Abbiamo visto come le
testimonianze delle persone coinvolte nell’inchiesta precedente sui supposti
rapporti di frequentazione tra Calamandrei e Narducci – e in genere sulla
presenza di quest’ultimo nel fiorentino – non valessero nulla. In ogni caso gli
sforzi di Giuttari per agganciare le promettenti indagini perugine su Narducci
alle proprie su Calamandrei, in verità molto avare di risultati, non si
limitarono a quell’ambiente.
Il 23 luglio 2003 fu sentito Pietro Ciulli, fratello di Mariella e quindi ex cognato di Calamandrei, il quale, di fronte alla fotografia di Narducci, dichiarò (dalla sentenza Micheli):
Il 23 luglio 2003 fu sentito Pietro Ciulli, fratello di Mariella e quindi ex cognato di Calamandrei, il quale, di fronte alla fotografia di Narducci, dichiarò (dalla sentenza Micheli):
Questo l’ho già visto insieme al Calamandrei,
ma io non ci ho mai parlato. Può darsi che l’abbia visto o al matrimonio di mia
sorella con Francesco o in farmacia dal Calamandrei. Era una persona molto
distinta, sembrava quasi un Conte.
La testimonianza appare priva di
qualsiasi valore, trattandosi del riconoscimento di una persona che Ciulli non
ricordava né quando né dove avesse visto, quindi facilmente indotto da
suggestione e dal solito desiderio di non scontentare il proprio interlocutore.
Si pensi soltanto al fatto che il matrimonio citato risaliva al 1969, quindi a
34 anni prima, quando il gastroenterologo umbro era uno studente ventenne!
Il 17 settembre fu ascoltata
Tamara Martellini, ex moglie di Giovanni Ceccatelli, un vecchio amico di
Calamandrei. Davanti a una foto di Narducci così parlò (dalla sentenza
Micheli):
Non mi è un viso nuovo, ma non riesco a
ricordare francamente ove l’ho visto. Ora che lo sto riguardando ritengo di
averlo visto in farmacia e nell’occasione aveva gli stivali di equitazione... Ora
lo sto proprio rivedendo e sono proprio sicura di averlo vista all’interno
della farmacia di Francesco Calamandrei. Sto rivedendo la scena. Era appoggiato
al bancone e parlava con Francesco Calamandrei. Francesco mi salutò, ma non me
lo presentò. C’erano anche altre persone, ma non so dire chi fossero. Era un
giovane molto fine, delicato, era poco più alto di Francesco ed aveva un fisico
da sportivo. Era piuttosto aristocratico. Circa l’epoca in cui lo vidi
sicuramente fu entro la prima metà degli anni 80… il nome di Narducci Francesco
non mi dice nulla, ma ribadisco che non mi fu presentato. Ricordo adesso che
aveva una maglietta Lacoste blu e quindi era sicuramente d’estate.
Anche questa testimonianza appare
priva di valore. Già è molto difficile che una persona vista in una sola
occasione e con la quale neppure si era parlato possa venire identificata a
distanza di vent’anni attraverso una foto. In più, come avrebbe anche osservato
il giudice Micheli, pare davvero miracolosa la memoria di chi aveva rammentato
il tipo di calzature e di maglietta che quella persona indossava. Tra l’altro
molto più della Martellini era stato il marito a frequentare Calamandrei, con
il quale giocava spesso a tennis, ma Narducci in farmacia non l’aveva mai
visto. In compenso concesse un contentino, poiché davanti a una sua foto così dichiarò l’8 ottobre (dalla
sentenza De Luca):
La persona raffigurata nella foto numero 10 ha
un volto a me conosciuto, lo associo ad una persona vista, se non sbaglio a
Viareggio assieme al Calamandrei, in occasione di una visita di una barca che
Francesco voleva acquistare.
Vanno anche registrate un paio di
testimonianze tanto articolate quanto fantasiose, la prima delle quali a opera
di Jacqueline Malvetu, o Malvedu. Dopo aver visto un programma televisivo sul
Mostro (“Blu notte”, condotto da Carlo Lucarelli) il 19 aprile 2004 la donna si
presentò negli uffici del GIDES per raccontare una strana storia della quale sarebbe
stata protagonista verso la fine del mese di agosto 1985, aggiustata poi in
varie altre audizioni. Durante una notte trascorsa in tenda in un boschetto di
Firenze (dietro l’Abbazia di San Miniato al Monte) qualcuno l’avrebbe importunata
costringendola a fuggire. Due uomini, dei quali uno riconosciuto per
Calamandrei, sarebbero intervenuti in suo soccorso, mettendola in guardia per
la presenza in zona del maniaco delle coppiette e portandola in una casa dove
avrebbe dormito e dove avrebbe incontrato un terzo uomo, riconosciuto per
Narducci. La Malvetu fu poi anche intervistata da “Chi l’ha visto”, e sentita
altre volte dagli inquirenti, ai quali lei stessa si rivolgeva dopo aver preso
spunto da qualche servizio giornalistico. Nei suoi racconti comparvero via via
altri personaggi riconosciuti in foto: Giancarlo Lotti, Fernando Pucci, Giulio
Zucconi, Robert Parker e il futuro procuratore capo di Firenze Ubaldo Nannucci
che all’epoca l’avrebbe interrogata, circostanza questa del tutto inverosimile,
se non altro perché non risulta che il magistrato avesse mai preso parte alle
indagini sul Mostro.
Gli investigatori dettero molta
importanza alla testimonianza della Malvetu, come dimostra la nota GIDES scaricabile
qui,
dove le sue dichiarazioni vengono esaminate minuziosamente, finendo per
occupare lo spazio di ben 10 pagine su 156 totali, il che sembra francamente
eccessivo. La lettura dell’inizio di un successivo verbale (9 luglio 2005)
firmato di fronte a Mignini basta e avanza per convincersi di quanto poco
quelle dichiarazioni potessero considerarsi affidabili. Dalla sentenza Micheli:
Mi presento spontaneamente perché mi sono
ricordata. Nel mese di giugno ho cercato la casa. Sono andata a Firenze,
Perugia, Assisi e Pistoia. Ho paura e non dormo. Voglio contribuire ad aiutare
l’indagine. Satanismo e nazismo. Conflitto tra ebrei e francescani. Rete
gigantesca. Pucci e il nome dell’agenda. Ho visto una trasmissione televisiva
sulle indagini “Mostro di Firenze – Caso Narducci”. Ho tanti particolari.
Perché sono andata a cercare in quei posti? Sono andata a Monte Ridolfi, da Pucci
Fernando, amico di Lotti. Un mese sono andata a Firenze al GIDES. Stava verbalizzando
Alessandro Borghi, poi è venuto Castelli. Era tardi ed ero stanca e non ho
voluto firmare il verbale. Insistevo a dire che i miei erano flashes e che ero
stata drogata: una perdita di memoria dovuta agli anni, poi una perdita dovuta
all’amnesia traumatica e poi a farmaci. Quella sera andò via a mezzanotte. Castelli
m’ha rimproverata. Il GIDES ha fatto le foto dove ero col sacco a pelo e la
tenda. Allora vidi le persone sempre diverse.
In ogni caso il giudice De Luca
così liquidò le informazioni testimoniali rese dalla donna: “esse rientrano nell’ambito
di quelle dichiarazioni farneticanti e fantasiose, spesso presenti nell’ambito
del presente procedimento penale”.
In apparenza assai più lucide e
plausibili, ma ritenute anch’esse farneticanti da De Luca (e a ragione) sono le
dichiarazioni di Elisabetta Marinacci, figlia del noto musicista jazz Gino e
lei stessa musicista, una testimone scovata da Gabriella Carlizzi (con strane
modalità, a dire il vero) e sentita tre volte a Perugia (11 aprile, 20 aprile,
4 maggio 2005). Nei primi mesi del 1981 la donna aveva accompagnato a Firenze
il padre (paraplegico da quindici anni a seguito di un grave incidente
automobilistico) per delle visite specialistiche in prospettiva di un difficile
intervento chirurgico. Era poi passata da San Casciano, dove aveva fatto tappa
nella farmacia di Francesco Calamandrei, amico del genitore. Dentro aveva
trovato il titolare assieme a un altro uomo, riconosciuto in foto per il
giornalista Mario Spezi, il quale, intervenendo nella discussione sui problemi
gastrici del padre legati all’uso della sedia a rotelle, aveva consigliato di
rivolgersi a un bravo gastroenterologo di Perugia, Francesco Narducci. Tramite
una telefonata, il giornalista aveva combinato un appuntamento per due giorni
dopo. Nel momento in cui stava andando via, la Marinacci avrebbe sentito Spezi
chiedere a Calamandrei, alludendo al padre: “Anche il maestro è uno dei nostri?”.
Il che faceva pensare a qualche organizzazione segreta della quale i due
avrebbero fatto parte.
Riempiti quei due giorni d’attesa
con una visita alla città di Siena, Elisabetta e Gino Marinacci erano tornati
nella farmacia di San Casciano, dove il dottor Narducci aveva visitato l’uomo
prescrivendogli un farmaco. Appena un anno dopo il musicista si era operato e
poco dopo era morto. Di Narducci la figlia non aveva saputo più niente.
La testimonianza di Elisabetta
Marinacci potrebbe anche sembrare valida e significativa, poiché per una volta il
fantomatico Narducci si era qualificato con i propri nome, cognome e
professione, quindi dubbi sulla sua identità non avrebbero ragione di esistere.
Ma la presenza nel racconto di strani passaggi del tutto fuori contesto lascia
pensare che la donna non fosse troppo lucida. Aveva raccontato, infatti, di
essere stata rapita due anni prima dell’episodio di San Casciano da un uomo che
l’avrebbe segregata per quattro mesi, e con il quale avrebbe concepito un
figlio. Aveva nominato anche due ex Presidenti della Repubblica e vari famosi
musicisti accreditandoli come amici di famiglia. Questo il parere di Micheli:
Si tratta di elementi che fanno sorgere qualche legittimo interrogativo sulla linearità della deposizione, altrimenti precisa e inappuntabile pur dovendosi tenere conto della singolarità dell’origine del racconto (la dott.ssa Pasquali Carlizzi che si interessa del direttore d’orchestra cui era dedicata la scuola media dove insegnava la Marinacci, quindi - e non si capisce il passaggio - si mette a chiedere a quest’ultima che rapporti avesse il padre con l’ambiente fiorentino, stando a quel che risulta dal menzionato verbale del 20 aprile 2005).
Si tratta di elementi che fanno sorgere qualche legittimo interrogativo sulla linearità della deposizione, altrimenti precisa e inappuntabile pur dovendosi tenere conto della singolarità dell’origine del racconto (la dott.ssa Pasquali Carlizzi che si interessa del direttore d’orchestra cui era dedicata la scuola media dove insegnava la Marinacci, quindi - e non si capisce il passaggio - si mette a chiedere a quest’ultima che rapporti avesse il padre con l’ambiente fiorentino, stando a quel che risulta dal menzionato verbale del 20 aprile 2005).
Ergo, nel caso si fosse reso necessario
l’esame della teste in un eventuale giudizio (ma necessario non è comunque: per
le ragioni più volte ribadite, è del tutto indifferente in questo processo
accertare se il Narducci e il Calamandrei si conoscessero o no) sarebbe stato
indispensabile verificare l’idoneità della Marinacci ad offrire una narrazione
scevra da possibili contaminazioni di fantasia.
Né De Luca né Micheli sembrarono
accorgersene, ma è il caso di notare anche l’assoluta improbabilità che proprio
nel momento della sua visita improvvisata alla farmacia di Calamandrei la
Marinacci vi avesse trovato dentro Mario Spezi, il quale neppure abitava a San
Casciano. Era lì mentre l’amico stava servendo i clienti? A far che? In ogni
caso si sarebbe trattato di una coincidenza fortunatissima per la sua futura
audizione nell’ambito dell’inchiesta sui mandanti.
Ultima testimonianza da prendere
in esame è quella di un ex carabiniere, Roberto Giovannoni, presentatosi
spontaneamente alla Procura di Perugia per raccontare un episodio risalente al
1977. Mignini ne rimase assai colpito, e trasmise il verbale a Crini e Canessa,
i quali però nella loro ricostruzione non ne tennero conto. Vediamo allora la
sintesi contenuta nella requisitoria del magistrato perugino. Dalla sentenza
Micheli:
[…] una delle dichiarazioni più significative
e incontrastabili è quella dell’allora Carabiniere Roberto Giovannoni che il
01.10.2005 ha riferito che, trovandosi in servizio a San Casciano a scorta
della principessa Beatrice d’Olanda e della sua famiglia, notata un’auto bianca
targata “PG”, con lo stemma dei medici, di fronte alla Farmacia del Calamandrei,
vicino alla quale, come se la custodisse, c’era Mario Vanni ed entrato nella
Farmacia per chiedere spiegazioni sulla sosta dell’auto, incontrò il Calamandrei
e il Narducci ed ebbe un colloquio con quest’ultimo che si qualificò
esattamente come Francesco Narducci, gli disse di essere proveniente da
Foligno, di essere rappresentante di una ditta farmaceutica di Prato e gli
confidò di avere un appartamento nei pressi del casello autostradale di
“Firenze – Certosa”, nei pressi appunto della Certosa, mentre il Calamandrei lo
osservava con disappunto per l’eccessiva loquacità dimostrata col Carabiniere.
La scena descritta da Giovannoni
appare surreale, con Mario Vanni in divisa da postino a far la guardia, chissà
perché, all’auto di Francesco Narducci, tra l’altro un’Alfa Romeo, quando
questi all’epoca possedeva una BMW. C’è poi da chiedersi per quale motivo un
carabiniere avrebbe dovuto allarmarsi per un fatto normalissimo come l’auto di
un medico parcheggiata davanti a una farmacia, tanto da entrare
nell’esercizio, “armato
di tutto punto e in divisa”, e chiedere “con voce perentoria di chi fosse”.
Appare strano anche il comportamento, insolitamente ciarliero rispetto alle sue
abitudini note, del presunto Narducci, il quale, dopo essersi qualificato con
le proprie reali generalità, di seguito avrebbe fornito notizie inesatte, come
quelle di provenire da Foligno e di essere un rappresentante farmaceutico.
Nello scenario ipotizzato dalla pista esoterica suona poi male l’anno in cui
sarebbe avvenuto l’episodio, il 1977. Fino ad allora erano stati uccisi
soltanto i due poveretti di Borgo San Lorenzo, senza alcuna mutilazione alla
ragazza, mentre il primo feticcio era di quattro anni dopo. Quindi, che senso
avrebbe avuto in quel momento un sodalizio tra mandanti (Narducci e
Calamandrei) ed esecutori (Vanni)?
E allora forse non è un caso se
non furono rintracciati altri testimoni in grado di confermare il racconto
dell’ex carabiniere, né la commessa e i due clienti che si sarebbero trovati in
quei momenti in farmacia, né il compagno di missione del quale Giovannoni non
ricordava l’identità. E poi, perché il testimone si era presentato,
spontaneamente, soltanto nell’autunno del 2005, quando la vicenda Narducci era
sui giornali già da quasi quattro anni, con diversi e clamorosi passaggi anche
in televisione? In fin dei conti l’uomo era un ex rappresentante delle forze
dell’ordine, che certamente leggeva i giornali; forse anche troppo però, tantoché
la sentenza Micheli osserva: “Se si considera che il Giovannoni […] trae dai giornali
alcuni degli spunti che offre, sovviene il dubbio che anche nel suo racconto vi
siano possibili elementi di fantasia”.
L’elenco delle testimonianze
sulla frequentazione tra Narducci e Calamandrei finisce qui, senza che tra di
esse se ne possa rintracciare una chiara e affidabile, per un motivo o per un
altro. Un ragionamento va poi fatto sui luoghi principali che Narducci avrebbe
frequentato a San Casciano: Villa la Sfacciata, dove per la Ghiribelli avrebbe
dormito, la trattoria Ponte Rotto, presunto teatro di cene in comitiva secondo
i racconti di Nesi e Pucci, e infine la farmacia di Calamandrei, nei cui
annessi ambulatori avrebbe effettuato delle visite. Ebbene, nessuno tra
gestori, lavoratori e frequentatori abituali dei tre ambienti lo aveva mai
visto, il che è davvero strano. Neppure si era mai trovato alcun paziente che
fosse stato in cura da lui. A questo proposito risultano molto significative le
testimonianze di due dipendenti della farmacia.
Il 1° ottobre 2003 era stato
interrogato dal GIDES Francesco Giuntini, che dal gennaio 1978 all’ottobre 1983
aveva lavorato per Calamandrei in qualità di ragazzo di bottega. Di fronte a
un album di 10 foto aveva dichiarato (dalla sentenza De Luca):
La persona raffigurata nella foto nr. 1 mi
ricorda qualcuno, forse un medico che ho visto in farmacia, la faccia mi dice
qualcosa ma non saprei essere più preciso. La persona raffigurata nella foto
nr. 5 è una faccia che io ho conosciuto, potrebbe essere di una persona di San Casciano
che ho visto all’interno della Farmacia ma non riesco a ricordare bene in che
contesto. Tutto le altre foto appartengono a persone che io non ho mai visto.
La foto 1 era di Narducci, la
foto 5 di Jacchia. Si tratta di riconoscimenti che lasciano il tempo che
trovano per la loro sostanziale inconsistenza, per di più accresciuta dalla
mancanza di garanzie riguardo le modalità con le quali avvennero. Riguardo
Narducci si tenga presente che la sua foto era comparsa più volte sui giornali,
quindi che al teste paresse di averlo già visto si potrebbe anche spiegare
così. Piuttosto va registrato un fatto oltremodo significativo: chi tutti i
giorni di lavoro si trovava nella farmacia di Calamandrei non aveva mai sentito
parlare di Francesco Narducci, e neppure lo aveva visto per come avrebbe
dovuto. Questa considerazione vale ancora di più per Paola Bagni, commessa dal
1972 al 1990, che di Narducci non sapeva nulla e neppure gli era parso di
averlo visto una volta messa di fronte alla sua foto.
Se sulle frequentazioni
fiorentine di Narducci non esistono testimonianze convincenti, men che meno ne
esistono di quelle perugine per Calamandrei. Durante la perquisizione della sua
casa (20 gennaio 2004) gli erano stati sequestrati una guida turistica
dell’Umbria, un libro sull’Umbria e un biglietto da visita di un negozio
antiquario situato in provincia di Perugia. Ebbene, quei tre oggetti potevano
sì far sospettare che Calamandrei fosse stato in Umbria, regione confinante con
la Toscana e piena di meraviglie artistiche, ma non si era trovato nessuno in
grado di ricordare di averlo visto assieme a Narducci. In compenso il nome del
farmacista aveva fatto capolino tra le chiacchiere riportate il 28 novembre
2003 da un pescatore del lago Trasimeno, Secondo Sisani. Dalla sentenza Micheli:
Io ho sentito che il cadavere del Narducci fu
rinvenuto alcuni giorni prima della domenica 13 ottobre 1985 nelle acque del
Lago Trasimeno verso l’Isola Polvese con le mani e piedi legati. […] Queste
cose mi sono state dette da un gruppo di amici che frequentavano con me il
Circolo dei Pescatori. […] Queste persone dicevano che il Narducci era
coinvolto nelle vicende dei delitti del Mostro di Firenze. Dicevano che era
tutta una tresca e sicuramente avranno detto che era stato il gruppo di Firenze
a farlo fuori. Qualcuno diceva anche che Pacciani era pilotato da loro. A quel
tempo il nome Pacciani non mi diceva niente, ma quando, qualche anno dopo, la
televisione e i giornali cominciarono a parlare di Pacciani mi ricordai di
questo nome.
Ricordo anche che parlavano di un farmacista
della zona di San Casciano. Questi discorsi sono stati fatti nel corso di un
certo lasso di tempo dalla morte del Narducci fino ai processi di Firenze e il
riferimento al farmacista l’ho sentito fare più di una volta. Parlavano di un
farmacista che stava verso Firenze.
Mi pare anche che parlarono anche di un
tedesco coinvolto nel giro, ma non ricordo se la cosa fu detta nel 1985 o
successivamente.
Si trattava delle solite malevoli
dicerie che circolavano a Perugia su Narducci, neppure collocate in modo sicuro
nel tempo. E magari il pescatore vi aveva aggiunto del suo, come capita quasi
sempre in questi casi. In verità la sentenza De Luca non menziona neppure questa
testimonianza, presa invece in esame dal giudice Micheli, che così la
bocciò: “È
difficile che fosse la verità, trattandosi di chiacchiere neppure collimanti
con le altre che avevano parlato di un rinvenimento del vero Narducci il
pomeriggio, e non la mattina del 9 ottobre”.
Per completare il quadro sui
presunti legami tra Narducci e Calamandrei vanno infine prese in esame due
intercettazioni telefoniche contenute nella nota GIDES già citata. Della prima
non vengono riportate frasi, si dice soltanto: “telefonata delle ore 12.59.31 del 10.5.2004:
l’indagato tra l’altro dice al suo avvocato che il Narducci lui non lo conosceva”.
Nella seconda, del 10 gennaio 2005, Calamandrei così rispose a un’amica che
gli aveva chiesto notizie in merito: “che vuoi che ne sappia io… sinceramente non lo so però io so
una cosa per certo, io non lo conosco… non l’ho mai visto, eppure ci sono… gente
che spergiura che mi hanno visto insieme a lui… persone amici miei”.
Secondo Giuttari le due
telefonate dimostrerebbero “le falsità del Calamandrei sulla mancata conoscenza del
Narducci (che ormai sembra anche inutile ripeterlo può invece considerarsi un
dato certo)”. Ma, al di là dell’opinabile affermazione su una
conoscenza certa che certa non è affatto, stupisce che le due telefonate
possano essere considerate una prova della falsità di Calamandrei sul punto.
Riguardo le parole dette all’amica, giudichi da sé il lettore se suonano
sincere; a chi scrive sembra di sì, in ogni caso l’uomo potrebbe aver avuto
tutte le sue buone ragioni per non condividere con un’amica (non sappiamo
neppure quanto) informazioni così delicate. Sull’altra telefonata, invece,
sembra davvero strano che Calamandrei fosse stato così sciocco da nascondere la
compromettente conoscenza con Narducci anche al proprio legale, rinunciando
così al suo aiuto nel preparare un’efficace difesa sul punto. Quindi, alla
fine, queste due telefonate sembrano piuttosto un elemento in più a favore
della buonafede di Calamandrei nel negare ogni conoscenza con Narducci.
Siamo giunti alla fine dell’articolo sulla cosiddetta “ombra nera” che avrebbe macchiato l’assoluzione di Francesco Calamandrei dall’accusa di essere il mandante dei Compagni di merende. A chi scrive sembra che non esista alcuna ombra nera, poiché non c’è alcuna testimonianza in grado di offrire anche solo una piccola certezza sulla frequentazione tra Narducci e Calamandrei. Quindi il povero farmacista di San Casciano, secondo forse soltanto a Mario Vanni nella poco invidiabile posizione di maggior danneggiato dalle indagini sbagliate sui delitti del Mostro, va considerato assolto in modo netto e totale.
La testimonianza di tamara martellini va contro ogni cognizione moderna sul funzionamento della memoria... sfido chiunque a ricordarsi l'abbigliamento che aveva un perfetto sconosciuto incrociato per caso quindici anni prima in una farmacia. Questo tipo di testimonianze non avrebbe dovuto nemmeno essere valutato in un processo, imho. I riconoscimenti fanno il paio con l'abbondanza di abitazioni che sarebbe stata a disposizione di FN in provincia di Firenze, tutte in posti diversi e con feticci annessi.
RispondiEliminaIn tutta questa vicenda la deleteria interazione tra aspettative degli inquirenti e arrendevolezza dei testimoni deve essere stata enorme.
EliminaCondivido molte delle tue riflessioni sull'inaffidabilità delle "testimonianze". Non vedo però maggiore affidabiltà nelle testimonianze degli altri processi legati al mdf; le identificazioni di Pacciani, Lotti & co. nei luoghi dei delitti sono ugualmente risibili.
RispondiEliminaNella questione Narducci abbiamo una evidenza tale di depistaggi, manipolazioni, sparizioni e alterazione di documenti, omertà familiari, interventi massonici, che non si può non sentire puzza di bruciato. Escluderlo dalla rosa dei sospettati forse non sarebbe saggio. Che abbia frequentato o no Calamandrei Narducci è inquietante come la sua fine e tutto l'ambito intorno a lui.
Che la vicenda Narducci avesse avuto a che fare con quella del Mostro lo dicevano le chiacchiere, opportunamente riprese da Giuttari spalleggiato da Mignini. Queste sono le conclusioni cui necessariamente si giunge dopo aver preso visione dei documenti disponibili e averci ragionato un po' sopra. Almeno a giudizio del sottoscritto che l'ha fatto.
EliminaGiuttari e Mignini, oggettivamente, hanno lasciato correre la fantasia costruendo fino all'inverosimile su elementi spesso inconsistenti. Saltavano subito a conclusioni, avevano tutti i limiti di chi ha un'idea preconcetta da confermare ad ogni costo (si evince dal rapporto, a tratti "delirante", del GIDES). Questa, condivido, è una necessaria conclusione. Ma non è l'unica conclusione. Nella loro azione, Giuttari e Mignini, hanno incontrato una anomalia di cui non possiamo non tenere conto; una famiglia che non vuole assolutamente sapere come è morto il loro congiunto ed è disposta a spendere tutto il proprio potere, denaro ed influenza per restare all'oscuro. Dello stesso avviso non è la moglie del defunto Narducci, lei vorrebbe sapere e soprattutto vorrebbe allontanare l'ombra del mdf dalla sua memoria con risultanze certe. Per questo viene ostracizzata, sottratta di ogni oggetto personale appartenuto al marito; carte, documenti e scritti del suo studio oltre all'auto, alla moto, alla pistola. Tutti oggetti su cui non si sono potute effettuare perizie e svolgere indagini. Dobbiamo prendere atto che di questo sospettato non si sono potuti esaminare elementi essenziali perché preventivamente "alienati" dalla famiglia. Si scopre poi che sono spariti i registri delle presenze ospedaliere di Narducci, quelli che avrebbero potuto sancire la sua estraneità ai delitti del mostro. Si aggiunga che nelle fasi del rinvenimento del cadavere ogni prassi è stata disattesa e ne deriva che Francesco Narducci non può essere escluso dalla rosa dei sospetti. E' possibile che non sia il mostro ma fino a quando non si saprà la ragione di tanto "impegno" familiare e istituzionale per far sparire ogni sua traccia, non si può ragionevolmente escludere nulla.
EliminaA me invece pare tutto molto semplice. Francesco Narducci si suicidò, per motivi che non sappiamo, forse legati al suo stato di salute. E mise in atto un maldestro tentativo di far passare il proprio suicidio per una disgrazia, per evitare scandali ai propri familiari. I quali a loro volta fecero di tutto per accreditare l'ipotesi della disgrazia, ricevendo appoggio dai personaggi che a Perugia contavano.
EliminaPutroppo fecero tutti i conti senza l'oste. Le chiacchiere su Narducci possibile Mostro (era un medico, era anche un personaggio misterioso e invidiato, chi gli voleva male aveva buon gioco nel diffondere voci malevoli) si amplificarono dopo la sua morte, proprio per le anomalie di mancata autopsia e altro.
Le chiacchiere sarebbero rimaste chiacchiere, come per altri sospettati di essere il Mostro, se a distanza di quindici anni non fosse intervenuto un certo Michele Giuttari. Dopo aver rimediato magrissime figure in quel di Firenze (si pensi soltanto all'inutile perquisizione di giorni e giorni in una villa che non si può nominare altrimenti le proprietarie protestano), e essersi messo contro la Procura, trovò la soluzione giusta per proseguire le proprie assurde indagini andando a riaprire il caso Narducci, con Mignini che gli dette quell'appoggio che a Firenze non aveva più.
Così si andò avanti ancora per anni a indagare sul nulla, mentre noi contribuenti pagavamo fior di quattrini.
Mi viene da pensare che un medico, se volesse fare passare il proprio suicidio per disgrazia, terrebbe conto della successiva autopsia o cmq di un accurato esame da cui sarebbe emersa anche una eventuale malattia. Più probabile, stando nell'ipotesi "suicidio", che non si sia curato di nasconderlo o addirittura che volesse si sapesse che si era dato la morte e perché; la lettera fantasma vista dai governanti, la "fuga" precipitosa dalla sessione di esami, il bacio alla "via col vento" dato alla moglie prima di uscire, il disinteresse per la quantità di carburante nella barca, tutti segnali "d'allarme" che avrebbe, nel caso "disgrazia simulata", evitato. Forse era eslusivo interesse della famiglia nascondere le cause della morte quali che fossero. Mi spiego meglio; l'interesse del morto è sempre e solo l'emersione della verità, coincidente con quello della comunità,in particolare se c'è la possibilità di omicidio. L'interesse della famiglia non è scontato che coincida. I vivi si fanno spesso custodi ed interpreti di volontà e istanze del morto che alla fine restano le loro e spesso s'attagliano alle loro convenienze. La maggiore parte dei delitti, del resto, avviene in famiglia e tra conoscenti stretti.
EliminaAnche per me in fondo è semplice: se non volevano indagini, sapevano già. Cosa sapevano non l'hanno rivelato (neppure alla moglie di F.N.). Sono autorizzato a pensare a qualsiasi ipotesi nel campo del possibile e ragionevole.
Anche i soldi spesi per indagini inconcludenti hanno all'origine uomini e donne dello Stato che si sono prestati agli interessi privati più o meno nobili del potente di zona o dell'amico. Non per assolvere Giuttari e Mignigni che alla ricerca di associazioni a delinquere indimostrabili hanno perso l'occasione di processare ognuno per il proprio ruolo nella vicenda. "Stressando" in questo modo la struttura, applicando pressione su ogni singolo elemento del "depistaggio", li avrebbero messi in difficoltà individualmente, non si sarebbe corso il rischio di prescrizioni e la verità sarebbe emersa.
Credo che non si possa scappare dalle pure ipotesi, la cui plausibiltà è a giudizio di ognuno. Mi sento comunque di escludere ogni collegamento reale con la vicenda del Mostro.
EliminaAntonio, sei sempre preciso, attento degli atti ... e lasciatelo dire da una diretta interessata, i tuoi commenti, ipotesi o deduzioni sono rispettose nei confronti delle persone coinvolte ... concordo sul suicidio, concordo che la famiglia abbia solo voluto evitare uno "scandalo" ... Come nel caso del mio babbo, per non aver denunciato la mia mamma, nell '88 sempre per evitare uno scandalo e coinvolgere noi figli ... e tutto questo ha dato la possibilità poi di creare congetture complottistiche ...
EliminaLa tua profonda conoscenza del caso mdf e il "naso" dimostrato nel risolvere alcuni enigmi relativi alle scene dei crimini mi suggerisce di tenere in debito conto le tue intuizioni e opinioni. Posso anche immaginare, non chiedo conferme, che per varie ottime ragioni tu non possa (ancora) scrivere tutto quello che sai. Insomma se mi sono iscritto al tuo blog e non ad altri e perché ti riconosco una capacità di analisi e ricerca non comuni.
RispondiEliminaGrazie per i complimenti, in mezzo a tante critiche mi fanno senz'altro piacere. Posso dirti questo riguardo l'argomento Narducci: ho il forte sospetto che dietro le telefonate sataniche a Dora, dalle quali nacque la nuova inchiesta, ci fosse qualcuno che questa nuova inchiesta aveva tutto l'interesse a farla partire. Non dico altro, ma se vuoi capire capisci.
EliminaE' un argomento che avrei già voluto affrontare, e che per vari motivi è rimasto lì. Poi sono subentrate altre necessità, tra cui adesso quelle delle dinamche, in ogni caso materiale di riflessione ne ho, prima o poi ci metterò mano.
Le dinamiche delle scene dei crimini sono senz'altro più importanti di altri aspetti su cui, per quanto interessanti e suggestivi, si può quasi solo ipotizzare. Eppoi mancava un'analisi completa e ragionata su tutte le scene.
EliminaRiguardo le critiche. "Nella vita è come nei video-giochi: quando incontri tanti nemici significa che sei sulla strada giusta." Non ricordo chi lo disse ma mi "risuona". Buon lavoro.
Antonio vedi? qualche "bella" persona si trova sempre..qualcuno che guarda la luna e non il dito...come si dice? pochi ma buoni.ciao
EliminaSe qualcosa può valere, io non ho mai conosciuto Francesco Narducci, ma non me lo hanno mai chiesto !A mio fratello si, e ha confermato di non averlo mai visto e udite udite, mia mamma Mariella Ciulli, unico vero elemento d'accusa, non lo conosce ... Invece oltre alla Malvetu, Marinacci e Martellini, dammi tempo e ti fornirò un sit della Carlizzi degno di pubblicazione ! Grazie ancora Antonio, concordo con chi ha scritto sopra, per fortuna al mondo si trovano ancora delle gran belle persone !
RispondiEliminaProva a scegliere l'avvistamento per te più significativo ed esaminiamolo insieme.
RispondiEliminaPremettendo che lo scetticismo manifestato nell'articolo non si può non condividere, si potrebbe anche ritenere che difficilmente persone come quelle citate (tra cui molte prostitute) potessero avere la fantasia per inventare racconti così particolareggiati: per esempio la presenza di Spezi nella farmacia non è inverosimile. Una riflessione generale che mi sento di fare, e non riguarda in particolare l'oggetto del presente articolo, è che un conto sono i racconti di una persona informata (o meno) sui fatti e le dichiarazioni rese in un verbale testimoniale, altra cosa sono le udienze di un processo: in quest'ultimo ambito ci andrei sempre cauto nel liquidare come false le deposizioni: un teste mendace rischia delle conseguenze, dalla semplice querela all'incriminazione per falsa testimonianza. Questo è bene ricordarlo. Su Narducci non c'è molto da dire: è possibile, forse anche probabile che sia stato davvero visto a San Casciano; da qui a collegarlo ai delitti del mostro di Firenze ce ne passa: è un salto che può essere compiuto solo con una grande fantasia.
RispondiEliminaChe cosa ci sarebbe andato a fare Narducci a San Casciano? E un personaggio vistoso come lui avrebbe lasciato soltanto le controverse tracce di cui si è detto? Le posso assicurare, anche per averlo appreso da fonte diretta alla quale credo ciecamente, che si tratta soltamto di invenzioni.
EliminaRiguardo le testimonianze, sono d'accordo con lei che in tribunale si rischia l'incriminazione, più però in teoria che in pratica. Non sono un addetto ai lavori, però immagino che un "mi pare d'averlo visto" non sarà mai possibile che possa portare a conseguenze di qualche rilievo. Soprattutto quando si accorda con la parte più potente, che non è certo quella dell'imputato.
Però dobbiamo anche tenere presente il fatto che la strampalata inchiesta sui mandanti è partita molti anni dopo la morte di Narducci: questo potrebbe giustificare le controverse tracce lasciate. Quello che mi farebbe ritenere possibile la sua occasionale presenza a San Casciano è il fatto che alcuni particolari tornano nei deboli ricordi di alcuni testimoni: un uomo alto, distinto, diverso dall'ambiente sancascianese, dall'aria aristocratica. Ma certamente lei è molto più informato di me e se ha una fonte interna alla vicenda non fatico a crederle.
EliminaSarebbe disposto a scommetterci? Io sì, ma sul contrario.
EliminaBravo Segnini,è la prima volta che la leggo. Ê giusto che qualcuno continui a cercare la verità o se non altro a scrostare il fango gettato addosso a degli innocenti. Purtroppo la teoria satanista ha avuto presa nell'immaginario popolare ma chi ama la giustizia deve fare il possibile per ristabilire l' onore delle vittime della stessa presunta giustizia. Quanto alla pista riaperta sull'ex legionario,che ne pensa? Grazie
RispondiEliminaPenso che l'ex legionario non sia altro che un vecchio desideroso di mettere un po' di sale sull'ultimissima parte della propria vita.
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