giovedì 7 gennaio 2016

I dossier di Bruno (1)

Prima di stabilizzarsi dividendosi in due fronti, quello perugino con la vicenda della morte di Francesco Narducci e quello fiorentino con la persecuzione di Francesco Calamandrei, l’inchiesta sui fantomatici mandanti aveva pencolato di qua e di là, inseguendo speranzosa ogni apparente traccia di esoterismo. In quegli anni tormentati (1998-2001) a fornire materiale agli investigatori c’era in prima fila la “giornalista investigativa” – così lei amava definirsi – Gabriella Pasquali Carlizzi. Sul controverso personaggio e sull’influenza che esso ebbe sulle indagini ci sarebbe da scrivere moltissimo, per adesso limitiamoci a quel che riguarda il caso dei famosi e fin troppo mitizzati dossier di Francesco Bruno.
Per come la raccontò lei stessa, la Carlizzi era arrivata sulle tracce dei dossier di Bruno partendo da un libro, Coniglio il martedì…, a suo dire visto per caso nel dicembre 1997 in un supermercato. Si trattava di un romanzo giallo, uscito nel 1993 per Sperling, nel quale era facile ritrovare elementi tratti dalla vicenda del Mostro, con il protagonista che uccideva coppiette appartate in auto. Ma quel che più aveva fatto drizzare le sensibili antenne della giornalista investigativa era stato l’autore, Aurelio Mattei, il cui nome, proprio in quei giorni, circolava sui giornali per una clamorosa accusa da parte di un politico e di Carmelo Lavorino: in qualità di psicologo in forza ai servizi segreti civili (SISDE), Mattei avrebbe ipnotizzato la testimone chiave nel delitto Marta Russo per indurla ad accusare i due colpevoli predestinati, Scattone e Ferraro. Insomma, agli occhi della Carlizzi il soggetto pareva interessante, e lo era divenuto ancora di più dopo un incontro nel suo ufficio, che si trovava accanto a quello di Francesco Bruno, il noto criminologo e personaggio televisivo già nel suo mirino. La donna sapeva da tempo che anche Bruno era stato consulente del SISDE – lo aveva dichiarato lui stesso al processo Pacciani – e disponeva di una copia della sua perizia difensiva a favore del contadino ottenuta tramite Fioravanti, da qualche anno strategicamente ingaggiato come legale – sulla cui prima pagina campeggiava la minacciosa scritta: “Attenzione! i capitoli 7, 7.1, 7.2, 7.3 e 8 di questo studio sono riservati e non possono essere né divulgati, né pubblicati” (il documento è scaricabile qui). Gli ingredienti per imbastire sospetti di torbide manovre a opera di oscure forze nascoste c’erano tutti, e il 9 marzo 1998, a breve distanza dalla morte di Pacciani, Gabriella Carlizzi aveva inviato un fax a Giuttari per raccontarglieli (Il Mostro a Firenze – Il Mostro nei verbali, p. 117). I tempi però non erano ancora maturi per operazioni investigative in quegli ambiti, anche perché il superpoliziotto era impegnato a risolvere qualche antipatico problemino con i propri superiori.
Tre anni dopo il sospetto dell’esistenza di dossier sul Mostro preparati dai servizi segreti indusse Giuttari ad andarli a cercare, e come era suo stile usò le maniere forti. Dopo aver perquisito e interrogato Mattei, il 4 settembre 2001 si dedicò alla casa e ai due uffici di Bruno, tutti a Roma, dove i suoi uomini rimasero fino a tarda notte a passare in rassegna la notevole documentazione raccolta negli anni dal criminologo, riempiendone vari scatoloni. Due giorni dopo lo spaventato Bruno subì un interrogatorio durato ben nove ore; tra l’altro aveva la laurea in medicina, e a casa Pacciani erano state trovate ricette a sua firma, elementi entrambi molto imbarazzanti, visto il clima del momento. Comunque alla fine nessuna accusa gli venne mossa.
Tra montagne di carte inutili, la perquisizione aveva fruttato anche i dossier cercati, uno del 1984 e l’altro del 1985, entrambi mai giunti nelle mani degli organi inquirenti. Bruno li aveva consegnati al proprio superiore, e nulla sapeva del loro percorso successivo. Qualche tempo dopo sarebbe stato acquisito dagli archivi del SISDE un terzo dossier, redatto da Simonetta Costanzo, moglie di Bruno, anch’esso sconosciuto. (Addendum: in realtà documenti usciti in seguito indicano l'autrice in una certa Teresa Lucchesi). Le indagini avrebbero poi appurato che i tre documenti erano giunti fino alla sezione toscana del SISDE, dove si erano fermati.
Nei giorni successivi i giornali si scatenarono in ipotesi di scenari fantasiosi, senza peraltro essere mai smentiti dagli inquirenti. In quei dossier sembrava che si fosse già anticipata l’ipotesi della setta satanica, e quindi si sospettò che fosse stata la stessa a fermarne il cammino. I tre documenti non sono mai stati resi pubblici, ma da quel che se ne sa contenevano molte sciocchezze, e forse non è illogico immaginare che qualcuno con la testa sulle spalle non se la fosse sentita di trasmetterli alla Procura. Proviamo a ricostruirne il contenuto.
Del primo documento, redatto nel 1984 e firmato da Bruno, si sa soltanto quel poco che ne racconta Giuttari. Da Il Mostro:

In questo studio, delineato l'identikit del "mostro" come un soggetto affetto da perversione sessuale complessa di natura sadicofeticistica, il criminologo aveva prospettato tre ipotesi motivazionali che avrebbero potuto essere state alla base della catena dei delitti. Interessante la prima che parla di "delitti rituali compiuti in omaggio a qualche culto satanico di cui l'assassino è un seguace o a qualche pratica di stregoneria e magia nera attuata dall'assassino".

Appena dopo il delitto degli Scopeti fu la volta della moglie a firmare qualcosa, “quattro pagine dattiloscritte datate 28 settembre 1985”, un documento del quale è reperibile on line un articolo del Corriere del 1° novembre 2001. In più Giuttari ne fornisce un breve sunto. Dalla lettura di entrambi se ne percepisce il livello deprimente. Dal Corriere:

Il compilatore riteneva che gli omicidi potessero essere opera di più aggressori, forse appartenenti a una comunità religiosa segreta, una specie di setta dedita alla magia nera. E a sostegno della tesi citava alcuni elementi giudicati particolarmente significativi, quali il fatto che alcune vittime sui loro corpi presentassero segni di forma semicircolare, come se l'assassino avesse voluto raffigurare disegni e forme magiche, il fatto che dalle borsette delle donne non fosse stato sottratto alcun valore – e ciò avrebbe confermato il carattere spirituale delle sedute –, i luoghi prescelti, la maggior parte dei quali iniziavano con una lettera "S" e con cui gli assassini avrebbero forse inteso far riferimento a nomi di Santi, l'evidente preferenza per le notti di novilunio e dei giorni prefestivi e festivi, giorni che sembravano reiterare il numero 9 (19.6.82; 9.9.83; 29.7.84; 8.9.85), forse ritenuto un simbolo fallico.

Dopo quelle prime quattro paginette conseguenti all’uccisione dei francesi, Bruno si rimise al lavoro, per produrre infine un documento a sua firma terminato nel 1986. Anch’esso non è stato reso pubblico, però se ne sa molto, poiché nel 1994 avrebbe costituito la base per la perizia difensiva pro Pacciani, quella stessa in mano alla Carlizzi e oggi disponibile in rete. Anzi, i capitoli “riservati” erano stati ripresi pari pari, poiché vi si può leggere: “Da ormai 18 anni egli ha ucciso 16 persone”, quindi chi scrive lo fa nel 1986. In più Bruno aveva collaborato al libro Analisi di un mostro (1996), scritto a quattro mani con Andrea Tornielli, dove si ritrovano i medesimi elementi della perizia di due anni prima, compresi quelli tratti dai capitoli “riservati”.
A quanto è dato capire, rispetto all’ipotesi sadicofeticistica e satanica del primo dossier Bruno aveva cambiato del tutto idea, e il Mostro, a suo giudizio sempre e soltanto un soggetto solitario di elevato livello culturale e sociale, da satanista era divenuto fin troppo religioso, intento a punire i peccati delle coppiette che facevano l’amore. Senz’altro la parte più intrigante del lavoro è quella relativa ai messaggi criptici che l’assassino, dopo il delitto degli Scopeti, avrebbe seminato qua e là, in uno scenario decisamente da film giallo. Per Bruno il Mostro voleva farsi prendere, ma sarebbe stato troppo banale alzarsi una mattina e varcare la soglia di un qualsiasi commissariato; quella cattura gli inquirenti se la dovevano guadagnare decrittando i suoi cinque messaggi:

1 - Lettera con frammento di seno di Nadine Mauriot inviata a Silvia Della Monica
2 - Cartuccia inesplosa trovata in un parcheggio dell’Ospedale di Ponte a Niccheri
3 - Tre lettere inviate a Vigna, Canessa e Fleury con dentro cartucce inesplose e ritagli di giornale
4 - Guanti in gomma trovati a un mese dal delitto sulla piazzola di Scopeti
5 - Cartuccia inesplosa trovata vicino alla cassetta postale di San Piero a Sieve (da dove era stata inviata la lettera con il frammento di seno)

Con grande onestà Bruno avverte che soltanto il primo è sicuramente attribuibile al Mostro, mentre degli altri non può dire (a parere di chi scrive la cartuccia in ospedale con quasi certezza sì, gli altri tre con assoluta certezza no). Però si lancia ugualmente in spericolate interpretazioni da Settimana Enigmistica, che non vale la pena riportare in questa sede. Per illustrarne il livello un paio di esempi bastano e avanzano.
Una volta individuata, grazie alla cartuccia lasciata in ospedale, una clinica come tipologia di luogo in cui il Mostro avrebbe fatto base, dal cognome della destinataria della lettera con il frammento di seno, Silvia della Monica, Bruno trae la convinzione che detta clinica fosse intitolata a una monaca. Il cerchio si stringe ancor più grazie alla mancanza di una “b” nella parola “republica”, cosicché la clinica dovrebbe collocarsi nella zona di (B)agno a Ripoli. D’altra parte il paese sbuca fuori anche da un incredibile ragionamento sulla cassetta postale di San Piero a Sieve. Da Analisi di un mostro:

È utile notare che nel centro di San Piero a Sieve a pochi metri dalla casella postale si trovano un’importante pieve di San Pietro con statua del santo con le chiavi, una piccola cappella votiva del XII secolo su cui spicca una lapide intitolata al pio benefattore locale Facibeni medico condotto morto nel 1961, ed una sede della Misericordia. Una pieve analoga si trova all’ingresso di Bagno a Ripoli.

Come si vede, si tratta di ragionamenti dove tutto torna perché si fa in modo che torni. Alla fine Bruno credette di poter leggere un messaggio nel quale il Mostro dava importanti indicazioni per farsi acchiappare:

Cercare in un luogo clinico per non autosufficienti e per anziani intitolato ad una Monica (monaca) o ad una santa suora, a Bagno a Ripoli o a Pontassieve. Intendo fermarmi e vi invio gli elementi per identificarmi.

Non è ben chiaro da dove fosse venuto fuori Pontassieve, forse non tanto dalla decrittazione dei messaggi quanto da uno strano incrocio di linee tracciate sulla carta geografica. In ogni modo Bruno aveva anche individuato due cliniche rispondenti alle caratteristiche ipotizzate, entrambe a Bagno a Ripoli, addirittura lasciando intendere di aver identificato il probabile Mostro! Dal “Tirreno” del 24 ottobre 2001, nell’ambito di un’intervista allo stesso Bruno:

Quindici anni fa un uomo, una donna e un bambino, «barbe finte», collaboratori dell'allora funzionario del servizio civile [Bruno], entrarono con una scusa in questa casa di cura in provincia di Firenze, una villa per malati mentali, e incontrarono un uomo. Quell'uomo «era la persona alla quale ero arrivato - continua lo psichiatra - dopo accertamenti e anche un sopralluogo. Era stravagante». In che senso? «Aveva lo studio pieno di quadri tutti raffiguranti dei Pierrot: dieci immagini della stessa maschera». Aveva inviato in questa villa Aurelio Mattei? «No, Mattei non c'entra nulla» Ha un significato particolare il Pierrot, secondo lei? «E' una maschera tragica, rappresenta la frustrazione sessuale». Un po' poco per collegare quella persona a 16 delitti. «Non c'erano solo stranezze. C'era anche un elemento oggettivo che però non le posso dire». E che fine ha fatto adesso il direttore della villa? «Mi risulta sia sparito dalla circolazione».

Come si poteva immaginare, i giornali su buttarono a capofitto sulle ghiotte novità ricamandoci sopra, con gli inquirenti che li lasciarono fare. Tra l’altro furono elaborate romanzesche ipotesi sull’operato dei servizi segreti, come si sa da sempre malvisti in Italia, in questo caso colpevoli di aver bloccato gli esercizi di enigmistica di Bruno. Si pensò addirittura che avessero coperto i mandanti dei duplici omicidi utilizzando la nota taglia del 1985 voluta da Vigna. Stupidaggini in libertà, ma in quell’atmosfera surreale il ministro competente, Franco Frattini, si sentì in dovere di recitare una sorta di mea culpa per l’operato del SISDE degli anni ’80, precisando che il governo avrebbe dato ogni possibile aiuto per agevolare qualsiasi indagine che la magistratura fiorentina avesse ritenuto necessaria. Tutto questo a partire dalle sciocchezze presenti nei dossier di Bruno, tra l’altro già da cinque anni leggibili nel libro prima citato.
La vicenda potrebbe far sorridere, se vista come l’ennesimo caso in cui, da italiani pasticcioni, abbiamo fatto la figura degli cioccolatai. Purtroppo ci fu chi ci rimise, e molto. Nell'entusiasmo del momento per le inaspettate prospettive che sembravano aprirsi, si credette di aver individuato la villa immaginata da Bruno. Il luogo non era né Bagno a Ripoli né Pontassieve, ma insomma, il criminologo poteva anche aver leggermente sbagliato il bersaglio finale. Fatto sta che in quella casa, in una crudele e inutile perquisizione, si cercò una fantomatica stanza delle cerimonie, creando gravi problemi a una sfortunata famiglia di gente del tutto estranea alle vicende del Mostro.

Prima di chiudere, è il caso di fare una precisazione riguardo Coniglio il martedì…. Da più parti si ritiene che, per la stesura del suo unico e mediocre romanzo, Mattei avesse preso spunto dai dossier di Bruno, trattando temi esoterici e non solo. Lo si legge anche nel libro La strana morte del dr. Narducci: “Il libro parla infatti di movente esoterico, di depistaggi, di implicazione dei livelli istituzionali dello Stato; insomma tutto quello che costituisce le attuali inchieste”. Ebbene, non è vero. Nel libro di Mattei il Mostro è un individuo solitario al quale, in un feroce pestaggio subito da parte di una fin troppo nervosa coppia disturbata inavvertitamente, erano stati schiacciati i testicoli. Per questo aveva iniziato a vendicarsi uccidendo sia quella che altre coppie. Riguardo l’esoterismo, se ne fa un accenno in sede giudiziaria ma soltanto come ipotesi da scartare.

Segue

16 commenti:

  1. Ottimi articoli.
    Se c'è una sola cosa che ho capito dopo anni, ormai, di studio del caso, è che del MdF non sappiamo niente e ogni sua azione può essere interpretata in cento modi diversi, purtroppo senza tema di smentita.
    Tanto meno mi scaldano le fumose teorie del Bruno o la massima "questi sono delitti borghesi" che Spezi attribuisce a un commissario (che dovrebbe essere Sandro Federico).
    Il mittente del plico destinato alla Della Monica è un illetterato, come ampiamente dimostra non scrivendo nulla se non l'indirizzo e sbagliando anche in quello. Senza ovviamente confondere il grado di istruzione formale con l'intelligenza.

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  2. Bruno era già attivo ai tempi sequest. moro, sempre come uomo servi.

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  3. Bruno è un grande criminologo, in quetso articolo non ho capito come hai smontato le ipotesi di Bruno per me tutt'ora valide come indicazioni di indagini

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    1. Se ritieni valida l'ipotesi della clinica dedicata a una Monica, con tutto quel che ne consegue, parliamo due linguaggi diversi, quindi non pretendo che tu mi capisca.
      Voglio precisare comunque che le mie critiche a Bruno sono strettamente limitate alle sole sue ipotesi, per me del tutto campate in aria, sulla vicenda del Mostro, sul resto non ho alcun elemento per pronunciarmi.

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    2. Si, troppo sbrigative e denigratorie le critiche a Bruno qui mosse. Il lavoro di bruno va considerato bene almemo in alcune sue parti

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    3. Pronto a discutere, però nel merito delle sue ipotesi sul Mostro, al di là del personaggio, sul quale non mi permetto di formulare alcun giudizio.

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  4. A parer mio, l'unica considerazione sensata di Bruno riguardava il moralismo perverso dell'assassino, che non è però necessariamente riconducibile a una matrice religiosa. Il fatto che il mostro uccidesse delle coppie in procinto di fare l'amore può far pensare che nella sua ottica evidentemente malata intendesse punirle evitando che commettessero l'atto sacrilego. Questa specie di etica diabolica non implica però né un elevato grado di cultura né, come molti credono, l'impotenza dell'assassino. Certo doveva nutrire un odio profondo per le povere coppie, per ucciderle in quel modo facendo scempio dei corpi femminili.

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    1. A mio parere invece uccideva mentre i due si spogliavano perchè era lì, e approfittava della luce accesa. Questo vale per Scandicci, Calenzano e Vicchio. Ma anche negli altri casi la costante era la luce accesa, a parte a Signa dove non era lui. Quindi una semplice considerazione pratica per la buona riuscita dell'agguato, con probabilmente vari casi di rinunce quando questa importante condizione non era assicurata.
      Quelli di Bruno sono tutte ipotesi campate per aria, fatte a tavolino senza nessuno studio della scena del crimine.

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    2. Sono d'accordo sulla totale inconsistenza delle ipotesi di Bruno, che sfioravano il ridicolo in molti casi, dalle indicazioni religiose all'analisi topografica, per non parlare poi della clinica. Certamente nella determinazione del mostro agivano circostanze pratiche, e tante volte deve aver rinunciato alle sue imprese quando queste non si erano verificate. Ma c'è la costante dell'attacco ai giovani intenti nelle fasi preliminari, prima di consumare l'atto sessuale. Avrebbe potuto colpirli anche mentre erano al massimo dell'eccitazione (e magari anche lui, considerando che doveva trattarsi di un guardone), quando sarebbero stati totalmente inoffensivi.

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    3. Dimentica la luce spenta, poichè è difficile che i ragazzi facessero l'amore a luce accesa. Ripeto, la presenza di una luce interna è una costante di tutti e sette i delitti dopo quello di Signa, che non è un caso si diversifica anche in questo. Si trattava di un aiuto decisivo per la buona riuscita dell'attacco, al quale il Mostro non rinunciò mai.
      Sono convinto che anche i francesi avevano una luce accesa in tenda, altrimenti l'attacco sarebbe stato impossibile. Quella luce se la portò via l'assassino.

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  5. In una vecchia intervista di Paolo Cochi a Vigna che ho trovato integralmente su youtube, l'ex pm definiva "non troppo compatibile" con i bossoli esplosi dall'arma del mostro il proiettile trovato nell'ingresso dell'ospedale di Ponte a Niccheri, mentre erano "buoni" (così diceva) quelli inviati ai giudici con le tre lettere. Se ne dovrebbe dedurre che secondo Vigna il primo fosse riconducibile a un buontempone, gli altri al mostro. Può darsi però che i ricordi di Vigna non fossero precisi.

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  6. Peccato che fra il materiale repertato a Scopeti ci sia una torcia che non fu portata via.

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    1. Peccato che tale torcia, che già di per sè non era certo adatta a illuminare la tenda, fosse chiusa in un borsone trovato in macchina.

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    1. Inserito, grazie della segnalazione. In ogni caso si poteva raggiungere cercandola sull'elenco degli articoli per data ("Archivio blog"). Credo sia per questo che nessuno ha mai segnalato prima la mancanza.

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  8. Se cambiassi la tua teoria finale saresti il n.1

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