Come abbiamo visto nell’articolo Il
dottore di Lotti e il patrimonio di Pacciani, il primo passo concreto di
Giuttari verso la pista dei mandanti fu la richiesta, inviata il 20 maggio 1996
al PM Canessa, di poter effettuare “accertamenti di natura patrimoniale e finanziaria nei
confronti di Pacciani”. Contrariamente a quanto avrebbe poi
dichiarato nei propri libri, a spingere Giuttari a prendere in esame uno
scenario così atipico, mai visto prima in tutta la storia criminologica
mondiale, non furono né le intercettazioni delle telefonate tra suor Elisabetta
e Pacciani riguardanti i noti buoni postali, né il misterioso “dottore” della
“lettera spontanea” di Lotti; entrambi gli eventi furono infatti successivi al
documento inviato a Canessa,
rispettivamente fine giugno e metà novembre. Si potrebbe allora
ipotizzare una semplice fulminazione, un’idea nata dalle doti di fantasista dell’investigatore
messe a frutto più avanti anche nei propri romanzi di successo. Può darsi, ma
una sospetta coincidenza di date fa intravedere una possibilità differente,
legata a un personaggio che già da un po’ si era interessato alle indagini sui
delitti del Mostro: la “giornalista investigativa”, come lei stessa amava
definirsi, Gabriella Pasquali Carlizzi (1947-2010).
Vicende clamorose. Qualche semplice
ricerca sugli archivi storici online dei nostri quotidiani restituisce molti
articoli in cui il nome di Gabriella Carlizzi viene associato a note vicende di
cronaca, nelle quali la donna era entrata dicendosi depositaria di verità
clamorose sfumate poi in niente. Vale la pena fornire soltanto un paio di esempi.
Da questo
articolo di “Repubblica” del primo novembre 1990 si viene a sapere che la Carlizzi
si era accreditata come testimone di fatti importanti nella vicenda dei documenti
riservati che le Brigate Rosse avrebbero sottratto allo statista Aldo Moro al
momento del sequestro.
Ieri, sono state anche ascoltate come testi Maria Fida Moro
e la signora Gabriella Carlizzi. Quest’ultima era stata già sentita nei giorni
scorsi, ma ieri, sul Corriere della Sera sono apparse sue dichiarazioni nelle
quali ha affermato di aver visto gli originali dei documenti di Moro nelle mani
di Valerio Morucci nel carcere di Paliano. Un’altra versione. La teste ha
ribaltato quanto riferito dal giornale. Avrebbe detto ai magistrati di non aver
visto alcun documento ma di aver sentito dire, in carcere, quando prestava
l’attività di assistente volontaria, che Morucci aveva quei documenti. La
Carlizzi per alcune sue dichiarazioni è stata denunciata per diffamazione dal
professore Tommaso Mancini, difensore di Morucci. Inoltre, ai due magistrati
romani la donna ha detto più volte di essere amica di Maria Fida Moro e ha
rivelato alcune presunte confidenze della figlia dello statista dc. Interrogata
come teste, Maria Fida Moro avrebbe precisato che la Carlizzi l’avrebbe
importunata da anni ed ha aggiunto che ne sono al corrente tutte le massime
autorità di pubblica sicurezza e degli istituti di prevenzione e pena.
Valerio Morucci era
stato uno dei sequestratori. Maria Fida Moro, figlia dello sfortunato statista,
così respinse la pretesa della Carlizzi di accreditarsi come sua amica (vedi):
“Ho un concetto dell’amicizia troppo alto per
consentire ad una persona che conosco appena, che non stimo e che avrei
preferito non conoscere mai, di entrare a forza nel numero dei miei amici”.
Un’altra e
ancora più clamorosa vicenda viene illustrata da questo
articolo, uscito su “Repubblica” del 2 agosto 1995:
Sembrerebbe, a prima vista, una delle classiche truffe
all’italiana: c’è un bravo praticone che si spaccia per illustre clinico,
guarisce la gente, ma non ha un titolo di studio e finisce nei guai. Invece,
qui a Bergamo, la trama è misteriosa e complessa. C’è un video a luci rosse,
ormai scomparso. Accanto agli investigatori giocano a tutto campo le due
testimoni-accusatrici: una è la protagonista inconsapevole del filmino, l’altra
una battagliera giornalista, sua amica. E l’uomo cardine di questa vicenda ha
occhi penetranti e un innegabile "tocco magico" nelle mani:
praticamente sconosciuto per i più, Pierantonio Bettelli, 50 anni, viene
venerato da decenni da una clientela di star internazionali e di più modeste
vedette della tv nostrana, da atleti e ballerini.
Bettelli venne
indagato per abuso della professione medica, non essendo stato in possesso dei
requisiti necessari alla pratica dei propri metodi di cura, applicati da
vent’anni a un’ampia clientela di VIP, tutti soddisfattissimi (Pavarotti,
Celentano, Zucchero, Lorella Cuccarini, Carla Fracci e tanti altri). Ma l’uomo
venne sospettato anche di reati ben più gravi, nella cui configurazione ebbe un
ruolo decisivo Gabriella Carlizzi.
Il secondo filone riguarda reati più gravi, da tribunale,
ancora lontani da essere provati. Innanzitutto, c’è il filmato a luci rosse che
vede come attrice protagonista Cristiana Crivelli, ex barista, con qualche
problema psicologico, bella, che un giorno Bettelli nota e convince a mollare
il bancone per passare ai massaggi. Ma, a parte il ruolo di assistente,
Cristiana diventa la fidanzata di Bettelli, racconta di orge, di amore
collettivo ripreso, a sua insaputa, con la videocamera […].
La storia poteva restare "coperta" sino a quando,
nel centro di Bergamo, non irrompe per farsi curare la giornalista Gabriella
Pasquali Carlizzi, la cui pubblicazione, L’altra Repubblica, ora campeggia
nell’ufficio del capo della squadra Mobile, Giuseppe Vozza, riflessivo e
caparbio. Carlizzi ha una passione per le storie oscure, ha contribuito a far
mettere sotto accusa monsignor Cassisa, ha denunciato per mazzette Andreotti e
Craxi, se s’imbatte in qualcosa che non quadra corre in qualche Procura. E così
ha fatto anche questa volta. Per due mesi è stata ospitata nella villa di
Bettelli, l’ha conosciuto bene, ha fiutato pericolo, ha scoperto che Bettelli
ha curato anche il mafioso Gambino, e gli ha dato un consiglio: "Prendi il
tuo prana (fluido magnetico delle mani, ndr) e va per il mondo, molla tutto
prima che sia tardi". Bettelli non l’ha seguito e Carlizzi, che ha
conosciuto anche Cristiana e l’ha portata a vivere con lei, a Roma, lontana da
Bettelli, ha continuato a indagare.
La data cruciale è il 2 luglio scorso, quando muore agli
ospedali Riuniti di Bergamo Giambattista Arzuffi, anziano architetto, curato
prima da Bettelli (che lascerà erede). Qualcosa secondo la giornalista non
quadra, convince gli inquirenti, tant’è vero che il cadavere, nonostante abbia
subito già due autopsie, nei giorni scorsi viene riesumato e sottoposto al
terzo esame autoptico. Gli anatomopatologi cercano alcuni farmaci letali. Se li
troveranno, saranno riesumate altre due salme: un paziente, che si è buttato
giù da una finestra del centro, sei anni fa; e un assistente, che nell’aprile
scorso è stato trovato morto, sempre nel centro davanti alla prefettura, in una
pozza di sangue e con medicine in bocca.
Alle tre morti
sospette sopra indicate se ne aggiunse una quarta, di un personaggio ben più
famoso, Walter Chiari, il cui cadavere venne poi in effetti riesumato. Chi
scrive non è riuscito a recuperare informazioni sulla conclusione della
vicenda, di sicuro Bettelli fu rinviato a giudizio per abuso della professione
medica (vedi),
mentre niente venne trovato sulle presunte morti sospette.
Questo
articolo del “Corriere della Sera” del 9 ottobre 1996 racconta della
riesumazione della salma di Walter Chiari:
Walter Chiari, nessun mistero. La magistratura ha archiviato
l'inchiesta sulla morte dell'attore. Cade così l'accusa più grave (omicidio
colposo) per Pierantonio Bettelli, il massaggiatore delle star imputato di
truffa ed esercizio abusivo della professione. E ieri, giorno del processo per
la clinica dei vip, l'avvocato Roberto Ruggiero, legale dei familiari di Walter
Chiari, non ha lesinato polemiche: "La riesumazione della salma si è
rivelata assolutamente inutile, come noi stessi avevamo sostenuto. Un atto di
violenza morale pesante". Invano Simone, figlio 22enne di Alida Chelli e
Walter Annichiarico (in arte Chiari), s'era opposto alla riesumazione. […]
Il popolare attore morì il 20 dicembre '91 all' età di 67
anni, nel suo appartamento alla periferia di Milano. Per i medici non ci furono
dubbi: insufficienza cardiocircolatoria provocata anche dalle precarie
condizioni fisiche. Dunque, nessuna autopsia. La salma venne tumulata al
cimitero monumentale a Milano. Fu durante gli interrogatori delle due grandi
accusatrici di Bettelli, la giornalista Gabriella Pasquali Carlizzi e l’ex
dipendente del centro fisioterapico Cristiana Crivelli, che vennero sollevati i
primi sospetti (Walter Chiari era stato in cura alla clinica dei vip). Sospetti
che spinsero la magistratura a ordinare la riesumazione della salma.
Condanna per truffa. Oltre che entrare
da presunta testimone in quelle di altri, Gabriella Carlizzi fu protagonista di
una vicenda giudiziaria tutta sua. Da “L’Unità” del 14 settembre 1995 (vedi):
Gabriella Pasquali Carlizzi, testimone volontaria in tante inchieste
e in tante oscure italiche vicende, è stata arrestata ieri mattina dagli uomini
della Guardia di Finanza per ordine del giudice per le indagini preliminari
Alberto Pazienti. Insieme a lei è finito in manette anche il marito Camelo
Maria. Ai coniugi, secondo le nuove disposizioni di legge, è stata concessa la
detenzione domiciliare. Il provvedimento di custodia cautelare è stato firmato da
Alberto Pazienti su richiesta del Pm Paolo D‘Ovidio. L'accusa è gravissima:
circonvenzione d'incapace. I due coniugi, fondatori dell‘Associazione volontari
della carità, avrebbero indotto sette anziane persone a finanziare
l'associazione con grosse cifre, fino ad un totale di circa due miliardi di lire.
Una sola coppia di anziani, i Deilei, ha raccontalo al giudice di aver dato ai
coniugi Carlizzi almeno 900 milioni di lire, dopo aver saputo che la coppia
andava raccontando in giro di essere la reincarnazione di un sacerdote deceduto
nel 1984, il noto Padre Gabriele. Non dare soldi per la «sacra» memoria di
Padre Gabriele, avrebbe significato incorrere in gravi disgrazie. Questo almeno
secondo i denuncianti.
Prima di
giungere alla fine della vicenda passarono diversi anni, ma alla fine i
Carlizzi vennero condannati. Da “Repubblica” del 5 luglio 2006
(vedi):
Cinque anni e mezzo di reclusione e 2.100 euro di multa per
l’accusa di circonvenzione di incapace. È la condanna inflitta a Gabriella
Pasquali Carlizzi, per aver compiuto un raggiro nei confronti di alcuni anziani
che avevano aderito all’Associazione dei volontari della carità, fondata dalla
donna insieme con il marito Carmelo Maria Carlizzi. Condannato anche lui a 4
anni di reclusione. Al centro della vicenda, iniziata nel 1984, c’era un
raggiro della Pasquali Carlizzi che, spacciandosi come il tramite di un
religioso defunto, padre Gabriele, avrebbe convinto alcuni anziani a versarle
beni valutati in 2 miliardi delle vecchie lire.
La vicenda Bevilacqua. Arriviamo alle
vicende del Mostro di Firenze. Il 25 febbraio 1995 il dirigente della questura
di Roma, Nicola Cavaliere, inviò un’informativa al sostituto procuratore Emma
D’Ortona (vedi).
Eccone alcuni stralci:
Alle ore 16 odierne, rientrando in ufficio [...] ho trovato
in segreteria un appunto ove era riportata una telefonata pervenuta alle ore
13.50 precedenti. E precisamente «Dott.ssa Carlizzi – direttore “L’Altra
Repubblica” – è urgente in quanto riguarda il Mostro di Firenze». Alle h. 14,15
mi mettevo in contatto con il citato direttore […]. Poco dopo raggiungevo la
redazione del citato settimanale […].
La Carlizzi riferiva di aver appreso, circa 30 giorni
orsono, da una ragazza di nome Anna Maria […] che il Mostro di Firenze si identifica con il noto scrittore
Alberto Bevilacqua.
Sulla scorta di tale confidenza, il direttore aveva quindi
effettuato una serie di “indagini”, di riscontri ed altri accertamenti,
giungendo alle stesse conclusioni della giovane donna […].
Riferiva, ancora, che la giovane era stata per un breve
periodo l’amante del Bevilacqua e che, in detto periodo, nel corso degli
incontri amorosi, avrebbe verificato alcuni atteggiamenti “mostruosi”
dell’uomo, con totali sdoppiamenti della personalità.
La Carlizzi, dopo aver ricevuto questo input dalla giovane,
aveva iniziato una serie di verifiche che lo scrivente provvedeva ad appuntarsi
su un foglio, e che qui di seguito si riportano, tralasciando tutte le argomentazioni
relative ai romanzi scritti da Bevilacqua, nei quali testi il direttore ha
visto molte conferme alle sue tesi.
- La giovane avrebbe visto in un armadio dell’abitazione di Bevilacqua molte confezioni del medicinale-psicofarmaco Norzetan. Il farmaco citato, a dire dell’avv.to
Fioravanti, sarebbe stato trovato nei pressi di un luogo teatro di omicidio
addebitato al Mostro di Firenze.
- Bevilacqua avrebbe
una casa in località Sermide (FE), alcuni testi del processo Pacciani sarebbero
di Sermide.
- Il Bevilacqua
sarebbe stato più volte ricoverato in un ospedale psichiatrico in località
Colorno.
- La madre dello
scrittore sarebbe stata a lungo ricoverata in vari ospedali psichiatrici e lui
sarebbe stato cresciuto da una donna. Questa si sarebbe suicidata nello stesso
periodo in cui è giunta la sentenza di condanna per il Pacciani.
- Il Bevilacqua frequenterebbe la zona di San Casciano Val di Pesa, in quanto alcuni suoi libri
sarebbero stati stampati presso “Le Officine Grafiche” di quella località.
La Carlizzi, a conclusione del colloquio, durato oltre
un’ora, consegnava allo scrivente un “identikit”, a suo tempo divulgato, del
“Mostro di Firenze”, avuto dall’avv.to Fioravanti, nonché due foto del
Bevilacqua riprodotte da un retro copertina di un libro.
Poco più tardi
fu Emma D’Ortona ad ascoltare la Carlizzi (vedi).
La giovane che avrebbe avuto una breve relazione con Alberto Bevilacqua si
chiamava Anna Maria Ragni. Il successivo 2 marzo sia la Carlizzi (vedi)
sia la Ragni (vedi)
vennero ascoltate in procura a Firenze da Paolo Canessa. Ecco uno stralcio del
verbale della Ragni, dove viene descritto l’unico incontro con il famoso
scrittore:
Il Bevilacqua mi ha detto espressamente nell‘unica volta che
l’ho visto e nei modi che poi spiegherò di essere lui il mostro di Firenze. Lo
avevo cercato io il Bevilacqua perché ero rimasta impressionata dai discorsi
che faceva in televisione e volevo conoscerlo.
Nell‘aprile dell'anno scorso chiesi ad un mio amico di
Milano […] di trovarmi l‘indirizzo del Bevilacqua. Stefano me lo trovò ed io cominciai
a scrivere poesie che mandavo in forma anonima allo scrittore. Alla fine gli
mandai anche due lettere con il mio indirizzo ed il telefono di Roma e lui mi
telefonò la sera di Ferragosto dello scorso anno. Io non mi aspettavo quella telefonata.
Parlammo un po', gli dissi che lo volevo conoscere e lui mi chiese se volevo
portare fino in fondo il rapporto. Gli dissi di sì, mi disse che sarebbe stato
via 15 giorni in America e che mi avrebbe richiamato.
Mi chiamò il 31 agosto andai a casa sua il 1° settembre […].
Mi ha subito offerto da bere, abbiamo un po' parlato. […] Conversando siamo
andati prima in terrazza, poi ci siamo seduti sul divano in casa ad un certo
punto da tranquillo mi è sembrato teso e serio. È diventato quasi malinconico e
mi ha fatto una strana domanda: «Tu sei una ladra, hai rubato in casa mia?».
Poi ha aggiunto «Tu non hai paura dei mostri?» ed ancora «Sono io il vero
mostro». «Mi aggiravo nei boschi con Ligabue».
Si è assentato più volte e mi ha lasciato sola anche per una
decina di minuti, ho girato per la casa ed ho visto su un mobile un coltello di
tipo orientale. Girando ho trovato Alberto in camera da letto spogliato.
Abbiamo avuto un rapporto completo anche se lui è andato in bagno più volte. Diceva
parole volgari e mi ha preso con violenza. Mentre era in bagno ho visto che in
un armadio aveva tante medicine. Io ho visto che fra queste c'era la Clozapina
e che alcune erano confezioni vecchie, mi ricordo anche una medicina con una
etichetta Norzaden. A mia domanda mi ha detto che alcune medicine erano di sua
madre. Parlandomi parlò di quest‘ultima che era stata ricoverata in manicomio
quando lui aveva 5 o 6 anni e lui era stato affidato ad altri. Faccio presente
che quando mi chiese se avevo rubato in casa mi disse che lui aveva degli amici
mascalzoni e criminali.
Sono stata in casa sua dalle ore 17.30 alle ore 22 circa. Uscendo
mi disse di chiamarlo perché lui aveva tanti problemi ed aggiunse proprio mentre
stavo uscendo «Io sono il vero mostro di Firenze».
Gli uomini della SAM (i “soliti” Lamperi e Venturini) effettuarono alcuni controlli, constatando
tra l’altro che l’affermazione a verbale della Carlizzi “di mia iniziativa ho accertato presso l’ospedale
psichiatrico di Colorno che il noto scrittore sarebbe stato ricoverato per ben
due volte; voglio precisare che ho parlato con il Dott. Bianchi a cui ho
telefonato oggi stesso…” non rispondeva al vero. Fu lo stesso
Stefano Bianchi a smentire la donna a verbale (vedi),
assicurando che Bevilacqua non era mai stato ricoverato presso la struttura
ospedaliera della quale era lui il responsabile. Un risultato analogo ebbe il
controllo presso l’azienda di San Casciano dove sarebbero state stampate opere
di Bevilacqua, circostanza che risultò non vera (vedi).
Il 13 marzo sia
Gabriella Carlizzi sia Anna Maria Ragni vennero iscritte nel registro degli
indagati per il reato di calunnia; seguì, il 23 marzo, la richiesta d’arresto
per entrambe (vedi),
respinta però dal GIP, nel caso della Ragni per la mancanza delle necessarie
condizioni di urgenza e pericolo di reiterazione del reato, nel caso della
Carlizzi per incompetenza territoriale (vedi).
Gabriella Carlizzi non si lasciò spaventare dal pericolo di guai giudiziari, rispondendo
a sua volta con denunce e scrivendo un libro, Lettera ad Alberto Bevilacqua, pubblicato nel febbraio 1996, dove
ribadiva le proprie accuse. La vicenda giudiziaria terminò con la condanna sia
della Carlizzi sia della Ragni, come attesta questo
comunicato dell’agenzia Adrokronos del 25 maggio 2000:
Gabriella Pasquali Carlizzi, che nel 1995 aveva accusato lo
scrittore Alberto Bevilacqua di essere il 'Mostro di Firenze', è stata
condannata per calunnia dal Tribunale di Roma. Il presidente dell'ottava
sezione penale, Luigi Rocco Fiasconaro, ha inflitto alla Pasquali Carlizzi una
pena di due anni di reclusione, mentre l'altra imputata, Anna Maria Ragni, ha
patteggiato la pena a 16 mesi di reclusione. La Pasquali Carlizzi era stata già
condannata dal Tribunale civile di Roma a risarcire all'autore di tanti best-seller
la somma di 500 milioni di lire per i danni arrecati alla sua immagine in
seguito alle affermazioni diffamatorie che lo avevano coinvolto nei delitti
delle coppiette nei dintorni di Firenze.
Gabriella Pasquali Carlizzi, ex assistente sociale a Roma,
agli inizi degli anni Novanta fondò il periodico ''L'altra Repubblica'',
pubblicando di volta in volta presunti scoop, poi rivelatesi sempre bolle di
sapone. La giornalista, che di recente è stata condannata per calunnia anche ai
danni del questore di Perugia Nicola Cavaliere, si è dichiarata via via in
possesso di clamorose verità sui delitti di via Poma e dell'Olgiata, sulla
morte dell'attore Walter Chiari, sulla Banda della Magliana, sul caso Moro, sul
rapimento di Emanuela Orlandi, sull'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa, sulle stragi mafiose di Capaci e via D'Amelio.
L’idea della compravendita. Nei primi
mesi del 1996 la Carlizzi inviò molti scritti ai magistrati fiorentini,
riguardanti sia la vicenda Bevilacqua sia altri temi – come quello dei poteri
forti che avrebbero tentato di boicottare l’inchiesta sul Mostro – riprodotti
poi nell’opera in più volumi Il Mostro a
Firenze, edita nel 2009. Scorrendo le varie pagine si scopre una lettera
del 25 marzo, indirizzata a Vigna, Canessa e Fleury, dove si legge:
Illustrissimi signori, intendo informarvi di un particolare
aspetto che è emerso nell’ambito della mia personale indagine sul “mostro di
Firenze”. […] ritengo sia credibile il fatto che coloro (Vanni, Pacciani,
Lotti,…) che avrebbero partecipato alle esecuzioni, in quanto organizzati,
erano esenti da qualsivoglia movente psicologico o paranormale, ma, usati nelle
loro perversioni e consuetudini nell’ambiente dei guardoni e della
prostituzione, eseguivano un mandato. […]
È evidente che per quanto riguarda gli “esecutori”, i
delitti non venivano concretati gratuitamente, ma in una collegiale complicità
potevano essere garantiti solo da un passaggio di denaro e altri beni.
Come pure, se la “mente” commissionava i delitti per
necessità occulte e finalizzate a riti sacrificali, tale pratica deve
necessariamente essere pagata, così come dimostra l’intera letteratura nel
merito. Nell’ambito della mia indagine in tal proposito mi sono chiesta e spero
vi chiediate anche Voi: come si giustifica l’assetto patrimoniale di Pietro
Pacciani? Con quali soldi acquista due case, intestate alle figlie, e
contemporaneamente mette a frutto decine di milioni di risparmio in titoli di
vario genere? O vogliamo veramente credere che abbia maturato certe somme
mettendo da parte qualche centinaio di mila lire al mese? Non gli sarebbe
bastata una intera vita.
Come si vede, ci sono tutti gli ingredienti della futura pista esoterica. Poco meno di due mesi
dopo, il 20 maggio, la donna scrisse ancora ai medesimi magistrati:
Illustrissimi Signori, lo scorso venerdì 17 ho incontrato a
Firenze il Capo della Squadra Mobile, dottor Giuttari, con il quale avevo preso
un appuntamento onde illustrare circostanze “nuove” relativamente all’attuale
inchiesta sul “mostro di Firenze”.
Seppure, con grande soddisfazione, ho avuto conferma
dell’orientamento della Procura verso una vera e propria organizzazione, (e di
tale orientamento ritengo, verbali alla mano, di essere stata promotrice,
vedere verbale d’interrogatorio del 18/12/1995) ho peraltro percepito ancora
una certa difficoltà nella lettura completa del fenomeno, che non può certo
fermarsi alla bassa manovalanza delle esecuzioni, ma ha l’obbligo di risalire
ai mandanti e ai mandatari, nonché alle eventuali complicità che di volta in
volta hanno procurato coperture e depistaggi. […]
Se proviamo ad immaginare una piramide che comprende la
chiave di lettura del fenomeno “mostro di Firenze”, possiamo distinguere vari
strati: alla base, manovalanza locale e scelta nel mondo ricattabile dei
guardoni e pervertiti, gente sicuramente conosciuta anche dalle forze
dell’ordine locali, e forse, speriamo che non sia così, coperta anche da
qualcuno di questi; al livello immediatamente superiore frequentatori locali di
operatori dell’occulto e capaci di contrattare con la suddetta manovalanza il
prezzo in danaro di tali “lavoretti”; ancora più su va ricercato il mago in
loco, il quale appena raggiunta la certezza di potere attuare il rito con la
disponibilità dei feticci, organizza, eventualmente con collaboratori di livello
superiore nelle pratiche dell’occulto, il rito vero e proprio, quello cioè
mediante il quale può adempiere secondo le esigenze espresse da chi si è
rivolto alla magia costretto da situazioni di sofferenza personale.
Dalla lettera si
viene quindi a sapere che venerdì 17 maggio 1996 la Carlizzi era andata a
illustrare le proprie ipotesi esoteriche di fronte a Giuttari, al quale avrà
senz’altro manifestato anche i propri dubbi sull’assetto patrimoniale di
Pacciani. Naturalmente non è dato sapere quanto grande fosse stato il contributo
della donna a sollecitare l'iniziativa di Giuttari, è però vero che il lunedì successivo
il superpoliziotto avrebbe inviato a Canessa la richiesta della quale si è detto all'inizio dell'articolo:
[…] poiché si ha motivo di ritenere che le disponibilità
finanziarie del PACCIANI possano ragionevolmente provenire dalla attività
delittuosa in ordine alla quale è attualmente indagato. si prega di valutare
l'opportunità di disporre completi accertamenti di natura patrimoniale e
finanziaria, delegando Ufficiali di PG. di questa squadra mobile anche per
l'assunzione di informazioni dai diversi datori di lavoro dell'indagato.
La coincidenza di date rende legittimo il sospetto che quell’incontro con
la Carlizzi fosse stato piuttosto significativo per la partenza della pista esoterica. Di sicuro la donna sarebbe
tornata molte volte a discutere delle proprie idee in questura e anche in
procura, sia a Firenze sia a Perugia. Avremo occasione più avanti di esaminare
qualcuno dei suoi “stimoli”; intanto si rifletta su questo frammento di un
verbale datato 4 settembre 2002, in piena era Narducci (il documento completo è
scaricabile qui).
Ieri 03.09 ho telefonato al dott. Mignini e gli ho parlato
di due suore che sarebbero state interessate nel caso del mostro di Firenze,
una è suora Elisabetta che tutelò Pacciani fino alla morte ed ebbe un
interessamento un po’ troppo particolare. […] L’altra suora che ho conosciuto
diversi anni fa, tale Suor Miriam, che effettivamente faceva parte del servizio
segreto del Vaticano, questo avveniva nel 1993. Questa suora mi chiese se
attraverso i messaggi di Padre Gabrieli avevo notizie della salute del Papa.
Padre Gabrieli mi disse che era stato fatto un maleficio al Papa, una messa
nera direttamente nel Vaticano, e gli avevano posto un “feticcio” nella rete
ortopedica. Rivista la suora gli comunicai quanto avevo saputo; di seguito
tornò questa suora per dirmi che il feticcio era stato trovato dove avevo
indicato.