finire i due a coltellate e, con la scatola quasi vuota, tenersi le quattro cartucce residue per un nuovo omicidio? – il Mostro aprì la zanzariera; Michel ne approfittò per tentare la fuga, dopo essersi scrollato di dosso il corpo di Nadine. L’uscita precipitosa del ragazzo sbilanciò il Mostro, che forse, da ginocchioni com’era, cadde a sedere lasciando partire un colpo. Il proiettile numero 6 non fece danni, infilandosi dentro il piumone, mentre il bossolo corrispondente finì poco dentro la tenda.
Michel prese sulla propria destra, con il Mostro che cercò di ostacolarlo e, dalla sua posizione precaria e nel buio, gli sparò dietro due altri colpi probabilmente mancando il bersaglio. I bossoli (7 e 8) carambolarono tra il corpo dello sparatore e il telo della tenda, andando a finire in avanti rispetto al punto di espulsione, mentre i proiettili si persero al di fuori, facendo tornare i conti che a Maurri e collaboratori non tornavano:

Rispetto al numero dei bossoli mancano quindi due proiettili che però non dovrebbero essere usciti dalla tenda, visto che, oltre quello descritto […], non si hanno altre lacerazioni da uscita di proiettili. È anche probabile che nelle manovre per smontare la tenda qualche proiettile sia andato perduto visto che fra l’altro la tenda fu rimossa dal punto in cui era stata piantata con tecnica e modalità tutt’altro che ineccepibili.

Poi, mentre Michel stava tentando di superare la strettoia costituita dal lato sinistro della tenda e dai vicini cespugli, il Mostro si alzò in piedi e gli sparò l’ultima cartuccia (9), con il proiettile che lo colse alla base del braccio destro. Il bossolo superò la tenda cadendo accanto al lato destro.


L’immagine cerca di dare un’idea della situazione. Il Mostro alla spalla era probabilmente alto 1.50, come abbiamo visto nel caso di Giogoli, quindi la tenda, alta 1.40, non lo ostacolava.

Riflessioni sui bossoli. Prima di affrontare la fase in cui Michel tentò di fuggire e il Mostro lo accoltellò, è opportuna qualche riflessione sul posizionamento dei tre bossoli corrispondenti ai proiettili che provocarono i fori più bassi nella zanzariera. Come è ben noto, e quella del Mostro non faceva eccezione, in genere le pistole semiautomatiche espellono i bossoli verso destra e verso il dietro. Secondo un’opinione diffusa in rete ma non suffragata da alcun documento – almeno, chi scrive non è riuscito a trovarne – da una Beretta come quella del Mostro caricata con cartucce come le sue il bossolo partiva con un angolo di circa 45 gradi rispetto all’asse della canna e ancora di 45 gradi rispetto al piano orizzontale passante per essa, per una distanza raggiunta sul terreno di circa tre metri (sparatore in piedi, calcio verticale, canna orizzontale).
In realtà non sembra che tali valori valgano per il caso specifico della pistola usata dal Mostro. Dove sono note o comunque ben desumibili le posizioni dei bossoli rispetto ai punti di sparo – per chi scrive solo nei quattro di Scandicci e nell’unico di Vicchio – la distanza raggiunta fu molto minore, un metro e trenta o poco più, e la direzione differente, più verso destra che verso dietro. La figura sottostante esemplifica i calcoli da me fatti, che hanno tenuto conto delle misure note integrate da qualche ragionevole ipotesi, come, ad esempio, la distanza della canna dai finestrini supposta di 10 cm.


La figura sottostante dà un’idea di dove sarebbero andati a finire i bossoli dei colpi sparati dal Mostro attraverso la zanzariera secondo le regole appena illustrate.


Abbiamo visto invece che i bossoli corrispondenti ai tre fori più in basso furono ritrovati poco lontano rispetto alla verticale dei fori stessi, tra i 10 e i 30 cm sulla destra e tra i 5 e i 10 indietro.
Osserviamo ancora una volta la piantina con la posizione dei nove bossoli.


È evidente che in uno spazio pieno di ostacoli come quello davanti all’ingresso della tenda – lo sparatore accucciato, la stessa tenda, l’albero – i bossoli non sempre ebbero la possibilità di percorrere la loro normale traiettoria. I numeri 7 e 8 finirono addirittura in avanti, probabilmente dopo essere rimbalzati prima sul tessuto della tenda poi sullo sparatore. Il bossolo numero 4 avrebbe dovuto posizionarsi vicino al numero 5, ma probabilmente rimbalzò sul tronco dell’albero prima di cadere a terra. Infine il numero 6 fece poca strada carambolando nello spazio tra sparatore, vittima e tessuti della zona dell’ingresso. Forse i numeri 5 e 9 furono gli unici a compiere il loro percorso regolare.
Quale fu la ragione che fece cadere i bossoli 1, 2 e 3 così vicino al punto di sparo? Un’ipotesi potrebbe essere quella di rimbalzi contro il tronco dell’albero, come per il bossolo 4, ma non è possibile che una struttura cilindrica e rugosa respinga quasi nel medesimo modo tre bossoli partiti per forza con piccole variazioni di traiettoria. Altre ipotesi non se ne vedono, se non quella di una bocca di espulsione orientata verso i punti di caduta, come nella figura seguente.


Al colpo più basso il calcio della pistola era ruotato di 90 gradi e oltre in senso orario, quindi la mano che lo impugnava era per forza la sinistra con una rotazione verso l’interno; con la mano destra la medesima rotazione sarebbe stata verso l’esterno, del tutto scomoda e ingiustificata. In effetti, provare per credere, tenendo la pistola così in basso viene naturale ruotarla verso l’interno.


Proviamo adesso a descrivere l’intera sequenza dei primi cinque spari – con l’aiuto delle foto, ma il lettore non sia troppo severo riguardo la loro aderenza alle misure reali – ipotizzando le posizioni dello sparatore. Durante i primi tre, esplosi in rapidissima successione, l’individuo rimase fermo con il corpo e fu soltanto il braccio ad alzarsi, mentre la rotazione della pistola diminuiva leggermente con i bossoli espulsi sempre più verso destra. Probabilmente la canna era quasi accostata al tessuto della zanzariera, che per l’inclinazione della parete si trovava spostata verso l’interno, quindi il punto di caduta dei bossoli risultò vicinissimo alla base. Il quarto colpo, esploso dopo una piccola pausa, fu quello al seno di Nadine, che nel frattempo aveva alzato il busto. Lo sparatore doveva essersi a sua volta sollevato sulle ginocchia, abbandonando la presa a terra della mano destra. L’altezza del foro sulla zanzariera aumentò di 22 cm – i due aumenti precedenti erano stati di 10 e 4 – e il bossolo fu lanciato verso l’albero, colpendolo, da una pistola che era tornata ad avere il calcio quasi verticale. Infine il quinto colpo fu sparato guadagnando altri 10 cm in altezza e cadde nei pressi dell’albero.

Addendum 28/09/2018. L'intervento del lettore Vincenzo Aversa mi ha ricordato che un paio d'anni fa mi ero imbattuto in un'interessante scena dal film I soliti sospetti, della quale avevo salvato il seguente fotogramma:


Come si vede, si tratta di un mancino che usa la pistola girata verso l'interno. In effetti ci sono dei tiratori mancini che hanno quest'abitudine, magari con rotazioni assai minori dei 90° del fotogramma. Lo scopo è quello di minimizzare la possibilità di prendersi i bossoli in faccia, ma al massimo sul torace. La distanza raggiunta dal bossolo è senz'altro minore, il che potrebbe spiegare il misero metro e trenta di quelli del Mostro.

Fuga e morte di Michel. Anche dopo essere stato colpito in modo grave al braccio destro, Michel non fermò la propria fuga; la macchia di sangue sul montante della Golf ci dice che vi si appoggiò con la mano sinistra ferita mentre stava aggirando la tenda. Purtroppo nel buio e in un posto che non conosceva prese la direzione sbagliata, superando i cespugli che delimitavano il corridoio sulla destra della radura, che comunque tentò di percorrere verso l’uscita e quindi verso la potenziale salvezza. Ma il Mostro, che evidentemente aveva intuito il suo percorso – e forse anche visto, alla debole luce della luna – invece di inseguirlo si precipitò a chiudergli la strada, come viene illustrato dalla sottostante immagine.


I due percorsi sono ipotetici ma ragionevoli – al massimo quello del Mostro potrebbe essere iniziato non subito verso la bocca del pertugio, ma verso il ragazzo in fuga per poi deviare – e dimostrano come non ci fosse stato alcun bisogno dell’intervento di un complice per fermare Michel, considerando che la compagna era in tenda morente.


Il Mostro aveva riposto la pistola, ormai scarica, e aveva messo mano al coltello; appena il ragazzo lo vide si girò tentando di tornare sui propri passi – forse i due si scontrarono anche – ma il suo aguzzino gli fu subito addosso e gli sferrò due coltellate, una trasversale sul lato posteriore del braccio sinistro (Maurri: “ampio squarcio a direzione pressoché trasversale rispetto al maggior asse dell’arto, con interessamento del piano sottocutaneo e muscolare a livello del tricipite”), una alla base del collo cogliendo una vertebra (De Fazio: “un colpo di direzione trasversale da sn. a dx. che attinge il rachide a livello della 5° vertebra”). È evidente che almeno in questo secondo caso il coltello poteva essere soltanto nella mano sinistra, ma anche nel primo.


Dopo il secondo fendente il Mostro, con tutta evidenza ambidestro ma con le proprie preferenze d’uso dell’arto destro o sinistro a seconda delle circostanze, passò rapidamente il coltello nell’altra mano per afferrare Michel al collo con il braccio sinistro e sferrargli un fendente, non mortale ma certamente in grado di togliergli la forza per divincolarsi (De Fazio: “ferita trapassante che interessa le regioni laterocervicali, (perforante la trachea ma, sembra, non i grossi vasi) con decorso trasversale da dx. a sn.”).


I due attori in foto hanno più o meno la medesima statura, si consideri però che probabilmente il Mostro era più alto di una decina di centimetri (un metro e 80 circa contro uno e 70), quindi gli fu facile gravare con il peso del proprio corpo sulle spalle di Michel e spingerlo a terra, mentre cercava di accoltellarlo al torace. È molto probabile che le tre ferite da difesa ai polsi del ragazzo siano da collocarsi in questa fase dell’aggressione. La foto cerca di darne un'idea, supponendo che entrambe le braccia ferite fossero ancora in grado di muoversi.


Alla fine il Mostro stabilizzò la propria posizione mettendosi in ginocchio, quindi riuscì a colpire Michel alla base del costato sul lato destro del torace (De Fazio: “colpo all’ipocondrio dx. nettamente dal basso in alto determinante lesioni epatiche ed emoperitoneo”).


Dopo aver lasciato cadere a terra il ragazzo ormai privo di forze, il Mostro gli si mise a cavalcioni sulle gambe girandosi, e gli sferrò quattro coltellate sul lato sinistro del torace (De Fazio: “4 colpi in regione precordiale, penetranti in cavità toracica con direzionalità dall’alto in basso e da sn. a dx. determinanti una condizione di emotorace”). Furono questi i colpi mortali.


Per maggior sicurezza, ma anche per smaltire l’adrenalina residua, prima di alzarsi il Mostro usò ancora il coltello con due fendenti all’addome, non particolarmente violenti (De Fazio: “2 ferite addominali (iliache, bilaterali, simmetriche); poco profonde”).

La mutilazione di Nadine. Ormai certo della morte del ragazzo, il Mostro tornò verso la tenda. Probabilmente Nadine, nonostante le lesioni devastanti all’encefalo, dava ancora deboli segnali di vitalità; in ogni caso l’individuo volle esser sicuro della sua morte, quindi le sferrò una coltellata molto violenta al collo (De Fazio: “Lesione da taglio al collo (senza o con scarsa soffusione emorragica!!), molto profonda, fino ad interessare la cupola toracica ed il piano costo-vertebrale”). Quindi passò alla fase successiva della sua sciagurata impresa.
Sono diverse le opinioni su dove sarebbe stato posizionato il cadavere di Nadine per mutilarlo del pube e del seno. Si legge nella perizia Maurri:

L’omicida entra dentro la tenda, afferra il corpo inanimato della donna, presumibilmente per i piedi e la trascina parzialmente fuori attraverso l’apertura anteriore sì che la ragione pubica si trova grosso modo a circa 75-80 cm. dal margine o bordo della tenda (punto ove è stata trovata la chiazza di sangue davanti alla zanzariera)

Secondo l’anatomopatologo e i suoi collaboratori il cadavere sarebbe stato estratto dalla tenda, con la zona del pube posizionata a un’ottantina di centimetri da essa, dove poi sarebbe stata trovata la nota macchia di sangue, prodottasi quindi proprio per la mutilazione. Ma l’ipotesi pare poco felice. Innanzitutto davanti all’ingresso, lo abbiamo visto, c’era una striscia di doppio tessuto alta a occhio una quindicina di centimetri. A parte l’improba fatica, data la ristrettezza dell’ambiente, farvi strisciare sopra il cadavere avrebbe prodotto un conseguente grosso sconquasso nella debole struttura dell’intera tenda, sia nell’estrazione che, anche di più, nel successivo riposizionamento, che invece non vi fu. E poi la necessaria luce sarebbe stata troppo visibile dalla via sottostante.
Si legge nella perizia De Fazio:

L’operazione deve essere avvenuta all’interno della tenda, con possibilità di illuminazione da lasciare libero l’uso delle mani, anche se con una certa ristrettezza di spazio. L’operatore forse si è messo sul fondo della tenda con le spalle rivolte alla parete posteriore e con il volto verso l’accesso (anche per una naturale cautela di salvaguardia verso eventuali sopravventori), nel ristretto spazio interposto, cioè, tra la parete posteriore della tenda ed il cadavere della donna reclinato sul fianco sinistro; le gambe del reo sarebbero da ritenersi quindi appoggiate al fianco dx. della donna.

Il Mostro accucciato o inginocchiato con le spalle alla parete posteriore e davanti a lui il cadavere di Nadine per lungo; il tutto in uno spazio di un metro e 10, poiché tale era la profondità della tenda: la scena immaginata da De Fazio e collaboratori è fuori dalla realtà. Senza contare il pericolo che avrebbe corso il Mostro al sopraggiungere di qualcuno, con l’ovvia difficoltà di fuggire se anche, guardando verso l’ingresso, avesse avuto la possibilità di accorgersene.
E allora, dentro o fuori? In realtà basta riflettere sulla foto del materassino insanguinato per ipotizzare un terzo molto più plausibile scenario.


Semplicemente il Mostro si affacciò carponi all’interno dove, dopo la coltellata di cui si è detto, prese il cadavere per i piedi e gli tirò fuori soltanto le gambe raddrizzandolo. Quindi, inginocchiato con le ginocchia appena fuori e il busto dentro, alla luce della lampada da campeggio portò a compimento la sua triste operazione. Vantaggi: nessuno sconquasso sulla tenda, relativamente poca fatica nello spostamento del cadavere, nessuna luce visibile dal di fuori e possibilità di fuga al sopraggiungere di qualcuno.
Secondo Maurri venne mutilato per primo il pube, secondo De Fazio il seno, in ogni caso i due organi vennero entrambi appoggiati fuori dalla tenda producendo la nota macchia di sangue sul terreno. Poi le gambe di Nadine furono rimesse dentro, riposizionando il cadavere più o meno com’era in origine, trasversalmente con la testa a destra, e la cerniera richiusa (così sarebbe stata vista da Sabrina Carmignani).
Con quale mano il Mostro teneva il coltello durante le escissioni? È ben nota l’opinione di Maurri: con la destra. Secondo l’anatomopatologo, per entrambi gli organi l’incisione sarebbe stata compiuta con due movimenti ad arco di cerchio, entrambi con partenza alle ore 9-10.

Si vuole cioè fare esplicito riferimento all’intaccatura localizzata, rispetto al quadrante di un orologio, verso le ore 9-10 che compare, ed è stata notata e descritta, in tutti i casi di mutilazione del pube. Anche nel caso della giovane francese pertanto l’omicida ha iniziato la cruentazione della regione pubica, con un incisione ad arco di cerchio diretta […] da destra verso la sinistra sì da delimitare grosso modo la metà superiore della superficie rotondeggiante cruentata; subito dopo partendo dallo stesso punto da cui ha avuto inizio la prima incisione si è avuto un’altra azione da strisciamento e da pressione del filo della lama, ad andamento curvilineo con concavità aperta verso l’alto, mentre nel taglio iniziale la concavità era verso il basso; la seconda incisione va del pari, come la prima da destra verso sinistra, sul cadavere, e finisce con il formare la metà inferiore della circonferenza di cui la metà superiore era stata formata con la prima incisione. Nel punto di contatto dei due tagli si forma la linguetta, il triangolo di cute che si ripete è costantemente presente anche nelle mutilazioni precedenti e sempre nelle stessa zona del quadrante orario.

La discontinuità dell’incisione a ore 9-10 avrebbe quindi indicato il punto di partenza della lama in entrambe le direzioni, oraria in alto, antioraria in basso. Per poter ipotizzare due archi di cerchio invece di un cerchio unico, evidentemente anche sul lato opposto, a ore 3-4, doveva esistere un qualche segnale di discontinuità, non tanto nella cesura delle due curve, che altrimenti sarebbe anch’essa stata evidenziata, quanto nella loro inclinazione. Il che però è molto strano, poiché la discontinuità di gran lunga maggiore avrebbe dovuto determinarsi proprio nel punto d’arrivo dei due semicerchi, dove difficilmente la seconda volta la lama sarebbe arrivata proprio dove era arrivata la prima. Alla partenza, invece, sarebbe stato facile ripartire dallo stesso esatto punto.
Per quanto riguarda il seno, dove la tecnica d’incisione rimase la medesima, suona strano che un destrimane avesse scelto il sinistro (a meno di recondite ragioni, tipo “orrendo spettacolo” di Pacciani, che appaiono poco probabili). Nelle due foto sottostanti si può apprezzare bene la migliore posizione di chi afferra il seno con la mano destra e lo taglia con la sinistra, quindi con il busto in linea con quello della vittima (foto a destra), rispetto a chi fa il contrario, con il busto inclinato verso destra per una posizione di sicuro meno comoda e naturale.


A questo punto è il caso di proporre un’ipotesi alternativa che tenga conto di un soggetto in grado di usare il coltello con entrambe le mani, quindi, in sostanza, un mancino parzialmente corretto.


In un primo momento, afferrato il seno con la mano destra, con la sinistra iniziò a tagliare da ore 3-4 e arrivò fino a ore 9-10, descrivendo il semicerchio superiore in senso antiorario. La scelta del seno sinistro fu quella naturale per un mancino. Si passò poi il coltello nella mano destra, afferrò il seno con la sinistra e ripartì da ore 3-4 descrivendo in senso orario il semicerchio inferiore. Alla partenza riuscì a riprendere bene la precedente incisione – si tenga presente che, tirando, l’inizio del taglio risultava ben evidente –, all’arrivo ci andò solamente vicino poi si corresse, lasciando la discontinuità di cui si è detto.

Il nascondimento di Michel. Dal riposizionamento del corpo di Nadine dentro la tenda risulta evidente la volontà del Mostro di ritardare la scoperta del delitto, confermata peraltro dall’operazione successiva. L’individuo, infatti, tornò dove aveva lasciato il cadavere del ragazzo, lo prese per i piedi e lo trascinò in mezzo a un diradamento dei cespugli, anche in questo caso con la logica intenzione di ritardarne il rinvenimento. Una estesa macchia di sangue rimase a testimoniarne la posizione originaria, il che dimostra l’avvenuto trascorrere di diversi minuti, quelli necessari alle mutilazioni del corpo di Nadine.
Si è detto, anche in sede di processo a Pacciani, che per tale spostamento sarebbe stato necessario, o almeno utile, l’intervento di un complice, questo perché il cadavere sarebbe stato sollevato e lanciato. In realtà fu trascinato per i piedi, come dimostrano la posizione assunta dalle braccia e la presenza di abrasioni post mortali sul dorso e sul fianco destro rilevate in sede autoptica:

Sul cadavere dell’uomo furono riscontrate lesioni imputabili ad arma da fuoco, lesioni da arma bianca e lesioni di tipo escoriativo, lacerativo e contusivo. Sgombriamo il campo da queste ultime, precisando che si trattava di reperti di minima entità, a tipo di superficialissima disepitelizzazione, a forma lineare, poco numerose, variamente orientate, della lunghezza di
pochissimi cm., tutte localizzate in piccola parte alla schiena ed in parte lievemente maggiore sul fianco destro. I caratteri cromatici di queste lesioncine indicano che si tratta di fatti post-mortali e che hanno con ogni probabilità avuto origine allorché era cessato ogni residuo di circolazione sanguigna. Si tratta molto verosimilmente di lesioni prodotte per strisciamento delle corrispondenti regioni del tronco, sul terreno locale ricco di foglie e di altri minuti detriti di origine vegetale. È del pari verosimile che queste disepitelizzazioni si siano verificate quando il cadavere del K. fu trascinato dal punto in cui si era verificata la morte, a quello in cui fu rinvenuto. Si tratta di una distanza brevissima, con terreno non particolarmente accidentato, il che spiega lo scarso numero e la superficialità delle lesioni.

Rimane la perplessità della posizione delle gambe. I piedi risultarono uniti e poggiati sui cespugli, a circa mezzo metro da terra. In quella che parrebbe l’unica foto esistente del cadavere così come venne rinvenuto – non disponibile a chi scrive ma vista in un convegno di qualche anno fa – si nota che oltre i piedi c’era ancora vegetazione, quindi il Mostro non poteva averli tirati fino all’ultimo. La foto sottostante illustra il modo in cui potrebbe essere andata.


L’assassino, se persona robusta, nella parte finale del trascinamento avrebbe potuto mettersi di lato e spingere, invece di tirare, con la necessità di unire i piedi del cadavere, che infatti vennero trovati accosto l’uno all’altro.