In questi ultimi mesi il reportage di Paolo Cochi sulla retrodatazione
del delitto degli Scopeti e le discussioni che intorno a esso si sono accese
hanno riportato all’attenzione di tutti la fragilità dell’unica verità
giudiziaria a oggi disponibile nella vicenda del Mostro di Firenze: la
colpevolezza dei cosiddetti “Compagni di merende”. Altre speranze per una nuova
valutazione del caso sono riposte nel libro, d’imminente pubblicazione, “Mostro di Firenze – Al di là di ogni
ragionevole dubbio”, scritto dallo stesso Cochi, da Francesco Cappelletti e
da Michele Bruno. Nella presentazione ufficiale sul sito della casa editrice (vedi) si leggono
parole grosse, con le quali si promettono “valutazioni scientifiche inequivocabili ma anche e
soprattutto testimonianze dell’epoca che mandano in aria le dichiarazioni del
testimone reo confesso Giancarlo Lotti”. In attesa di questi nuovi elementi, nella speranza che contribuiscano a superare i ridicoli esiti dei processi ai “Compagni di
merende”, questo blog cercherà di fare la sua parte pubblicando, a partire da oggi, alcuni articoli critici
nei confronti della sentenza di primo
grado. Depositato il 30 luglio 1998, il documento circola da tempo in rete (è scaricabile
anche da qui),
tutti quindi possono esaminarlo e verificarne la pochezza, nascosta dietro
circa 250 pagine di caratteri enormi e righe molto distanziate le une dalle
altre (il che fa venire in mente quei temi scritti una riga sì e una riga no nell’inutile
tentativo di apparire più corposi). È però soltanto a un’attenta lettura,
incrociata con quella delle deposizioni in aula, che se ne possono valutare
appieno le incredibili pecche. Si può così comprendere come le valutazioni dei giudici si fossero basate soltanto sulle plateali menzogne di Giancarlo Lotti, che il documento adatta con (malevola?) disinvoltura a uno scenario in ogni
caso irreale, assurdo, grottesco. A sostegno delle tesi espresse vengono
riportate molte frasi prese dalla deposizione del presunto pentito (e dell'amico Pucci), ma si tratta sempre di
collage costruiti con vari spezzoni,
per di più inserendovi spesso parole neppure pronunciate, o pronunciate da chi
stava conducendo l’interrogatorio. In questo modo viene fatto dire a Lotti
anche ciò che non disse, vedremo diversi esempi.
Alla fine si può ben affermare,
senza tema di smentita, che il documento si colloca al livello più basso della
nostra civiltà giuridica recente.
Oltre il processo Pacciani. Preoccupazione preventiva dei giudici
fu quella di puntualizzare il rapporto tra il loro procedimento e quello contro
Pacciani, confrontandosi di conseguenza con la precedente ipotesi del serial
killer unico:
I cinque duplici omicidi di cui
all’imputazione […] hanno già formato oggetto […] di un diverso procedimento ed
esattamente di quello a carico di Pietro Pacciani, che fu rinviato a giudizio
davanti alla Corte di Assise di primo grado di Firenze e giudicato nell’anno
1994 […] nell’ambito di una fase delle indagini impostata sulla prospettiva che
l’autore di tanti delitti potesse essere uno solo, come aveva peraltro ritenuto
anche una “equipe” di studiosi, che aveva parlato di “serial killer”[…].
Allora nessuno capì o prese in seria
considerazione che chi aveva commesso tanti efferati omicidi, qualunque potesse
essere la sua motivazione, non poteva aver agito da solo, ma aveva dovuto
necessariamente operare almeno con un complice che lo salvaguardasse, durante
l’azione omicida e durante la successiva fase del prelievo di organi dal
cadavere delle donne, dall’improvviso arrivo sul posto di qualche altra
coppietta in auto, che avrebbe potuto sorprenderlo sul fatto, atteso che le
aree teatro degli omicidi erano frequentate da coppiette desiderose di
appartarsi in intimità e che l’arrivo di un’altra coppietta sul posto
costituiva un’ipotesi altamente probabile.
La superficialità del lavoro si
evidenzia fin da queste prime frasi. Un fatto clamoroso e di enorme rilevanza
criminologica come quello della partecipazione di più individui a delitti del
tipo lust murder (mai verificatasi
nel mondo intero con le modalità dei “Compagni di merende”) viene giustificato
con la semplice necessità di un palo per il possibile arrivo di un’altra
coppietta! Per giunta un pericolo che nei fatti, più che “altamente probabile”, era stato
inesistente, poiché il Mostro non aveva mai lasciato a metà una delle sue
scellerate imprese, né qualcuno aveva mai raccontato di attività sospette viste
sui luoghi degli omicidi. Piuttosto la sorprendente affermazione dei giudici ha
tutta l’apparenza di un mettere le mani avanti per quella che sarebbe stata la
loro opinabile opinione sul ruolo ricoperto da Giancarlo Lotti, assai difficile
da inquadrare.
Dopo aver riassunto in breve lo
svolgimento delle indagini preliminari, a partire dagli avvistamenti della
macchina rossa sotto Scopeti fino alle progressive ammissioni di Lotti, più
avanti la sentenza torna a confrontarsi con l’ipotesi “sbagliata” del serial
killer unico e con il processo Pacciani, trovando nella “confessione” del
presunto pentito il fondamentale valore distintivo del nuovo procedimento:
Il presente procedimento è indubbiamente
collegato a quello già celebrato in primo grado a carico di Pacciani Pietro,
costituendone una continuazione e, in certo qual modo, anche un superamento:
continuazione, perché si tratta degli stessi fatti di omicidio, ma con
un’indagine a più vasto raggio; superamento, perché è stata abbandonata quella
visione a senso unico, fondata sulla convinzione che l’autore di tanti omicidi
potesse essere uno solo, ed è stata invece seguita quella per così dire
“pluralistica”, fondata sulla convinzione che gli autori di tanti misfatti
potessero essere più persone, che avessero agito in combutta tra loro e con
ruoli diversi, integrandosi a vicenda ed apportando ciascuno un contributo
essenziale alla riuscita del piano criminoso; e ciò ha portato necessariamente
a risultati ben diversi anche in punto di prove, perché ad un procedimento
meramente indiziario, come era appunto quello a carico del Pacciani, è
subentrato invece un procedimento con tutto un ventaglio di prove, ivi compresa
la confessione piena e totale di un imputato.
Il presente procedimento è dunque
caratterizzato, per la parte che attiene agli ultimi quattro episodi di duplice
omicidio, da una doppia situazione, costituita dalla confessione di un imputato (il Lotti)
e dalla chiamata di correo, fatta dallo stesso Lotti, nei confronti dei suoi complici Pacciani Pietro e Vanni
Mario, quali esecutori materiali dei delitti.
Rispetto a quello dell’assassino
e relativo “palo” ipotizzato poco prima lo scenario si arricchisce, estendendosi
a un gruppetto di persone “in combutta tra loro e con ruoli diversi”. Tutto
questo grazie alla confessione di Giancarlo Lotti, la quale si inserirebbe
entro “tutto un
ventaglio di prove”. Vedremo che in realtà altre prove non esistono,
al massimo qualche indizio, perlopiù contro lo stesso Lotti, e dunque si può
tranquillamente affermare che senza quella confessione e, soprattutto, senza le
conseguenti accuse contro Vanni e Pacciani (“chiamata di correo”), l’intero
procedimento sarebbe caduto.
La chiamata in correità. Nel nuovo codice di procedura penale la
materia riguardante le accuse formulate da un imputato contro altri imputati
(generalmente suoi complici) viene regolata dal terzo e quarto comma
dell’articolo 192. In particolare il terzo comma così stabilisce: “Le dichiarazioni
rese dal coimputato del medesimo reato […] sono valutate unitamente agli altri
elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”. Con la
locuzione “altri
elementi di prova”, in modo implicito il codice assegna dunque valore
di prova, e non di semplice indizio, anche alla stessa chiamata in correità,
richiedendo però il sostegno di adeguati riscontri. Il legislatore intese così
scongiurare il pericolo che il coimputato accusasse falsamente altri per
alleggerire la propria posizione, senza per questo neppure commettere reati,
riconoscendogli il codice il diritto di difendersi anche a suon di bugie (il
semplice testimone, invece, può venire incriminato per falsa testimonianza).
Naturalmente i giudici del
processo ai “Compagni di merende”, almeno nelle intenzioni, vollero rispettare
appieno il dettato del terzo comma dell’articolo 192, il quale viene richiamato
espressamente all’inizio della sentenza:
le dichiarazioni accusatorie di un imputato,
per quanto credibile possa apparire e per quanto precise e dettagliate possano
essere le sue affermazioni, non sono di per sé sufficienti a portare ad alcuna
affermazione di responsabilità, né nei confronti dello stesso soggetto che le
ha rese né nei confronti di altri, se non sono accompagnate da “riscontri
esterni” ben precisi, che confermino l’attendibilità del soggetto […]. I
riscontri costituiscono, quindi, un punto molto importante in un processo
fondato su dichiarazioni di un imputato che, oltre ad accusare sé stesso,
accusa anche altri. Va peraltro precisato che i “riscontri” possono essere di
qualsiasi tipo e natura e devono essere comunque tali da confermare, nel loro
insieme, “la complessiva dichiarazione
concernente un determinato episodio criminoso, nelle sue componenti oggettive e
soggettive, e non ciascuno dei particolari riferiti dal dichiarante”, come
ha più volte ribadito sul punto anche la Corte di Cassazione con numerose
decisioni.
Sicché l’iter
da seguire, nella presente motivazione, è quello obbligato di cui all’art. 192
comma 3° CPP, che appunto stabilisce che, quando si verte in “dichiarazioni
rese da coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento
connesso”, la loro valutazione deve avvenire “unitamente agli altri elementi di
prova che ne confermano l’attendibilità”.
Il terzo comma dell’art. 192 CPP
è particolarmente importante e delicato, poiché importante e delicato è il tema
che affronta, che poi, nella pratica, è quasi sempre quello di un reo confesso che
trascina con sé i propri complici, esattamente come nel caso di Lotti. Essendo
affidata al giudizio umano, la valutazione dei riscontri richiesti dal codice è
sempre il punto debole dell’eventuale verdetto di colpevolezza. Naturalmente il
problema non si pone quando tali riscontri sono evidenti per loro natura, ma
molto più frequente è il caso in cui evidenti non lo sono affatto ma si reggono
soltanto assieme alle dichiarazioni del reo confesso, senza le quali rimangono
di modesta rilevanza. Non a caso la Corte di Cassazione, anche nella sua forma
più autorevole delle Sezioni Unite, è stata chiamata più volte a pronunciarsi
sul tema.
Nel frammento precedente la
sentenza richiama un pronunciamento della Sezione 1 (sentenza 6784 del 1992),
nel quale si discute della natura variegata dei riscontri, cui si richiede la
conferma del quadro complessivo del reato, e non soltanto di alcuni particolari
di esso. In conseguenza di questa raccomandazione, i giudici si ripromisero di
seguire una metodologia che ponesse detti riscontri al centro del loro lavoro;
ignorarono però un altro fondamentale pronunciamento della Cassazione, questa
volta a Sezioni Unite, contenuto nella sentenza 1653 del 1993 riguardante
l’assai noto e controverso caso Sofri-Marino, richiamato peraltro da Antonio
Mazzeo nella propria arringa (vedi),
nel quale si affronta il tema della credibilità del dichiarante:
[…] in tema di prova, ai fini di una corretta
valutazione della chiamata in correità a mente del disposto dell'art. 192 comma
terzo c.p.p. il giudice deve in primo luogo sciogliere il problema della
credibilità del dichiarante (confidente e accusatore) in relazione, tra
l'altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e
familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi
remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei
coautori e complici; in secondo luogo deve verificare l'intrinseca consistenza,
e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri
quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza,
della spontaneità; infine egli deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni.
L'esame del giudice deve esser compiuto
seguendo l'indicato ordine logico perché non si può procedere ad una
valutazione unitaria della chiamata in correità e degli "altri elementi di
prova che ne confermano l'attendibilità" se prima non si chiariscono gli eventuali
dubbi che si addensino sulla chiamata in sé, indipendentemente dagli elementi
di verifica esterni ad essa.
L’ammonimento dei giudici
intendeva mettere in guardia contro il pericolo che l’analisi dei riscontri
esterni fosse influenzata da eventuali menzogne del dichiarante, le quali, in
un circolo vizioso, avrebbero potuto dar loro valore per poi riceverlo ancora
indietro. Nel guardare a un evento avendo già in mente una sua interpretazione
(i racconti del dichiarante) è infatti ineliminabile il rischio di
sopravvalutare gli elementi favorevoli all’interpretazione stessa, la quale
quindi deve essere ben analizzata prima di procedere. Per questo motivo i
giudici della Cassazione richiesero che in
primis venisse valutata sia la credibilità del dichiarante di per sé, sia
la credibilità del suo racconto (“intanto vediamo la persona, poi vediamo cosa ci dice”,
sintetizzò efficacemente Mazzeo), per passare infine ai riscontri esterni. Ma
la sentenza contro i “Compagni di merende” non segue affatto quest’ordine
logico, e non affronta in modo organico né il tema della credibilità di Lotti
né quello della credibilità del suo racconto. Al contrario, dedica tutti i
propri sforzi ad approfondire i riscontri, traendone poi profitto nella parte
finale per dimostrare che Lotti avrebbe detto la verità: “L’imputato Lotti Giancarlo, per i quattro
duplici omicidi ai quali ha partecipato ed ha assistito come complice e come
“palo”, ha indubbiamente detto la verità sugli episodi, perché le sue
dichiarazioni hanno trovato precisi riscontri probatori”. In
sostanza i giudici che condannarono Vanni commisero proprio l’errore che i loro
più autorevoli colleghi della Cassazione avevano raccomandato di evitare.
Intrinseca credibilità di Lotti. Che cosa si sarebbe potuto
concludere analizzando preventivamente la credibilità di Giancarlo Lotti, e
quindi senza tener conto di eventuali riscontri esterni? Parlare di “precisione”,
“coerenza”,
“costanza”
e “spontaneità”
riguardo le sue dichiarazioni non è proprio possibile, e neppure i giudici, che
pure in base a esse condannarono Vanni, si sentirono di farlo. E allora,
una volta preso atto dell’imprecisione, dell’incoerenza, dell’incostanza e
della non spontaneità delle dichiarazioni di Lotti, perché la sentenza le
ritiene valide?
Prima di entrare in “argomento”, giova
comunque premettere, ad inquadramento dell’intera vicenda, quanto ha dichiarato
il Lotti nella parte finale della istruttoria dibattimentale, quando,
rispondendo alle domande che gli sono state fatte in sede di esame e di
contro esame, ha finalmente chiarito la sua posizione, indicando il suo vero
ruolo di “palo” e il contributo che aveva dato così agli altri in occasione
della materiale esecuzione dei duplici omicidi […]
Con tali ultime dichiarazioni il Lotti ha
dunque abbandonato la linea difensiva del tutto assurda ed inverosimile seguita
fino ad allora, linea che mirava a far credere, in un primo momento, che era
stato soltanto un occasionale spettatore dell’accaduto (prime dichiarazioni) e,
successivamente, che aveva invece partecipato ai vari episodi di omicidio però
soltanto per costrizione del Pacciani (intermedie dichiarazioni).
Tale premessa appare dunque doverosa, non solo
ai fini di meglio “capire” la successione dei fatti, ma anche e soprattutto al
fine di meglio valutare la “credibilità” del Lotti, posto che le sue “prime” ed
“intermedie” dichiarazioni non sono sempre in linea con le “ultime” perché
allora il Lotti aveva avuto tutto l’interesse a dare una versione di comodo,
dalla quale risultasse la sua presenza sul posto ma non il ruolo realmente
ricoperto: si spiegano così alcune inesattezze o contraddizioni rispetto alle
dichiarazioni finali.
I giudici affermarono quindi che
nessun pentimento, nessun travaglio interiore aveva portato Giancarlo Lotti a
una confessione completa, ma il suo era stato un continuo tentativo di sminuire
le proprie responsabilità a suon di bugie, naufragato poco alla volta di fronte
alle contestazioni degli inquirenti. A una prima fase nella quale l’individuo
aveva cercato di accreditarsi come “un occasionale spettatore dell’accaduto”, ne
sarebbe subentrata una seconda di ammissioni giustificate da falsa “costrizione del
Pacciani”, e infine una terza, sviluppatasi durante lo stesso
dibattimento, dove Lotti avrebbe “finalmente chiarito la sua posizione, indicando il suo vero
ruolo di palo”. Viene quindi disegnato un tortuoso percorso in fondo
al quale, proprio in corrispondenza del dibattimento, si sarebbe comunque
giunti a poter contare su una piena affidabilità dell’individuo.
La ricostruzione dei giudici è
del tutto arbitraria e per nulla condivisibile. Si deve innanzitutto
riconoscere l’evidenza di un imputato che in dibattimento non aveva mai
abbandonato il tentativo di cercare attenuanti nelle minacce e nei ricatti a
suo dire subiti da Pacciani, tanto è vero che, durante le battute finali con
Mazzeo (vedi),
a domanda: “mi
scusi, lei aveva tanta paura di essere sputtanato che è diventato complice di
quattro duplici omicidi?”, con una grande faccia di bronzo ancora
rispondeva: “Mah,
se mi costringeva a anda' insieme, i' che facevo io?”. Quindi, a
confutazione di quanto dichiarato dai giudici, si può senz’altro affermare che
Giancarlo Lotti aveva mantenuto fino all’ultimo una tenace tendenza a minimizzare
le proprie responsabilità, seguendo una strategia della quale, peraltro, la
sentenza stessa si dichiara consapevole trattando della fase istruttoria:
Sarà questo l’atteggiamento tipico del Lotti,
che non si arrende mai di fronte a qualsiasi situazione e che, anche quando
ammette un suo coinvolgimento nella vicenda, cerca sempre di trovare una
giustificazione alla propria condotta, nella speranza di poter essere poi
dichiarato esente da censure almeno sotto il profilo psicologico.
E allora, con quale grado di
certezza si poteva sostenere che in aula Giancarlo Lotti si sarebbe deciso a
vuotare il sacco fino in fondo abbandonando il precedente tenace atteggiamento
contrario? Soltanto una deposizione chiara e coerente avrebbe potuto annullare
le perplessità dovute alle tormentate dichiarazioni rese in istruttoria, mentre
invece le risposte del presunto pentito erano sempre state confuse e
contraddittorie, tantoché la sentenza, che se ne riempie, deve quasi sempre
cucirne assieme degli spezzoni per ottenere qualche frase di senso compiuto. In
effetti l’estensore del documento fece un gran lavoro nello smontare e
rimontare con sfacciata disinvoltura l’immane guazzabuglio, ignorando le parti
meno convincenti e tenendo sempre la barra ben dritta verso l’obiettivo reale:
dimostrare la colpevolezza di Vanni e Pacciani.
Il ruolo di Lotti. Per Giancarlo Lotti l’accusa aveva chiesto 18
anni di carcere, i giudici gliene diedero ben 12 in più. Ma quale ruolo avrebbe
ricoperto secondo loro l’individuo all’interno della scalcagnata banda per
meritarsi una pena tanto severa, in pratica l’ergastolo, considerati i suoi
quasi sessant’anni d’età? Si ha la netta impressione che le responsabilità del
presunto pentito fossero state massimizzate allo scopo di renderne ancora più
incisive le accuse contro Vanni e Pacciani. Il discorso, insomma, pare questo:
se Lotti si è addossato reati tanto gravi da prendersi trent’anni di carcere,
perché avrebbe dovuto raccontar fandonie? Ma non pare che i reati ammessi da
Lotti fossero poi così gravi, anche perché a quello più grave di tutti, l’aver
anche lui sparato a Giogoli, i giudici non credettero, lo vedremo. Quindi alla
fine rimangono le due segnalazioni delle vittime di Scopeti e Vicchio e
soprattutto il ruolo di “palo” che a tutti i costi la sentenza vuole assegnargli.
In sede di esame o di contro esame, dichiarava dunque il Lotti: […]
f) che, in occasione della materiale
esecuzione dei quattro duplici omicidi, il suo ruolo era stato quello di “palo”, nel senso di stare semplicemente
fermo fuori dalla propria auto, ad una certa distanza dal luogo di esecuzione
dei delitti, senza fare alcun’altra attività, in modo da scoraggiare con la
propria presenza che eventuali altre coppiette, che fossero sopraggiunte in
auto, si fermassero lì o addirittura si avvicinassero al punto dove stavano
operando il Pacciani e il Vanni […].
Generalmente per “palo” s’intende
un malvivente che sta di vedetta per avvertire i complici dell’arrivo di
qualcuno. Ma il compito di Lotti sarebbe stato un po’ diverso: rimanere bene
in vista vicino alla propria auto per scoraggiare la fermata di altre
coppiette. Lui però non lo disse mai in modo chiaro e diretto, è la sentenza
che lo asserisce, affannandosi a trovarne conferma, delitto per delitto e con
forzature evidenti, in alcune sue frasi smozzicate. Ma è credibile che Vanni e
Pacciani avessero chiesto all’individuo di mettersi in evidenza sulle scene dei
crimini con il rischio di venire riconosciuto, e quindi costituendo un pericolo
anche per loro stessi? Insomma, secondo i giudici l’imprendibile assassino del
quale non era mai stata trovata una traccia sarebbe stato in realtà una coppia
di deficienti che a Scopeti, ad esempio, avrebbe parcheggiato la propria auto
davanti al luogo del delitto e avrebbe chiesto a un complice più deficiente
di loro di mettersi sulla strada a fingere di far pipì. È inevitabile
domandarsi come dei giudici di un tribunale italiano, alle soglie del 2000,
possano aver preso per buono uno scenario del genere. Alla fine, quindi, si
arriva alla conclusione che l’aver assegnato a Lotti quello strano ruolo di
“palo” è soltanto un espediente per giustificare la sua presenza sulle scene
dei crimini, la quale appare sempre artificiosa e inutile.
Vale infine una semplice
considerazione, con la quale però si taglia la testa al toro: se si danno per
buoni i suoi racconti delle varie dinamiche, prodighi di particolari sulle
modalità degli attacchi, si deve per forza collocare l’individuo a pochi metri
dalle vittime e con gli occhi puntati su di loro (non va dimenticato che era
sempre buio). Pertanto, quale ruolo di palo avrebbe mai potuto svolgere
Giancarlo Lotti in quelle condizioni?
Peraltro la Ghiribelli dice il lotti spiava nel momento in cui esercitava la professione proprio lì alla piazzola, la sua presenza li è verosimile nei giorni dell' omicidio ma come del resto anche pacciani, ricordiamoci che era il posto ove abusava della sperduto. In effetti quel ruolo di palo appare inverosimile, perché avrebbe dovuto farsi riconoscere, più verosimile se avesse usato la macchina per sbarrare l6accesso alla piazzola. Più in generale vi vedo la mano di diverse persone, in un quadro di insieme che coinvolge altri avvistamenti, vedi Fn a Vicchio e Ulisse a giogoli
RispondiEliminaMa se dovevano tener conto di tutti gli avvistamenti veri presunti e falsi, dovevano arrestare mezza Val di Pesa e buona parte del Mugello ... nn credo in più mani esecutori per un semplice motivo , il primo omicidio del 74 é stato commesso da una sola persona quindi il mostro é lui , dopo una pausa di 7 anni ricomincia con l escissioni , condividere questa patologia con un altra persona é già molto difficile addirittura con diverse persone pare impossibile... ma poi perché il mostro avrebbe coinvolto piú persone aumentando il rischio di farsi prendere ? Con diversè mani intendi dire , piú persone sui luoghi dei delitti , o ad ogni delitto un assassino diverso?
EliminaBah se pensiamo a una setta tipo quella di Charles Manson che massacrò anche Sharon Tate mi sembra abbastanza verosimile, vero è che in USA le condizioni sono molto diverse qui da noi. Se c'è una rete di complicità invece è più probabile crearsi alibi, proteggersi e via discorrendo. Ma poi che avrebbe dovuto farci FN a Vicchio se era di Perugia e in genere veniva a San Casciano che dista 70 km?? le dichiarazioni del Lotti in più punti sono palesemente false cionostrante è verosimile che ci sia stato sui luoghi dei delitti in qualche veste; non come palo come giustamente ha fatto notare il Segnini, almeno non in qualità di scacciacoppiette.
EliminaSarebbe da approfondire quanto disse al bar circa i due francesi visti alla piazzola il Lotti nei giorni antecedenti il delitto e che pare sia venuto a galla solo molti anni dopo in relazione all'omertosità che all'epca probabilmente esisteva a San Casciano
Ma la setta di Manson é una cosa completamente diversa , vivevano in un campeggio fatti come scimmie 24 h su 24 h completamente plagiati da Manson ... Le spedizioni di morte erano organizzate da Manson e le tracce di piú persone erano evidenti ... Nel caso del mostro nn ci sono tracce di piú persone sui luoghi dei delitti, con un arco temporale diverso tra gli omicidi, ed é palese che il mostro era uno solo lo dimostra il delitto del 74 ... poi lo stesso ricomincia nel 81 dopo di che può aver coinvolto un altro nn lo escludo a priori ( io Vedo il Pucci come mascotte sia Vicchio che a Scopeti nn dimentichiamoci che il Lotti lo portó a spiare Pia E Claudio , che ci facevano i 2 in quella piazzola ?)sul F.n avevo letto il libro la strana morte del dott. Narducci anni fá, mi é sembrato molto fantasioso, cmq sul Fn a Vicchio e a San Casciano lascio la risposta ad Antonio che ne sa molto piú di me...
RispondiEliminaSu Narducci che devo dire? E' stato una pura invenzione degli inquirenti, nel momento in cui la ricerca della fantomatica villa delle cerimonie esoteriche a San Casciano si rivelò un buco nell'acqua. L'esame delle date conforta questa interpretazione, ne tratterò in un futuro articolo.
EliminaE' strano anche che alcuine date di convegni di FN concordino con le date dei delitti e che stranamente la sua macchina sia stata avvistata a Vicchio nei giorni di tale delitto oltre a varie altre stranezze(forte congiuntivite a settembre, dichiarazioni strane di alcuni suoi amici)
Eliminaper ora tutto condivisibile; ma voglio proprio vedere dove andrai a parare :-)
RispondiEliminaAndrò a parare dove andresti anche tu, poichè sul fatto che Lotti raccontò un sacco di balle e sul fatto che i giudici che gli credettero fecero un pessimo lavoro siamo entrambi d'accordo. La divergenza è sui motivi per i quali Lotti mentì, ma non è questo il tema dei prossimi articoli, dove invece prenderò in esame i cosiddetti "riscontri", cercando di dimostrare che erano soltanto aria fritta.
EliminaIn questo momento mi pare che tutti noi, nel nostro piccolo (perchè tu non alimenti più il tuo ottimo blog?) dobbiamo sforzarci per far emergere l'enorme errore giudiziario che è stato compiuto condannando il povero Vanni (e Lotti come complice). Una volta che i media dovessero prenderne atto, si aprirebbero orizzonti infiniti, dove ognuno potrebbe senz'altro dire la sua.
Tra l'altro, sulla storia della coincidenza, hai mai pensato che un assassino in incognito potrebbe anche essere incuriosito da un suo 'collega' ed aver voglia di conoscerlo?
Ho un po' abbandonato la parte propositiva perché attualmente il dislivello di conoscenze tra chi ha a disposizione la documentazione e chi non ne dispone è troppo ampio. Quindi, aspetto che, tra libri e altri strumenti, escano delle novità. Purtroppo il tempo passa e l'età avanza. Si vedrà.
EliminaLA cosa strana di Lotti MDF da tutti considerato un bonaccione sarebbe quella come SK solitario di essere per me troppo determinato a uccidere, una delle poche cose che ha azzeccato il Filastò, diversamente per esempio da Zodiac ma anche da Jack the ripper, il MDF nion ha mai sbagliato un duplice omicidio anche a Baccaiano col fiato sul collo; si potrebbe fare anche magari un profilo socilogico e psicologico di Lotti, per vsempio si sa se aveva subito traumi da bambino? se sdua madre era alcolizzata e via discorrendo
EliminaLa madre era molto religiosa , il padre alcolizzato, era stato picchiato da bambino dalla madre quando lo vide nel letto con un' amichetta , prese degli schiaffi da una ragazzina xé l aveva palpeggiata , subi uno scherzo ed umiliazione abbastanza pesante in un ristorante sempre riguardo le donne ,son cose se vuoi minime ( chi nn ha mai preso uno schiaffo a scuola x aver palpeggiata una compagna? ) ma in una mente particolare e predisposta come era la sua può avergli lasciato dei traumi , se aggiungi l estrema difficoltà nel relazionarsi oltre che applicarsi con il sesso opposto anche da adulto puoi capire che dentro di lui covava parecchia rabbia...
EliminaGrazie. Il Segnini sicuramente ne saprà più di noi; io rimango convinto che anche il PAccuiani ci stia bene come papabile tra gli SK, se tgogliamo i 13 anni che si fece nel primo omicidio dall'età del primo presumibile delitto, 49 otteniamo un'età abbastanza simile a quella di altri SK che hanno operato sia in Italia che in USA, vedi esempio Zodiac che iniziò ad ammazzare sulla 35ina, 49-13=36. MA anche FC mi pare abbia un identikit mosto simile a quella di altri SK, per certi versi mi ricorda William Sickert anche lui dedito a realizzare quadri con donne in pose ambigue.
EliminaPer come ammazzava mi sembra più aderente all'identikit Pacciani di Lotti mentre per altri aspetti è quest'ultimo che prevale
Guarda io nn sono né un investigatore ne un psicologo , i primi sospetti su Lotti unico mostro li ho avuti leggendo compagni di sangue di Giuttari , all epoca nn avevo ne il computer ne internet , quindi ero rimasto alla tesi ufficiale , il capitolo su Lotti sulla perizia Fornari- lagazzi , quando lo stesso Lotti disse " a me sarebbe piaciuto andare con le ragazze , ma sono stato troppo chiuso e nn mi sono mai osato, le donne le ho avute perché le pagavo , CON LE ALTRE AVEVO PAURA , nn avevo confidenza " ... " La Gabriella mi diceva bravo bravo che invece nn era vero , bravo fino a un certo punto, ma nn come diceva lei, praticamente NN SONO MAI STATO CAPACE DI FAR GODERE UNA DONNA" ... Queste spontanee dichiarazioni le ho viste allora e tuttora vedo come una confessione involontaria del Lotti oltre che calzare a pennello con il profilo del mostro , peccato che il super poliziotto Giuttari nn c é arrivato... Il Pacciani e il Lotti erano estremamente all opposto , il primo nn aveva nessun problema nel approcciarsi con le donne anzi le dominava , era un violento e lo dimostrava in ogni occasione.. Il Lotti invece passava come un Bonaccione il grullo del villaggio, ma dentro covava il mostro ( mai avuto empatia e rimorsi x le vittime )
Eliminabravo...sei sulla buona strada...quello che non capisce il resto della "gente" e' proprio questo...la mano sul fuoco al 100% nessuno puo' mettercela...pero' tutti questi riscontri ..queste numerose coincidenze sulla figura di Lotti almeno un dubbio devono farlo venire non credi? invece si ignora il tutto e si attacca col la solita solfa degli ufo..dell'oligofrenia..etc etc..poi non c'e' solo la perizia Fornari-Lagazzi , giustamente come sottolineavi, c'e' anche l'attenta analisi ( e' sul tubo dura piu' di 8 ore ) del Procuratore Generale Daniele Propato sulle confessioni di Lotti...e' da faccia tosta negare le evidenze...il punto di vista di due persone puo' anche divergere , per carita' , ma non su riscontri oggettivi...purtroppo si preferisce dar retta alle fandonie uscite dalla bocca dei soliti straccapiazze di paese ....( straccapiazze = colui che non ha nulla da fare e se ne sta intere giornate al bar a farsi gli affari degli altri..spettegolando a dx e manca su tutto e tutti ...un vero telegiornale del paese )
EliminaConcordo.
EliminaNon capisco; sono io il primo che ammetto che ci sia una remota possibilità che Lotti sia il MDF. Dico che non mi convince per niente e che vedo molti più elementi di prova e indizi su Pacciani nonchè su alcuni oscuri personaggi che possono essere entrati in contatto con tale soggetto.
RispondiEliminaPrimo: l'identikit del MDF non c'entra niente con Lotti, il personaggio visto a Calenzano era il MDF o legato ad esso; se fosse stato un guardone scappato a gambe levate allora avrebbe visto qualcosa e quindi nel giro di qualche anno o decennio probabilmente avrebbe parlato, parliamo poi di Calenzano un luogo abbastanza distante da San Casciano ove è presumile ma quasi certo regnasse una certa omertà, ma tantopiù se era legato al mondo dei guardono qualcuno lo avrebbe riconosciuto. E' quasi certo quindi che quello fosse il MDF e non era Lotti.
secondo: la lettera a San Piero a Sieve, non si capisce come Lotti avrebbe potuto conoscere tale luogo come quello di villeggiatura della Della Monica
Terzo: le escissioni, proprio a Calenzano Maurri parla di precisione quasi chirurgica, leggetevi il blog Calibro 22 , anche qui siamo di fronte al fatto che un Pacciani cacciatore scuoiatore quasi certamente nato col fuxile in mano è certamente più veromile MDF di Lotti
Quarto: Lotti non prova rimorso per le vittime; questo mi pare un'altra eviodenza di un qualcosa di superiore ai CDM che scaricano probabilmente la colpa su qualcun altro.
Per me Lotti era entrato in un giro molto pericoloso in cui probabilmente fungeva da anello di collegamento per altri personaggi e magari vi era entrato giocoforza per avere assistito ad uno dei delitti
É difficile dire se l uomo dell identikit era o no il mdf , a mio parere era un guardone che ha assistito al delitto o ha trovato i corpi appena dopo , me lo fá pensare il suo volto terrorizzato e l andatura in macchina xé il mostro avrebbe avuto un volto terrorizzato x un azione che lo esaltava e soddisfava? ??, se nn ha parlato magari é x nn entrare nelle indagini o x paura , in altri omicidi qualcuno poteva aver visto e nn ha mai parlato , incredibile che quel tizio nn é stato rintracciato con un identikit preciso e con la descrizione del modello e colore della macchina ... nn credo che in Toscana c erano milioni di alfa gt rosse... sul posto di villeggiatura della Della Monica potrebbe averlo letto sui giornali , il quel caso anche il Pacciani avrebbe avuto lo stesso problema di come fare a sapere il luogo di villeggiatura.... sull escissione quasi chirurgica nn so che dire , sarebbe stato in grado il Lotti ??? Non lo so , in questa storia di dubbi c'è né sono parecchi
RispondiEliminaSegnini, ho posto questa domanda su un altro forum , ma non mi è stata data ancora risposta, quindi la riformulo qui: ok, le figlie di Pacciani vivevano da recluse e forse non sapevano molto di quello che succedeva fuori, però immagino che almeno fossero a conoscenza dei delitti del mostro, che ne avessero sentito parlare, magari leggendo di sfuggita il giornale o vedendo un servizio alla TV. Mi chiedo allora se siano mai state interrogate in maniera approfondita dagli inquirenti su dove fosse il padre le notti dei delitti. Non dico di tutti i delitti ovviamente, perché nei primi anni 80 erano molto piccole, ma almeno negli ultimi due, quando erano ormai adolescenti e potevano senz'altro ricordare qualcosa. Tra l'altro mi sembra che non avessero certo intenzione di coprire il padre, visti i racconti minuziosi di stupri e sevizie subite dal vampa, che una delle due rese durante il processo.
RispondiEliminaNon si ha notizia di occasioni ufficiali in cui alle poverette furono poste domande di questo tipo. Il che non vuol dire che l'argomento non fosse stato affrontato in occasioni non ufficiali.
EliminaCome ci racconta lui stesso nel suo libro, Ruggero Perugini e compagni andavano quando volevano a trovare a casa le due ragazze e la madre. Ecco un passo molto significativo:
Il 31 maggio, la domenica pomeriggio, decidiamo di andare a Mercatale per parlare con Rosanna e Graziella. Ho scelto il dì di festa perché così le possiamo trovare tutte e due.
Ci fermiamo lungo la strada per comprare del gelato, ma non è per questo che sembrano contente di vederci, poverine. Tutti noi vogliamo loro bene e probabilmente lo sentono, non sono abituate alla gentilezza degli uomini.
Massima ipocrisia, come si vede, e totale disprezzo per i più elementari diritti dell'indagato. Per la cronaca, in quel caso furono trovati gli stracci che combaciavano con quello arrivato per posta assieme alla famosa asta guidamolla. È evidente che, in occasioni simili, le due furono interrogate più volte anche sull'argomento che hai affrontato, ma senza alcun risultato, è logico, poichè Canessa si guardò bene dal formulare domande del genere in sede processuale.
Quel che le due ragazze pensavano riguardo il coinvolgimento del padre nella vicenda del Mostro si può arguire da qualche articolo di giornale. "Ne ha fatte tante, ma questa no, lui non è quello che dite voi", aveva gridato Rosanna ai giornalisti al momento dell’arresto, e un mese dopo la sua deposizione (“Il Corriere della Sera”, 24 giugno 1994): "Il babbo ci ha fatto delle brutte cose, a me e a mia sorella. Ma, credetemi, sono sicura che non e' lui il mostro".
Perugini, indubbiamente, è retorico ma non credo sia stato ipocrita. Mi pare che la vicinanza alle povere ragazze sia in linea con la sua vocazione sociale (in ambito cattolico). Anche dal punto di vista professionale non è un male la vicinanza umana nei confronti di vittime di orribili abusi. Detto questo, gli stracci in cui era avvolta l'asta guidamolla, non si capisce come potessero essere nella disponibilità di Pacciani. Erano invece nella disponibilità delle figlie di Pacciani e di chi frequentava la casa, come Perugini e gli altri della sua squadra.
EliminaIl comportamento di Perugini che con il gelato sottobraccio va a cercare prove contro Pacciani in casa delle figlie è sleale, e ipocrita è il tentativo di farlo passare per un'opera di bene. Le due ragazze non avevano alcun interesse a far condannare il padre come Mostro, sia per il rischio di veder sparire i suoi soldi, che sarebbero dovuti diventare loro, sia per una questione interiore e anche d'immagine verso l'esterno. Chi avrebbe avuto piacere dall'essere considerato figlio del Mostro?
EliminaTra l'altro la legge dava alle due, visto il loro grado di parentela con l'imputato, la possibilità di non testimoniare. Ne furono rese consapevoli? Ne dubito molto. Si preferì portarle in aula a mostrare a tutti il loro fardello di disgrazie, con tanto di orribili interventi a base di cetriolini.
E' un comportamento sleale nei confronti di Pacciani, senza dubbio. Sull'ipocrisia invece ho qualche dubbio; chiunque, credo, userebbe un approccio umano nell'avvicinare chi ha subito tanto e da un genitore. Ha approfittato di un rapporto umano realmente sentito per colpire quello che credeva essere il mdf e che sapeva essere stato una bestia disumana con la moglie e con le figlie. Troppo coinvolto lo era certamente ma forse non ipocrita.
EliminaLe figlie molto probabilmente erano sicure che il padre non fosse il mostro ma pare non gli dispiacesse l'idea di vederlo nuovamente al gabbio.
Pacciani ha rifiutato di sottoporsi a perizia. Se lo avesse fatto, le sue pratiche parafiliache sarebbero state maggiormente interessanti perché potevano essere collocate in uno scenario. Suppongo sia per questo che sono apparse superflue e urtanti, senza ratio. E' un argomento che nel complesso merita di essere approfondito.
Ok, grazie molte. Questo è interessante, perché le due ad un certo punto hanno tagliato tutti i ponti col padre orco e non avrebbero avuto certo remore ad incastrarlo.
RispondiEliminama non credo ci si possa ricordare di dov'era un proprio congiunto in un determinato giorno di tot anni fa, se non avendo già all'epoca un serio sospetto di un suo coinvolgimento; solo in tal caso le figlie ci avrebbero fatto attenzione.
RispondiEliminaVado a memoria, però mi sembra che la serata della festa dell'Unità della domenica di Scopeti se la fossero ricordata. In ogni caso certi particolari difficilmente sfuggono alle donne di casa, tutti noi maschi che siamo o siamo stati sposati dovremmo saperlo. Tra l'altro,a mio giudizio, questo è uno dei numerosi motivi che rendono la figura di Salvatore Vinci poco plausibile come sospetto Mostro.
EliminaProprio perché le due ragazze non avevano nessun interesse a far condannare il padre come mostro, sia per i soldi sia soprattutto per la vergogna che ne sarebbe derivata, quale valore possono avere le dichiarazioni rese ai giornali sulla sua innocenza?
RispondiEliminaConcordo sul fatto che le figlie di Pacciani non avessero alcun interesse a far condannare il padre come Mostro di Firenze. Si trattava però di persone semplici, indotte da un odioso lavoro di placcaggio a fornire prove contro il padre. Basti pensare alla storia degli stracci che consegnarono ingenuamente. Ebbene, con tale lavoro di placcaggio non si riuscì a estorcer loro alcuna dichiazione che potesse far immaginare un coinvolgimento del padre nella vicenda del Mostro. Possibile che non avessero mai notato un suo ritorno con i vestito sporchi di sangue? O questi vestiti messi a lavare?
EliminaAntonio scusa ma faccio un pò di confusione: in questa sentenza ed anche in quella definitiva della Cassazione i giudici ci credono o no alla storia del dottore? A me pare di capire di no.
RispondiEliminaIn questa, di primo grado, sono possibilisti, chiedendo al PM d'indagare. E infatti Giuttari se ne gloria. In quella di secondo grado, invece, non ci credono. La Cassazione non affrontò l'argomento.
EliminaSolito casino... In una trasmissione di un noto Mostrologo si afferma che a casa Pacciani fu trovato un foglio indirizzato a Paolo Canessa con scritto piazza san Firenze e republica. Ti risulta? Ah, grazie come sempre, un saluto.
RispondiEliminaA me non risulta.
Eliminasarebbe stato sequestrato il 2 giugno 1992 insieme al portasapone, al blocco e molto altro. Notizia de relato (ma affidabile; però non ho il verbale). Non capisco neppure cosa dimostri, comunque.
EliminaPer i Paccianisti moltissimo, mi sembra strano però che non sia uscito al processo. Omar che vuol dire affidabile?
RispondiEliminaChe Pacciani scriveva Republica con una b? Come milioni di italiani non scolarizzati? Glielo aveva già fatto scrivere Perugini con un trucchetto, come racconta nel suo libro.
EliminaSu quello la pensiamo uguale. Però non sarebbe inquietante se fosse esistito davvero un foglio che lui voleva spedire a Canessa?
RispondiEliminaperchè ed in cosa "sarebbe inquietante"[cit]?
RispondiEliminaNon che io sia paccianista... ma chi lo è collega questo biglietto a quelli mandati agli inquirenti. Tu Hazet lo sai se è esistito questo biglietto?
RispondiEliminaMa certo che è esistito, ne parlano Canessa e Perugini durante la deposizione dell'ex capo della Sam nel primo processo Pacciani. È uno dei tanti documenti sequestrati in casa di Pacciani. Dobbiamo mettere in dubbio anche questo? Non capisco.
Elimina@Il Collega
Eliminaè cosa nota e stranota; non posso quindi che riconfermare quello che già han risposto Omar e Tano (e ascoltabile negli audio delle udienze su RR, leggibile anche su IdP, e pure ne "La Leggenda del Vampa" di G.A., etc etc)
Per la precisione, l'appunto era scritto su blocchetto per i verbali per le violazioni della legge sulla caccia.
Ignoto continua invece ad essere perchè tale appunto dovrebbe essere "inquietante" o in che modo e per quale ragione dovrebbe essere un "indizio/sospetto/elemento" a carico del PP.
Non credo che fosse nota stranota questa cosa perché non lo sapeva nemmeno Antonio. Per il resto questa domanda valla a fare a Marco Aufiero.
RispondiElimina@il collega
Elimina1) "Non credo che fosse nota stranota questa cosa perché non lo sapeva nemmeno Antonio."[cit]
Non ha la minima importanza se dei singoli, X o Y o Z, si ricordino o meno un particolare: rispetto al fatto che la notizia sia ben nota e a pubblica disposizione da anni e anni.
2) "Per il resto questa domanda valla a fare a Marco Aufiero."[cit]
E perchè mai?
Sei stato TU, QUI, (e non "Aufiero", dove: boh!) a scrivere:
"Però non sarebbe inquietante se fosse esistito davvero un foglio che lui voleva spedire a Canessa?"
[cit - Il Collega - 7 novembre 2021 01:13].
Ho quindi correttamente posto (già 2 volte, entrambe senza risposta esplicativa) la domanda ha chi, qui, ne ha proposto il concetto di "inquietante"[cit].
///PS:
il "foglio" (come già detto e facilmente verificabile) non era un "foglio", ma un blocchetto per le contravvenzioni per violazioni di leggi sulla caccia.
Difficilino che volesse spedire quello.
Più normale invece ipotizzare che su quello PP avesse semplicemente preso l'appunto (magari, ad esempio, ascoltandolo da un tg o avendolo letto da un giornale) avendolo a prima portata di mano mentre apprendeva la info.
Hazet, come sempre 'parlammo e non ci capimmo'. Chi pensa che sia stato Pacciani (e quindi non io) vede in questa coincidenza un indizio inquietante e delle volte bisogna anche sforzarsi di capire il punto di vista di chi non la pensa come noi. Inoltre io continuo a notare una certa ipocrisia da parte tua: dimmi un po' se anche in questo caso sostituissimo il cognome Vinci con Pacciani. E non glissare, grazie.
RispondiElimina@ilcollega
RispondiElimina1) "inquietante", secondo te e/o secondo i paccianisti, come e in base a cosa?
- motivazione per l'ennesima volta che non espliciti.
Ne prendo nota.
2) aridaje col SV !!! ma ci stai proprio in fissa, eh!
2.1) stiamo discutendo di un appunto sequestrato al PP, anni dopo che la serie delittuosa della cal.22 era già finita e notoriamente la lettera già spedita dal mdf alla Della Monica;
2.2) Non stiamo discutendo di un appunto trovato a casa di altri (SV, Y, Z), anni prima che il delitto del 1985 concludesse la serie e il mdf inviasse un lembo della VF alla della Monica (e ovviamente prima pure dell'esito della consulenza peritale grafologica della Dr.ssa Cordella sulla lettera "in me la notte non finisce mai...")
2.3) dove ho mai detto o scritto che:
l'appunto "magiore Toriso..." (che ha tutta altra genesi per motivi anche solo temporali, ma non solo) sarebbe: un indizio "inquietante"[cit]???
2.4) Per quello che riguarda il SV (come chiunque altro mr X) e l'appunto "Magiore Toriso..." (o qualunque altro appunto di quel genere Y) è ovvio che simile elemento debba essere analizzato (e dunque 'spiegato' nel suo aver/non aver valore e/o quale).
Meglio se lo si fa non con un mono-aggettivo non definito, ma con articolati ragionamenti a partire da eventi anteriori e posteriori (ed ancor più oggi, dopo il lavoro della Cordella!).
Io di mio (quel del "magiore Toriso...")l'ho valutato come un elemento che può essere usato solo come corroborante (ossia che si incastra senza problemi) in una già per altri elementi 'determinata' condizione (quella di una ipotetica colpevolezza), ma che in sè, di ipoteticamente indiziario verso una colpevolezza nulla offre di ricavabile come elemento in sè.
[*N.B.: ovviamente, una analisi dettagliata punto punto in merito, non te la riporto qui perchè troppo lunga e soprattutto troppo fuori luogo rispetto al topic]
E' un risconro che non ha problemi ad incastrarsi come tessera di puzzle, ma non è un cavallo di razza su cui puntare a priori nè è un elemento che genera di per se stesso successivi indizi.
Come vedi:
"non glisso"[cit], rispondo, non tiro in ballo altri nomi o vicende quando discuto di qualcosa, e non uso due metri e due misure nelle valutazioni (e nemmeno ti dò gratuitamente dell' "ipocrita").
Altri (chissà chi!?) possono dire lo stesso?
Ok Hazet, grazie della risposta.
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