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Siamo finalmente giunti alla ricostruzione del delitto degli Scopeti, da alcuni miei lettori attesa con grande impazienza. Premetto che non mi dilungherò sulla descrizione delle condizioni al contorno, sulle quali non potrei dire (quasi) nulla più del moltissimo che già è stato detto. A questo proposito segnalo due fondamentali documenti: lo studio liberamente scaricabile Il delitto degli Scopeti, di Vieri Adriani, legale delle famiglie, e il libro Delitto degli Scopeti – Giustizia mancata, dello stesso Adriani, Francesco Cappelletti e Salvatore Maugeri, quest’ultimo amico di gioventù della vittima maschile. Mi concentrerò invece sulla dinamica vera e propria, dove ritengo di poter presentare degli elementi in grado di aggiungere chiarezza o almeno di stimolare la riflessione. E a questo proposito devo segnalare almeno quattro precedenti tentativi di proporne una ragionevole: i due ufficiali, contenuti nelle perizie di Mauro Maurri e collaboratori (una trascrizione incompleta è scaricabile qui) e Francesco De Fazio e collaboratori (qui), peraltro poco convincenti, soprattutto il secondo; quello contenuto nel libro sopra citato, assai migliore anche se su alcuni particolari chi scrive dissente; infine quello generoso e per alcuni aspetti piuttosto riuscito (il documento è scaricabile qui) di un forumista, Vigneron.
Siamo finalmente giunti alla ricostruzione del delitto degli Scopeti, da alcuni miei lettori attesa con grande impazienza. Premetto che non mi dilungherò sulla descrizione delle condizioni al contorno, sulle quali non potrei dire (quasi) nulla più del moltissimo che già è stato detto. A questo proposito segnalo due fondamentali documenti: lo studio liberamente scaricabile Il delitto degli Scopeti, di Vieri Adriani, legale delle famiglie, e il libro Delitto degli Scopeti – Giustizia mancata, dello stesso Adriani, Francesco Cappelletti e Salvatore Maugeri, quest’ultimo amico di gioventù della vittima maschile. Mi concentrerò invece sulla dinamica vera e propria, dove ritengo di poter presentare degli elementi in grado di aggiungere chiarezza o almeno di stimolare la riflessione. E a questo proposito devo segnalare almeno quattro precedenti tentativi di proporne una ragionevole: i due ufficiali, contenuti nelle perizie di Mauro Maurri e collaboratori (una trascrizione incompleta è scaricabile qui) e Francesco De Fazio e collaboratori (qui), peraltro poco convincenti, soprattutto il secondo; quello contenuto nel libro sopra citato, assai migliore anche se su alcuni particolari chi scrive dissente; infine quello generoso e per alcuni aspetti piuttosto riuscito (il documento è scaricabile qui) di un forumista, Vigneron.
Nadine Mauriot, 36 anni, madre separata di due figli, e Jean
Michel Kraveichvili, 25 anni, suo compagno, partirono dalla Francia mercoledì 4
settembre 1985 a bordo di una Volkswagen Golf bianca. Si erano portati dietro
una tenda, nella quale dormirono a campeggio libero per due notti sulla costa
toscana. Giunsero a San Casciano nel primo pomeriggio di venerdì 6, dove furono
visti da un testimone attendibile montare la tenda sulla piazzola degli
Scopeti. Un’altra testimonianza certa li colloca quella stessa sera a cena alla
festa dell’Unità di Cerbaia, da dove non c’è motivo di dubitare che fossero poi
tornati alla loro tenda. Da quel momento tenda e auto, poste vicinissime l’una
all’altra, rimasero sempre nella medesima posizione, senza che nessun testimone
attendibile avesse più visto la coppia, né sulla piazzola né da qualsiasi altra
parte. Fino al lunedì, quando un ragazzo scoprì il corpo di Michel tra la
vegetazione, e poco dopo i carabinieri anche quello di Nadine, all’interno
della tenda.
Sono ben note le discussioni nate attorno alla data di
morte dei due poveretti, stabilita dall’anatomopatologo Mauro Maurri nella
domenica sera, ma in seguito contestata numerose volte con argomenti assai fondati
che non è il caso di ripetere in questa sede. È ferma opinione di chi scrive
che tale data debba essere retrocessa di due giorni, poiché, al di là di tutte
le considerazioni su rigor mortis e
larve di mosca, la coppia non aveva alcun motivo di trattenersi sulla degradata
piazzola per più di una notte. Nadine e Michel vennero uccisi venerdì 6
settembre 1985, poco dopo il loro ritorno da Cerbaia, quindi a partire dalle
ore 23 ma non troppo oltre, come dimostrano i resti di cibo trovati nel loro
stomaco, compatibili sia con le pappardelle al sugo di lepre servite alla festa
dell’Unità sia con un tempo di digestione valutato in un paio d’ore.
Considerando la fuga di Michel cui seguirono gli spari e l’inseguimento del
Mostro, che nella circostanza ben difficilmente poteva aver tenuto in mano una
fonte di luce, è molto probabile che l’orario sia da collocarsi in vicinanza
delle 24, quando la luna – che sorgeva alle 23:29 ed era al suo primo quarto –
illuminava pur debolmente la piazzola.
Edit 3/12/2020: In realtà, secondo questo sito, la luna sorgeva alle 22:53, vedi. Il dato erroneo delle 23:29 è quello riportato dal libro Delitto
degli Scopeti – Giustizia mancata. Questa precisazione in prospettiva di esaminare, ed eventualmente confutare (ma ci vorrà del tempo),
le motivazioni che hanno indotto un noto mostrologo a collocare il delitto all'alba di domenica.
Ancora un paio di considerazioni, prima di proseguire. Al
di là delle sciocchezze raccontate dieci anni dopo da Pucci e Lotti sui due
assassini Vanni e Pacciani, ancora oggi c’è chi ipotizza l’intervento di un
complice. Senza poter escludere per certo questa eventualità, come vedremo lo
studio della dinamica del delitto la rende comunque non necessaria, anzi, del
tutto improbabile, in particolare se si intende mettere in mano una pistola anche
al secondo individuo (come pure si è fatto con un fantomatico revolver che non avrebbe lasciato
bossoli).
Infine, nell’ipotesi di un delitto avvenuto al venerdì
sera, è opportuno riflettere sulla residenza dell’assassino. Chi meglio di qualcuno
abitante in zona avrebbe potuto accorgersi, passando forse per caso al
pomeriggio, della tenda e quindi della possibilità di trovarvi alla sera una
coppia da uccidere? Per un residente nel Mugello, distante 50-60 km, sarebbe
stata una bella coincidenza il passare di lì proprio al venerdì pomeriggio, ma
anche per chi abitava a Firenze. A meno dei momenti in cui i due si stavano
preparando alla notte – quindi con qualche luce accesa, ma per quanto tempo? –
calato il buio la tenda non era più visibile dalla strada. Con grande probabilità
l’assassino era già sul posto quando Nadine e Michel tornarono dalla festa
dell’Unità; attese che si ritirassero poi li aggredì.
La scena del
crimine. La foto sottostante, che nella sua nota versione a colori è tagliata sulla sinistra
e che quindi conviene riportare anche in quella meno nota in bianco e nero, risulta molto più efficace di qualsiasi descrizione
riguardante l’auto e la tenda, della quale si nota esternamente il telo
argenteo impermeabile sotto cui ce n’era uno giallo.
A completamento, va detto che il lato nascosto della tenda
con davanti il marker “E” – rappresentante una macchia di sangue della quale si
dirà – era quello d’entrata, con una cerniera verticale sotto cui ce n’era
un’altra che chiudeva la zanzariera. Sul lato opposto, con davanti il marker
“F”, si apprezza il noto squarcio verticale alto 40 cm. Nella foto in bianco e
nero è presente anche l’albero, sul lato dell’entrata, che costituì il
riferimento per le misure prese dalla Scientifica. I marker “C” e “D”
rappresentano la posizione di due bossoli. Infine la freccia tracciata sul
montante sinistro dell’auto indica una macchia di sangue che Michel lasciò
durante la sua fuga.
Nella piantina sottostante, redatta dalla Scientifica e pubblicata
dal libro di Valerio Scrivo Il Mostro di
Firenze esiste ancora, si apprezza la presenza di una fila di cespugli che divideva la
piazzola in due parti, la seconda delle quali, sulla destra, era una specie di
corridoio dove andò a infilarsi Michel fuggendo.
Si noti il cadavere del ragazzo sulla destra,
rappresentato con le braccia distese verso l’alto a dimostrarne il
trascinamento per i piedi, del quale si tratterà più avanti. Va però detto che
– incredibile ma vero! – il disegno non rispetta la posizione della tenda, la
quale presentava il suo lato anteriore di sghimbescio rispetto alla via
Scopeti, e quindi andrebbe ruotato in senso orario di circa 45 gradi.
Nella prossima immagine, tratta dal medesimo libro, la
Scientifica riprodusse la planimetria del luogo (ripetendo il medesimo errore
riguardo la posizione della tenda). Si può apprezzare sulla destra l’ampia
sterrata in salita per l’accesso alla piazzola, lunga una cinquantina di metri,
e la buona visibilità della tenda e dell’auto dalla adiacente strada asfaltata,
che correva più in basso di qualche metro.
Questa invece è una foto del cadavere di Nadine dentro la
tenda.
Si può notare il telo argenteo esterno sollevato e il telo
giallo interno al quale era fissata la zanzariera, la cui chiusura avveniva
tramite una cerniera a “L”, e che poteva essere coperta dal lembo di tessuto
che in foto risulta fissato in alto. La distanza della parte orizzontale della
cerniera dal suolo, probabilmente rappresentata dalla freccia rossa sotto il marker “G”, non è nota; in questa sede
sarà considerata di circa 15 cm, misura che appare ragionevole. Si tratta di un
elemento di rilievo, poiché sulla zanzariera furono trovati cinque fori di
proiettile – messi in verticale poco a destra della cerniera – dei quali furono
misurate le relative altezze rispetto alla base della zanzariera stessa,
risultate di 10, 20, 24, 46, 56 cm, corrispondenti quindi, aggiungendo i
presunti 15 sopra valutati, a 25, 35, 39, 61, 71 dal suolo. I fori numero 1, 2
e 5 (partendo dal basso) risultarono allineati tra loro sulla verticale, da cui
il 3 era spostato di 6 cm a destra e il 4 di 7 a sinistra. La figura
sottostante dà un’idea di quanto appena scritto.
Sulla parte posteriore della tenda c’era una seconda
apertura a cerniera, che non ha però interesse in quanto chiusa e non
utilizzata. Hanno invece interesse sia uno squarcio verticale che si estendeva
per circa 40 cm con partenza dal vertice, sia uno strappo a “L” posto in basso
sul lato destro rispetto all’entrata principale a circa 30 cm dal suolo.
A questo strappo corrispondeva sul tessuto giallo interno un foro ovalare,
quindi si deve presumere che responsabile della formazione di entrambi fosse
stato un proiettile.
Nella foto sopra – che poi è la parte mancante sulla
sinistra di quella già presentata – sono apprezzabili sia lo squarcio, in alto
a destra, sia la posizione dello strappo a “L” in corrispondenza della freccia
rossa.
Bossoli e
proiettili. Furono repertati nove bossoli, tutti nei pressi della tenda. La
foto sottostante mostra la posizione di sei, cinque sul terreno molto vicini
alla tenda, uno sul materassino. I tre non visibili vanno posti nella parte in
basso a destra (due sono i “C” e “D” della foto sopra).
L’immagine è del giorno successivo a quello della scoperta
del delitto, quando vennero recuperati, con l’aiuto di un metal detector, i
cinque bossoli sul terreno più uno dei tre non visibili, sfuggiti alle ricerche
del giorno prima. Intanto la tenda era stata smontata, rimontata – a beneficio
di Francesco De Fazio giunto qualche ora dopo la Scientifica – e poi ancora
smontata, con un lavoro che venne criticato nella stessa relazione di Mauro Maurri
e collaboratori (“la tenda fu rimossa dal punto in cui era stata piantata con tecnica e
modalità tutt’altro che ineccepibili”). Sono note le distanze dei
bossoli dal rimasto materassino – rimesso nella posizione originaria ma
difficilmente al centimetro – e dall’albero antistante la tenda, del quale però
non è nota a chi scrive la posizione esatta rispetto alla stessa. In ogni caso,
anche con l’ausilio delle foto, è possibile collocare in modo ragionevole tutti
i bossoli sul terreno, come nella piantina sottostante.
Si possono notare la macchia di sangue appartenuto a
Nadine – di forma ovalare e dimensione di circa 20 cm – repertata a 80 cm dalla
tenda e un metro dall’albero (marker “E”), l’albero e la posizione della
colonna dei fori sulla zanzariera, poco sulla destra della quale può essere
collocato il bossolo numero 1 e accanto il 2 e il 3. Tornando alla foto della
tenda con i marker, il bossolo 9 corrisponde al “C” e il 5 al “D”. Il numero 4 non risulta da alcuna foto
reperibile in rete, poiché al momento di quella della tenda con i marker non
era ancora stato trovato, e in quella del materassino è fuori dal campo visivo.
Per poterlo collocare nella piantina si è qui cercato di interpretare la
seguente descrizione, contenuta nel libro Delitto
degli Scopeti: “mt. 1,40 dall’abete e cm 95 dal materassino (A)”.
Naturalmente sarò grato a ogni lettore che mi dovesse comunicare informazioni o
anche ragionamenti migliori..
Prima di andare avanti è bene chiarire una questione
importante. Se le modalità di smontaggio della tenda non furono ineccepibili,
niente però autorizza a supporre che i bossoli fossero stati spostati dalla
loro posizione originaria prima delle misurazioni. Vedremo presto che la posizione
dei numeri 1, 2 e 3 costringerà a prendere atto di una conseguenza assai
importante, per escludere la quale uno dei relatori a un passato convegno sul
Mostro – Armando Palmegiani, cui l’anno precedente chi scrive aveva esposto il
problema – fece una supposizione quantomeno azzardata: i sei bossoli trovati il
giorno dopo (1-2-3-4-7-8) potevano essere stati raccolti da un agente e sparsi
sul davanti della tenda! Si tratta di un’operazione difficile da immaginare
anche nel contesto del cumulo di errori compiuti dalle nostre forze
dell’ordine. Del resto si legge nel rapporto della Polizia Scientifica: “Si è proceduto ad una ispezione con uso del metal detector.
Detta operazione ha portato al ritrovamento, tra i ciuffi di erba secca
antistanti l’apertura principale della tenda di n.6 bossoli”. Che bisogno ci sarebbe stato di usare un metal detector
se i bossoli fossero stati sparsi a mano? Evidentemente l’attività del Mostro
davanti alla tenda li aveva infossati tra i radi ciuffi d’erba secca e il
terriccio.
Riguardo i proiettili, due
completi e molto deformati furono estratti dalla testa e dal muscolo pettorale
sinistro di Nadine, uno diviso in due frammenti fu invece estratto dall’omero
destro di Michel. Un altro grosso frammento venne rinvenuto tra il lenzuolo e
il materasso. Nella relazione di Maurri si suppone la presenza di altri due
proiettili non repertati, uno nel piumone e uno in un cuscino. Infine un
settimo proiettile si perse tra la vegetazione dopo aver forato la parte
posteriore della tenda. Vedremo che i due proiettili mancanti furono
probabilmente sparati contro Michel che stava fuggendo ma non lo colpirono, quindi
si persero anch’essi tra la vegetazione.
Ferite. Su Nadine
vennero riscontrate quattro ferite d’arma da fuoco, tutte con traiettoria da
destra a sinistra: una trapassante alla guancia destra (2), una trapassante
alla fronte con scalfittura superficiale dell’osso (3), una all’emitorace
sinistro (4), con proiettile ritenuto e infine una alla tempia destra (5),
anch’essa con proiettile ritenuto. Solo quest’ultima fu mortale, avendo
determinato gravissimi danni al cervello, le altre tre possono considerarsi
tutte superficiali. Le ferite alla testa avevano una leggerissima obliquità
verso il basso. Conviene anticipare che il proiettile numero 1 probabilmente
andò a vuoto colpendo un cuscino.
Va poi menzionata una ferite d’arma bianca al lato
sinistro del collo, inferta quando la
donna era ormai morta o in fin di vita.
Infine le escissioni, che riguardarono sia il pube sia il
seno sinistro. Per quella al pube, va registrata una chiara limitazione alla
zona dei peli, ma anche il raggiungimento di tessuti profondi, per un lavoro
abbastanza grossolano.
Anche su Michel vennero riscontrate quattro ferite d’arma
da fuoco: una al labbro superiore nella sua parte sinistra (2), con il
proiettile che ruppe un dente e cadde poi a terra (come vedremo, probabilmente
si trattava dello stesso che in precedenza aveva colpito Nadine alla guancia
destra fuoriuscendo), una all’eminenza tenar della mano sinistra (5), una alle
ultime tre dita della mano sinistra (4) e infine una alla base del braccio
destro nella sua faccia posteriore (9). Vedremo che una delle due ferite alla
mano sinistra fu prodotta dal medesimo proiettile che colpì Nadine al torace,
ma non si può dire quale, mentre l’altra potrebbe essere stata l’effetto sia di
uno degli altri quattro sparati in tenda (più probabile a giudizio di chi
scrive), sia di uno sparato contro il ragazzo durante la sua fuga.
Come si può facilmente intuire,
nessuno dei proiettili che aveva colpito Michel poteva averne provocato la
morte. Il ragazzo morì per le successive coltellate, ben 13, per le quali è il
caso di osservare la prossima figura, dove le frecce indicano la direzione del
fendente e i numeri la probabile sequenza progressiva.
Le coltellate più gravi, quelle
che determinarono il decesso, furono le quattro all’emitorace sinistro (8-9-10-11),
tutte sferrate dall’alto in basso e da sinistra a destra. Anche la 7, che raggiunse
il fegato dal basso in alto, fu molto grave, e la 3, che trapassò il collo da
destra a sinistra forando la trachea ma non i grossi vasi sanguigni, mentre la
12 e la 13 furono poco profonde. Nella ferita numero 2, direzione trasversale
da sinistra a destra, la lama incontrò un vertebra fermandosi, la ferita numero
1 fu come un taglio, anch’esso trasversale. Infine le ferite 4-5-6 furono da
difesa, da collocarsi molto probabilmente appena prima della 7, come vedremo,
ma la loro progressione relativa è impossibile da determinarsi.
Alcune premesse. Qualche parola va spesa per sgomberare il campo da
alcuni elementi d’incertezza se non di confusione, da sempre ostacolo a ogni
tentativo di ricostruire una dinamica corretta. Partiamo dal taglio sul retro della
tenda. La spiegazione più banale per la sua presenza è quella di un tentativo
fallito da parte del Mostro di crearsi un’apertura per sparare o addirittura
entrare. Era stata questa, ad esempio, l’interpretazione di De Fazio:
È da ritenere che il reo […] abbia prima
accortamente studiato il luogo di intervento, decidendo di operare sulla tenda
dalla parte posteriore (elemento sorpresa) aprendosi un varco nel telo con uno
strumento tagliente (verosimilmente la medesima arma bianca usata per le successive
operazioni). Egli deve tuttavia aver trovato, quale fatto non previsto, il secondo
telo di riparo, (il che deporrebbe per una non piena dimestichezza con tende da
campeggio), che da un lato avrebbe impedito l’accesso all’interno, dall’altro
avrebbe evocato l’allarme degli occupanti.
È da supporre che l’aggressore a questo punto
abbia rinfoderato il coltello (il che pone il problema di un’idonea guaina di
collocamento o impugnamento rapido), abbia impugnato la pistola, esplodendo
prima un colpo contro lo spigolo della tenda, forse indirizzato verso le voci o
i rumori dell’interno della tenda i cui occupanti, allarmati, si accingevano ad
uscire.
Cominciamo col dire che il Mostro
non sparò affatto dalla parte posteriore, poiché nessun bossolo vi venne trovato,
e il leggere tale erratissima ipotesi nella perizia De Fazio sconcerta alquanto.
Del resto, come vedremo, le vittime furono colte completamente di sorpresa
dalla prima sequenza di proiettili, quindi nessun rumore anomalo le aveva allarmate;
il che porta anche a escludere che il taglio avesse preceduto la sparatoria. Con
la cerniera sul davanti aperta – non è pensabile che i due si fossero ermeticamente
chiusi dentro uno spazio così piccolo e soffocante – qualsiasi aggressore
sarebbe partito da lì, come fece anche il Mostro. E allora, il taglio? Di
sicuro venne effettuato dopo, per ragioni di altro tipo e di non facile
individuazione, e che comunque in questa sede non vale la pena discutere (chi
scrive le collega all’attività di oscuri personaggi che nei due giorni
successivi si aggirarono attorno alla piazzola).
Un altro argomento da chiarire è
quello della luce. Nella tenda non fu trovata alcuna lampada da campeggio, ma è
del tutto impossibile che i due, facendo campeggio libero, ne fossero stati sprovvisti.
Le uniche fonti di luce presenti tra le loro cose erano una candela e una torcia a batteria, chiuse
però in una borsa trovata all’interno dell’auto; si comprende bene quali
sarebbero stati i problemi in caso di esigenze corporali nelle ore serali e
notturne, tanto per fare un esempio. Ma, senza una fonte di luce, anche
semplici operazioni all’interno della stessa tenda sarebbero state difficili,
come prendere un fazzoletto, ritrovare i propri indumenti intimi, aprire e
chiudere la zanzariera. Quindi si deve senz’altro supporre che in tenda una
lampada da campeggio vi fosse stata, e che poi il Mostro l’avesse portata via,
non come souvenir ma semplicemente perché se ne era avvalso durante le tristi manovre su Nadine, lasciandovi sopra le proprie impronte insanguinate.
In più va anche supposto che al
momento dell’attacco la lampada fosse accesa. Un fascio di luce esterno, come
quello prodotto da una torcia a mano, avrebbe dovuto superare il tessuto
traforato della zanzariera, con una resa sulle figure interne molto ridotta,
tanto da impedire di distinguerne i particolari. Si è già accennato al fatto che
dei cinque colpi sparati attraverso la zanzariera soltanto uno andò a vuoto
colpendo un cuscino, quindi le vittime dovevano essere ben visibili dal di
fuori.
Infine il problema della
scarpata. Davanti all’ingresso della tenda il terreno iniziava a scendere, come
si vede bene dall’immagine della planimetria. Secondo un’opinione circolata
nelle discussioni in rete e accennata anche dal libro Delitto degli Scopeti - Giustizia mancata il Mostro si sarebbe
avvicinato in piedi alla zanzariera percorrendo il terreno in salita antistante
e sparando via via sempre più in alto. Ma davanti alla tenda non c’era alcun
terreno in salita, perlomeno non in forte salita, come risulta ben chiaro da alcune foto, ad esempio dalla
sottostante.
Tra l’altro risulta ben visibile
la macchia di sangue ovalare, la cui distanza dalla tenda fu misurata in 80 cm
e il diametro in 20, quindi davanti all’ingresso c’era almeno un metro di
terreno pianeggiante, al massimo in leggero declivio. Se si pensa che tutti e
cinque i fori sulla zanzariera erano caratterizzati da aloni di affumicatura, e
che quindi la pistola aveva sparato a pochissima distanza dal tessuto, si
comprende bene come l’ipotesi della scarpata non possa reggere.
I colpi di pistola. I due vennero sorpresi mentre stavano amoreggiando,
lui disteso supino e lei sopra con le gambe flesse, i piedi a sinistra e la
testa a destra rispetto all’ingresso. Il Mostro si presentò davanti alla
cerniera aperta forse accucciato, ma molto più probabilmente in ginocchio, con
un arto che teneva la pistola e l’altro poggiato a terra a rendere stabile la
posizione (qui si ipotizza questo secondo scenario). A dividerlo dalle vittime
c’era soltanto il tessuto traforato della zanzariera chiusa, attraverso il
quale ne vedeva bene i corpi nudi illuminati dalla lampada accesa.
Nella prima fase dell’attacco
vennero sparati i cinque colpi che forarono la zanzariera, di sicuro per primi,
in rapida sequenza, quelli corrispondenti ai tre fori più in basso, in quale
ordine non è possibile stabilirlo, poi, dopo una brevissima pausa, i due più in
alto; qui si ipotizza una progressione ascendente per tutti e cinque. Si
ipotizzerà anche l’effetto di ogni proiettile, senza l’illusione di averli
azzeccati tutti.
Potendo contare su una buona
visibilità, l’aggressore decise di mirare al capo dei due che si stavano
baciando o sbaciucchiando. Molto probabilmente il primo colpo, troppo basso,
finì dentro il cuscino, ma i due successivi raggiunsero il bersaglio: il numero
2 la guancia destra di Nadine e, in uscita, il labbro superiore sinistro di
Michel, il numero 3 di striscio la fronte di Nadine. Quest’ultimo,
fuoriuscendo, attraversò la parete posteriore della tenda producendo il foro
nel tessuto interno e lo strappo a “L” in quello esterno, perdendosi poi tra la
vegetazione. Stranamente i tre bossoli finirono tutti molto vicino al punto di
sparo, pochi centimetri sulla destra.
Come sempre il Mostro fece una
pausa per rendersi conto degli effetti dei suoi primi colpi, probabilmente
alzandosi sulle ginocchia. Intanto, sia forse per un suo riflesso automatico,
sia spinta da Michel, Nadine iniziò a sollevare il busto. Il movimento attirò
l’interesse dello sparatore, che indirizzò il suo quarto colpo verso di lei,
colpendola nella zona del seno sinistro; con tutta probabilità il proiettile
aveva attraversato prima la mano sinistra del ragazzo mentre la stava spingendo,
producendo una delle due ferite. L’ipotesi è ben suffragata dal percorso molto
breve del proiettile nei muscoli di Nadine, spiegabile soltanto con una perdita
di velocità per l’attraversamento di un precedente ostacolo (Maurri: “La […] ferita […] dimostra
la scarsa forza viva posseduta e quindi, lo scarsissimo potere lesivo, in
quanto il proiettile è stato repertato solo nel contesto delle fibre del
muscolo gran pettorale”).
Seguì dopo pochi istanti un
quinto colpo, ancora sparato verso Nadine ma con mira aggiustata; la poveretta
venne infatti colpita alla tempia destra in modo preciso e mortale,
accasciandosi. È possibile che il proiettile avesse prima attraversato una
seconda volta la mano sinistra di Michel protesa verso lo sparatore come a
difendersi, in questo caso senza subire particolari rallentamenti. Sia questo
bossolo (5) che il precedente (4) furono scagliati verso l’albero sulla destra,
uno dei due, forse il 4, colpendolo e rimbalzando.
I due poveretti giacevano uno
sopra l’altro, Nadine morente e Michel con ferite non gravi ma comunque sotto
shock. Fin troppo sicuro di sé – voleva finire i due a coltellate e, con la
scatola quasi vuota, tenersi le quattro cartucce residue per un nuovo omicidio?
– il Mostro aprì la zanzariera; Michel ne approfittò per tentare la fuga, dopo
essersi scrollato di dosso il corpo di Nadine. L’uscita precipitosa del ragazzo
sbilanciò il Mostro, che forse, da ginocchioni com’era, cadde a sedere
lasciando partire un colpo. Il proiettile numero 6 non fece danni, infilandosi
dentro il piumone, mentre il bossolo corrispondente finì poco dentro la tenda.
Michel prese sulla propria
destra, con il Mostro che cercò di ostacolarlo e, dalla sua posizione precaria e
nel buio, gli sparò dietro due altri colpi probabilmente mancando il bersaglio.
I bossoli (7 e 8) carambolarono tra il corpo dello sparatore e il telo della
tenda, andando a finire in avanti rispetto al punto di espulsione, mentre i
proiettili si persero al di fuori, facendo tornare i conti che a Maurri e
collaboratori non tornavano:
Rispetto al numero dei bossoli mancano quindi
due proiettili che però non dovrebbero essere usciti dalla tenda, visto che,
oltre quello descritto […], non si hanno altre lacerazioni da uscita di
proiettili. È anche probabile che nelle manovre per smontare la tenda qualche proiettile
sia andato perduto visto che fra l’altro la tenda fu rimossa dal punto in cui
era stata piantata con tecnica e modalità tutt’altro che ineccepibili.
Poi, mentre Michel stava tentando
di superare la strettoia costituita dal lato sinistro della tenda e dai vicini
cespugli, il Mostro si alzò in piedi e gli sparò l’ultima cartuccia (9), con il
proiettile che lo colse alla base del braccio destro. Il bossolo superò la
tenda cadendo accanto al lato destro.
L’immagine cerca di dare un’idea
della situazione. Il Mostro alla spalla era probabilmente alto 1.50, come
abbiamo visto nel caso di Giogoli, quindi la tenda, alta 1.40, non lo
ostacolava.
Riflessioni sui bossoli. Prima di affrontare la fase in cui Michel
tentò di fuggire e il Mostro lo accoltellò, è opportuna qualche riflessione sul
posizionamento dei tre bossoli corrispondenti ai proiettili che provocarono i
fori più bassi nella zanzariera. Come è ben noto, e quella del Mostro non
faceva eccezione, in genere le pistole semiautomatiche espellono i bossoli
verso destra e verso il dietro. Secondo un’opinione diffusa in rete ma non
suffragata da alcun documento – almeno, chi scrive non è riuscito a trovarne – da
una Beretta come quella del Mostro caricata con cartucce come le sue il bossolo
partiva con un angolo di circa 45 gradi rispetto all’asse della canna e ancora di
45 gradi rispetto al piano orizzontale passante per essa, per una distanza
raggiunta sul terreno di circa tre metri (sparatore in piedi, calcio verticale,
canna orizzontale).
In realtà non sembra che tali
valori valgano per il caso specifico della pistola usata dal Mostro. Dove sono
note o comunque ben desumibili le posizioni dei bossoli rispetto ai punti di
sparo – per chi scrive solo nei quattro di Scandicci e nell’unico di Vicchio –
la distanza raggiunta fu molto minore, un metro e trenta o poco più, e la
direzione differente, più verso destra che verso dietro. La figura sottostante
esemplifica i calcoli da me fatti, che hanno tenuto conto delle misure note
integrate da qualche ragionevole ipotesi, come, ad esempio, la distanza della
canna dai finestrini supposta di 10 cm.
La figura sottostante dà un’idea
di dove sarebbero andati a finire i bossoli dei colpi sparati dal Mostro
attraverso la zanzariera secondo le regole appena illustrate.
Abbiamo visto invece che i
bossoli corrispondenti ai tre fori più in basso furono ritrovati poco lontano rispetto
alla verticale dei fori stessi, tra i 10 e i 30 cm sulla destra e tra i 5 e i
10 indietro.
Osserviamo ancora una volta la piantina
con la posizione dei nove bossoli.
È evidente che in uno spazio
pieno di ostacoli come quello davanti all’ingresso della tenda – lo sparatore
accucciato, la stessa tenda, l’albero – i bossoli non sempre ebbero la
possibilità di percorrere la loro normale traiettoria. I numeri 7 e 8 finirono
addirittura in avanti, probabilmente dopo essere rimbalzati prima sul tessuto
della tenda poi sullo sparatore. Il bossolo numero 4 avrebbe dovuto
posizionarsi vicino al numero 5, ma probabilmente rimbalzò sul tronco
dell’albero prima di cadere a terra. Infine il numero 6 fece poca strada carambolando
nello spazio tra sparatore, vittima e tessuti della zona dell’ingresso. Forse i
numeri 5 e 9 furono gli unici a compiere il loro percorso regolare.
Quale fu la ragione che fece
cadere i bossoli 1, 2 e 3 così vicino al punto di sparo? Un’ipotesi potrebbe
essere quella di rimbalzi contro il tronco dell’albero, come per il bossolo 4,
ma non è possibile che una struttura cilindrica e rugosa respinga quasi nel
medesimo modo tre bossoli partiti per forza con piccole variazioni di
traiettoria. Altre ipotesi non se ne vedono, se non quella di una bocca di
espulsione orientata verso i punti di caduta, come nella figura seguente.
Al colpo più basso il calcio
della pistola era ruotato di 90 gradi e oltre in senso orario, quindi la mano
che lo impugnava era per forza la sinistra con una rotazione verso l’interno;
con la mano destra la medesima rotazione sarebbe stata verso l’esterno, del
tutto scomoda e ingiustificata. In effetti, provare per credere, tenendo la
pistola così in basso viene naturale ruotarla verso l’interno.
Proviamo adesso a descrivere
l’intera sequenza dei primi cinque spari – con l’aiuto delle foto, ma il
lettore non sia troppo severo riguardo la loro aderenza alle misure reali – ipotizzando
le posizioni dello sparatore. Durante i primi tre,
esplosi in rapidissima successione, l’individuo rimase fermo con il corpo e fu
soltanto il braccio ad alzarsi, mentre la rotazione della pistola diminuiva leggermente
con i bossoli espulsi sempre più verso destra. Probabilmente la canna era quasi
accostata al tessuto della zanzariera, che per l’inclinazione della parete si
trovava spostata verso l’interno, quindi il punto di caduta dei bossoli risultò
vicinissimo alla base. Il quarto colpo, esploso dopo una piccola pausa, fu
quello al seno di Nadine, che nel frattempo aveva alzato il busto. Lo sparatore
doveva essersi a sua volta sollevato sulle ginocchia, abbandonando la presa a
terra della mano destra. L’altezza del foro sulla zanzariera aumentò di 22 cm –
i due aumenti precedenti erano stati di 10 e 4 – e il bossolo fu
lanciato verso l’albero, colpendolo, da una pistola che era tornata ad avere il
calcio quasi verticale. Infine il quinto colpo fu sparato guadagnando altri 10
cm in altezza e cadde nei pressi dell’albero.
Addendum 28/09/2018. L'intervento del lettore Vincenzo Aversa mi ha ricordato che un paio d'anni fa mi ero imbattuto in un'interessante scena dal film I soliti sospetti, della quale avevo salvato il seguente fotogramma:
Come si vede, si tratta di un mancino che usa la pistola girata verso l'interno. In effetti ci sono dei tiratori mancini che hanno quest'abitudine, magari con rotazioni assai minori dei 90° del fotogramma. Lo scopo è quello di minimizzare la possibilità di prendersi i bossoli in faccia, ma al massimo sul torace. La distanza raggiunta dal bossolo è senz'altro minore, il che potrebbe spiegare il misero metro e trenta di quelli del Mostro.
Addendum 28/09/2018. L'intervento del lettore Vincenzo Aversa mi ha ricordato che un paio d'anni fa mi ero imbattuto in un'interessante scena dal film I soliti sospetti, della quale avevo salvato il seguente fotogramma:
Come si vede, si tratta di un mancino che usa la pistola girata verso l'interno. In effetti ci sono dei tiratori mancini che hanno quest'abitudine, magari con rotazioni assai minori dei 90° del fotogramma. Lo scopo è quello di minimizzare la possibilità di prendersi i bossoli in faccia, ma al massimo sul torace. La distanza raggiunta dal bossolo è senz'altro minore, il che potrebbe spiegare il misero metro e trenta di quelli del Mostro.
Fuga e morte di Michel. Anche dopo essere stato colpito in modo grave al braccio
destro, Michel non fermò la propria fuga; la macchia di sangue sul montante
della Golf ci dice che vi si appoggiò con la mano sinistra ferita mentre stava
aggirando la tenda. Purtroppo nel buio e in un posto che non conosceva prese la
direzione sbagliata, superando i cespugli che delimitavano il corridoio sulla
destra della radura, che comunque tentò di percorrere verso l’uscita e quindi
verso la potenziale salvezza. Ma il Mostro, che evidentemente aveva intuito il
suo percorso – e forse anche visto, alla debole luce della luna – invece di
inseguirlo si precipitò a chiudergli la strada, come viene illustrato dalla
sottostante immagine.
I due
percorsi sono ipotetici ma ragionevoli – al massimo quello del Mostro potrebbe
essere iniziato non subito verso la bocca del pertugio, ma verso il ragazzo in
fuga per poi deviare – e dimostrano come non ci fosse stato alcun bisogno
dell’intervento di un complice per fermare Michel, considerando che la compagna
era in tenda morente.
Il
Mostro aveva riposto la pistola, ormai scarica, e aveva messo mano al coltello;
appena il ragazzo lo vide si girò tentando di tornare sui propri passi – forse
i due si scontrarono anche – ma il suo aguzzino gli fu subito addosso e gli
sferrò due coltellate, una trasversale sul lato posteriore del braccio sinistro
(Maurri: “ampio
squarcio a direzione pressoché trasversale rispetto al maggior asse dell’arto,
con interessamento del piano sottocutaneo e muscolare a livello del tricipite”), una alla base del collo cogliendo una vertebra (De
Fazio: “un
colpo di direzione trasversale da sn. a dx. che attinge il rachide a livello
della 5° vertebra”). È evidente che almeno
in questo secondo caso il coltello poteva essere soltanto nella mano sinistra,
ma anche nel primo.
Dopo il
secondo fendente il Mostro, con tutta evidenza ambidestro ma con le proprie
preferenze d’uso dell’arto destro o sinistro a seconda delle circostanze, passò
rapidamente il coltello nell’altra mano per afferrare Michel al collo con il
braccio sinistro e sferrargli un fendente, non mortale ma certamente in grado
di togliergli la forza per divincolarsi (De Fazio: “ferita trapassante che interessa le regioni
laterocervicali, (perforante la trachea ma, sembra, non i grossi vasi) con
decorso trasversale da dx. a sn.”).
I due
attori in foto hanno più o meno la medesima statura, si consideri però che
probabilmente il Mostro era più alto di una decina di centimetri (un metro e 80
circa contro uno e 70), quindi gli fu facile gravare con il peso del proprio
corpo sulle spalle di Michel e spingerlo a terra, mentre cercava di
accoltellarlo al torace. È molto probabile che le tre ferite da difesa ai polsi
del ragazzo siano da collocarsi in questa fase dell’aggressione. La foto cerca di darne un'idea, supponendo che entrambe le braccia ferite fossero ancora in grado di muoversi.
Alla
fine il Mostro stabilizzò la propria posizione mettendosi in ginocchio, quindi
riuscì a colpire Michel alla base del costato sul lato destro del torace (De
Fazio: “colpo
all’ipocondrio dx. nettamente dal basso in alto determinante lesioni epatiche
ed emoperitoneo”).
Dopo
aver lasciato cadere a terra il ragazzo ormai privo di forze, il Mostro gli si
mise a cavalcioni sulle gambe girandosi, e gli sferrò quattro coltellate sul
lato sinistro del torace (De Fazio: “4 colpi in regione precordiale, penetranti in cavità
toracica con direzionalità dall’alto in basso e da sn. a dx. determinanti una
condizione di emotorace”). Furono questi i
colpi mortali.
Per
maggior sicurezza, ma anche per smaltire l’adrenalina residua, prima di alzarsi
il Mostro usò ancora il coltello con due fendenti all’addome, non
particolarmente violenti (De Fazio: “2 ferite addominali (iliache, bilaterali, simmetriche); poco
profonde”).
La mutilazione di Nadine. Ormai certo della morte del ragazzo, il Mostro tornò verso
la tenda. Probabilmente Nadine, nonostante le lesioni devastanti all’encefalo,
dava ancora deboli segnali di vitalità; in ogni caso l’individuo volle esser
sicuro della sua morte, quindi le sferrò una coltellata molto violenta al collo
(De Fazio: “Lesione da taglio al collo (senza o con scarsa soffusione
emorragica!!), molto profonda, fino ad interessare la cupola toracica ed il
piano costo-vertebrale”). Quindi passò
alla fase successiva della sua sciagurata impresa.
Sono
diverse le opinioni su dove sarebbe stato posizionato il cadavere di Nadine per
mutilarlo del pube e del seno. Si legge nella perizia Maurri:
L’omicida entra dentro la tenda, afferra il
corpo inanimato della donna, presumibilmente per i piedi e la trascina
parzialmente fuori attraverso l’apertura anteriore sì che la ragione pubica si
trova grosso modo a circa 75-80 cm. dal margine o bordo della tenda (punto ove
è stata trovata la chiazza di sangue davanti alla zanzariera)
Secondo
l’anatomopatologo e i suoi collaboratori il cadavere sarebbe stato estratto
dalla tenda, con la zona del pube posizionata a un’ottantina di centimetri da
essa, dove poi sarebbe stata trovata la nota macchia di sangue, prodottasi
quindi proprio per la mutilazione. Ma l’ipotesi pare poco felice. Innanzitutto
davanti all’ingresso, lo abbiamo visto, c’era una striscia di doppio tessuto
alta a occhio una quindicina di centimetri. A parte l’improba fatica, data la
ristrettezza dell’ambiente, farvi strisciare sopra il cadavere avrebbe prodotto
un conseguente grosso sconquasso nella debole struttura dell’intera tenda, sia
nell’estrazione che, anche di più, nel successivo riposizionamento, che invece
non vi fu. E poi la necessaria luce sarebbe stata troppo visibile dalla via
sottostante.
Si
legge nella perizia De Fazio:
L’operazione deve essere avvenuta all’interno
della tenda, con possibilità di illuminazione da lasciare libero l’uso delle
mani, anche se con una certa ristrettezza di spazio. L’operatore forse si è
messo sul fondo della tenda con le spalle rivolte alla parete posteriore e con
il volto verso l’accesso (anche per una naturale cautela di salvaguardia verso
eventuali sopravventori), nel ristretto spazio interposto, cioè, tra la parete
posteriore della tenda ed il cadavere della donna reclinato sul fianco
sinistro; le gambe del reo sarebbero da ritenersi quindi appoggiate al fianco
dx. della donna.
Il
Mostro accucciato o inginocchiato con le spalle alla parete posteriore e
davanti a lui il cadavere di Nadine per lungo; il tutto in uno spazio di un
metro e 10, poiché tale era la profondità della tenda: la scena immaginata da
De Fazio e collaboratori è fuori dalla realtà. Senza contare il pericolo che
avrebbe corso il Mostro al sopraggiungere di qualcuno, con l’ovvia difficoltà
di fuggire se anche, guardando verso l’ingresso, avesse avuto la possibilità di
accorgersene.
E
allora, dentro o fuori? In realtà basta riflettere sulla foto del materassino
insanguinato per ipotizzare un terzo molto più plausibile scenario.
Semplicemente
il Mostro si affacciò carponi all’interno dove, dopo la coltellata di cui si è
detto, prese il cadavere per i piedi e gli tirò fuori soltanto le gambe
raddrizzandolo. Quindi, inginocchiato con le ginocchia appena fuori e il busto
dentro, alla luce della lampada da campeggio portò a compimento la sua triste
operazione. Vantaggi: nessuno sconquasso sulla tenda, relativamente poca fatica
nello spostamento del cadavere, nessuna luce visibile dal di fuori e
possibilità di fuga al sopraggiungere di qualcuno.
Secondo
Maurri venne mutilato per primo il pube, secondo De Fazio il seno, in ogni caso
i due organi vennero entrambi appoggiati fuori dalla tenda producendo la nota macchia
di sangue sul terreno. Poi le gambe di Nadine furono rimesse dentro,
riposizionando il cadavere più o meno com’era in origine, trasversalmente con
la testa a destra, e la cerniera richiusa (così sarebbe stata vista da Sabrina
Carmignani).
Con
quale mano il Mostro teneva il coltello durante le escissioni? È ben nota
l’opinione di Maurri: con la destra. Secondo l’anatomopatologo, per entrambi
gli organi l’incisione sarebbe stata compiuta con due movimenti ad arco di
cerchio, entrambi con partenza alle ore 9-10.
Si vuole cioè fare esplicito riferimento
all’intaccatura localizzata, rispetto al quadrante di un orologio, verso le ore
9-10 che compare, ed è stata notata e descritta, in tutti i casi di mutilazione
del pube. Anche nel caso della giovane francese pertanto l’omicida ha iniziato
la cruentazione della regione pubica, con un incisione ad arco di cerchio
diretta […] da destra verso la sinistra sì da delimitare grosso modo la metà
superiore della superficie rotondeggiante cruentata; subito dopo partendo dallo
stesso punto da cui ha avuto inizio la prima incisione si è avuto un’altra
azione da strisciamento e da pressione del filo della lama, ad andamento
curvilineo con concavità aperta verso l’alto, mentre nel taglio iniziale la
concavità era verso il basso; la seconda incisione va del pari, come la prima
da destra verso sinistra, sul cadavere, e finisce con il formare la metà inferiore
della circonferenza di cui la metà superiore era stata formata con la prima
incisione. Nel punto di contatto dei due tagli si forma la linguetta, il
triangolo di cute che si ripete è costantemente presente anche nelle
mutilazioni precedenti e sempre nelle stessa zona del quadrante orario.
La
discontinuità dell’incisione a ore 9-10 avrebbe quindi indicato il punto di
partenza della lama in entrambe le direzioni, oraria in alto, antioraria in
basso. Per poter ipotizzare due archi di cerchio invece di un cerchio unico,
evidentemente anche sul lato opposto, a ore 3-4, doveva esistere un qualche
segnale di discontinuità, non tanto nella cesura delle due curve, che
altrimenti sarebbe anch’essa stata evidenziata, quanto nella loro inclinazione.
Il che però è molto strano, poiché la discontinuità di gran lunga maggiore
avrebbe dovuto determinarsi proprio nel punto d’arrivo dei due semicerchi, dove
difficilmente la seconda volta la lama sarebbe arrivata proprio dove era
arrivata la prima. Alla partenza, invece, sarebbe stato facile ripartire dallo
stesso esatto punto.
Per
quanto riguarda il seno, dove la tecnica d’incisione rimase la medesima, suona
strano che un destrimane avesse scelto il sinistro (a meno di recondite
ragioni, tipo “orrendo spettacolo” di
Pacciani, che appaiono poco probabili). Nelle due foto sottostanti si può
apprezzare bene la migliore posizione di chi afferra il seno con la mano destra
e lo taglia con la sinistra, quindi con il busto in linea con quello della
vittima (foto a destra), rispetto a chi fa il contrario, con il busto inclinato
verso destra per una posizione di sicuro meno comoda e naturale.
A
questo punto è il caso di proporre un’ipotesi alternativa che tenga conto di un
soggetto in grado di usare il coltello con entrambe le mani, quindi, in
sostanza, un mancino parzialmente corretto.
In un
primo momento, afferrato il seno con la mano destra, con la sinistra iniziò a
tagliare da ore 3-4 e arrivò fino a ore 9-10, descrivendo il semicerchio
superiore in senso antiorario. La scelta del seno sinistro fu quella naturale per un
mancino. Si passò poi il coltello nella mano destra, afferrò il seno con la
sinistra e ripartì da ore 3-4 descrivendo in senso orario il semicerchio
inferiore. Alla partenza riuscì a riprendere bene la precedente incisione – si
tenga presente che, tirando, l’inizio del taglio risultava ben evidente –,
all’arrivo ci andò solamente vicino poi si corresse, lasciando la discontinuità
di cui si è detto.
Il nascondimento di Michel. Dal riposizionamento del corpo di Nadine dentro la tenda
risulta evidente la volontà del Mostro di ritardare la scoperta del delitto,
confermata peraltro dall’operazione successiva. L’individuo, infatti, tornò dove
aveva lasciato il cadavere del ragazzo, lo prese per i piedi e lo trascinò in
mezzo a un diradamento dei cespugli, anche in questo caso con la logica
intenzione di ritardarne il rinvenimento. Una estesa macchia di sangue rimase a
testimoniarne la posizione originaria, il che dimostra l’avvenuto trascorrere
di diversi minuti, quelli necessari alle mutilazioni del corpo di Nadine.
Si è
detto, anche in sede di processo a Pacciani, che per tale spostamento sarebbe
stato necessario, o almeno utile, l’intervento di un complice, questo perché il
cadavere sarebbe stato sollevato e lanciato. In realtà fu trascinato per i
piedi, come dimostrano la posizione assunta dalle braccia e la presenza di abrasioni
post mortali sul dorso e sul fianco destro rilevate in sede autoptica:
Sul cadavere dell’uomo furono riscontrate
lesioni imputabili ad arma da fuoco, lesioni da arma bianca e lesioni di tipo
escoriativo, lacerativo e contusivo. Sgombriamo il campo da queste ultime,
precisando che si trattava di reperti di minima entità, a tipo di superficialissima
disepitelizzazione, a forma lineare, poco numerose, variamente orientate, della
lunghezza di
pochissimi cm., tutte localizzate in piccola
parte alla schiena ed in parte lievemente maggiore sul fianco destro. I
caratteri cromatici di queste lesioncine indicano che si tratta di fatti post-mortali
e che hanno con ogni probabilità avuto origine allorché era cessato ogni
residuo di circolazione sanguigna. Si tratta molto verosimilmente di lesioni
prodotte per strisciamento delle corrispondenti regioni del tronco, sul terreno
locale ricco di foglie e di altri minuti detriti di origine vegetale. È del
pari verosimile che queste disepitelizzazioni si siano verificate quando il
cadavere del K. fu trascinato dal punto in cui si era verificata la morte, a quello
in cui fu rinvenuto. Si tratta di una distanza brevissima, con terreno non
particolarmente accidentato, il che spiega lo scarso numero e la superficialità
delle lesioni.
Rimane
la perplessità della posizione delle gambe. I piedi risultarono uniti e poggiati
sui cespugli, a circa mezzo metro da terra. In quella che parrebbe l’unica foto
esistente del cadavere così come venne rinvenuto – non disponibile a chi scrive
ma vista in un convegno di qualche anno fa – si nota che oltre i piedi c’era
ancora vegetazione, quindi il Mostro non poteva averli tirati fino all’ultimo.
La foto sottostante illustra il modo in cui potrebbe essere andata.
L’assassino,
se persona robusta, nella parte finale del trascinamento avrebbe potuto
mettersi di lato e spingere, invece di tirare, con la necessità di unire i
piedi del cadavere, che infatti vennero trovati accosto l’uno all’altro.