La parte di gran lunga più
corposa della sentenza di primo grado che condannò Mario Vanni all’ergastolo e Giancarlo Lotti a trent’anni è quella che prende in esame, uno per uno e in
ordine temporale inverso, i cinque duplici omicidi per i quali i due risultavano
imputati (il lettore già lo saprà, ma è bene rammentare che dei primi tre,
Signa, Borgo e Scandicci, nulla si disse, poiché nulla Lotti aveva detto di saperne).
Si tratta di cinque veri e propri capitoli, ognuno dei quali viene suddiviso in
quattro paragrafi (nel caso di Calenzano il quarto paragrafo è assente):
[…] per ciascun episodio di duplice omicidio
[…] l’esposizione avverrà riportando prima il “fatto storico” con l’esito dei primi accertamenti, poi le “dichiarazioni” del Lotti, quindi i “riscontri” che possono essere colti
negli atti del processo e da ultimo la “valutazione
dei riscontri”, sia in relazione agli omicidi in sé ed alla posizione del
Lotti […], sia in relazione alla posizione delle persone accusate dallo stesso
Lotti.
Cercheremo di evidenziare le
principali incoerenze di ogni capitolo, cercando soprattutto di ragionare sui
“riscontri esterni” che, agli occhi dei giudici, avrebbero confermato le traballanti
ricostruzioni di Giancarlo Lotti. La sentenza ne sistematizza ben 22: 7 per
Scopeti, 6 per Vicchio, 4 per Giogoli, 3 per Baccaiano e 2 per Calenzano. In
questo articolo vengono esaminati i 7 per Scopeti.
Primo riscontro
Presenza agli
Scopeti, nella notte del delitto, della FIAT 128 coupè rossa, all’altezza
dell’imbocco della stradina sterrata che porta alla piazzola del delitto.
Il primo dei sette “riscontri
esterni” è l’avvistamento dell’auto di Lotti da parte della Ghiribelli, vero
punto d’inizio dell’intera indagine. In questo blog se ne è già trattato in
modo approfondito (vedi),
giungendo alla conclusione che, con ragionevole certezza, quella domenica
davvero Lotti e Pucci si erano aggirati sotto la piazzola con la Fiat 128 rossa
del primo. La sentenza però ignora completamente la testimonianza dei coniugi
De Faveri-Chiarappa, per una sosta al pomeriggio i cui contorni avrebbero
meritato un necessario chiarimento. Peraltro Pucci e Lotti l’avevano ammessa,
ma tra le dichiarazioni dei due c’erano delle discrepanze, poiché il primo
aveva detto d’essersi avvicinato con l’amico alla tenda per spiare la coppia
che faceva all’amore, mentre il secondo aveva raccontato di una semplice sosta
accanto alla strada asfaltata, dove i due si sarebbero limitati a parlare tra
di loro (a domanda del suo avvocato: “Si fermò alla piazzola dove c'era la tenda?”,
Lotti aveva risposto: “No, mica lassù, lì sulla strada”). Non era una
differenza da poco, e di sicuro andava approfondita. In ogni caso entrambe le
versioni erano inconciliabili con la testimonianza dei coniugi, della quale non
c’era alcun motivo di dubitare. Perché Lotti si sarebbe collocato in bella
evidenza davanti al luogo dove, a suo dire, sapeva che la sera sarebbe stato
compiuto un omicidio al quale anche lui stesso avrebbe dovuto partecipare? Per
di più per un tempo lunghissimo, ore e ore, che però non aveva ammesso.
Infatti, a domanda di Curandai, “quanto tempo vi siete intrattenuti?”, aveva
risposto: “insomma,
a parlare lì, il tempo passava. Un so il preciso quanto. Un'ora o più... un è
che abbi guardato per bene l'orologio”.
Evidentemente su quella domenica
pomeriggio Giancarlo Lotti aveva qualcosa da nascondere. Secondo le istruzioni
ricevute, a suo dire, da Vanni e Pacciani avrebbe dovuto farsi trovare sul
posto alla sera, mentre per la visita del pomeriggio aveva dato l’improbabile
spiegazione che voleva far vedere le prossime vittime all’incredulo Pucci. Se
si stava accusando di una partecipazione inesistente forse la sua presenza
sotto la piazzola era stata causata da semplice, anche se insana, curiosità.
Sappiamo che i due francesi erano già morti: Lotti e Pucci avevano visto i
corpi e volevano assistere al loro ritrovamento? O forse non erano loro i due personaggi descritti
dai coniugi (ma questo a chi scrive pare da escludere, dati i troppi elementi
coincidenti). Oppure Lotti qualcosa con il delitto aveva avuto a che fare, ma
con modalità differenti da quelle confessate? In ogni caso appare di una
gravità estrema il fatto che i giudici avessero evitato di affrontare la
questione. Ai coniugi in aula non era stato neppure chiesto se nei due
individui visti accanto all’auto rossa avessero ravvisato la fisionomia di
Lotti e Pucci. Un argomento che del resto non aveva interessato neppure la
difesa di Vanni, che più tardi si sarebbe impegnata allo spasimo nella perdente battaglia per dimostrare che
Lotti non guidava più la 128 rossa al momento del delitto.
Sulle attività di Giancarlo Lotti
attorno alla piazzola prima della domenica sera c’era un altro inquietante
elemento da valutare, ma anch’esso fu del tutto ignorato dai giudici. La
sentenza sostiene che l’individuo aveva dato il proprio volontario contributo al
delitto “indicando
la presenza della tenda in quella zona e quindi la “coppia” di giovani da
colpire (come da sue stesse ammissioni)”. Ma nulla dice delle
incredibili modalità con le quali sarebbe venuto a saperlo. Questo risulta dal
verbale del suo interrogatorio dell’11 marzo 1996 (vedi):
Tre o quattro giorni prima di questo delitto,
mi trovavo al bar Centrale di San Casciano e sentii gli avventori che parlavano
di una tenda e di una macchina che si trovavano nella piazzola degli Scopeti.
La gente si meravigliava e diceva che era pericoloso stare lì e ricordo anche
che i carabinieri di pattuglia dicevano agli avventori che avevano fatto
presente a quella coppia di andare via perché era pericoloso. Si diceva anche
che quella coppia voleva trovare una pensione per stare e non trovando posto si
erano accampati lì.
Scontrini per consumazioni alla
mano, da molto tempo ormai è già stato dimostrato da Vieri Adriani che i due francesi erano
arrivati a San Casciano soltanto il venerdì pomeriggio, quindi, anche
nell’ipotesi che il delitto fosse avvenuto di domenica, i conti con i “tre o quattro
giorni prima” di Lotti non tornano. Ma se anche i giudici di
scontrini non sapevano o non volevano sapere nulla, pare comunque incredibile
che non avessero approfondito la questione dei carabinieri che avrebbero
avvertito la coppia del pericolo. Se l’episodio fosse accaduto davvero, i
militari certamente non avrebbero mancato di raccontarlo agli investigatori una
volta uscita la notizia del duplice omicidio. Ma nulla risulta dagli atti emersi,
ed è ragionevole immaginare anche da quelli non ancora emersi, considerata
l’importanza del fatto, e neppure dai resoconti dei giornali. Quindi il
racconto di Lotti era falso, e i giudici, ignorandolo, evitarono di chiedersi
il perché di una frottola della quale, a badar bene, il presunto pentito
neppure avrebbe avuto bisogno per la propria strategia difensiva. E allora,
perché l’aveva raccontata? E che cosa c’era dietro quella sua strana ammissione
non richiesta (“La
sera prima dell'omicidio sono passato agli Scopeti da me”) pronunciata
di fronte a Vigna l’11 febbraio 1996?
Secondo riscontro
Presenza dello
stesso Lotti, in quella notte, lungo la stessa stradina sterrata che porta alla
piazzola del delitto.
In base a quali prove la sentenza
dà per dimostrata la presenza di Lotti lungo la via d’accesso alla piazzola la
domenica sera del delitto? “Lo ha riferito il teste Pucci Fernando”, scrissero
i giudici. Nient’altro. Il lettore è invitato a scorrere la deposizione di
Pucci (6 ottobre 1997, vedi)
per rendersi conto dell’assoluta inaffidabilità del testimone, del tutto
dimentico delle dichiarazioni a lui attribuite in istruttoria ma pronto a
confermare ogni verbale che gli veniva contestato (approfondiremo in un
prossimo futuro l’importante argomento). In conseguenza di ciò, con un
imbarazzato intervento a denti stretti il PM si era detto pronto a
riconsiderarne la posizione, dando a intendere che i suoi vuoti di memoria
potessero nascondere responsabilità maggiori. Naturalmente non era accaduto
nulla, poiché all’accusa Pucci faceva comodo come testimone, non certo come
imputato, e in quanto testimone la sentenza poté sfruttare appieno ciò che
aveva detto e soprattutto ciò che essa stessa gli fece dire, valutando le sue
parole come il più importante dei riscontri esterni a quelle di Lotti.
L’auto era quella del Lotti ed a dirlo è stato
invece Pucci Fernando, che quella sera era insieme a lui e che si era lasciato convincere
ad andare agli Scopeti per via del fatto che non credeva che ci sarebbero stati
quella notte due omicidi nella piazzola dove c’era la tenda. Pucci Fernando
costituisce quindi un “teste oculare” di rilevante importanza, per essersi
trovato lì in quella situazione senza alcuna implicazione o partecipazione al
delitto e per essere stato ivi presente soltanto per verificare, una volta per
tutte, se il Lotti diceva la verità in ordine agli omicidi ai quali diceva di
assistere per curiosità. Infatti, la totale “buona fede” del Pucci trova
conferma nel fatto che costui, una volta risalito in macchina col Lotti per far
ritorno a San Casciano, voleva andare immediatamente dai Carabinieri per
riferire l’accaduto, venendone però dissuaso subito dal Lotti […]
La faziosità della sentenza
raggiunge qui uno dei suoi massimi. Dato per buono lo scenario da loro
ricostruito, come potevano esser sicuri i giudici che Pucci fosse andato
assieme a Lotti soltanto per una bambinesca verifica e che non gli fosse stato
assegnato invece un ruolo attivo, magari dallo stesso Lotti? A escludere
questa eventualità c’erano soltanto i loro racconti, peraltro disallineati per
alcuni aspetti non secondari, e i due potevano aver avuto tutto l’interesse a
costruire una verità di comodo, attenuando l’uno le eventuali responsabilità dell’altro.
Rimane comunque il fatto che Pucci avrebbe svolto davvero un ruolo attivo
quando, a suo dire, era rimasto di fianco all’auto di Lotti mentre questi si
trovava sulla piazzola a curiosare e quindi rimpiazzandolo come “palo” (nell’accezione,
intesa dai giudici, di deterrente per l’arrivo di altre coppie). Per la
sentenza si sarebbe trattato di un ruolo inconsapevole per lui ma non per
Lotti, il quale lo avrebbe portato con sé proprio per quel motivo (“per accrescere la
forza dissuasiva nei confronti di possibili coppiette”). È evidente
l’interesse dei giudici nel mantenere a tutti i costi Pucci nella posizione di
puro testimone, e poter così sfruttare appieno le sue parole per dar valore a
quelle di Lotti, mentre da imputato ciò non sarebbe stato possibile. Vale la
pena notare che anche Lotti era parso avere tutto l’interesse a scagionare il
vecchio amico quando era intervenuto, con sospetta solerzia, a dargli manforte in
uno dei momenti di difficoltà durante la sua traballante deposizione. Parte
Lotti: “No, per
le cose che... le ho dette io a Fernando”; raccoglie Pucci: “Me l'ha dette tutte
lui queste cose”; ribadisce Lotti: “Quelle cose che successero, le ho dette io a
Fernando”. Insomma, pareva proprio un bel duetto tra lestofanti.
Allo stesso modo non c’era alcun
motivo per credere che davvero Pucci avesse voluto andare dai Carabinieri a
denunciare il fatto, dimostrando in questo modo addirittura una “totale buona fede”,
poiché ad asserirlo erano stati ancora e soltanto lui e Lotti. Piuttosto
rimaneva gravissima la sua mancata denuncia, durata dieci lunghi anni durante i
quali avrebbero potuto verificarsi nuovi delitti. In più, interrogato dalla
Polizia, non aveva vuotato il sacco immediatamente, ma come Lotti aveva cercato
di far apparire del tutto casuale la sosta a Scopeti. Quindi, sempre dando per
buono lo scenario sposato dalla sentenza, era lecito sospettare che in quel
frangente Pucci non dovesse aver avuto una coscienza troppo pulita, e con la
sua reticente deposizione in aula aveva dato adito a più di un dubbio che non
se la fosse lavata neppure dopo. Ma i giudici chiusero occhi e orecchie e
fecero finta di nulla, raggiungendo questa sorprendente convinzione:
Pucci Fernando è quindi un soggetto pienamente
credibile, per non aver avuto alcuna cosciente partecipazione al delitto, per
aver saputo ribadire l’accaduto anche in dibattimento, con un linguaggio
semplice e comunque tale da farsi ben capire (pur trattandosi di persona che ha
fatto appena la 5 elementare) e per aver infine mostrato un “profondo
rammarico” per il fatto di avere in tanti anni taciuto per paura e per aver
quindi coperto, con tale suo comportamento, l’operato del Lotti e dei suoi
complici per gli omicidi di Scopeti […]
Dunque Pucci avrebbe mostrato un
“profondo
rammarico” per aver taciuto, questo scrissero i giudici mettendo
addirittura la locuzione tra virgolette a sottolinearne il peso, ma non si
comprende da quali sue parole lo avrebbero desunto. Scorrendone la deposizione
non si riesce a rintracciare alcuna traccia di rammarico, anzi, della sorte dei
due francesi a Pucci non era importato nulla, si era soltanto preoccupato di
possibili conseguenze per sé stesso. E infatti, a domanda di Filastò: “E il fatto che
qualcuno poteva essere rimasto ferito e c'era bisogno di aiuto, non le passò
nemmeno per la testa?”, aveva risposto secco: “No”. Del resto sono molti i casi in
cui la sentenza attribuisce all’individuo concetti non espressi e frasi non
pronunciate, come del resto, e su scala ben maggiore, lo fa anche per Lotti. Con Pucci
l’estensore si trovava di fronte a un’operazione più difficoltosa, poiché
l’individuo non aveva detto quasi nulla, ma non si perse d’animo per questo, e
pescò anche nelle frasi pronunciate da altri. Ad esempio, per quanto riguarda
la mancata denuncia ne sarebbero state causa le minacce ricevute dagli
assassini, e la sentenza così lo fa spiegare a Pucci: “… io volevo andare dai Carabinieri per questo
fatto… feci lo sbaglio … a non andare da solo… avevo paura perché (mi) avevano
minacciato…”. Ma non era stato Pucci a parlare di paura per le
minacce, era stato il PM, come dimostra lo spezzone di dibattimento a partire
dal quale era stata costruita la frase:
Pucci: Io volevo andare
dai Carabinieri per questo fatto. Dice lui: 'no, io non vengo', e allora un
andai.
PM: Perché non ci andò
da solo, lei?
Pucci: Mah... Feci lo
sbaglio lì, ecco, a non andare da solo. Glielo dico proprio... Ecco.
PM: Aveva paura di
loro perché lo avevano minacciato?
Pucci: Sì, eh, se l'era
la paura, chi lo sa? Sa...
PM: Aveva paura che
non la credessero, non lo so.
Pucci: Ecco. Può essere
stato anche quello lì, perché io dissi: 'se ho a andar solo, mi sembra una
cosa...' non so, capito?
Come si vede Pucci neppure aveva
raccolto il suggerimento del PM, per il quale, a dire il vero, quello era stato
soltanto uno dei numerosi tentativi di portarlo sulla strada della paura per le
minacce ricevute da Vanni e Pacciani. In ogni caso il perché non andò dai
Carabinieri a raccontare quello che sapeva lo avrebbe poi spiegato al difensore di Alberto corsi, l'avvocato Zanobini,
e senza alcun suggerimento: “perché avevo paura di qualcosa che mi dicessino”.
Dunque la paura c’era, ma delle conseguenze penali per una coscienza
evidentemente sporca. Tra l’altro quel riconoscere che era stato uno sbaglio a
non andare è l’unica timida manifestazione del presunto “profondo rammarico” virgolettato
dalla sentenza: giudichi il lettore se pare sufficiente.
Sul medesimo tema delle frasi
costruite, ecco un esempio ancora più clamoroso, rintracciabile proprio nel paragrafo di cui si sta trattando. Dopo aver affermato che il riscontro della presenza di Lotti sulla piazzola è dovuto alla testimonianza di Pucci, la sentenza riporta un insieme di voci virgolettate e in grassetto
contenenti quelle che dovrebbero essere le sue dichiarazioni sull'argomento. Naturalmente si tratta sempre di frasi costruite
mettendo assieme vari pezzi, ma addirittura in questo fazioso lavoro vengono
utilizzate anche le parole pronunciate da Lotti quando era intervenuto in
aiuto dell’amico! Si arrivò insomma all’assurdo di usare le parole di Lotti
come riscontro a sé stesso facendole passare per pronunciate da Pucci! Un primo caso:
S’andette da questa Gabriella dopo mangiato…
si rimase laggiù, poi si tornò in su la sera… non so che ore sarà stato… l’era
l’undici o più… (siamo) stati sempre dalla donna…
Ma a dire ciò era stato Lotti
correggendo Pucci, per il quale invece quel pomeriggio i due erano andati al
cinema! Non soltanto la sentenza non fa cenno a questa clamorosa
contraddizione, ma attribuisce le parole del primo al secondo, costruendo un falso
aberrante in un contesto nel quale si stava condannando a vita un uomo.
Ancora una frase fatta dire a
Pucci, ma in realtà detta da Lotti:
Quando ci si fermò agli Scopeti, loro scesero
prima di noi, Vanni Mario e Pietro Pacciani… andettero su verso la tenda… noi
s’era sempre dentro la macchina… si scese dopo un pochino…
Fin dalle dichiarazioni rese in
istruttoria Pucci aveva dimostrato di non avere le idee molto chiare sull’auto
dalla quale erano discesi gli assassini, che dapprima sarebbe stata addirittura
quella delle vittime, poi un’altra parcheggiata a metà della strada d’accesso
alla piazzola. Sottoposto al pressing
di Filastò, in dibattimento la confusione era stata grande, e i suoi mezzi
assensi non avevano fatto alcuna chiarezza. Con il proprio intervento Lotti
voleva dissipare i dubbi (ma vedremo che, quando sarebbe toccato a lui sedere
sul banco dei testimoni, avrebbe cambiato versione...). In ogni modo, interrogato
in seguito dal Presidente, con la solita faccia di bronzo Pucci aveva
confermato le parole del vecchio amico (Presidente: “E perché non l'ha detto prima lei?”;
Pucci: “Perché
non me lo ricordavo per bene io, ecco”). Non avendo però pronunciato
frasi dalle quali se ne potesse ricostruire una adeguata allo scopo, senza
dichiararlo l’estensore pensò bene di avvalersi di quelle di Lotti!
Si potrebbero scrivere ancora
pagine e pagine per illustrare gli orrori della sentenza riguardo la
valutazione del testimone Pucci, ma il lettore si annoierebbe, quindi conviene
fermarsi qui e passare ai riscontri successivi.
Altro interessantissimo articolo.
RispondiEliminaMa la Ghiribelli afferma di averlo visto molto tardi in quel punto il 128 rosso, mi risulta difficile credere lotti fosse lì per vedere se qualcuno scopriva i cadaveri a quell'ora. Giuttari dice che la Domenica sera in molti sentirono gli spari, è più verosimile fosse lì per avere un ruolo attivo
Che cosa penso del ruolo di Lotti è ben noto. In ogni caso adesso mi preme che venga alla luce il clamoroso errore giudiziario con il quale siamo stati tutti ingannati, per primi i parenti delle vittime. Speriamo che il prossimo libro di Cochi, Cappelletti e Bruno sia il più possibile esplicito in questo senso.
Eliminaottimo lavoro come sempre. era una cosa che avevo in mente di fare, sono contento che lo faccia tu perché è un lavoro faticoso :-) ma necessario.
RispondiEliminaHai individuato molto bene che nella sentenza Lotti riscontra se stesso, si può ben capire che valore abbia.
Ma c'è un'altra cosa da dire: non sono i testi (Ghiribelli, Chiarappa, i tre di Vicchio) che riscontrano le dichiarazioni di Lotti, ma il procedimento è inverso: è Lotti che riscontra quello che gli inquirenti già sanno (meglio: credono di sapere) man mano che quelli glielo lo dicono. L'unico fatto nuovo (ma non del tutto!) è il dottore che paga per i feticci.
Sulla storia del dottore ho fatto un lavoro di controllo incrociato che spiega bene, e che prima o poi pubblicherò qui. Secondo me al centro di questo e di altro può collocarsi la seguente frase tratta dalla perizia Fornari-Lagazzi su Lotti: "ha capito molto bene cosa si attendono da lui i magistrati".
EliminaLa domanda però alla quale un giorno si dovrà rispondere è: perchè Lotti si lasciò trascinare in questa storia? Mi pare oltremodo superficiale l'opinione di Filastò e dei suoi fan sul potere persuasivo degli agi del programma di protezione, che peraltro l'individuo non poteva conoscere quando iniziò a cantare davanti a Vigna l'11 febbraio 1996. Era partito lasciandosi invischiare per debolezza e poi irretire dai vantaggi?
Un bell'articolo tuo su questo argomento ci potrebbe stare...
La frase il giorno prima del omicidio son passato agli scopeti da me fa capire chi é il Lotti ( altro che grullo oligofrenico) ...x la domenica racconta quel che vogliono sentire gli inquirenti, poi li prende x il culo dicendogli che era passato il sabato (probabilmente x fargli la festa )... almeno questo é quel che penso io ...
RispondiEliminaDomanda , ho letto sul forum di Ale che le buste arrivate al Pm Della Monica e quelle con i 3 proiettili con il biglietto poveri fessi ve ne basta uno a testa proveniva dallo stesso lotto ... Ti risulta Antonio?
RispondiEliminaDa quello che scrive Giuttari ne Il Mostro sembrerebbe di no:
EliminaLe buste e il loro contenuto vennero sottoposti a ogni possibile analisi e accertamento. Gli esami chimico-merceologici dimostrarono che le tre buste erano tra loro perfettamente identiche: facevano parte di una linea di prodotti destinata a una grossa catena di magazzini con punti vendita in tutta Italia [...]
Gli stessi esami compiuti sulla busta inviata al magistrato Silvia Della Monica, invece, dimostrarono che questa era di tipo comune, reperibile in qualsiasi cartoleria [...]
Non credo proprio che le tre buste siano state inviate dal Mostro, chiunque sia stato.
Non mi pare che il Mostro amasse scrivere, se avesse voluto mandare qualche messaggio lo avrebbe incluso nella lettera contenente il frammento di seno della Mauriot. La sola compilazione dell'indirizzo della Procura gli costò parecchia fatica (e diversi errori!)
EliminaCaro Antonio ti rinnovo i miei complimenti per quanta serietà e competenza porti avanti le tue ricerche . Spero che ritornerai a partecipare al forum dei mostri e Spero che il dott. Mignini si lasci scivolare via questo piccolo incidente di percorso che per chi partecipa ai forum è alquanto frequente ,purtoppo e non, perchè queste scazzottate verbali fanno anche tenerezza : persone che non hanno di meglio da fare che arrovellarsi per la soluzione di un caso di 50 anni fa !!!
RispondiEliminaVolevo chiederti: ma Lotti osserviamolo ora come escissore. E'fattibile ? I ragionamenti per logica portano a lui ma ci sono delle cose che ancora non mi convincono :Il fatto che fosse un bonaccione non vuol dire nulla anche se fa un certo effetto vederlo accudire la povera Alessandra Bartalesi in quell'estate di serenità .Ma una delle mie perplessità rimane la capacità del Mostro nell'incidere e scollare la parte . Mi sembra una manualità da chi lavora la pelle :il delimitare la parte con dei punti vedi il corpo della Pettini per poi dopo un lungo tempo scollare la parte nel caso Di Nuccio .Non riesco a risalire ad una qualche biografia di Lotti che possa dirmi che , che so scuoiava perlomeno conigli , a parte il tuo suggestivo studio . Cosa ne pensi ?Grazie e in bocca al lupo !
Ciao Daniela, non credo che servisse molta tecnica per tagliare le parti che venivano tagliate. Ho avuto occasione di vedere gli ultimi tagli e non mi è parso un lavoro da scuoiatore provetto.
EliminaGli ultimi tagli erano piuttosto grossolani, ma non si può escludere che la rozzezza e la scarsa precisione fossero dovute alla fretta causata da alcuni inconvenienti, come la fuga del ragazzo agli Scopeti. Una tecnica più sicura, stando alle perizie, era stata rilevata nelle precedenti asportazioni.
EliminaNello speciale di Telefono giallo sul mostro di Firenze (trasmesso negli anni Ottanta), c'è un'intervista molto interessante a Maurri, che si soffermava proprio sull'abilità manuale dell'assassino e sul tipo di arma bianca usata per le mutilazioni. Maurri ridimensionava la leggenda del mostro medico e indicava una serie di professioni che si addicevano all'ignoto escissore: "potrebbe essere un macellaio, un tecnico che adopera il coltello, una persona che si diverte a intagliare il vetro o il compensato, una persona che adopera un trincetto per scopi professionali, un pastore, uno scuoiatore di pelli...".
L'abilità manuale di Pacciani è piuttosto nota, e stando all'Alessandri (fonte non sempre attendibile e non certo obiettiva) si direbbe che Pacciani abbia svolto tutti i mestieri di cui sopra.
Sui sardi sorvolo, essendo stati tutti inutilmente inquisiti per anni. Lasciamo perdere il povero Vanni, per tutta la vita portalettere. Rimane ovviamente Lotti che, prima di lavorare come cavatore d'inerti, aveva svolto lavoretti saltuari, arrangiandosi come poteva. Lei è riuscito a ricostruire i mestieri di Lotti?
Purtroppo su Lotti c'è il buio, al di fuori della perizia Fornari-Lagazzi e di poche altre scarne notizie. So però che i mancini usano poco volentieri le forbici, e quindi non mi meraviglierei se Lotti, fin da piccolo, avesse preso dimestichezza con coltelli e taglierini.
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