Nell’articolo La
vedova del dottor Jekyll abbiamo visto quale ruolo fondamentale (e
deleterio) ebbero le chiacchiere della gente nell’assegnare a Giulio Zucconi il
ruolo di possibile mandante dei delitti del Mostro. A quanto risulta dalla
documentazione nota, riguardo Francesco Calamandrei, classe 1941, titolare in
San Casciano di una storica farmacia fondata dal nonno e dal padre, non erano
state lettere anonime o malevole voci di popolo ad allertare le forze
dell’ordine, anzi, la persona in paese era benvoluta da tutti e, quando vennero
alla luce i primi sospetti sul suo coinvolgimento nel presunto commercio dei
feticci, nessuno ci voleva credere. Furono invece un'infelice coincidenza e
soprattutto una penosa sventura che arrivava da lontano a far convergere su di
lui i maggiori sospetti del superpoliziotto Michele Giuttari.
Liquidiamo
subito la coincidenza. “Lo Zucconi Giulio Cesare
aveva svolto la propria attività di ginecologo anche nell’ambulatorio di Piazza
Pierozzi di S. Casciano di proprietà di Francesco Calamandrei”, si
legge nella nota di Giuttari del 4 aprile 2007. Nella palazzina a due piani di
proprietà della famiglia Calamandrei al piano terra c’era la farmacia, e una
serie di locali attrezzati ad ambulatorio che il farmacista rendeva disponibili
ai vari medici della zona per effettuarvi visite private. Tra di essi c’era
anche Giulio Zucconi, che vi andava una volta al mese. Forse la semplice
coincidenza di un farmacista che mette a disposizione una stanza per l’attività
professionale di un ginecologo presunto mandante sarebbe stata, di per sé, non
abbastanza per coinvolgere anch’egli nelle indagini. Ma Calamandrei aveva già
un peccato originale che stava per presentargli il suo terribile conto.
Nascita di un pensiero folle. Si
legge in una nota inviata dai carabinieri di Borgo Ognissanti alla procura,
datata 21 settembre 1988:
Oggetto: indagini circa segnalazioni anche anonime concernenti i duplici omicidi ai danni di giovani coppie.
In data 28.6.1988, persona conosciuta da questo Nucleo, che ha chiesto di rimanere anonima, ha riferito di nutrire sospetti nei confronti di Calamandrei Francesco […] ritenendolo il possibile autore dei delitti in oggetto ed al riguardo esternava fatti ed episodi che suffragherebbero i suoi sospetti, tra i quali, oltre ad una serie di comportamenti ambigui, avrebbe notato che il Calamandrei, dopo l’ultimo omicidio avvenuto in S.Casciano V.P., aveva dei graffi al volto ed in altre parti del corpo. […] Detta persona riferiva altresì che il Calamandrei era o è in possesso di una pistola non denunciata, della quale se ne sarebbe disfatto gettandola in mare.
In data 28.6.1988, persona conosciuta da questo Nucleo, che ha chiesto di rimanere anonima, ha riferito di nutrire sospetti nei confronti di Calamandrei Francesco […] ritenendolo il possibile autore dei delitti in oggetto ed al riguardo esternava fatti ed episodi che suffragherebbero i suoi sospetti, tra i quali, oltre ad una serie di comportamenti ambigui, avrebbe notato che il Calamandrei, dopo l’ultimo omicidio avvenuto in S.Casciano V.P., aveva dei graffi al volto ed in altre parti del corpo. […] Detta persona riferiva altresì che il Calamandrei era o è in possesso di una pistola non denunciata, della quale se ne sarebbe disfatto gettandola in mare.
Stante ad una successiva informazione fornita dalla stessa
persona il Calamandrei avrebbe dovuto possedere due pistole, all’apparenza
molto simili, che avrebbe dovuto detenere nella casa al mare.
Questo Nucleo svolgeva i dovuti accertamenti e veniva a
conoscenza che il sospettato non ha armi denunciate […] pertanto riteneva
opportuno procedere a perquisizione domiciliare […] che dava esito negativo.
[…]
Sul conto del sospettato non sono emersi elementi che
suffragano i sospetti forniti, pertanto questo Nucleo non ritiene che possa
essere considerato il possibile autore della serie dei duplici omicidi
attribuiti al c.d. “mostro” di Firenze.
Il Calamandrei da qualche tempo vive separato dalla moglie
Ciulli Mariella […]. È noto a questo Ufficio che la coppia suddetta attualmente
sta vivendo il momento più difficile a causa del perfezionamento della loro
separazione.
Certe volte è
possibile individuare un evento all’origine delle disgrazie di qualcuno, e nel
caso dello sfortunato farmacista lo è: aveva scelto la moglie sbagliata, una
donna che portava dentro di sé il seme della follia. Come ben si comprende
dalla lettura del verbale, la persona che nutriva sospetti verso di lui e che
aveva chiesto di rimanere anonima era, infatti, proprio sua moglie.
Francesco
Calamandrei e Mariella Ciulli si erano sposati nel 1969, e presto avevano messo
al mondo due bambini, Francesca e Marco. Purtroppo nel loro matrimonio erano
anche emersi gravi problemi, acuiti dalla fragilità di due condizioni
psicologiche entrambe difficili. L’uomo era affetto da sindrome bipolare, quindi
soggetto a forti oscillazioni dell’umore tra stati di esaltazione e stati di
depressione; ma a covare i disturbi di gran lunga più importanti era la donna,
un soggetto fragile e problematico fin dall’adolescenza. Di condizione
benestante, certamente i genitori non le avevano fatto mancare nulla, ma non
erano riusciti a comprenderla, provocando le sue reazioni esagerate, tra le
quali lei stessa ricordava un periodo di anoressia e la finzione di forti
dolori addominali che l’avevano condotta verso un’inutile appendicectomia. La
ricerca inconscia di una nuova famiglia l’aveva poi indotta a sposarsi troppo
presto, a 21 anni, e troppo in fretta, dopo appena pochi mesi di frequentazione
con il futuro marito.
Nel 1985, in
piena crisi coniugale, Mariella Ciulli si era presentata presso il Centro di
Salute Mentale Infanzia-Adolescenza di Firenze per discutere dei disturbi
comportamentali del figlio Marco, dopo una sollecitazione ricevuta dalla
scuola. Il ragazzo venne poi preso in carico da apposito specialista, ma
intanto erano emersi anche importanti problemi della madre – depressione,
ansia, attacchi di panico – fronteggiati alla bisogna con qualche compressa di
Tavor. Per questo la medesima struttura aveva organizzato per la donna un ciclo
di colloqui psicoterapici che sarebbero andati avanti per qualche anno, senza
però miglioramenti, anzi, con un progressivo aggravamento del disagio mentale.
Scorrendo il
diario clinico tenuto dalla sua psicologa, Adima Ringressi, si ha modo di comprendere come
Mariella Ciulli si fosse avviata verso un percorso purtroppo irreversibile di
allontanamento dalla realtà, nel quale, a un certo punto, alla figura negativa
del marito si saldarono le emozioni altrettanto negative per la vicenda del
Mostro di Firenze. Si tenga presente che quelli erano gli anni del dopo
Scopeti, quando ancora si temevano nuove feroci imprese del misterioso
assassino, e tutti in città e in provincia ne erano angosciati. Al mese di
maggio 1987, dopo un anno e mezzo di sedute, emersero i primi segnali di
pensiero paranoide.
Il ripensare alla sua vita matrimoniale le fa focalizzare il
pensiero sulle parti più cupe. Il suo dover sempre lottare per poter avere un
po’ di amore, l’essere sempre stata sola nell’affrontare le difficoltà, l’avere
la coscienza di non aver mai avuto accanto un uomo come lei sognava, tutto
questo le fa apparire coloro che la circondano come nemici.
Consiglio alla sig.ra Ciulli di farsi aiutare farmacologicamente
in questo momento così delicato e di rivolgersi pertanto ad uno psichiatra.
A novembre dello
stesso anno entrò nei colloqui la figura del “mostro”.
In questo periodo si è venuta a creare una situazione
estremamente critica. C’era stato un riavvicinamento da parte del marito ma nel
contempo c’è stata una nuova grossa frustrazione per la signora Ciulli che
riferisce di un interesse del marito per una sua amica. Questo ha fatto
scatenare la sua rabbia che si è risolta in una violenta scenata cui ha fatto
seguito una denuncia da parte di questa amica e del marito, che ha chiesto la
separazione per colpa.
Nel parlare del marito la signora fa dei riferimenti ad una
serie di pensieri che le affollano la mente. Dice che è come se, nel ripensare
al passato, in lei affiorassero delle immagini che la turbavano, tanto che le
era venuto il sospetto che il marito potesse entrarci qualcosa nelle vicende
del mostro di Firenze.
Lei è molto angosciata ed io molto preoccupata.
Le dico che, probabilmente, tutto ciò che sta vivendo e che,
ripensando alla sua vita, le è tornato alla mente, potrebbe aver procurato in
lei un’immagine così negativa del marito da viverlo come un “mostro”. [...]
Le rinnovo il consiglio di rivolgersi ad un medico
specialista e non solo al medico curante.
Nell’aprile del
1988 si svolse il processo contro Salvatore Vinci, con un prepotente ritorno dell’argomento
“mostro” sugli organi di stampa. L’evento dovette costituire per Mariella
Ciulli una ulteriore fonte di angosce, percepite anche dalla sua terapeuta che
nel giugno scrisse queste frasi:
Compaiono sempre più massicciamente pensieri legati alle
vicende del mostro. È molto interessata a tutto quello che viene scritto e si
sente molto coinvolta in tutto ciò. Mi sembra che questo pensiero stia
diventando un’ossessione.
Le cose che dice di ricordare sono francamente confuse,
almeno per me. Non riesco bene a distinguere se sono cose lette o conosciute in
altro modo – oppure una alterazione della percezione della realtà.
Come abbiamo
visto, il 28 di quello stesso mese Mariella Ciulli andava dai carabinieri a
raccontare i propri sospetti sul marito. Il perché sarebbe stata lei stessa a
spiegarlo alla dottoressa Ringressi, come risulta dal diario clinico del gennaio
1989: “Mi ha riferito di aver avuto bisogno di
andare a parlare alla SAM perché i pensieri che le assillavano la mente
potessero essere valutati e sperando che le potessero togliere quell’idea fissa”.
Un’idea fissa che purtroppo non se ne andò affatto, anzi, continuò a
radicalizzarsi nella mente malata della donna, che tra l’altro rifiutava di
assumere i farmaci indispensabili a una persona nel suo stato. Come risulta da
una dichiarazione scritta rilasciata in seguito dalla responsabile della
struttura, le venne diagnosticato il gravissimo disturbo di “psicosi schizoaffettiva di tipo depressivo”.
Prima di
proseguire è bene che il lettore interessato si fermi un momento a riflettere.
L’ipotesi sulla quale si sarebbe basata l’assunzione a prova delle
farneticazioni di Mariella Ciulli in sede di futuro processo è quella di una
donna inizialmente lucida – le cui accuse al marito erano quindi pienamente
valide –, e che poi, proprio per lo scetticismo di chi non le aveva voluto credere,
sarebbe andata fuori di testa. Se davvero fosse questo lo scenario corretto, ci
si deve allora chiedere il perché, durante i primi due anni di terapia, la
dottoressa Ringressi non sentì parlare di “mostro”, e come lei nessun altro.
Possibile che nulla sarebbe emerso di un segreto così sconvolgente in una donna
tanto fragile e per di più in grave contrasto con il marito? E ancora, il modo
in cui l’argomento “mostro” iniziò a presentarsi durante i colloqui è del tutto
incompatibile con la rivelazione progressiva di un segreto, mentre lo è
totalmente con la nascita di un pensiero intrusivo nella psiche disturbata
della donna (“Dice che è come se, nel ripensare al
passato, in lei affiorassero delle immagini che la turbavano, tanto che le era
venuto il sospetto che il marito potesse entrarci qualcosa nelle vicende del
mostro di Firenze”). Infine non pare davvero possibile che il solo
fatto di non essere stata creduta avesse potuto devastare in modo così
importante la mente della poveretta, che invece doveva covare la malattia già
dentro di sé.
Nel 1991 il caso
di Mariella Ciulli fu preso in carico dal Centro di Igiene Mentale, una
struttura dedicata agli adulti e senz’altro più idonea a fronteggiare la sua
difficile situazione. Ma il peggioramento era ormai inarrestabile, nonostante
l’impegno dei medici e della figlia Francesca, che dopo i primi contrasti si
era resa conto della gravità della sua malattia e si era assunta l’onere di
seguirla in modo costante.
Nel valutare gli
eventi che stanno per essere qui riassunti, si tenga presente che Mariella Ciulli era
lucidissima durante i propri racconti, tantoché i suoi interlocutori rimanevano
sconcertati per il contrasto tra il loro contenuto inverosimile e la sicurezza
con cui venivano riferiti. Affinché il lettore se ne faccia un’idea, giova
precisare che al suo primo TSO – Trattamento Sanitario Obbligatorio, procedura
riservata a chi risulta del tutto fuori di testa – i medici che ne disposero il
ricovero descrissero la donna come “disponibile,
cortese, collaborativa, lucida”.
Escalation di
denunce. Dopo la prima segnalazione ai carabinieri nel 1988, Mariella Ciulli
riferì dei propri sospetti in molte altre occasioni e non soltanto alle forze
dell’ordine. Non è molto noto, ma nel luglio 1994 Rosario Bevacqua tentò senza fortuna di introdurre in dibattimento una
testimone, Morella Sani, con la speranza che le sue dichiarazioni potessero
scagionare Pacciani. La donna gli aveva fatto pervenire un memoriale nel quale raccontava fatti risalenti al 1988, quando, assieme al marito Paolo
Caramelli, gestiva un bar situato nelle vicinanze del luogo del delitto di
Signa, nel quale Mariella Ciulli era entrata più volte facendola partecipe dei
propri angosciati pensieri. Eccone alcuni brani:
Nel corso del 1988 ho avuto modo di fare conoscenza con una
signora, di cui successivamente ho raccolto le confidenze che mi ha fatto
partecipe di un segreto che la angosciava; la stessa all’epoca era lucida,
benché angosciata e disperata per il terribile segreto […]
La signora ricordava, a proposito del delitto del 1968, di
essere stata sul luogo dello stesso e di aver corso durante la notte con un
bambino in braccio; diverse volte portò mio marito sul luogo, per cercare di
ricostruire tutta la vicenda, perché di quella sera rammentava soltanto di aver
partecipato ad una seduta presso un (od una veggente), e sicuramente di essere
stata sotto l’effetto di qualche medicinale o “intruglio” […]
La Ciulli rammentava anche che una sera il marito fu
chiamato telefonicamente da una persona con la quale fissò un appuntamento in
via del Moro a Firenze; un paio di giorni dopo apprese dai giornali che proprio
quella sera in quella via una prostituta fu uccisa a coltellate. […]
La signora Ciulli disse di aver realizzato la terribile ed
agghiacciante verità dopo il delitto del 1985; il marito rientrò in nottata
graffiato al volto, e lei successivamente rinvenne presso la residenza
familiare una maschera di carnevale (dei figli) in gomma od in lattice lacerata
in alcuni punti, nonché una borsa di plastica macchiata di sangue, con dei
guanti da chirurgo; successivamente la signora rinvenne nel freezer un fagotto
(che il marito aveva sempre sostenuto contenere cibo per cani), che rivelò
contenere una mammella femminile (qualcosa di spugnoso) e l’organo genitale
femminile (sembrava, “con quei peli, un collo di pollo”).
Sembra evidente
come Mariella Ciulli si fosse fatta suggestionare dai molti, troppi articoli che
stava leggendo sulla vicenda – “È molto interessata
a tutto quello che viene scritto e si sente molto coinvolta in tutto ciò”,
si legge non a caso nel suo diario clinico – dove comparivano alcuni degli
elementi che poi erano entrati a far parte dei suoi falsi ricordi. Molto
probabilmente la fonte primaria delle sue farneticazioni era il libro Il Mostro di Firenze, di Mario Spezi,
uscito nel 1983, nel quale si riscontrano moltissimi elementi presenti anche
nelle sue dichiarazioni scritte. A titolo di esempio, ecco da dove arrivavano i
guanti da chirurgo raccontati alla Sani: “[…] si
copre le mani con i guanti sottili del chirurgo per non lasciare impronte”;
il fagotto in freezer: “È il professore Garimeta
Gentile […]. Ormai lo sanno tutti che a denunciarlo è stata la moglie che in un
frigorifero ha trovato i terribili trofei del mostro”; la seduta
dalla veggente: “[…] anche un magistrato che indaga
sul Mostro di Firenze si rivolge a una veggente”.
Mariella Ciulli
andava a cercare anche soggetti coinvolti in prima persona nella vicenda. Fu
notata a Mercatale, ad esempio, dove si fece accompagnare a casa Pacciani, come
attesta la seguente nota di questura del 16 ottobre 1992:
Noi sottoscritti Ass della P.S. DI GENOVA Callisto e Ag. SCIROCCHI
Lidia in servizio presso la Squadra Mobile Sez. S.A.M. riferiamo che, nel corso
di un consueto servizio di vigilanza eseguito in MERCATALE nei pressi
dell'abitazione dell'indagato PACCIANI Pietro, alle ore 11.10, abbiamo notato giungere
in paese CIULLI Mariella, in altri atti distinta, coniugata e separata con il
farmacista di San Casciano V/P CALAMANDREI Francesco. La stessa entrava nel
negozio di abbigliamento posto nei pressi dello sdrucciolo che consente
l’accesso a casa PACCIANI e chiedeva alla titolare BANDINELLI Anna […] se
poteva accompagnarla a trovare PACCIANI Angiolina poiché era una sua amica, che
aveva conosciuto in Ospedale.
La BANDINELLI, meravigliata replicava che Angiolina non era mai
stata in Ospedale e che forse la Ciulli si sbagliava con la figlia Rosanna.
Tuttavia, considerate le insistenze della sconosciuta cliente (la CIULLI
acquistava un giaccone) la negoziante acconsentiva ad accompagnarla per un
breve tratto inoltrandosi nello sdrucciolo. L’accompagnamento era completato da
un vicino di casa di PACCIANI, tale ROSANO, che abita proprio accanto al civico
28 di via Sonnino.
Si riferisce quanto sopra per opportuna conoscenza
significando che CIULLI Mariella è uscita da casa PACCIANI alle ore 12.20. Si sottolinea pure l‘espediente alquanto scaltro da
lei usato vantando una amicizia di vecchia data con la moglie dell’indagato ed
acquistando pure un indumento per indurre la BANDINELLI ad accompagnarla.
Ma fu
soprattutto la figura di Renzo Rontini a diventare per Mariella Ciulli un interesse tanto
continuo quanto morboso, con frequenti telefonate e anche visite, fino a indurre l'uomo ad avvertire le forze dell’ordine. Il 19 marzo 1991 Rontini chiamò la SAM affermando di aver ascoltato dalla viva voce della donna, recatasi qualche
giorno prima a casa sua, un lungo racconto nel quale forse potevano cogliersi
elementi di un certo interesse per le indagini. Quello stesso pomeriggio la
donna si presentò in questura, dove venne invitata a mettere per iscritto i
propri sospetti. E qualche giorno dopo tornò con un memoriale manoscritto di
dieci pagine, nel quale raccontava tutte le sue peripezie di sposa e madre infelice,
mischiandole con falsi ricordi legati alle vicende del Mostro. Leggiamone un
frammento che riguarda il delitto di Signa:
Questa tizia mi telefona spesso tanto che mi decido ad
incontrarla. Mi dice che è l‘amica del Piero Magi (ecco perché era lì alla Nazione
senza invito) e mi parla di una “mamma” che toglie il malocchio, fa filtri
d’amore. Sta a Signa. Ci andiamo ed è lì che Francesco incontra suo fratello.
Persona ch’io intravedo soltanto (la casa era a Castelletti di Signa). Ci offre
uno spuntino e dice a me di prendere una polverina bianca che mi servirà per
rompere la fattura (il malocchio) che mi era stato fatto. Già poco dopo
comincio a non star bene. Do la colpa al vino bevuto (io allora ero astemia).
Con Francesco andiamo via, per la strada ci fermiamo in un viottolo a parlare.
Ad un tratto si sentono degli spari. Ho paura dice che sono i cacciatori. Nel
frattempo si avvicina all’auto un bambino; è piccolo, scalzo piange perché
vuole andare a casa. Parla un italiano non chiaro. Lo prendo in braccio ci
indica di andare verso un’auto che era poco più in là. Al di là di una siepe.
Nell’auto non c’era nessuno: Francesco è andato a vedere. Decide di portarlo
lui a casa. Lì vicino c’è una bici abbandonata. Monta su con il bambino e se ne
va. Lo vedo attraversare un ponticino. Mi sento sempre peggio. Ho nausea, mi
gira la testa. Mentre aspetto (e passa molto tempo prima che torni) passa un
tizio strano indossa una mantella ed un cappello. Si avvicina alla nostra auto
soffermandosi, poi prosegue e si ferma all‘altra. Dopo se ne va. Quando torna
Francesco a piedi, gli racconto dell’uomo ed in più che mi era sembrato che nell’auto
davanti ci fossero delle persone. Torna a vedere e non c’è nessuno. È un auto
bella (non so perché ma mi ricordo che la cosa mi aveva stupito perché chi ne
era sceso poco prima sembrava povera gente: quindi li avevo visti arrivare? Ce
ne eravamo allontanati perché volevamo stare soli.
Con quelle persone c’era un bambino se questo fosse allora
non era ancora buio!
È persino
inutile evidenziare quanto poco si adatti il racconto della donna a quanto è
noto del delitto di Signa, poiché è lampante come esso sia soltanto il frutto
di una mente malata.
Nei mesi successivi
Mariella Ciulli contattò molte altre volte la SAM, fino a diventare una
presenza quasi fissa, come ci attesta questo passo del libro Un uomo abbastanza normale, di Ruggero
Perugini:
«Dottore, ha visto chi è che sta piantonando la porta?» «No,
chi è?»
«La moglie del mostro...» «Quale? quella dell'altra
settimana?»
«No, no... la solita, quella che dice che sono tutti collusi
con il marito tranne che lei...» «O Madonna santa! Falla parlare
coll'ispettore...»
«Non posso... l'ispettore appena l'ha vista s'è
squagliato... ha detto che doveva andare a finire l'accertamento di ieri e s'è
portato appresso pure gli altri...» «Vigliacco disertore... vabbe', parlaci
tu...»
«Niente da fare, le sto antipatica e con me non ci parla.
Poi me l'ha detto subito che vuol parlare solo con lei che è l'unico che la
capisce...» «E dille che devo andare all'estero, inventati qualche cosa...»
«Mi posso pure inventare che deve partire per la luna. Ha detto
che di qua non si muove fino a che non ha parlato con lei. Ha detto che fa il
sit in se lei non la riceve.» «Vabbe', falla passare. Però torna in ufficio e
richiamami fra cinque minuti.»
Capita anche questo alla SAM. Per fortuna non è che il
teatrino sia un fatto quotidiano da noi, però non è infrequente. E siccome
sappiamo bene che i mitomani, a cacciarli in malo modo dalla porta, ti
rientrano dalla finestra, ci è toccato studiare il modo di neutralizzarli con
la massima educazione e il minimo danno. Altrimenti si mettono a scrivere
lettere a tutti quanti, Santo Padre compreso, e ogni lettera diventa una
formale richiesta di accertamento a cui rispondere, una perdita di tempo
inutile. Inoltre niente vieta di pensare che dietro un racconto forsennato ci
possa essere un fondo di verità o che l'assassino, travestendosi da
mattacchione, si diverta, come ho detto, a stuzzicare. Un minimo di verifiche, perciò,
vanno fatte comunque. È uno dei costi di questa indagine.
A dimostrazione
che proprio di Mariella Ciulli il libro parlava si prenda quest’altro
frammento: “Per non parlare delle Marielle, delle
Marie, delle Margherite e di tutte le donne, fra i quindici e i settantacinque
anni, il cui nome cominciava per M, che persero e ci fecero perdere il sonno
con le loro continue telefonate”.
Il seguente
frammento di una nota della SAM inviata al procuratore Vigna a fine 1994 riassume il via vai della donna successivo alla presentazione del suo memoriale
di dieci pagine:
In data 11.04.1991 la Ciulli si ripresentava alla SAM per
integrare le sue precedenti dichiarazioni ed esternava rammarico per quella che
considerava inerzia da parte della P.G. e della A.G. in ordine alle accuse da
lei mosse nei confronti del marito.
Pertanto la Ciulli veniva sentita a verbale dalla S.V. il 16
aprile 1991 alle ore 16.45. Emergeva con tutta evidenza la inattendibilità
della teste, nonché la incrollabile volontà di nuocere al Calamandrei in quanto
la stessa sosteneva di essersi nuovamente recata con lui sul luogo del delitto
il pomeriggio seguente all’omicidio del 1968 e di aver preso una coperta da
dentro l’auto degli uccisi mentre il Calamandrei aveva preso un beauty-case. La
S.V. contestava alla Ciulli che ciò non poteva essere vero perché dagli atti
processuali risultava che l’auto era stata rimossa e posta sotto sequestro
presso la Compagnia di Signa alle ore 9.30 del giorno 22.8.1968, poche ore dopo
il delitto, avvenuto nella notte precedente. Dal momento in cui furono
rinvenuti i cadaveri del Lo Bianco e della Locci l’auto fu piantonata dai CC
fino alla rimozione. La Ciulli prese atto della contestazione, si dichiarò
sollevata nella coscienza e disse che l’auto da lei vista quel pomeriggio era
sicuramente un’altra vettura.
Mariella Ciulli
non si perse d’animo neppure di fronte all’evidenza dei fatti che lo stesso procuratore
capo le aveva illustrato, e continuò con il suo via vai alla SAM.
Non contenta della deposizione di cui sopra, il giorno
seguente, 17.4.1991, la Ciulli denunciava che il marito poteva aver occultato
una pistola in un soppalco di casa sua per cui, su delega del PM, SAM e ROS si
recavano nella sua abitazione fiorentina dove procedevano ad una accurata
ispezione con esito negativo.
In ultimo la Ciulli contattò la SAM in data 26 aprile 1991
coinvolgendo nelle sue farneticanti dichiarazioni anche il giornalista Mario
Spezi che, a suo dire, avrebbe custodito per alcuni mesi una pistola
affidatagli dalla Ciulli (che l’aveva sottratta al marito). Secondo la donna
questi se ne era impossessato prelevandola dalla macchina del Lo Bianco.
Come si vede,
nelle farneticazioni della donna che era rimasta così colpita dal libro Il Mostro di Firenze a un certo punto
entrò anche il suo autore.
Il coinvolgimento di Vigna. Infine, per
completare lo scenario di quel terribile 1991, vale la pena esaminare un episodio
risalente al 22 dicembre, così raccontato in un’annotazione di servizio dei
carabinieri:
Il 22 corrente alle ore 20.00 circa, lo scrivente, Cap. P. SCRICCIA
veniva avvertito telefonicamente dal comandante della Compagnia Carabinieri
Firenze-Oltrarno che, poco prima, il parroco della parrocchia di S. Jacopo, in
Fraz. Sambuca di San Casciano Val di Pesa, aveva riferito al comandante della Stazione
Carabinieri di Tavarnelle Val di Pesa, di aver appreso, in una situazione
assimilabile alla confessione, dell'imminenza di un omicidio ad opera del c.d. “mostro”
di Firenze.
Lo scrivente, dopo aver allertato i servizi esterni e la
S.A.M, unitamente al M.llo FRILLICI Pietro si portava presso la Stazione
Carabinieri di Tavarnelle Val di Pesa per aver un colloquio con il religioso al
fine di meglio chiarire il contenuto delle notizie che questi aveva appreso.
Il parroco, Don Attilio BELLADELLI, nato a Vagnolo San Vito (MN)
1'8.12.1937, residente a Sambuca, via Senese nr. 36, riferiva agli scriventi
uff.li di p.g. che intorno alle ore 14.00 si era presentata da lui una donna,
mai vista in precedenza, condotta dalla cognata di costei.
La donna, che appariva al religioso in uno stato di
agitazione, riferiva che:
- alla mezzanotte del giorno del 22 corrente si sarebbe verificato
un omicidio in danno di una coppia di giovani appartati in località Madonna del
Sasso, nel comune di Pontassieve;
- i due giovani sarebbero stati oggetto di verifiche
precedenti riguardo alle loro abitudini ed ai loro spostamenti;
- i responsabili della serie omicidaria si identificavano in
un gruppo di persone, tra cui anche il marito della donna, fatto che la rendeva
altrettanto agitata, anche perché, a suo dire, dopo il duplice omicidio sarebbe
stata lei un’ulteriore vittima della organizzazione;
- già in precedenza aveva riferito ad una Autorità (A.G. o
Forze dell’Ordine) le sue conoscenze in merito alle vicende, ma non le era
stato dato credito;
- nella organizzazione sarebbe inserita, in posizione di spicco,
persona che svolge funzioni importanti nelle indagini sul “mostro”;
- di essersi messa a riferire questo in sua conoscenza, in quanto
temeva che della serie omicidaria sarebbe stata incolpata persona innocente.
Gli scriventi, sentito quanto riferito dal religioso, chiedevano
allo stesso di recarsi dalla donna per convincerla a presentarsi ai Carabinieri
o, quanto meno, mettersi in contatto telefonico per fornire ulteriori più
precise notizie.
Va soggiunto, inoltre, che gli scriventi, mentre il religioso
riferiva le notizie apprese si rendevano conto che queste non possedevano molta
credibilità e ritenevano che si trattasse di persona già nota per precedenti,
analoghe iniziative.
Dopo qualche tempo, il religioso faceva ritorno in caserma, riferendo
che la donna non intendeva presentarsi dai Carabinieri, ma aggiungeva altri particolari
sulla vicenda:
- alle ore 23.00 uno dei componenti dell'organizzazione
sarebbe stato ucciso ad opera degli altri membri per un rifiuto opposto alla
decisione di procedere ad un ulteriore duplice omicidio;
- tra i membri del gruppo vi sarebbe stato anche il figlio,
indotto a tale attività dal padre, sotto l’influsso di sostanze stupefacenti;
- tra le persone citate quali responsabili dei fatti
riconducibili al “mostro” vi sarebbe stato anche il Procuratore della
Repubblica;
A questo punto la narrazione appariva sicuramente il frutto
di una persona in stato di alterazione psichica e veniva avvalorato il.
convincimento che potesse trattarsi di persona nota all'ufficio.
Infatti il religioso, dopo il suo allontanamento dalla
caserma per conferire con la donna, veniva notato entrare nella abitazione di
CIULLI Pietro, nato a Firenze il 30.07.1946, residente a San Casciano Val di
Pesa, Frazione Sambuca via B. Cellini nr. 56, industriale, fratello di CIULLI
Mariella, nata a Firenze il 13.02.1948, ivi residente, via San Niccolò nr. 82,
già nota all'A.G. in quanto non nuova ad analoghi episodi non ultimo essersi
presentata spontaneamente nel marzo scorso alla P.G. per essere
successivamente, il 16.4.1991, assunta a verbale.
Non appena ricevute le notizie del religioso, comunque veniva
allertata l’Arma di Pontassieve che provvedeva a svolgere adeguati servizi di vigilanza
nella zona indicata, con il concorso di altro personale del Gruppo di. Firenze.
Il Procuratore
della Repubblica era Piero Luigi Vigna, della cui moglie Mariella Ciulli era
stata buona amica, con frequentazioni reciproche dei rispettivi figli.
Nell’ambito delle successive indagini sulla pista esoterica, il 5 luglio 2005
Don Belladelli venne sentito dal PM, al quale manifestò lo sconcerto da cui era
stato preso all’epoca di fronte all’apparente lucidità della donna:
[…] il racconto della Ciulli era molto preciso e perentorio,
nel racconto non c’era nessuna componente che denotasse in sé un qualche
squilibrio. In altri termini, la donna parlava come un’agitata, ma con la testa
a posto. In particolare, non cadde mai in una qualche contraddizione, da farmi
sospettare che la cosa fosse inventata, magari per darsi importanza, o comunque
che lei fosse fuori di testa. Il fatto che la donna parlasse di un evento di
quella stessa notte e il realismo con cui parlava, mi indussero a cercare un
contatto immediato con le Forze dell’Ordine, cosicché contattai telefonicamente
il maresciallo Tagliaferri, che la conosceva bene.
Soltanto dopo
aver parlato con gli agenti il parroco si rese conto di aver avuto a che fare
con una donna malata, ma quasi non ci voleva credere.
Uno dei Carabinieri, sentendo che questa donna si agitava
molto, mi chiese nel dettaglio che tipo di movimenti costei faceva: a seguito
delle indicazioni che io detti mi fu detto che in effetti si trattava di
persona che loro conoscevano, perché aveva già fatto a loro questo tipo di
rivelazioni. Devo dire con sincerità che fu solo in quel momento e a seguito di
questa affermazione, che mi venne il sospetto che la donna potesse essere una
persona con dei problemi mentali e che quindi parlava per esibizionismo o
millanteria. […]
Essendo i fatti tanto gravi era meglio secondo i CC svolgere
gli opportuni accertamenti in merito, io, per parte mia, tornai in parrocchia
talmente colpito dalla cosa che mi raccolsi in preghiera, andando addirittura
in chiesa, che riaprii per questo specifico scopo. Seguii con apprensione le
cronache giornalistiche del giorno dopo, rimanendo rinfrancato dall'assenza di
qualsiasi riferimento al racconto fatto dalla Ciulli. Ricordo che addirittura
aprii il televisore alle sei della mattina, per seguire i primi annunci di
cronaca.
Il farmacista.
Come già il lettore può immaginarsi, nel 1998 la situazione mentale di Mariella
Ciulli aveva raggiunto punte di gravità estrema. A complicare la sua
travagliata esistenza si erano aggiunti i problemi del
figlio Marco, che nel dicembre del 1987 era entrato in contatto con il mondo dell’eroina
(il 4 marzo 2008 sarebbe morto per overdose sulle mura di Grosseto). La povera
donna viveva ancora da sola a Firenze, seguita dalla figlia, ma era soggetta a
sempre più frequenti TSO (dal 2000, dopo l’incendio del proprio appartamento,
fu ricoverata in modo permanente, e dal 2002 interdetta). Anche l’ex marito non
stava bene, sempre preda di gravi angosce e tormenti a causa della sua sindrome
bipolare e conseguente abuso di farmaci che certo a lui non mancavano. Questo
era il tragico quadro familiare in cui a un certo punto, senza alcun riguardo e
senza alcuna cautela, irruppero le ancora acerbe indagini della
pista esoterica.
In una lettera inviata da Giuttari a Canessa il 10 giugno 1998 si legge:
In riferimento al procedimento penale in oggetto si
trasmette il verbale di assunzione di informazioni rese da Rontini Renzo in
data 06 maggio u.s.
In merito si precisa che nel predetto verbale il Rontini
riferisce che la moglie del Dott. Calamandrei, farmacista di San Casciano, lo
contattò telefonicamente più volte nel 1990 per riferirgli circostanze che
avrebbero visto lo stesso medico coinvolto nei delitti del c.d. Mostro di
Firenze.
L’anno seguente fu lo stesso Dott. Calamandrei a recarsi a
casa di Rontini per esternargli la sua totale estraneità ai fatti per i quali
la moglie lo accusava. Lo invitò insistentemente anche ad andarlo a trovare,
cosa che Rontini fece più volte senza mai trovarlo.
A seguito di questa serie di contraddizioni, supportate
anche dal fatto che il medico in questione fu uno dei primi al quale Mario
Vanni scrisse durante la sua detenzione ed al fine di chiarire l’episodio
esposto da Rontini, si chiede alla S.V. di voler delegare questo ufficio ad
assumere informazioni dal Dott. Calamandrei […] valutando l’opportunità di
autorizzare altresì l’esecuzione di perquisizione domiciliare volta a rinvenire
cose utili e/o pertinenti alle indagini in corso.
Come abbiamo
visto, che Rontini e Ciulli avessero avuto dei contatti era ben noto alle forze
dell’ordine, Rontini stesso lo aveva denunciato; che cosa c’era quindi di nuovo
su Calamandrei tale addirittura da giustificare la richiesta di una
perquisizione domiciliare? Il documento accenna a una “serie di contraddizioni” che sarebbero emerse
dalla recente audizione di Rontini, che però sembrerebbero limitarsi al
contrasto tra l’insistenza di Calamandrei affinché Rontini lo andasse a trovare
e il fatto che questi vi fosse poi andato senza rintracciarlo. Si legge nel
verbale:
Giunto alla farmacia parlai con la commessa lì presente, la
quale mi disse che il Calamandrei non era al momento presente in farmacia, ma
sarebbe arrivato di lì a poco. Aspettai ancora altro tempo, ma ritornato per
più volte la commessa mi disse che il Calamandrei non si era visto ed allora me
ne andai.
Dopo qualche tempo ritornai alla sua farmacia di S.Casciano
ed anche questa volta incontrai la commessa che mi riferì che il Calamandrei
non era al momento in negozio, ma era lì nei pressi, per cui a breve sarebbe
sicuramente arrivato. Aspettai per qualche ora ma, anche in questo caso il
dottore non si fece vivo, per cui me ne andai senza averlo visto.
Aggiungo, ma non ne sono certo, di essermi recato alla
farmacia del Calamandrei anche una terza volta, ma neanche in quest’ultima
occasione ebbi modo di incontrarlo.
A.d.r. Non ho altro da dire.
Secondo Giuttari
il non farsi trovare di Calamandrei sarebbe stato dunque sospetto. Ma di che
cosa poteva aver avuto paura il farmacista se in precedenza era andato lui
stesso da Rontini per respingere le farneticanti accuse della moglie? Alle
quali peraltro il fin troppo coinvolto – nelle indagini – genitore di una delle
vittime non aveva mai creduto, se è vero come è vero che non risulta una sua
particolare pressione affinché venissero approfondite. Evidentemente in quelle
due o tre occasioni Calamandrei, che magari si trovava nella fase depressiva
della sua sindrome, non se l’era sentita di affrontare un colloquio che di
sicuro non si preannunciava troppo piacevole. Del resto il suo invito doveva
essere stato più un pro-forma che altro, come spesso succede.
C’è però un
ulteriore elemento messo sul piatto da Giuttari: una lettera che Vanni aveva scritto a Calamandrei dal carcere, una delle tante lamentazioni
inviate dal pover’uomo a mezza San Casciano nei primi mesi della sua
detenzione. Leggiamola, compresi gli errori di ortografia:
Carissimo Farmacia Calandrei gli scrivo questa lettera per
farli sapere che stò male in 9 mesi non mi è riuscito di telefonare alla moglie
Luisa che schifo cari farmacisti che vergogna è questa non ne posso più di
stare in galera non ho fatto nulla è una vergogna questa e chiedo la Nazione e
non la portano da 10 giorni che sistema è questo… Mi ha detto il mio avvocato
di Firenze che fino al processo non mi mandano a casa il signor giudice Vigna e
Canessa insomma siamo a un bel punto ha detto l’avvocato Pepi Gianpiero che
stia tranquillo e beato ci vuole pazienza insomma.
Quando tornerò a casa faremo un bel (carteggio ???) se lo
permette il Maresciallo perché io sono innocente non ho fatto nulla di male e
vi faccio tanti saluti a Francesca e signorina farmacista
Arrivederci a presto tanti saluti Vanni Mario
A chi scrive pare davvero incredibile, ma queste disperate e toccanti parole fossero state interpretate come
indizio di un rapporto mandante-esecutore tra Calamandrei e Vanni! Sempre a parere di chi scrive, a una
valutazione più serena si sarebbero invece dovute considerare come la più evidente
dimostrazione della non esistenza di questo rapporto, altrimenti giammai Vanni
avrebbe scritto una lettera di tal tenore. Semplicemente, quando
ancora faceva il postino, ogni tanto la farmacia Calamandrei gli chiedeva il
favore di consegnare dei farmaci a persone che non erano in grado di muoversi,
quindi si era creato un rapporto non tanto con il titolare quanto con la stessa
farmacia e i suoi dipendenti, ai quali, infatti, il pover'uomo si rivolgeva: “Carissimo Farmacia Calandrei”, “cari farmacisti”, “vi
faccio tanti saluti”.
In realtà quel
che più interessava i nostri investigatori erano le farneticanti accuse di
Mariella Ciulli opportunamente riesumate, per avvalorare le quali, come già si è detto, si sarebbe
cercato di far partire la sua malattia in un punto successivo al loro inizio,
con aspri scontri in sede processuale. Al momento quel che serviva era un pretesto
per riaprire il vecchio faldone, per il quale non fu trovato di meglio che tirare in
ballo Rontini e la lettera di Vanni. Ma bastò, poiché le autorizzazioni
necessarie furono prontamente concesse.
Il 7 luglio si
procedette sia a interrogare Calamandrei sia a perquisire la sua casa di San
Casciano, con un bottino però molto, molto misero. Tra gli oggetti sequestrati
– quadri, agende, libri, giornali – il più intrigante fu ritenuto “Diva
satanica”, una rivista così descritta nella nota GIDES del 2 marzo 2005:
Al suo interno (risultavano mancanti, siccome strappate, le
pagg. 9 e 10, il cui contenuto quindi si ignorava) c’erano racconti di
satanismo sessuale del tipo “Streghe, passione e crudeltà – I trionfi della
Luna nera” (pag.20), “I circoli satanici del libertinaggio” (pag.46), “Il
sangue e la Rosa” (pag.56), nonché foto e fumetti di tortura, anche estrema,
nei confronti della donna. In pratica, quei contenuti denotavano uno specifico
interesse di un particolare tipo di lettore amante dei significati esoterici e
di scene di violenta perversione sessuale che sembrava compatibile con la
personalità perversa dei presunti mandanti degli omicidi.
Ma l’opera che
aveva così allarmato Giuttari altro non era che un libro di “studio, ricerca e documentazione sull'erotismo satanico”,
come esso stesso si definisce, edito da Glittering Images e facente parte di
una celebre collana specifica (altri eloquenti titoli: “Diva desiderio”,
“Diva fetish”, “Diva puttana”, “Diva bizzarre”).
All’interno non
racconti, ma saggi di storia dell’erotismo in triplice lingua (italiano,
inglese, francese), con magnifiche immagini di genere tratte da fumetti,
soprattutto, ma anche da film, fotoromanzi, quadri e illustrazioni d’autore.
Un salto in libreria avrebbe potuto facilmente procurare una
copia integra – la seconda edizione riveduta e corretta risaliva a due anni
prima – risolvendo così il mistero delle pagine mancanti. Per la cronaca, la
pagina 9 riporta la fine della traduzione inglese di un saggio sulle figure
sataniche femminili nella storia (Eva, la prima tentatrice, Lilith, demone
femminile di origine mesopotamica, Salomè, celebre personaggio del Vangelo di
Marco), la 10 l’inizio di un saggio sulle antiche feste orgiastiche, intitolato
“Le Baccanti delle selve – Orge per Priapo e Dioniso”. Certamente
un’opera per un pubblico adulto, cui, a suo dire, Calamandrei sarebbe stato
interessato in qualità di pittore, per ricopiarne alcune immagini – e il foglio
strappato, sul quale ce n’erano quattro, gli darebbe ragione – ma che in ogni
caso ritenere compatibile con le perversioni dei presunti mandanti dei delitti
del Mostro pare davvero un’eresia. Anzi, va tenuto presente che Calamandrei, da
persona istruita e benestante qual era, teneva in casa una biblioteca di
qualche migliaio di volumi, quindi il fatto che Diva satanica fosse
stato ritenuto l’unico compromettente per i suoi supposti contenuti esoterici
dimostra soltanto il suo totale disinteresse per il tema.
A mettere ancor
più in cattiva luce il povero cristo fu il rinvenimento di “varia documentazione cartacea (agende, appunti,
riflessioni…), che sembrava attestare una forma di depressione acuta e di crisi
di paura di cui il Calamandrei probabilmente doveva essere affetto”.
In seguito le frasi disperate scritte da Calamandrei furono oggetto di analisi
da parte di un ufficiale di polizia, con relativa nota inviata a Giuttari,
alcune delle quali qui si riportano a titolo di esempio:
Ora vedo la vita tinta di nero. Vorrei essere in un altro
pianeta. […] Non voglio essere uno zombi. Perché non riesco a esprimere quello
che sento! Perché ho come un presentimento che succederà qualche cosa ma non so
che cosa?[…]
Intontimento. Intontimento è un termine che non conoscevo
prima d’ora. Come posso fare per passare il tempo? Sono invalido. Non si può
vivere come vivo io. […]
Che ne farò della mia ultima parte della mia vita? Ora devo guarire.
E poi? In questo momento non so chi sono, che cosa ho fatto, che cosa farò. Il
fallimento di una vita sono io: questa è la verità.
Che l’uomo
avesse sofferto di gravi problemi dell’umore non era però un segreto – del
resto migliaia e migliaia di altri italiani gli facevano buona compagnia. In
più con una ex moglie schizofrenica che lo accusava di essere un assassino e un
figlio caduto nel tunnel della droga, la depressione di Francesco Calamandrei
si poteva anche comprendere, ma per i nostri investigatori, evidentemente poco inclini a valutare situazioni psicologiche,
anch’essa sarebbe stata un motivo di compatibilità con i mandanti degli omicidi
del Mostro!
Infine
l’interrogatorio, nel quale Calamandrei ammise d’essere stato amico d’infanzia
di Giulio Zucconi e di avergli concesso l’utilizzo di un ambulatorio medico
annesso alla propria farmacia. Coincidenze che i nostri investigatori ritennero
molto significative, poiché, ai loro occhi, il rapporto tra i due rafforzava la
sospettosità di entrambi.
Per quanto risulta a chi scrive, cominciava a delinearsi qui l’ipotesi dei “mandanti gaudenti” di San Casciano, asse portante del futuro processo che sarebbe stato intentato contro Calamandrei. Ma questa è storia successiva, poiché al momento Giuttari dovette fermarsi: il 20 agosto 1998 gli furono comunicati dal Ministero dell’Interno una promozione a vicequestore vicario e un trasferimento presso altra questura. Quindi niente più indagini sui mandanti dei delitti del Mostro.
Per quanto risulta a chi scrive, cominciava a delinearsi qui l’ipotesi dei “mandanti gaudenti” di San Casciano, asse portante del futuro processo che sarebbe stato intentato contro Calamandrei. Ma questa è storia successiva, poiché al momento Giuttari dovette fermarsi: il 20 agosto 1998 gli furono comunicati dal Ministero dell’Interno una promozione a vicequestore vicario e un trasferimento presso altra questura. Quindi niente più indagini sui mandanti dei delitti del Mostro.
Puntuale ed esaustivo. Complimenti.
RispondiEliminavorrei sapere quando è morta Mariella Ciulli e, se possibile, chi le è stato vicino negli anni che lei praticamente ha pssato rinchiusa _____mi viene da dire in manicomio
RispondiEliminaé ancora viva, dovrebbe avere, se non ricordo male, poco più di 70 anni. Le è stata vicina la figlia, Francesca Calamandrei, persona davvero eccezionale, che è riuscita a mantenere i nervi saldi in una situazione difficile anche soltanto da immaginare.
EliminaComunque se si valuta la malattia di lei va anche dato lo stesso peso al bipolarismo di lui.....come avete detto in questo articolo... grazie
RispondiEliminaNon so a che cosa porta secondo lei questa considerazione, di sicuro però i due disturbi ebbero un peso molto diverso sulle vicende della famiglia. Quello della donna era molto più grave per la vita di relazione, non per niente venne sottoposta a vari TSO.
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