venerdì 16 febbraio 2018

La cartuccia nell'orto (1)

Il 17 aprile 1992 Pietro Pacciani fu condannato a una multa e a quattro mesi di carcere, condonati, per il possesso del materiale da guerra sequestrato in casa sua due anni prima. Regolata anche questa pendenza, al momento contro di lui non c’era più nulla. Dalla comunicazione giudiziaria riguardante i delitti del Mostro erano trascorsi già quasi sei mesi, quattro e più dal suo ingresso nella casa di via Sonnino, e nessun indizio era stato trovato, nonostante gli strenui sforzi. Neppure la mossa disperata e maliziosa dell’appello in televisione aveva ottenuto dei risultati, e alla fine in mano agli inquirenti non era rimasto altro che un teorema, non certo sufficiente per chiedere un rinvio a giudizio, poiché qualsiasi giudice lo avrebbe senz’altro respinto. Per far fronte all’inevitabile figuraccia che si prospettava, gli inquirenti dovevano assolutamente trovare qualcosa di meglio, e che cosa se non la pistola? Eppure all’origine dei loro sospetti contro Pacciani c’era anche la sua supposta rinuncia a un nuovo duplice omicidio nell’estate del 1986, in ipotesi indotta dai controlli cui era stato sottoposto dopo Scopeti. Ma allora, se davvero l’individuo si era messo così paura da interrompere la catena di uccisioni che durava dal 1981, perché avrebbe dovuto tenere con sé un oggetto come la pistola, la prova di gran lunga più pericolosa? In ogni caso non c’erano alternative, quella pistola andava cercata comunque.
Prima di proseguire mi sia concessa una breve digressione nel mondo della letteratura poliziesca. Il mistero della camera gialla è un bellissimo romanzo di Gaston Leroux, pubblicato nel 1907, dove fa la sua prima apparizione il personaggio di Rouletabille, un giornalista che s'impegna nella risoluzione degli enigmi polizieschi con i quali il suo mestiere lo mette a contatto. Ne voglio riportare un breve frammento, nel quale il giovane investigatore dilettante, durante uno scambio di opinioni sulla scena del crimine, critica il più maturo investigatore professionista – il poliziotto Frederic Larsan – che lo aveva accusato di usare troppo la logica, brutalizzandola invece di trattarla dolcemente e prenderla alla lontana.

C’è qualcosa, signor Frédéric Larsan, che è molto più grave del fatto di brutalizzare la logica, ed è quella conformazione mentale propria di alcuni poliziotti che li porta, in perfetta buona fede, ad adattare pian piano quella logica alle loro concezioni. Voi avete già la vostra idea sull’assassino, signor Fred, non negatelo… e il vostro assassino non deve essere stato ferito alla mano, altrimenti la vostra idea non starebbe più in piedi. E avete cercato, e avete trovato qualche altra cosa. È un sistema molto pericoloso, signor Fred, quello di partire dall’idea che ci si è fatta dell’assassino per arrivare alle prove di cui si ha bisogno! Questo sistema potrebbe condurvi lontano… State attento all’errore giudiziario, signor Fred; è in agguato.

Strane manovre. Secondo quanto risulta dalle notizie emerse, pare che lo stimolo a muoversi fosse arrivato dallo stesso Pacciani, sempre un vero talento come cerca guai (ma, a dire il vero, non era tanto colpa sua quanto conseguenza dell’inesauribile sospettosità dei suoi inquisitori). Il 1° gennaio 1992 Perugini era andato a casa sua per consegnargli un documento, e nell’occasione si era sentito raccontare un fatto:

Per Natale è venuto a farmi gli auguri don Cuba con due detenuti: ce n’era uno che doveva fare un monte d’anni e che aveva detto di sapere un sacco di cose sul Mostro; poi è venuto fuori che non aveva niente da dire. Non vorrei che m’avessero messo qualche gingillo nell’orto…

Don “Cuba” (Cubattoli) era stato il cappellano di Pacciani in carcere, convinto assertore della sua innocenza, mentre il detenuto “che doveva fare un monte d’anni” era Giuseppe Sgangarella, condannato all’ergastolo per aver violentato e ucciso una bambina di otto anni, con il quale Pacciani pare avesse intessuto buoni rapporti durante la comune detenzione. Un paio di mesi prima il losco figuro aveva affermato davanti all’autorità giudiziaria di essere a conoscenza del nome di chi custodiva la pistola del Mostro, pretendendo vantaggi per rivelarlo, ma si capì presto che si trattava di un bluff. Tra l’altro l’individuo si sarebbe riciclato qualche anno dopo con altre clamorose panzane.
Considerato il precedente e comunque già sospettoso di suo, Pacciani non si fidava di Sgangarella, dal quale temeva brutti scherzi. Se è improbabile che il detenuto fosse riuscito a sfilarsi dall’occhio vigile del padrone di casa – anche perché aveva partecipato al tentativo di mettere in moto la sua auto bloccata in garage – non va però dimenticato che Pacciani era uscito da poco di galera, e chiunque, nella sua brutta situazione, avrebbe temuto una visita malevola mentre era assente. Ma quell’accenno a “qualche gingillo nell’orto” fece vibrare le sensibili antenne di Perugini, che lo interpretò come un mettere le mani avanti nel timore del ritrovamento di un oggetto compromettente nascosto o perduto. Se così fosse stato, viene però spontaneo chiedersi perché il furbo contadino avrebbe dovuto attirare l’attenzione del suo inquisitore mettendogli una pulce in un orecchio. In ogni caso Perugini raccomandò ai suoi di vigilare su eventuali movimenti sospetti tra le verdure dell’orto.
Come se il piccolo esercito schierato contro Pacciani non fosse stato già abbastanza numeroso, poco dopo si offerse volontario anche un vicino, la cui abitazione aveva una finestra affacciata sull’orto. Sbirciando incuriosito, l’uomo ebbe modo di notare – e poi riferire alla polizia – strane manovre, come lo spostamento di tegole, il taglio di un’acacia, e sospetti lunghi periodi nei quali il contadino rimaneva a contemplare le proprie piante con le mani in mano. A dire il vero si trattava di attività normalissime in un orto, e in più e ancora una volta bisogna osservare che, se ci fosse stato qualcosa sotto, difficilmente Pacciani si sarebbe esposto tanto apertamente. Ma a Perugini così non parve, e chiese all’aspirante poliziotto il permesso di piazzarne qualcuno vero dietro quella finestra.
Nei giorni successivi una piccola squadra di un dilettante volontario e due professionisti, dandosi il cambio al posto d’osservazione, sorprese più volte il contadino intento nelle sue incomprensibili attività, tra le quali destò particolare interesse il sondaggio del terreno con un’asta metallica. In seguito Pacciani avrebbe giustificato la serie di manovre con il proposito di liberare l’orto da un’acacia cresciuta spontaneamente durante la sua detenzione, prima tagliandola, poi sradicandone le radici con l’asta metallica, ma per Ruggero Perugini i motivi erano ben altri: l’uomo stava cercando qualcosa, forse proprio quel “gingillo” (la pistola?) per il quale aveva messo le mani avanti tempo prima. E quando il malcapitato ebbe la pessima idea di mettersi a scavare una buca profonda e larga 30 cm proprio nelle adiacenze delle tegole spostate – per eliminare il ceppo dell’acacia, disse lui in un primo momento, per riparare un tubo dell’acqua in un secondo – la Procura, già pronta, decise d’intervenire: il giorno successivo un esercito di uomini dotato dei più sofisticati macchinari di ricerca esistenti in Italia si precipitò a Mercatale.

La madre di tutte le perquisizioni. Erano le ore 9.15 del 27 aprile 1992, quando Perugini suonò il campanello dell’abitazione di via Sonnino con in mano un ampio mandato. Di lì a poco iniziò la più grandiosa e sofisticata perquisizione che la storia giudiziaria d’Italia avesse mai vissuto, fino a quel momento ma forse anche per secoli nel futuro. Perugini e un nugolo di collaboratori si apprestarono a dare il definitivo assalto, almeno nelle loro speranze, alle roccaforti del contadino. Imperativo categorico: trovare a tutti i costi la pistola.
Forse una vera e propria contabilità delle risorse in campo non è mai stata pubblicata, dalle cronache rimaste pare però fosse immensa: decine e decine di uomini, tra poliziotti della SAM e della Criminalpol, carabinieri di San Casciano e dei ROS, vigili del fuoco, consulenti; e poi strumenti e utensili di ogni tipo, atti a sondare, sventrare, fotografare, radiografare. I martelli pneumatici lavoravano fianco a fianco a pale e picconi, coadiuvati da metal detector dei quali due specialissimi (ferex) sensibili anche ai metalli non ferrosi, e addirittura da un termografo ad azoto liquido capace di penetrare i muri, lo stesso con il quale dieci anni prima erano state cercate tracce degli schizzi di Leonardo da Vinci sotto i dipinti del Vasari, nel salone dei 500 di Palazzo Vecchio.
Furono accuratamente esaminati appartamenti, garage, pertinenze, ripostigli, legnaia, soppalchi, sottotetti; ogni oggetto ivi contenuto, fosse un mobile, un elettrodomestico, un indumento o qualsiasi altro, fu controllato e alla bisogna smontato. Non si dimenticarono neppure i pozzi neri, accuratamente svuotati del loro sgradevole contenuto. Nell’orto si asportò il terreno per un metro e mezzo di profondità, passandolo al setaccio.


Come mostra la foto sopra, tutto avvenne sotto lo sguardo perplesso e preoccupato del padrone di casa, i cui problemi di cuore consigliarono la presenza costante di un cardiologo, che a un certo punto dovette intervenire davvero per un piccolo mancamento.
L’incredibile perquisizione durò ben 12 giorni, ma si sarebbe potuta limitare ai primi tre e al solo orto, poiché l’unico elemento utile fu trovato proprio lì, nel tardo pomeriggio del 29. Per reggere i filari della sua piccola vigna Pacciani aveva utilizzato dei paletti in cemento armato, parte dei quali erano stati adagiati a terra a creare dei camminamenti.


La piantina soprastante, di provenienza ignota a chi scrive e pubblicata sul sito “Insufficienza di prove”, mostra una doppia fila di paletti che compiva un arco di cerchio in mezzo al terreno.


Nella seconda piantina, disegnata dallo stesso Pacciani, si aggiunge un’ulteriore fila di paletti, parallela a due dei lati dell’orto. Di questa chi scrive non ha trovato altre notizie – ma forse qualche lettore potrà dirne qualcosa – quindi verrà ignorata. In più c’è da dire che nella piantina Pacciani non sono rispettate le proporzioni del terreno, che non era un quadrato, ma, come mostrato nella precedente, un rettangolo di circa 6x15 metri.


La foto sopra dà invece un’idea della struttura dei manufatti, dove si possono notare i fori di alleggerimento, che nel caso in questione si erano con gli anni riempiti di terriccio.
Uno degli interventi iniziali dei vigili del fuoco era stato quello di togliere i paletti e metterli da parte, sia per potervi scavare sotto, sia perché la presenza al loro interno di quattro anime ferrose disturbava il lavoro dei metal detector. Nel far leva per estrarlo, uno di essi si era rotto in due tronconi.
Alla mattina del terzo giorno, quando l’orto era stato scavato quasi completamente, si mise a piovere. Per poter proseguire il lavoro senza affondare nel fango furono installati una tettoia in plastica e dei teli, sotto ai quali si lavorò ancora per un po’, fino a quando le inevitabili infiltrazioni d’acqua consigliarono di passare a vani interni, con il trasferimento in Piazza del Popolo (nei due fotogrammi sottostanti si può notare uno tra i paletti messi all’inpiedi).


Nel pomeriggio smise di piovere e si poté riprendere. In un punto del terreno situato sotto la tettoia i vigili del fuoco avevano adagiato i due tronconi del paletto rotto, uno di fianco all’altro, a costituire un camminamento che evitasse di calpestare la soffice terra di riporto diventata fanghiglia. Sopra quei due pezzi di cemento c’era già stato un bel viavai, quando, alle 17.45 esatte, fu la volta di Perugini, il quale, costretto a chinarsi sotto la bassa tettoia e quindi con lo sguardo rivolto verso terra, notò in mezzo al terriccio contenuto in uno dei fori uno “scintillio” provocato da un oggetto metallico, la cui forma emergente ne faceva intuire la natura di cartuccia. L’investigatore chiamò immediatamente Vigna mettendolo al corrente del fatto e ricevendo le opportune direttive, tra cui quella di filmare ogni dettaglio delle operazioni successive.


Nelle immagini soprastanti si possono vedere i due tronconi di paletto stesi a terra, e un dito di Perugini che indica l’oggetto metallico, situato nel primo foro in alto del troncone di destra.


Innanzitutto i due tronconi furono sollevati e appoggiati sopra quello che pare uno sgabello. Poi Perugini prese un coltellino multiuso che teneva in tasca e con la pinzetta in dotazione estrasse l’oggetto incrostato di fango. Si trattava senza dubbio di una cartuccia che, ripulita sul posto quel poco che bastava, si rivelò simile a quelle usate dal Mostro: una Winchester 22 LR a piombo nudo, inesplosa e deformata, con una lettera “H” stampigliata sul fondello.


Il giorno dopo entrò in azione la Polizia Scientifica, e già il 2 maggio il responsabile, Francesco Donato, consegnò una relazione con i risultati dei primi sommari esami. Fu confermata l’impressione iniziale sulla natura del reperto, e formulata l’ipotesi che la deformazione, un disassamento del bossolo rispetto al proiettile, fosse dovuta a un inceppamento, dopo il quale la cartuccia era stata espulsa tramite un intervento manuale (scarrellata, come si dice in gergo balistico). Pur non esplosa, quella cartuccia era dunque entrata in un’arma, che su di essa aveva anche lasciato almeno una traccia, un’impronta di spallamento che poteva essere utile a fini identificativi, e della quale si sarebbe discusso a lungo al futuro processo. In più fu rilevata una buona compatibilità della lettera “H” stampigliata sul fondello con le analoghe dei bossoli del Mostro.
Non si trattava della introvabile pistola, non era neppure un bossolo firmato dall’impronta di un percussore, però quella cartuccia inesplosa avrebbe potuto ugualmente raccontare molte cose. In ogni modo già il fatto che nell’orto del sospettato si nascondesse una cartuccia dello stesso tipo di quelle usate dal Mostro, per di più “scarrellata” da una pistola semiautomatica come la famigerata Beretta, costituiva comunque un risultato clamoroso: spesso denominata per brevità “cartuccia Pacciani”, dopo gli opportuni esami essa sarebbe diventata la prova regina contro il contadino mugellano.
Ma davvero quella cartuccia l’aveva perduta lui?

Una prova fabbricata? I dubbi sulla genuinità della prova sono tanti, e tutti insieme inducono a ritenere che quella prova genuina non lo fosse stata neanche un po’. Gli scettici, tra i quali gli avvocati difensori e soprattutto il giudice di secondo grado, contestarono innanzitutto la possibilità che, in una giornata di cielo coperto, sotto una tettoia e ormai nel tardo pomeriggio, una cartuccia interrata e incrostata completamente di fango avesse potuto scintillare. Perugini affermò che il bagliore era stato mandato dal bordo del bossolo, ripulito dalla frizione delle scarpe di chi vi era passato sopra. Non esistono motivi per dubitare della buonafede dell’investigatore, a parere di chi scrive iper colpevolista per vera convinzione, e la possibilità di un luccichio anche in condizioni di luce poco favorevoli può comunque starci. Ci sono però ben altri elementi che fanno pensare a una prova da qualcuno (chi?) costruita.
Possiamo intanto osservare che, se genuino, il ritrovamento di quella cartuccia sarebbe stato accompagnato da una fortuna sfacciata, sempre possibile, ma inevitabilmente sospetta. Ecco quanto ne scrisse il giudice Ferri in sentenza.

Molti erano i paletti di cemento posti a delimìtare il vialetto, ma si ruppe proprio e soltanto quello nel cui foro sarebbe stata trovata la cartuccia (tutti gli altri furono poi ispezionati con esito negativo), e le circostanze della rottura non sono state mai chiarite, non essendo stati mai sentiti e neppure indicati i Vigili del Fuoco che asseritamente l'avrebbero provocata; proprio e soltanto quei due tronconi del paletto furono collocati agli inizi del vialetto, appena fuori della copertura di plastica ondulata, ossia nel punto di maggiore passaggio degli operatori al quale si arrivava abbassati per la ridotta altezza della copertura stessa; in tale posizione, ha riferito in dibattimento il dott. Perugini, egli si sarebbe trovato, quando avrebbe visto uno scintillio metallico provenire da uno dei fori di uno dei due tronconi.

Secondo le parole degli stessi Perugini e Frillici in dibattimento, a nessuno sarebbe venuto in mente di svuotare del terriccio i piccoli fori dei paletti, sui quali non era possibile neppure l’uso dei metal detector per la presenza delle quattro anime ferrose. E dunque la cartuccia fu scoperta soltanto perché il paletto che la nascondeva si era spezzato e i due tronconi affiancati erano stati utilizzati come camminamento. Considerando che tutti gli altri paletti furono spostati senza subire danni, è evidente l’intervento della dea Fortuna nel guidare il piccone in mano al maldestro vigile del fuoco oppure, tempo prima, nel far cadere la cartuccia dalle mani di Pacciani facendola finire proprio in un foro del paletto più debole, un intervento del quale si può anche tentare una quantificazione probabilistica.
Quanti fossero stati i paletti non è finora emerso, ma una valutazione approssimativa si può comunque tentare. In dibattimento fu detto che ognuno misurava un paio di metri, e che l’orto era lungo circa quindici. La doppia fila attraversava l’orto per lungo, compiendo anche una curva, quindi possiamo ipotizzare che misurasse circa 16 metri, per un totale di 16 paletti. Pertanto c’era una probabilità di circa il 6% e poco più che si spezzasse proprio quello dove si nascondeva il proiettile: come mettere in un’urna 94 palline bianche e 6 nere, e sperare di pescarne una nera al primo colpo. In più la dea Fortuna intervenne anche il giorno stesso del ritrovamento, facendo piovere, come ammise candidamente lo stesso maresciallo Frillici in dibattimento (vedi):

Il discorso è questo, avvocato, io voglio dire subito che questo è stato ritrovato grazie alla pioggia, secondo me, perché […] se non avesse piovuto, quei due tronconi sarebbero rimasti lì, nessuno avrebbe mai pensato di andare, passare il metal detector su questi tronconi, e il proiettile sarebbe stato lì.

Ad aiutare la buona sorte degli inquirenti ci si mise anche chi ebbe l’idea di utilizzare i due tronconi nel modo in cui furono utilizzati, anche se, a dire il vero, quella scelta sconcerta un po’: possibile che l’esercito di uomini attrezzato di tutto punto non avesse avuto a disposizione una semplice tavola da adagiare sul terreno soffice, preferendo avvalersi di un reperto appartenente al sospettato, che, in quanto tale, avrebbe sempre potuto diventare oggetto di indagine, sequestro, controllo, e dunque inevitabilmente inquinandolo?
Lascia poi perplessi l’operazione di estrazione compiuta in loco dietro istruzioni telefoniche di Vigna. Perché tanta fretta? Perché non portarsi via l’intero paletto per far esaminare attentamente il contenuto del foro alla polizia scientifica? Nel grumo di terra avrebbero potuto nascondersi altre informazioni importanti, ad esempio: la cartuccia era caduta nel foro che poi con il tempo si era riempito oppure qualcuno l’aveva spinta dentro nel terriccio già presente? In questo secondo caso avrebbe assunto consistenza ben maggiore il sospetto di Pacciani sul “gingillo” che gli sarebbe stato nascosto nell’orto, e in effetti la posizione della cartuccia assai prossima alla superficie del grumo potrebbe confermarlo.
Va innanzitutto puntualizzato che la faccia superiore del mezzo paletto era rimasta quella d’origine anche dopo lo spostamento, come fu confermato al processo sia da Perugini sia da Frillici. Domanda Fioravanti, risponde Perugini (vedi):

Fioravanti: Ecco ma la posizione di quando era nel vialetto, cioè quando l'avevamo nel vialetto è stata quella di rimetterlo, cioè era la stessa della posizione che ha preso dopo, quando lei ha fatto accantonare questo? Cioè quello che era la parte superiore è rimasta la parte superiore? Cioè il proiettile è stato trovato…
Perugini: Credo proprio di sì perché fra il retro e il fronte c'era una qualche differenza, credo che quello… che la parte in cui abbiamo visto il proiettile fosse quella superiore.

Le parole di Frillici furono un po’ più confuse, ma più ferme nel sostenere la circostanza. Secondo lui, nell’estrarre il paletto dal suolo, parte del terriccio contenuto nei fori era rimasta a terra, tanto da lasciare un vuoto, e fu una fortuna se i due tronconi furono ricollocati con quella parte vuota in basso:

Quando questi due tronconi sono stati messi lì, siccome i fori erano riempiti a metà, quindi alcuni erano anche vuoti, per effetto che erano stati sul terreno, quindi, quando sono stati tolti, è come aver tolto qualche cosa che avesse... o una pianta che avesse il pane di terra, ecco. Nella... in quella posizione, va bene? in quella posizione, la terra, passandoci sopra, è andata via. Se fossero stati messi, per dire, nella posizione in cui i fori, dalla parte vuota, quindi non piena per metà, noi avremmo magari, con le scarpe, pulendoci le scarpe, avremmo contribuito a occultare maggiormente il proiettile. Non l'avremmo mai trovato.

Ma se quella cartuccia anche in origine era prossima alla superficie del terriccio, vuol dire che era caduta dentro un foro già pieno, e quindi in quel momento avrebbe dovuto risultare bene in evidenza: perché Pacciani non l’aveva vista durante i suoi giri nell’orto, lo sguardo in basso come tutti i coltivatori, prima che altra terra vi si depositasse sopra? All’opposto, se qualcuno invece l’avesse inserita di proposito, non avrebbe potuto spingerla troppo in basso, pena la frammentazione del grumo, costituito da terriccio compattato, né, a dire il vero, ne avrebbe avuto l’interesse per non nasconderla troppo. Inumidendo la superficie del grumo, sarebbe stato invece semplice affondarvi la cartuccia quel poco che bastava, lasciando poi che l’umidità si disperdesse e il terriccio si seccasse di nuovo, pronto per esser grattato via alla bisogna. Queste informazioni si sarebbero potute ottenere da un appropriato esame del grumo prima di togliere la cartuccia, ma Vigna aveva fretta. Diventa quindi inevitabile prendere in considerazione i sospetti di Pacciani, così riportati dalla sentenza di primo grado.

Egli, in sostanza, accusa la polizia di avere introdotto la cartuccia nel foro pieno di terra del paletto e di aver poi provveduto ad irrorarla con acido muriatico per simulare un invecchiamento che di per sé non poteva avere ("…Lascionno perfino il flacone dell'acido muriatico, ci fu buttato sopra per l'invecchiamento.... L'acido muriatico corrode il sasso, figuriamoci il metallo... L’è ancora lassù se non è stato portato via, il flacone dell'acido muriatico...).

I dubbi sulla poca genuinità della prova aumentano ancora quando si riflette sulla delicata situazione nella quale si trovavano gli inquirenti quel 27 aprile. Le maggiori speranze di trovare qualcosa – la pistola, o parte di essa – erano riposte nello scavo dell’orto, soprattutto nel punto dove Pacciani era stato visto trafficare. E infatti è lì che già la mattina del primo giorno si era avventato inutilmente il piccolo esercito di scavatori. La ricerca si era poi estesa via via a tutto l’orto, in modo certosino, procedendo per quadranti, ma con il medesimo sconfortante risultato. Alla fine della giornata la delusione degli inquirenti era tangibile, ne può dare un’idea questo trafiletto pubblicato il 29 da “Il Corriere della Sera”:

La mega-perquisizione nella casa del sospettato numero uno dei delitti del "mostro di Firenze" prosegue da 48 ore in attesa dei risultati che, per il momento, non arrivano. Il piccolo esercito di poliziotti, carabinieri e vigili del fuoco che occupa dalle 9 di lunedì mattina la casa di Pietro Pacciani a Mercatale Val di Pesa, ha interrotto il lavoro solo dall'una di notte alle 6.30 del mattino. […]
Ieri mattina a palazzo di giustizia si respirava comunque un po' di delusione: le ricerche nell'orto dell'agricoltore, setacciato centimetro per centimetro, non avrebbero dato l'esito sperato. […]
Il capo della squadra antimostro, Ruggero Perugini, non si muove da Mercatale: "Se c'è qualcosa da trovare, la troverò".

E se qualcosa da trovare non ci fosse stata, Perugini l’avrebbe trovata lo stesso? Certo, la domanda è maliziosa, ma è lecito porsela, considerando la posta in gioco, sia per l’investigatore, sia per i suoi superiori, diretti e indiretti. Si possono immaginare i sudori freddi suoi e della Procura al pensiero che davvero il loro agguerrito e dispendioso esercito avrebbe potuto non trovare nulla: la figuraccia sarebbe stata enorme, e le conseguenze per i responsabili molto serie. Ma già al momento di autorizzare la clamorosa perquisizione, peraltro priva di certezze e non giustificata da alcuna urgenza, qualcuno senz’altro si sarà posto il problema degli effetti spiacevoli di un possibile fallimento: ci sarebbe dunque da stupirsi se un’entità previdente avesse predisposto un piano “B”, condiviso con il minor numero possibile degli attori in gioco?
Probabilmente fu quello che accadde davvero: passate le prime inutili 48 ore, e capito ormai che le manovre di Pacciani nell’orto erano state malevolmente e malamente interpretate, il piano “B” fu reso operativo. Pensieri troppo malevoli? Può darsi, ma chi vuole tentare una ricostruzione storica degli eventi deve per forza misurarcisi. Si potrebbe quindi sospettare che qualcuno avesse piazzato quella cartuccia lo stesso giorno in cui fu trovata, mentre le operazioni si erano temporaneamente spostate in Piazza del Popolo.
Perché sarebbe stato scelto di mettere la cartuccia proprio in un foro di quel mezzo paletto? Nel tentativo di confutare le illazioni della difesa sulla genuinità della prova, il giudice di primo grado sostenne che la polizia avrebbe scelto un nascondiglio differente, dove sarebbe stato più semplice trovarla, ad esempio in qualche angolo di una delle abitazioni. Sul punto osservò molto acutamente il giudice di secondo grado Francesco Ferri, il quale lanciò pesantissimi sospetti sulla genuinità di quella prova e non soltanto di quella:

Il rilievo sub 3) è altrettanto illogico, perché una polizia giudiziaria la quale fosse stata, in ipotesi, disonesta ma accorta, avrebbe collocato la cartuccia proprio li dove è stata ritrovata, sì da fare apparire accidentale la perdita da parte del Pacciani, problematico il ritrovamento da parte dello stesso Pacciani, e casuale il rinvenimento da parte degli ufficiali di P.G.

E forse non è inutile aggiungere a quanto indicato da Ferri che quel paletto in origine si trovava proprio nella zona dove Pacciani era stato visto compiere operazioni sospette, dunque a esse in qualche modo ci si poteva ricollegare. Pur senza manifestare le certezze che ufficialmente non avrebbe potuto manifestare, il giudice non poté fare a meno di concludere sull’argomento:

In definitiva, sussistevano "ab initio", e non sono state affatto diradate alla stregua delle considerazioni del primo giudice su esposte, ampie zone d'ombra già in ordine alle circostanze del rinvenimento della cartuccia: il che si traduce in dubbi sulla genuinità dell'elemento di prova.

Per completare il quadro vale infine la pena riportare le dichiarazioni che Mario Spezi, probabilmente poco prima del processo, riuscì a carpire al maresciallo Arturo Minoliti, comandante della caserma dei carabinieri di San Casciano, presente al momento in cui la cartuccia fu rinvenuta, registrandole su videocassetta:

Io mi sono incazzato per quanto riguarda il rinvenimento del proiettile. Rimproverai il commissario Perugini che metteva noi in difficoltà sulla verità. Eravamo nell’orto di Pacciani, io, il commissario e due agenti della squadra. Quei tre si stavano pulendo le suole sul paletto per le viti steso a terra e scherzavano sul fatto che due di loro avevano le scarpe uguali. A un certo punto, vicino alla scarpa di uno appare il fondello della cartuccia...
Perugini dice: “il fascio di luce ha fatto brillare la cartuccia...” Ma quale fascio di luce! Se ce l’hanno messa? È un’ipotesi. Anzi, più che un’ipotesi. Non dico di essere arrivato alla certezza. Ho dovuto considerare questo, mio malgrado. È una quasi certezza. Alla luce dei fatti non trovo altre spiegazioni.
Poi dico, Perugini fa quella testimonianza sul fascio di luce, io mi incazzo e dico: “commissario, lei mi sputtana. Se io vado in contraddizione con lei, mi fanno un culo così. Cioè: a chi devono credere i giudici? Al sottufficiale o al commissario? A un certo momento io sono costretto ad avvalorare la sua tesi, ma è chiaro che la bugia, io, non riesco a ricordarmela bene!

Secondo Spezi la notizia delle clamorose rivelazioni sarebbe dovuta uscire sui telegiornali Rai, che però in ultimo si tirarono indietro. Il frammento precedente e altri apparvero nel libro “Toscana nera”, pubblicato nel 1998, provocando l’intervento della magistratura che sequestrò la videocassetta. Nel processo d’appello ai Compagni di merende Nino Filastò ne chiese l’acquisizione agli atti, senza successo. Nel 2006 Mario Spezi ne avrebbe riportato ancora dei brani nel suo “Dolci colline di sangue”. E dunque, se anche non è mai stato reso pubblico l’audio originale dell’intervista, non dovrebbero sussistere dubbi sulla genuinità del contenuto fin qui emerso.

Addendum 27 febbraio 2022. A distanza di quattro anni dalla pubblicazione dell'articolo, mi pare il caso di segnalare la vicenda del rapporto che Michele Giuttari inviò in procura il 3 febbraio 1999, del quale all'epoca non sapevo ancora nulla (vedi). Il rapporto non è ancora emerso, ma le notizie uscite sulla stampa consentono di capire che conteneva gravi sospetti sulle modalità di rinvenimento della cartuccia.
Colgo anche l'occasione per segnalare l'intervento del lettore Cesare sul paletto spezzato. Difficile che a spezzarlo fossero state le manovre dei vigili del fuoco, doveva essere stato così già in origine. Questo perché le quattro anime ferrose avrebbero comunque tenuto assieme i due monconi, a meno che non le avessero tagliate gli stessi vigili, evenienza possibile ma anche improbabile. Rimangono comunque valide tutte le considerazioni espresse nell'articolo sul fatto che la cartuccia si sarebbe infilata proprio in quel buco.

126 commenti:

  1. Attendendo doverosamente la seconda parte dell'articolo, farei alcune considerazioni. Il paletto in cui fu poi trovata la cartuccia si era spezzato per l'intervento dei vigili del fuoco che avevano fatto pressione con una leva ma poteva essere già fessurato, come ipotizzò lo stesso Bevacqua in una delle deposizioni di Perugini (questo spiegherebbe la rottura). Dopo la cartuccia, secondo il racconto di Perugini, fu prelevata anche la porzione di terra vicino: che fu analizzata immagino. Le operazioni furono filmate dall'inizio della perquisizione, e non solo da quando Vigna diede ordine di prelevare la cartuccia. Nessuno conosce il contenuto della videocassetta di cui lei parla, e non credo Minoliti abbia mai confermato quelle parole, sulla cui autenticità è lecito dubitare. Considerando poi l'ostinazione con cui Spezi sosteneva le proprie teorie e la spregiudicatezza con la quale citava le fonti, a maggior ragione. Se si riascoltano con attenzione le deposizioni di Perugini e Frillici durante il processo, nessuno menziona Minoliti a proposito di questa storica perquisizione e soprattutto nell'occasione del ritrovamento della cartuccia: pare che accanto a loro ci fossero soltanto operatori della polizia scientifica. Di Minoliti non c'è traccia. E dato che fu chiamato a deporre al processo, come mai nessuno gli fece domande su questa fatidica perquisizione?

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    1. BisBisogna precisare che le parole di Minoliti riportate da Spezi rappresentano soltanto un suo sospetto, una convinzione personale. Quindi non rivestono alcun valore di prova sull'eventuale dolo attribuibile agli investigatori. Nondimeno rafforzano un quadro generale in cui tutto, a mio modesto parere, porta in quella direzione.
      Non mi risulta che Minoliti abbia mai querelato Spezi per le parole a lui attribuite. Il che mi fa pensare che le avesse pronunciate davvero, e che davvero fosse esistita una cassetta che lo comprovava.
      Che al processo a Minoliti nulla fosse stato chiesto potrebbe essere rientrato in un accordo tra accusa e difesa, oppure anche in una semplice decisione autonoma della difesa, la quale alla fine non avrebbe avuto poi molto da guadagnare da quelli che, in ogni caso, non erano altro che sospetti, facilmente ridimensionabili da un rappresentante delle forze dell'ordine cui erano stati carpiti.
      Nella seconda parte del mio articolo affronterò le questioni tecniche riguardanti gli esami sulla cartuccia. Spero di non aver commesso troppi errori in una materia che non è la mia, in ogni caso posso anticipare che nulla fu trovato in grado di collegare la cartuccia alla pistola del Mostro. Emerge invece chiara la possibilità che qualsiasi persona avrebbe potuto prendere una cartuccia come quella, infilarla in una Beretta 70 e giocarci un po', fino a produrre i segni che vi furono trovati sopra. Questa non è una prova del dolo, poichè anche Pacciani avrebbe potuto compiere quelle operazioni perdendo poi la cartuccia, però consente di ipotizzare che quel dolo sarebbe stato possibile e, considerati tutti gli elementi al contorno, a mio parere anche probabile.

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    2. A giudicare dalle udienze del processo che è possibile scaricare e ascoltare (sul sito di Radio Radicale) a me sembra poco credibile un accordo tra l'accusa e la difesa: nessuna delle due parti andò per il sottile come lei sa bene. L'argomento della fatidica perquisizione nella quale fu rinvenuta la cartuccia fu ampiamente sviscerato durante le deposizioni di Perugini e di Frillici. Nella deposizione di Minoliti Bevacqua, come sempre, fece pelo e contropelo al teste, e nessuna domanda fu fatta su quella storica perquisizione. Tante ne furono fatte invece sulle altre perquisizioni, sul ritrovamento del block notes, sulle discariche presso le quali Pacciani avrebbe raccattato oggetti di ogni tipo ecc. La vicenda della cartuccia è stata affrontata con difficoltà dalla difesa, che non ha avuto una linea precisa: si è ipotizzato che non fosse stata incamerata nell'arma dei delitti, che l'avessa nascosta nell'orto di Pacciani il vero mostro (Fiovaranti in particolare sostenne questa tesi), che fossero stati gli inquirenti a creare il falso indizio usando una pistola dello stesso modello... secondo me la teoria del complotto giudiziario è pericolosa e porta dritti al mostro poliziotto di Filastò: solo una persona coinvolta nei delitti poteva avere interesse a creare false piste e a incriminare ad ogni costo un povero disgraziato (e soprattutto la possibilità materiale per farlo). Lei ha ineccepibilmente sfatato questo mito in altri articoli, ma sa bene che la maggior parte dei complottisti non ne vuole sapere di abbandonare questa suggestione. Quanto alla storia del gingillo di cui parlò Pacciani a Perugini, considerata la furbizia del contadino, non le pare davvero sospetta? perché avrebbe dovuto attirare l'attenzione degli inquirenti in quel modo se non per pararsi le spalle di fronte a possibili ritrovamenti?

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    3. Partiamo dalla storia del "gingillo". A me il cenno di Pacciani a Perugini pare davvero suicida. Il ragionamento che avrebbe fatto secondo lei sarebbe stato più o meno questo: so di aver perso una cartuccia, adesso dico che qualcuno potrebbe avermi nascosto qualcosa nell'orto così se mi perquisiscono ancora (per la quarta volta!) e la trovano ho già dato la giustificazione. Questa sarebbe furbizia? Furbizia sarebbe stata rimanere in silenzio, e soltanto in caso di effettiva perquisizione (ripeto, la quarta, quanto probabile?) e di effettivo ritrovamento raccontare la visita di Sgangarella.
      Riguardo la possibilità che la cartuccia fosse stata messa lì da qualche entità facente parte delle forze dell'ordine, il Mostro poliziotto nulla c'entra. Credo di aver già dato l'idea di quale fosse la posta in gioco. Mettiamoci nei panni di qualcuno convintissimo di aver individuato il colpevole, ma avvilito dal fatto che le prove non si trovavano. Insomma, le pare così fuori dal mondo che gli fosse venuto in mente di fornire un aiutino alla sorte avara? Che cosa sarebbe successo se quella maxiperquisizione non avesse dato risultato alcuno? Come minimo avrebbe potuto saltare qualche luminosa carriera, in particolare una, non mi faccia dire di chi perchè sarebbe inelegante, ma lei lo sa bene.

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    4. Dimenticavo Minoliti. Sulla strategia della difesa non ho molto da dire, Fioravanti e Bevacqua avranno fatto le loro considerazioni, e forse un attacco frontale sul tema della cartuccia lo ritenevano controproducente. In ogni caso rimane il fatto che Minoliti non portò Spezi in tribunale. Credo che chiunque al suo posto, in caso di falsità delle dichiarazioni attribuitegli, lo avrebbe fatto.

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    5. Di insinuazioni sulla cartuccia ne furono fatte parecchie, sia da Bevacqua che da Fioravanti, soprattutto durante le deposizioni di Perugini. Secondo il racconto carpito da Spezi a Minoliti, quest'ultimo sarebbe stato presente accanto a Perugini e agli altri ufficiali di polizia al momento del ritrovamento: avrebbe detto "vicino alla scarpa di uno appare il fondello della cartuccia". Questo particolare non torna: durante il processo furono mostrati i filmati del ritrovamento della cartuccia, e quindi la presenza di Minoliti dovrebbe essere certificata dalle riprese. Eppure nessuno ne parla: anche il pm avrebbe potuto fargli delle domande a proposito di quella storica perquisizione, o gli avvocati delle parti civili: niente. Quindi perché Minoliti non doveva entrare in contraddizione con Perugini? di quale bugia parlava?
      Sulle modalità di ritrovamento della cartuccia, non le sembrano troppo casuali per pensare a un'operazione orchestrata da una mente diabolica? I due pezzi del paletto furono usati come ponticello per non sprofondare nel fango: praticamente se non avesse piovuto nessuno si sarebbe accorto della cartuccia.
      In questa storia infinita, sono state fatte illazioni di ogni genere, anche sul personaggio cui lei fa riferimento. Non credo siano stati portati in tribunale tutti coloro che le hanno fatte

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    6. Il racconto di Minoliti a Spezi avrebbe anche potuto essere stato un po' "romanzato", semmai però da Minoliti stesso, visto che questi non contestò nelle sedi opportune le eventuali false dichiarazioni che il giornalista poteva essersi inventato.
      In ogni caso mi pare che nel quadro generale che porta verso un giudizio di probabile non genuinità della prova l'elemento Minoliti non abbia un gran peso rispetto agli altri. A mio parere il peso maggiore è dato dall'esame che dimostrò un interramento recente dell'oggetto, che male si accordava con la detenzione di Pacciani.
      Riguardo la possibilità che un personaggio di spicco interno alla magistratura avesse favorito in modo poco ortodosso l'incriminazione di quello che credeva il Mostro, ritengo vada presa in considerazione. Lei sa meglio di me quel che accadde dopo. Abbiamo un tribunale che, in tre gradi di giudizio, ci ha consegnato uno scenario del tutto fasullo, basato su verbali sulla cui correttezza non scommetterei neanche un centesimo. Siamo arrivati a inseguire sette e doppi cadaveri per spiegare i delitti di un individuo malvagio. Come è potuto succedere tutto questo se all'interno della magistratura e delle forze dell'ordine non ci fosse stato qualcosa di poco limpido?

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    7. Prima di quale processo Minoliti avrebbe fatto quelle confidenze a Mario Spezi? Quello di primo grado o quello di appello? o addirittura quello ai compagni di merende? Mi sembra improbabile che Spezi potesse tenere segrete quelle dichiarazioni esplosive per anni.
      In un recente convegno Minoliti è tornato sull'argomento, ridimensionando l'eccezionalità del rinvenimento della cartuccia. E mostrando un certo disappunto nei confronti di Mario Spezi, che non solo avrebbe registrato sia in audio che in video il loro colloquio senza avvertirlo preventivamente, ma avrebbe montato l'intervista in maniera arbitraria.
      Quello che rimane inspiegabile è il fatto che nessuno, e dico nessuno (né i legali di Pacciani né il pm né gli avvocati di parte civile) rivolse alcuna domanda a Minoliti sulla cartuccia; e Perugini, Scriccia e Frillici (presenti nel momento in cui fu notato il luccichìo) non menzionano in dibattimento Minoliti a proposito di questo rinvenimento. E tutte le parti avrebbero avuto interesse a farlo: l'accusa per rafforzare le ricostruzioni degli investigatori; la difesa di Pacciani per mostrare le crepe nelle indagini e mettere in dubbio (come del resto e legittimamente ha fatto in tutti i modi) la genuinità dell'elemento di prova.

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  2. Ammettiamo di credere ai sospetti manifestati da Pacciani a Perugini sulla possibilità che Sgangarella o l'altro detenuto gli avessero nascosto il "gingillo" nell'orto. Ci sono due spiegazioni: o Pacciani aveva facoltà divinatorie oppure è stato il più imprevedibile e maldestro nemico di se stesso: involontariamente avrebbe fornito agli inquirenti le istruzioni per creare un indizio a suo danno, dato che qualcuno non avrebbe fatto altro che realizzare quello che Pacciani aveva immaginato. Non è poi strano il fatto che quando fu trovato il gingillo Pacciani non l'abbia messo in relazione con la visita dei due detenuti? Sia il contadino che i suoi legali non mi pare abbiano fatto riferimento a quell'episodio, ma al trucco messo in atto da un poliziotto o dal vero mostro.
    Si può davvero credere che fosse stato usato l'acido muriatico per produrre un invecchiamento artificiale della cartuccia? Non si sarebbe corso il rischio di deteriorare l'oggetto e soprattutto l' impronta di spallamento che tanto peso ebbe nella valutazione di compatibilità del reperto Pacciani con i bossoli esplosi dall'arma usata dal mostro? E soprattutto, stando alle parole di Pacciani, il flacone dell'acido sarebbe stato utilizzato e lasciato in loco: cioè davanti agli occhi del contadino e dei suoi legali...
    Infine, la cartuccia sarebbe stata collocata nel paletto, secondo la sua ipotesi, lo stesso giorno in cui fu scoperta dall'occhio vigile di Perugini. Quindi, mentre le ricerche si erano temporaneamente spostate in piazza del Popolo, sarebbe avvenuto il misfatto. E in via Sonnino non c'era nessuno? Angiolina, che pare avesse anche morso un poliziotto, dove era finita?

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    1. Tutte le sue osservazioni non possono alterare il dato di fatto più eclatante: gli esami della dezincificazione dimostrarono che quella cartuccia era stata interrata da pochissimo tempo, quindi non soltanto non poteva essere stata perduta da Pacciani, che era in carcere, ma il suo imbozzolamento nel terriccio puzzava molto di frode.
      A quanto ne so l'acido muriatico scioglie molto facilmente il calcare, di cui immagino che il terriccio sia impregnato, ma non altrettanto bene l'ottone e il piombo. Per ottenere dei danni tangibili credo che si dovrebbe lasciare l'oggetto immerso per lungo tempo. In ogni caso non è detto che Pacciani avesse visto giusto con la storia della bottiglia vuota lasciata sul posto, magari se lo era anche inventato, il che però non sarebbe una prova contro il dolo eventuale.
      Infine non so dove si trovava Angiolina il giorno in cui venne scoperta la cartuccia, non mi pare però che la sua eventuale presenza avesse potuto costituire un gran problema, non era una volpe, bastava distrarla per qualche minuto fuori dall'orto e il gioco era fatto.
      Sul comportamento di Pacciani che devo dire, non sarebbe stata l'unica volta che si era dato la zappa sui piedi.

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    2. In effetti l'ipotesi del trucco regge meglio con la sua ipotesi, escludendo cioè un periodo anche breve d'interramento. Tuttavia se seguiamo le argomentazioni sensate di Ferri, dovremmo concludere per un periodo d'interramento nettamente inferiore a 5 anni, ma non nullo (di pochi mesi forse). Se così fosse, come si può escludere che la cartuccia fosse caduta proprio dalle mani di Pacciani? E quanto era prevedibile mesi prima una nuova perquisizione?
      Io poi le ho fatto notare la curiosa coincidenza tra il sospetto manifestato da Pacciani a Perugini e il fatto che quell'episodio fosse scomparso dalla sua memoria quando il gingillo venne effettivamente alla luce. Possibile che tutte le spiegazioni strane di Pacciani non le facciano nessun effetto?

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    3. Vista la poca precisione degli esami per stabilire il periodo di interramento, che comunque trovarono una dezincificazione minima, e visto che il fenomeno della dezincificazione avviene in piccola parte anche a cielo aperto, non si può affatto escludere che quella cartuccia non fosse mai stata interrata.
      Del resto pensare a un interramento di pochi mesi non ha senso. Vedere Pacciani che il 6 dicembre 1991 esce dal carcere, sapendo già di essere nel mirino di Perugini, e si mette a giocare con la famigerata pistola (ma dove la teneva?) o si tiene in tasca una cartuccia e la perde è credere nelle favole, a mio modesto giudizio. Oppure immaginare Angiolina che spazzola i pantaloni con dentro la cartuccia...
      Pacciani disse tante cose strane, ma per definirle strane con una vera cognizione di causa si dovrebbe prima di tutto mettersi nei panni di chi aveva scontato molti anni di carcere, con le inevitabili sospettosità nei confronti delle forze dell'ordine, poi di chi era braccato per la storia del Mostro. In ogni caso credo che qualsiasi cosa avesse fatto o detto, sarebbe sempre stata interpretata in chiave colpevolista, tale e tanta era la sicurezza che fosse lui il Mostro.
      Se poi si va a vedere quel che sarebbe accaduto all'arrivo di Lotti, si deve registrare un'incredibile gestione pilotata delle sue dichiarazioni e di quelle di Pucci. E' una parte che sto analizzando a fondo adesso. Leggere di quel che accadde l'11 febbraio 1996 con il doppio interrogatorio di Lotti e il confronto con Pucci fa accapponare la pelle.Invece di contestare ai due le contraddizioni tra i loro racconti si fece di tutto per uniformarli, a mio parere senza rendersi conto che il vero Mostro ce l'avevano sotto gli occhi. Chi c'era dovrebbe saperlo bene.

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    4. Non ha senso neanche pensare che un poliziotto abbia giocato con la cartuccia per poi nasconderla mesi prima del ritrovamento, dato che nessuno pensava a una nuova perquisizione. Quindi l'eventuale piano b sarebbe scattato davvero il 29 aprile, senza che due vecchie volpi come Pacciani e Perugini se ne accorgessero: e nonostante questa insperata fortuna si continuò a cercare per altri 9 giorni (non si sa bene cosa).
      Sarebbe interessante anche conoscere il contenuto dei colloqui tra Pacciani e Perugini. Io mi rifiuto di credere che un investigatore intelligente come Perugini possa aver creduto alla colpevolezza di Pacciani solo sulla base di una superficiale equazione: Pacciani assassino + sessualmente malato = mostro di Firenze. Secondo me è una convinzione che nel tempo si è rafforzata, e non possiamo escludere che fosse giusta. Almeno finché non verrà fuori con sicurezza il vero colpevole: e Lotti è l'altro possibile mostro, le altre ipotesi sono tutte bufale secondo me.

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    5. L'ipotesi - anzi, nel suo caso, la certezza apodittica - di Lotti mostro di Firenze è realistica e sostenibile quanto la recente ed esplosiva rivelazione/bufala di Zodiac mostro di Firenze. Di cui, non a caso, non si è parlato affatto nel suo pur apprezzabile blog, proprio perché in conflitto con l'altro mito di Lotti mostro, da lei elevato a dogma unico e indiscutibile. Detto ciò, complimenti per la tenacia e la passione profusa.

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    6. Che la mia certezza sia apodittica credo sia una sua convinzione apodittica, adesso si tratta di vedere in quale caso il termine apoddittico potrebbe essere più appropriato, passando alle ragioni di quel che si afferma. Ma naturalmente non può essere questa la sede, quindi mi pare inevitabile che ognuno di noi dovrà continuare a confortarsi con le proprie certezze.

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    7. Attenzione a non dare troppo peso alle valutazioni in astratto sulle caratteristiche e sulle motivazioni dell'assassino. In teoria anche Vanni poteva avere gli stessi requisiti di Lotti: una moglie malata, una vita sessuale insoddisfacente, perfino alcune prostitute si rifiutavano di avere rapporti con lui a causa dei suoi gusti particolari. La rabbia e la frustrazione di Vanni potrebbero essere, mutatis mutandis, le stesse di Lotti.
      Forse è meglio soffermarsi sulle caratteristiche accertate dell'assassino (conoscenza capillare del territorio, dimestichezza con le armi e spiccata abilità manuale) e capire a quale personaggio possono attagliarsi.

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    8. Buona sera , Antonio. Sulla cartuccia possiamo escludere a priori la seguente ipotesi che ritengo esere la piu' semplice? Nessun complotto, Pacciani qualche arma la possedeva a quanto pare. Le munizioni serie H all' epoca erano molto diffuse. Dunque potrebbe il nostro aver caricato con quelle una pistola qualsiasi (non quella del mostro) o una carabina, visto che la serie H poteva servire anche per certi fucili e, dopo l' inceppamento dell' arma aver estratto manualmente la cartuccia servendosi di un oggetto appuntito, come un chiodo o la lama di un coltellino, lasciando sul bossolo quei famosi segni ritenuti "compatibili" con l' inserimento nella famigerata Beretta dalla prima perizia, e frutto invece di una azione manuale che nulla ha a che vedere con lo "scarrellamento", come risulta dalla perizia pu' recente, (Minervini , se non mi confondo). Ovvero: erano state scambiate per segni di "scarrellamento" le tracce lasciate dagli strumenti usati per togliere una normalissima cartuccia serie H magari da una normalissima carabina. Se la cartuccia poi si perde a terra, il Pacciani, non ancora indagato, non si cura di cercarla piu' di tanto. Quindi : nessun complotto e nessun valore indiziario del reperto. Posso chiedere la sua opinione? La ringrazio come sempre per l' attenzione e ancora complimenti per il canale video.

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    9. Potrebbe anche essere, ma la sua ipotesi non risolve alcuni dei numerosi dubbi, come il periodo d'interramento, la posizione della cartuccia a filo del grumo di terra, la combinazione dell'unico paletto spezzato e altri,

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    10. Concordo, i dubbi restano. Ma si sa se quei paletti vennero posti a terra dagli inquirenti che effettuavano le perquisizioni o se erano gia' in terra da molto tempo? Sarebbe un dettaglio non marginale, a mio avviso.

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    11. I paletti li aveva messi Pacciani da molti anni, non si sa però quanti, comunque di sicuro prima di entrare in carcere nel 1987.

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    12. Sempre restando nel campo delle mere ipotesi naturalmente, ma: i paletti erano a terra da molti anni; Il Pacciani indagato mette subito le mani avanti avanzando il sospetto che qualcuno gli abbia messo un "gingillo" nell' orto (ma di chi poteva sospettare, poi? E cosa poteva essere questo "gingillo"?); una volta tornato a casa il nostro si mette come un matto a sondare con un' asta il suo terreno (" ma indoell' e', indoe l' ho messa", pare che dica secondo le intercettazioni ambientali). Se seppellisci una pistola in giardino, il posto dove l' hai messa te lo ricordi, secondo me. Doveva essere qualcosa di piu' piccolo che lui ricordava di avere perso nell' orto e che, ora che era indagato, poteva essere usata contro di lui, come effettivamente accadde poi nel giudizio di primo grado. Di nessun valore indiziario, come sappiamo oggi e come gia' aveva dimostrato il giudice Ferri a suo tempo. Se le cose fossero andate veramente cosi' come ho immaginato nel post appena sopra, almeno questa ipotesi rispetterebbe due principi nei quali credo: la presunzione di innocenza nei confronti dell' indagato, e la presunzione di buona fede nei confronti di chi indaga. Certo che i dubbi restano, ma quale altro motivo avrebbe avuto Pacciani di premunirsi con la storia del"gingillo" (ossia. "se trovate in giardino qualcosa di strano ce lo ha messo qualcuno" e specifica "nell' orto", non in casa)? Un saluto!

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    13. lettera a Nazione e Fioravanti novembre 1981(sempre che siano vere la lettera e la data), dialogo tra Pacciani e Perugini 1 gennaio 1992. Mi sembra conseguente.

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    14. M'inserisco: se non ricordo male, la ricerca affannosa di chissacché da parte di Pacciani (che bofonchia: "indoe ll'è? Indoe l'ho messa?", mi pare fosse non quando saggiava il terreno dell'orto, ma registrato grazie alle cimici piazzategli in casa, e di notte e dentro l'abitazione, non nell'orto (di notte, a buio, non sarebbe certo stato momento adatto per cercar roba nell'orto...)

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    15. Per omar quatar e Grantottero: ringrazio entrambi per queste precisazioni e vorrei chiedere a omar quatar se puo' essere piu' dettagliato sul contenuto dei due documenti citati. (1981? sara' mica '91?). Un saluto!

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    16. sì certo 1991, è la lettera anonima che mette in guardia gli avvocati di Pacciani invitandoli a ricercare nel giardino prima che PP tornasse in libertà, in modo che un eventuale interramento successivo della pistola da parte di terzi venisse smascherato. La lettera parla di invecchiamento con acido muriatico, PP parla di acido muriatico, a mio parere l'ispirazione per le ricerche di Pcciani nell'orto può venire da lì.

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    17. per omar quatar: dunque , trovandosi il Pacciani in carcere, verosimilmente non poteva essere lui l' anonimo. Da dove derivano i dubbi sulla data e sull' autenticita' della lettera? Grazie!

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    18. sinceramente non ricordo, era stata pubblicata su FB due-tre anni fa, poi erano stati avanzati dubbi che non fosse la data giusta , ma in realtà inviata successivamente alla maxi-perquisizione. Però non so dire altro, forse Antonio è più informato.

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  3. L’unica mia certezza “apodittica” in tutta l’orrida vicenda del mostro di Firenze è che non vi sono certezze. La leggo con interesse e attenzione da un po’ di tempo ed è abbastanza lapalissiano che lei di certezze apodittiche ne ha. Altrimenti non potrebbe criticare continuamente e spietatamente il lavoro degli inquirenti (che qui e ora non intendo commentare né in positivo né in negativo) e cassare, più o meno gentilmente, tutti quegli utenti che, meglio o peggio, hanno osato mettere in dubbio la sua tesi, per me assurda e improponibile, di Lotti unico mostro. Negare tutto ciò non renderebbe onore alla sua onestà intellettuale e all’ottimo lavoro da lei comunque svolto. Con la massima cordialità e per un confronto anche serrato ma costruttivo.

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  4. Mi pare, e mi è stato riconosciuto da molti, che quando critico il lavoro degli inquirenti fornisco sempre le mie motivazioni, alle quali quindi il lettore può aderire oppure no. Mi faccia qualche esempio in cui questo non è accaduto, e sarò io il primo a riconoscere il mio errore.
    Riguardo Lotti, la invito a fare una piccola riflessione. Se qualcuno si accusa di un grave reato come lui, fino addirittura a guadagnarsi 26 anni di carcere, a mio parere le motivazioni possono essere più o meno queste:

    1. E' un mitomane, ma Lotti non lo era, tutto il suo comportamento lo esclude, in ogni caso in aula, a specifica domanda, lo negò con decisione anche Lagazzi.
    2. Vuole proteggere qualcuno, come fece Stefano Mele con i suoi parenti, a mio parere. Ma Lotti, chi doveva proteggere?
    3. Infine può essere uno che confessa qualcosa per non dover confessare di peggio, e questo, secondo me, è proprio il caso di Lotti.

    La nostra discussione non può certo andare troppo lontano in questa sede, però vorrei che lei si pronunciasse almeno su questo. Per Lotti valeva una delle due motovazioni che ho scluso, oppure lei ne vede una quarta? Però, se ne vede una quarta, me la deve spiegare.

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    1. Dimenticavo: il caso è di chi si accusa mentendo, perchè Lotti mentì, su questo spero non ci siano dubbi.

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    2. N.B. Divido il commento in tre parti, per ragioni di spazio massimo consentito in questa sede.

      Infatti, glie lo riconosco assolutamente anche io. Parlando di critiche spietate e continuative, non intendevo affatto sostenere che le sue non fossero ben argomentate e fondate, bensì esattamente il contrario. Credo solo che, talvolta (leggasi: piuttosto raramente), siano "facili" e un po' capziose, nella misura in cui fanno leva su una presunta, ma per lei spesso certa, malafede degli inquirenti (vedi i casi Perugini e Giuttari). Eccole l'esempio negativo (l'unico) in merito. Ma, ripeto, ho sempre apprezzato il suo approccio fortemente critico sia per l'acume nell'argomentazione, sia per la serietà e sia per la volontà e la passione di trovare una verità alternativa che renda giustizia di tutti i misfatti compiuti. Questo rende il suo blog, a mio avviso, molto interessante e ben fatto. Lodo anche la sua correttezza, niente affatto scontata, che le impone di pubblicare interventi anche critici, come i miei di prima. Continuando con i complimenti (assolutamente sinceri), tengo anche a dirle che ho trovato ottime tutte le ricostruzioni dei delitti e illuminanti, oltre che molto gradevoli alla lettura, i vari articoli sul presunto mostro poliziotto, Maniac, gli Skizzen Brunnen, le scatole di pallottole, ecc. Tutto questo per il piacere di comunicarle il mio apprezzamento e la mia stima per il suo lavoro indefesso e per non apparire ai suoi occhi, ai miei ed eventualmente di chi ci legge come un mero distruttore di ipotesi altrui. Approccio, questo, che disprezzo proprio perché facile e ingiusto nei confronti di chi, come lei, ha tanto e ben lavorato.

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    3. Parte due.

      Passo ora a rispondere diffusamente al suo quesito su Lotti:
      1. Su questo primo punto, nonostante i pareri in merito giudicati attendibili, non sarei proprio disposto a scommetterci. Anzi. Ma riprendo il discorso al terzo punto, cui questo primo è strettamente connesso.
      2. Su questo secondo punto, invece, la penso esattamente come lei: Lotti non doveva proteggere proprio nessuno.
      3. Qui, invece, si annida il nostro disaccordo. Chiarisco con una domanda e una riflessione conseguente. Perché mai un uomo dovrebbe autoaccusarsi di qualcosa di già in sé tremendo, rimanendo invischiato pesantemente in una squallida quanto odiosa vicenda di omicidi seriali, così rischiando pene detentive più che alte, per poi tirarsi indietro "sul più bello", quando ormai non ha più molto o nulla da perdere, e potrebbe pure prendersi la macabra "gloria" di rivelarsi come l'imprendibile "mostro", terrore delle campagne fiorentine per circa un ventennio e caso criminale studiato a livello internazionale? Chi lo farebbe, se non un mitomane? Dunque l'ipotesi della mitomania, da lei esclusa con sicurezza (non sicumera), chiarirebbe e spiegherebbe un po' di punti in maniera alternativa alla sua linea.
      Lei ha comunque tutte le ragioni a insistere sulla personalità sfaccettata e anche complessa di Lotti, ma, secondo me, sbaglia a "sopravvalutarlo". Il suo è un errore di segno opposto rispetto a quello degli inquirenti che lo "sottovalutarono", fino a ridurlo, con la complicità dei media, a figura macchiettistica. Ecco perché ritengo che Lotti, pur non essendo l'idiota che ci è stato presentato quasi all'unanimità, potesse anche essere un mitomane, che tanto mente e talvolta dice la verità a intermittenza. Beninteso: un mitomane rimasto invischiato in un gioco molto più grande di lui, iniziato col fine precipuo di dimostrare che non era il "Katanga", lo scemo del paese che tutti credevano e sbeffeggiavano, e così prendersi i suoi agognati "15 minuti di fama" e la sua rivincita.
      La psichiatria, come anche lei sa, non è una scienza esatta. Quindi tutte le perizie psichiatriche a sostegno di una tesi o dell'altra (non mi pare sia mai stata raggiunta l'unanimità in merito, ma mi corregga se sbaglio) dovrebbero essere prese quantomeno cum grano salis e con il beneficio del dubbio. E naturalmente, questa che le ho appena esposto è da me considerata nulla di più di una ipotesi, di cui sono abbastanza convinto, ma senza pretesa alcuna di aver raggiunto una certezza (tanto meno apodittica).

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  5. Parte tre.

    In generale, il suo impianto di indagine e analisi è molto buono, lo ribadisco, ma, a mio avviso, è inficiato da questo vizio di fondo: la sua subordinazione meccanica all'ipotesi madre (Lotti mostro). Quasi che lei facesse con Lotti esattamente quello che imputa a Perugini di aver fatto con Pacciani: trovato quello che crediamo con certezza essere il colpevole, bisogna assolutamente far quadrare tutti i conti a favore di tale linea ormai ritenuta l'unica possibile. Allora tutti i particolari risultano perfettamente e logicamente ordinati e intessuti in modo da collimare tra di loro e da produrre un ordito conseguente, l'universale (la tesi proposta e difesa, poco importa se coinvolge Pacciani o Lotti), che invece si è dedotto o costruito aprioristicamente piuttosto che a posteriori. In tal modo, il terminus ad quem della ricerca/indagine (la scoperta del colpevole) determina e dirige sin dal principio il suo terminus a quo (il punto di partenza), che ne è il prodotto e con il quale finisce per coincidere. Di qui la certezza apodittica da cui siamo partiti.
    In sostanza, a me sembra questo il difetto della sua impostazione, anche se lei mi dirà che la sua tesi della colpevolezza di Lotti è invece il punto di arrivo di serie e meticolose ricerche. Non metto in dubbio che possa anche essere così, qualora lei lo sostenesse, ma continuerei a pensare che a un certo punto questa ipotesi si è cristallizzata in dogma e non è stata più soggetta a verifica o critica da parte sua. Ma, tutto sommato, quanto rilevato sopra è un vizio da cui forse nessuno di noi è immune, specie in un caso come questo, in cui, ripeto, l'unica certezza è che non vi sono certezze, ma la volontà di scoprire la verità è perciò ancora più forte. Ecco perché - pur non concordando con la sua tesi finale cui ho rivolto con rispetto queste mie osservazioni critiche - apprezzo molto il suo lavoro e mi auguro di leggere quanto prima suoi nuovi articoli in merito.

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    1. Credo che dovrebbe leggere con molta attenzione la perizia Fornari-Lagazzi, delle quale le riporto questo piccolo passo:

      Non ci siamo quindi trovati davanti ad un soggetto dipendente, passivo facilmente spaventabile o suggestionabile, che nel caso avrebbe immediatamente adottato un atteggiamento di altrettanta dipendenza verso gli inquirenti ed i consulenti, ma, al contrario, abbiamo incontrato un uomo determinato, sfuggente o francamente sleale quando gli era utile, del tutto privo di empatia e di rincrescimento, ed attentamente impegnato nella gestione di una sua «strategia» difensiva.

      Molto istruttiva è anche la deposizione dei due professori, anche qui le riporto un piccolo frammento. Parla Lagazzi:

      Ci siamo trovati di fronte a una persona che […] in determinati momenti rispondeva in modo palesemente e volutamente evasivo alle domande che gli facevamo. […] È una persona che, di fronte a domande specifiche, talvolta eludeva le domande stesse. Oppure si limitava a ribadire che, su determinati argomenti, non ha nulla di più da dire. […] è l'atteggiamento di una persona molto attenta a quello che diceva, molto attenta a quello che non diceva. Tutto quello che anche indirettamente poteva, in qualche modo portare nuove discussioni su questi argomenti, lui lo troncava.

      Sono considerazioni che escludono la mitomania. Se Lotti si era accusato aveva altre ragioni, alle quali non erano certo estranee le confidenze che secondo me aveva fatto a Pucci, il suo aggirarsi sotto la piazzola degli Scopeti e infine la sua frequentazione di quella di Vicchio assieme alla Nicoletti. Come si spiega questa coincidenza? Non era certo un posto che per uno di San Casciano era facile trovare andando in giro senza meta.
      Poi, che ne direbbe se le dimostrassi che lo sparatore di Scopeti era mancino, come Lotti? Un'altra coincidenza disgraziata?

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    2. Antonio, mi intrometto nella discussione solo per sollecitare la dimostrazione del mancinismo del MdF a Scopeti. So bene che per ragioni di tempo non riesci a postare tutta la dinamica di Scopeti (l'ultima che manca), ma se riuscissi a soffermarti sul particolare del mancinismo te ne sarei molto grato.

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    3. Mi dispiace constatare che non entra mai davvero in merito alla mia critica, la quale rimane sostanzialmente senza risposta. A meno di non intendere come tale qualche stralcio di una perizia, su cui, come su altre, mi sono già espresso con prudenza nella parte due del mio commento, e a cui non darei comunque il valore probante e certo che invece ha per lei. Ma forse la sua mancata risposta è alla fine la risposta migliore, ossia la conferma della mia garbata e puntuale osservazione critica di cui sopra.

      Siamo, infatti, tornati al punto di partenza: quando le fa comodo, cioè quando offrono appigli alla sua tesi di Lotti mostro, allora (in questo caso) le perizie psichiatriche ufficiali (la psichiatria è la materia più incerta che ci sia, dove si può dire tutto e il suo contrario ed esagerare impunemente) sono da lei ritenute prove decisive e scientificamente inoppugnabili; altrimenti le smonta con sagacia e abilità. E proprio questo era il nucleo centrale della mia critica: i suoi mezzi sono ottimi, il fine è pessimo o, se preferisce, non è quantomeno degno dei mezzi impiegati. Tutto nelle sue analisi ineccepibili è al servizio di questa sua tesi che tutto a sé subordina e dirige, con esiti che, a mio avviso, non rendono giustizia, in primis, al suo lavoro, sul quale mi sono già espresso diffusamente in maniera molto positiva. È abbastanza evidente che lei non sarebbe disposto per nessun motivo al mondo a discutere, ritrattare o, almeno, a rivedere la tesi che ha scelto di portare avanti con passione e caparbietà sorprendente. Quasi come in una guerra di religione contro le "verità" ufficiali e chiunque, pur deluso da esse, non vede in Lotti la soluzione dell'enigma.

      Detto ciò, attendo con il consueto interesse una sua esaustiva dinamica del duplice delitto dell'85, che dimostri come lo sparatore fosse mancino. Cosa che, però, non proverebbe ancora, secondo me, che il mancino Lotti fosse necessariamente e certamente il mostro.

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    4. Per la dimostrazione del mancinismo dello sparatore di Scopeti bisogna per forza aspettare la pubblicazione della dinamica completa, mi dispiace Vincenzo.
      Per Richard Sorge. La mia sollecitazione a leggere la perizia Fornari-Lagazzi era semplicemente il modo più rapido per valutare il soggetto Lotti per come merita. Certo che io non mi sono limitato a quella ma ho analizzato tutto il suo comportamento all'inizio delle indagini, comprese le interazioni con Pucci. Si tratta di un lavoro che sto preparando e che potrebbe veder la luce tra non moltissimo, vediamo. Quindi la rimanderei alla lettura del mio scritto, che spero le farà cambiare idea, a lei e a molti altri, o almeno le metterà qualche pulce nell'orecchio. Saluti.

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  6. Purtroppo ho molto poco tempo a disposizione, il che mi costringe a non dedicarne quanto ne vorrei agli interventi, pur rari, dei lettori del mio blog. In questo caso ho tralasciato di confutare un passo di quelli di Richard Sorge. Questo:

    Perché mai un uomo dovrebbe autoaccusarsi di qualcosa di già in sé tremendo, rimanendo invischiato pesantemente in una squallida quanto odiosa vicenda di omicidi seriali, così rischiando pene detentive più che alte, per poi tirarsi indietro "sul più bello", quando ormai non ha più molto o nulla da perdere, e potrebbe pure prendersi la macabra "gloria" di rivelarsi come l'imprendibile "mostro", terrore delle campagne fiorentine per circa un ventennio e caso criminale studiato a livello internazionale? Chi lo farebbe, se non un mitomane? Dunque l'ipotesi della mitomania, da lei esclusa con sicurezza (non sicumera), chiarirebbe e spiegherebbe un po' di punti in maniera alternativa alla sua linea.

    Quello che lei scrive mi pare una contraddizione in termini. Proprio il comportamento di Lotti, che preferì ritagliarsi un ruolo il più possibile secondario, addirittura andando a cercare giustificazioni in umilianti ricatti su esperienze omosessuali, lo esclude dalla mitomania. Il classico mitomane avrebbe fatto di tutto per amplificare il proprio ruolo, non per diminuirlo. Invece questo modo di fare calza a pennello sulla figura di chi temeva di essere accusato di qualcosa di peggio.

    Se non dicevo nulla, ero bell’e che dentro. Mi hanno messo davanti a dei contrasti e io ho dovuto ammettere qualche cosa, altrimenti me ne sarei andato in carcere.

    Nella frase precedente, che Lotti disse davanti a Fornari e Lagazzi e il cui significato andava al di là delle sue intenzioni, sta tutta la spiegazione. I contrasti erano quelli che ho già indicato in una mia precedente risposta, che lei non ha commentati e che qui riporto:

    Se Lotti si era accusato aveva altre ragioni, alle quali non erano certo estranee le confidenze che secondo me aveva fatto a Pucci, il suo aggirarsi sotto la piazzola degli Scopeti e infine la sua frequentazione di quella di Vicchio assieme alla Nicoletti. Come si spiega questa coincidenza?

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    1. La deposizione di Fornari e Lagazzi, che ho ascoltato integralmente in questi giorni, unitamente alle loro perizie rappresenta uno dei documenti più interessanti, forse l'unico per tentare di comprendere "l'enigma Lotti".
      I punti essenziali affrontati nella deposizione mi pare siano:
      -l'orientamento omosessuale di Lotti, non ammesso esplicitamente ma desunto dai due professori;
      -l'atteggiamento attento, vigile e reticente di Lotti (che esclude la mitomania);
      -la totale assenza di empatia per le vittime, in contrasto con l'atteggiamento mite e passivo;
      -diffidenza e odio nei confronti delle donne;
      -affettività piatta, senza oscillazione emotiva (cui si sottrae solo la forte irritazione nei confronti di Pacciani);
      -negazione preventiva del voyeurismo.
      Ne emerge un profilo compatibile con un serial killer, con molti tratti di perversione.
      Su Pucci i due studiosi hanno rilevato una capacità di testimoniare intatta e una totale mancanza di collaboratività, incompatibile con la mitomania.
      Sarebbe stata utile anche una perizia psichiatrica sugli altri due compagni di merende. Rimane difficile comprendere le ragioni dei contrasti tra Pacciani e Lotti e il perché sia stato tirato in mezzo Vanni, nei confronti del quale Lotti non aveva nessun apparente motivo di conflitto.

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    2. A proposito della frequentazione di Lotti della piazzola di Vicchio in compagnia della Nicoletti, ho notato che in un verbale di interrogatorio (ma non al processo) la stessa Nicoletti ricordava di essere capitata nel luogo in cui fu uccisa la Rontini anche assieme a un amante di Arezzo (non so se prima o dopo che ci era andata con Lotti).

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    3. Il fatto che la Nicoletti fosse andata sulla piazzola di Vicchio anche con il Sadotti non è così sicuro. Sadotti negò. La Nicoletti lo disse prima di ammettere che c'era stata con Lotti, quando aveva paura di essere in qualche modo coinvolta. In ogni caso non mi pare rilevante, lei disse che la prima volta ce l'aveva portata Lotti, che la conosceva già, fin dal 1981. Lui negò affermando che l'avevano scoperta per caso nel 1984 durante una delle loro girate. In un caso e nell'altro Sadotti sarebbe andato sempre dopo.

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    4. La perizia Fornari-Lagazzi unitamente alla loro deposizione dovrebbe far riflettere i molti che semplicisticamente liquidano Lotti come un minus habens.
      Le mie ricerche mi hanno portato alla sorprendente conclusione che quando Lotti e Pucci si accordarono per spiegare la loro presenza a Scopeti, non avevano intenzione di accusare proprio Vanni e Pacciani. Fu nel primo interrogatorio di Pucci, avvenuto davanti a Giuttari e altri poliziotti, che vennero suggeriti i due nomi, ai quali Pucci si adeguò. Poi lotti di conseguenza.

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    5. C'è una cosa che mi sfugge. Già al primo interrogatorio Pucci riferì l'episodio dei due uomini che, mentre lui e Lotti erano fermi all'inizio della stradina che conduceva alla piazzola di Scopeti, li avevano minacciati intimando loro di andarsene. Anche se Pucci non ne fece subito i nomi, che senso aveva raccontare un fatto del genere? Come potevano (Lotti e Pucci) non prevedere che gli inquirenti non li avrebbero più mollati?

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    6. Lotti e Pucci dovevano spiegare la loro presenza serale quella domenica sotto Scopeti. Nell'incontro con la Ghiribelli a Firenze il 23 dicembre Lotti aveva saputo che lei, due giorni prima, aveva dichiarato di aver visto la sua auto. Credo che lui e Pucci fossero andati a vedere i cadaveri. Quindi Lotti cercò Pucci e con lui mise insieme la storiella della fermata fortuita per un bisogno fisiologico, e delle due persone che li avevano minacciati. Poi il 2 gennaio, davanti a Giuttari, nacque la storia di Vanni e Pacciani, che non venne verbalizzata immediatamente. Si attese per evitare di interagire con il processo Pacciani.

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    7. Antonio, come mai pensi che all'inizio i due non volessero accusare Vanni e Pacciani ? Chi altri avrebbero potuto accusare? Pacciani era sotto processo, e il povero Vanni era ormai tacciato di "reticenza". Secondo te i due nomi vennero loro suggeriti dagli inquirenti di punto in bianco?

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    8. Siamo davvero nel campo delle ipotesi del tutto indimostrabili. Devo confessare la mia difficoltà nello sceglierne una con qualche speranza motivata che sia quella giusta. Devo comunque tener conto della deposizione di Valdemaro Pucci, in cui c'è un passaggio importante. Raccontando di quando aveva accompagnato il fratello in questura per il primo interrogatorio disse:

      Quando lo ripresi in macchina, gli dissi: 'ma icché t'hai fatto? Che c'è qualcosa di male?' 'Mah, io passai così dagli Scopeti, mi fermai per fare un bisogno con Giancarlo e ho visto, ho sentito delle voci, poi degli spari, poi sono andato via. Ma la voce la mi sembrava quella del Pacciani'.

      Dal verbale risulta invece che Pucci avrebbe raccontato di due energumeni sconosciuti. Certo, è possibile che Valdemaro si fosse confuso, oppure che il fratello avesse detto a lui qualcosa di diverso rispetto a quello che aveva detto a Giuttari, ma entrambe le circostanze mi paiono improbabili. Quel primo colloquio dovette essere stato un argomento di discussione importante tra i fratelli Pucci nelle tre settimane successive, quindi confondere i due energumeni sconosciuti con Pacciani appare difficile. Forse Pucci a Giuttari lo voleva dire ma venne stoppato, per ragioni di opportunità "investigativa" e soprattutto processuale.
      Ho però una piccola speranza di aggiungere qualche altro elemento a questo quadro difficile da interpretare, vedrò a tempo debito.

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    10. X Lorenzo Franciotti.
      Allora, purtroppo la mia memoria è limitata, quindi non rammentavo che già avevo ragionato sulla ricostruzione ipotetica dell'accordo tra Pucci e Lotti, che vi fu, su questo non c'è alcun dubbio.
      Ad aiutare nella ricostruzione è quanto accadde nella giornata dell'11 febbraio 1996, quando Lotti venne prima interrogato e poi messo a confronto con Pucci. Se si parte dal presupposto che, dopo il loro accordo, i due non si erano più visti (ipotesi plausibile per la paura di Lotti di essere seguito e anche per i controlli della polizia), si deve ritenere che Lotti non potesse sapere quello che in effetti aveva detto Pucci nei suoi interrogatori, e quindi quanto si fosse attenuto agli accordi.
      Lotti giocò di rimessa, ammettendo pochissimo, ma di aver visto due individui sì. Ma i nomi non volle farli, addirittura chiedendoli a Vigna, che al momento non glieli disse. Quei nomi non vennero fuori neppure durante il successivo confronto tra i due, nonostante i tentativi di Vigna, che alla fine, esasperato, li chiese a Pucci. Che li disse, e subito Lotti li confermò.
      Prova a leggerti bene interrogatorio e confronto, vedrai che arriverai anche tu alla stessa conclusione: i due si erano accordati per raccontare di due individui generici.

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  7. A proposito della natura pratica e venale di Pacciani, quale tornaconto avrebbe tratto dalle pratiche "poco ortodosse" nei confronti delle figlie?
    Sul mancinismo dello sparatore degli Scopeti, senz'altro possibile, mi vengono in mente però le considerazioni di De Fazio sul mostro verosimilmente destrorso: per una questione di praticità manuale si sarebbe accanito sul seno sinistro delle donne. Anche se a essere sincero non ho mai dato grande peso a queste spiegazioni. Cosa potrebbe impedire a un mancino di compiere il macabro rituale sul seno sinistro (o a un destro sul seno destro?). Proprio per questo motivo non sono però convinto che nelle escissioni agissero solo valutazioni pratiche: non si può escludere che la predilezione del mostro avesse anche un significato simbolico.

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    1. Non mi riferivo soltanto a un tornaconto pecuniario, ma anche, diciamo così, "godurioso". Al di là del disgusto che può fare un rapporto sessuale con le figlie, non si può disconoscere che chi lo mette in atto può goderne. Nei delitti del Mostro non c'era alcuna manifestazione di "goduria", si trattava di un criminale che uccideva per il puro gusto di uccidere e far parlare di sè i giornali. Una volta tolto di mezzo il delitto del 1974, che va visto come un caso a sè dove le motivazioni erano altre, sulle altre scene del crimine non si percepiva alcuna manifestazione a valenza sessuale. Il taglio del pube e del seno erano funzionali all'aumento della spettacolarità, non derivavano da alcun impulso libidinoso.
      Ecco anche perchè Pacciani mi sembra lontanissimo dalla figura attesa del Mostro, mentre Lotti ce lo vedo proprio bene. Era un personaggio pieno di rabbia repressa, vilipeso, invidioso di chi aveva più di lui, quindi la sua personale crociata per affermare sè stesso ci stà tutta. Rimaneva comunque un vigliacco meschino, che non ebbe mai il coraggio di uscire allo scoperto.

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    2. Riguardo il mancinismo del Mostro, è ben noto che i mancini sanno usare, chi più chi meno, anche la destra, che per certe operazioni addirittura preferiscono. Supposto che davvero il taglio del seno fosse avvenuto in senso orario, quindi probabilmente con la mano destra, è anche vero che la scelta del seno sinistro è tipica di un mancino, mettendosi a cavalcioni del corpo sottostante al quale così si rimane in linea, con la destra che afferra e tira e la sinistra che taglia. fare il contrario vuol dire mettersi in tralice scontando una maggior scomodità.

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  8. caro Antonio innanzitutto Complimenti per la professionalità e la competenza con la quale ti occupi di questa tragedia . Una domanda al volo e congrua al discorso che state facendo . Ma perché questo benedetto Lotti ad un certo punto non si accolla il ruolo di protagonista assoluto ? Tanto che l'escalation del mostro era volta a screditare chi voleva analizzarlo , gli esperti, Le FdO e la stampa . Io ho spesso pensato a lui ed è plausibile che uno per salvare la faccia si accolla il reato minore ed il ruolo secondario ma a quel punto perché figurare come una brutta comparsa quando puoi essere il protagonista principale di una vicenda così diabolica ? E noi sappiamo purtroppo quanto fascino eserciti il Male in certe persone ....

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    1. Cara Daniela, è sempre molto difficile mettersi nei panni degli altri, e anch'io non mi illudo di esserci riuscito, anche se ormai sto riflettendo sul personaggi Lotti da molti anni. Comunque ti dico la mia.
      Secondo me era un personaggio molto meschino e vigliacco, al quale anni di tentazioni dovuti al possesso di una pistola che aveva ucciso dettero la spinta per superare una soglia alla quale altrimenti non si sarebbe neppure mai avvicinato. Ma rimaneva una persona meschina e vile.
      Quando si trovò invischiato nelle indagini, la sua unica paura era quella di andare in galera. Di rivendicare i propri omicidi neppure a parlarne, e non soltanto per la paura, ma anche per la consapevolezza della propria mediocrità. Non aveva proprio il coraggio di affrontare a viso aperto tutte le conseguenze di una sua eventuale clamorosa rivelazione, era un complessato.
      Se poi vogliamo andare più sul concreto, Lotti fino all'ultimo sperò di ottenere un congruo sconto di pena, che il suo avvocato sempre chiese sia per la sua collaborazione sia per il suo presunto ruolo minimale, fino in cassazione. Non gli fu concesso, e quasi subito morì, quindi non sapremo mai quale sarebbe stata la sua reazione nel tempo.
      Io credo che pian piano lo avrebbero fatto uscire in permesso e poi gli avrebbero concesso la semilibertà, quindi gli sarebbe andata ancora abbastanza bene.

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  9. L'ipotesi lotti MdF è molto suggestiva, e ammetto che ho molto cambiato idea sul personaggio negli anni!!
    Ma perché ha puntato tutto sulla domenica come giorno del delitto?
    Visto che già all'epoca c'erano dubbi sulla data precisa? Fosse stato lui il mostro avrebbe potuto indicare il giono preciso, infilandoci dentro una girata con Pucci, cosa cambiava?
    Per me il fatto che indichi la domenica dimostra solo ché è un bugiardo...cronico ... cosi come autoaccusarsi di aver sparato a giogoli poiché le perizie dimostrano che a sparare è un individuo superiore al 1.80, gardacaso ridolve due dubbi degli inquirenti in un colpo solo (l altezza di giogoli e il giorno di scopeti)...???

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    1. La strategia di Lotti è sempre stata quella di adeguarsi al punto di vista degli inquirenti, giocando di rimessa. Dopo l'incontro del 23 dicembre con la Ghiribelli, quando venne a sapere che la donna aveva detto di aver visto la sua auto la sera di domenica, si preparò con Pucci una storia per la domenica.
      Che sia un bugiardo cronico sono d'accordo anch'io, ma la gente non dice bugie se non gli conviene, dietro c'è sempre un motivo, anche se i vari esperti che oggi vanno per la maggiore non lo capiscono.
      Il motivo delle autoaccuse di Giogoli è concomitante con quello dei ricatti omosessuali di Vanni e Pacciani, nella cosiddetta lettera spontanea, ed entrambi sono legati all'uscita della perizia Fornari-Lagazzi, la cui data ufficiale è posteriore di pochi giorni, ma i cui risultati erano nelle disponibilità di magistrati e poliziotti già prima.
      Non è questa la sede però per spiegare il meccanismo.

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    2. I colloqui di Lotti con Fornari e Lagazzi avvengono tra settembre e ottobre del 1996; la lettera spontanea in cui si parla dei ricatti omosessuali viene scritta da Lotti a novembre; la presunta violenza subita da Pacciani viene riferita da Lotti a dicembre.
      Davvero Lotti avrebbe inventato tutto? Eppure Fornari e Lagazzi avevano notato sia l'orientamento omosessuale di Lotti (che però non l'aveva ammesso esplicitamente) sia il suo forte disappunto nei confronti di Pacciani. Quale era la ragione di questo risentimento? il caratteraccio di Pacciani o il fatto che non pagasse le bevute non mi sembrano sufficienti: in assenza di un'altra spiegazione mi sentirei autorizzato a credere al ricatto e alla violenza. D'altra parte sia interrogato da Canessa il 23 dicembre sia in dibattimento (soprattutto quando viene incalzato da Filastò) Lotti sull'argomento appare realmente a disagio, infastidito dal dover rievocare vicende tanto scabrose.

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    3. La lettera spontanea nasce proprio dalla perizia Fornari-Lagazzi, e soddisfa due elementi che erano venuti fuori: la loro convinzione che Lotti nascondesse ancora qualcosa e il suo presunto orientamento omosessuale. Appena i risultati ufficiosi furono nelle mani del PM, questi inviò degli uomini di Giuttari ad Arezzo ("per idonee e riservate misure di vigilanza e tutela", si legge nella relativa nota), dove, in assenza di avvocati, in una settimana nacque la lettera, tanto spontanea non credo proprio.
      Con la lettera Lotti ammise di aver sparato a Giogoli e insieme cercò giustificazione nella storia del Butini, ma soprattutto fece un gran regalo al suo pigmalione, inventandosi la storia del "dottore che pagava in soldi".
      La successiva invenzione di dicembre servì per tappare il buco di Baccaiano, che inavvertitamente Lotti aveva lasciato scoperto, in quanto l'episodio inventato di Butini si collocava dopo.

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    4. Non credo affatto che Lottui avesse avuto particolari tendenze omosessuali, non più della media delle persone. L'ammissione di aver sparato a Giogoli fu il pegno che si rassegnò a pagare per rendere più credibile il resto.

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    5. La perizia però parla chiaro: addirittura si dice che "la ricerca e la frequentazione della figura femminile potrebbe rappresentare semplicemente un alibi, un meccanismo di copertura dell’orientamento omosessuale del soggetto". Questa convinzione fu confermata dai due studiosi nella loro deposizione.
      Anche la Ghiribelli parlò di una tendenza omosessuale mai accettata da Lotti.

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    6. La perizia parla anche di una "tendenza presumibilmente di natura non conscia e non esplicitamente agita". Tutti noi abbiamo più o meno tendenze omosessuali, che si manifestano quando si verifica l'occasione giusta, ad esempio in un carcere.
      Comunque, al di là di quanto fosse alta la percentuale di omosessualità di Lotti (a sentirlo parlare a me sembra fosse sul basso) rimane il fatto che le sue storie sia di Butini sia di Pacciani erano inverosmili e quindi balle. Lui cercava in questo modo di giusticare il fatto che aveva partecipato, con un perverso intreccio di balle che giustificavano altre balle.

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    7. Non sono d'accordo. Alla fine della perizia si fa esplicito riferimento all'orientamento omosessuale del soggetto e non credo sia una sottolineatura casuale.
      D'altra parte le faccio notare che, secondo la sua ipotesi, Lotti era totalmente privo di esperienze sessuali nel 1974: mi sembra un fatto singolare, data la sua età all'epoca del delitto di Rabatta.
      Io non credo che Lotti fosse un mitomane, ma se avesse davvero mentito in modo così grossolano non si potrebbe neppure escludere del tutto che lo fosse.

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    8. Ripeto, che potenzialmente Lotti fosse più omosessuale di quanto poteva esserlo qualsiasi persona media può anche esser vero, anche se dubito che tale convincimento potesse essere raggiunto con gli strumenti usati da Fornari e Lagazzi, soprattutto condierando la non collaboratività del soggetto ai due reattivi. Rimane il fatto che Lotti si avvalse del loro giudizio per trovare giustificazioni nel suo seguire Vanni e Pacciani, ripeto, una balla che giustificava un'altra balla.

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    9. Si potrebbe essere anche più maliziosi: Fornari e Lagazzi, compiacendo chi li aveva incaricati di sottoporre Lotti a perizia, avrebbero fornito agli inquirenti il pretesto per spiegare il coinvolgimento di Lotti nei delitti: il ricatto omosessuale, ipotesi che troverebbe fondamento sia nell'orientamento omosessuale di Lotti sia nel suo risentimento nei confronti di Pacciani.
      Mi pare ovvio che, ove si accetti un simile scenario, anche le altre considerazioni dei periti vanno a farsi friggere.
      Ma io non sono così malizioso.

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    10. Il vero limite della perizia Fornari-Lagazzi, a mio modesto parere, sta nell'assunto che lo scenario disegnato da Lotti, con la banda dei Compagni di merende, fosse veritiero. Di qui le considerazioni su Lotti "uomo che guarda ma non soltanto".
      Riguardo l'ipotesi di tendenze omosessuali, immaginare che fosse venuta comoda alla Procura e quindi in qualche modo artificiosa è un ragionamento che non sta in piedi. Immagino che lei lo abbia fatto a mo' di grottesca provocazione.n

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    11. Era certamente una provocazione. Credo sia giusto in ogni caso considerare per intero la perizia, e non solo alcuni aspetti. L'orientamento omosessuale di Lotti è per l'appunto uno degli elementi ai quali i due periti fanno più volte riferimento, tanto è vero che viene sottolineato proprio nell'estrema sintesi finale.
      Nella loro deposizione, Fornari e Lagazzi, su contestazione di Filastò, ammisero che si erano avvalsi solo degli atti forniti dal procuratore, cioè della sentenza di primo grado contro Pacciani. Questo può spiegare la loro aderenza allo scenario disegnato da Lotti. Ad ogni modo il compito dei periti era di delineare un quadro della psicologia di Lotti, non quello di ricostruire la storia del mostro, quindi le loro considerazioni sui meccanismi di funzionamento della presunta banda di assassini lasciano il tempo che trovano.

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    12. La sua idea, se non ho capito male, è che l'ipotesi di Fornari e Lagazzi sulle tendenze omosessuali fosse venuta comoda proprio a Lotti per giustificare il suo coinvolgimento nei delitti: io su questo ho dei dubbi.
      "Se lui alza il tiro lo alzo anche io, so bene come difendermi": questa frase con cui Lotti irritato faceva riferimento a Pacciani per lei cosa significa?
      Fornari e Lagazzi dicevano tra l'altro che, messo con le spalle al muro, Lotti abilmente si rifugiava nei suoi mali, nei suoi presunti problemi di salute: ma non era una preoccupazione reale, ai professori sembrava piuttosto recitata. A me viene in mente il vittimismo di Pacciani, che aveva in comune con Lotti anche un'altra cosa: la negazione ostinata del voyeurismo. Non ci sono molti punti in comune tra questi personaggi?

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    13. Riguardo l'omosessualità di Lotti faccio la mia ultima considerazione. Non è che rifiuto a priori l'ipotesi di Fornari e Lagazzi, dico solo che mi pare poco motivata, e soprattutto che non possa cambiare le carte in tavola, poichè tali presunte tendenze omosessuli non hanno alcun ruolo nei delitti.
      A mio parere Lotti fu informato di questo sospetto dei periti nella settimana in cui gli uomini di Giuttari lo assistettero mentre scriveva la sua lettera spontanea, che, ripeto, tanto spontanea non credo lo fosse stata. Io credo che in effetti la scrittura fu sua, ma dentro c'era roba che aveva discusso con altri, e che altri avevano interesse a ficcarci, in primis la storia del "dottore che pagava in soldi".
      La frase "so bene io come difendermi" vuol dire tutto e non vuol dire nulla. Io posso interpretarla come pronunciata da un colpevole che si difende accusando altri che invece sono innocenti, mi par di capire che lei invece la interpreta come pronunciata da un complice più o meno pentito che vorrebbe rincarare la dose delle sue accuse al capo.
      Non credo affatto alla possibilità che Lotti potesse essersi aggregato a qualcun altro per commettere quei delitti, se li ha commessi era sicuramente da solo. E tutte le mie ricerche mi portano verso questo scenario.

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  10. Su troppe cose si adegua agli investigatori nelle sue deposizioni non ce mai una dichiarazione spontanea. Dice sempre quello che gli altri si aspettano che dica.
    Per me tutte le sue dichiarazioni non sono affidabili.
    Magari mi sbaglierò... ma per me è cosi

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    1. Che non siano affidabili mi pare evidente, mentì a tutto spiano. Ma che fosse innocente è tutto da dimostrare. Prova a fare una riflessione sui motivi che avrebbero potuto indurlo a prendersi 26 anni di carcere da innocente. In una precedente mia risposta ne ho già parlato. A me sembra naturale che chi mente autoaccusandosi e va in galera lo faccia per evitare guai peggiori, tu non sei d'accordo?

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  11. Sono d'accordo se parliamo di omicidi di mafia, camorra, ecc.
    Ma qui ce piu di un elemento che nn torna,secondo me.
    La mia opinione, per quel che vale, è che lotti, possibile o confermato voyeur,sia sia imbattuto con o senza pucci nella scena del crimine. E "scoperto"dalla ghiribelli abbia ammesso la sua presenza raccontando la storia che tutti sanno!! Anche perché la frase "mi hanno messo di fronte ad alcuni riscontri" e "ho dovuto ammettere qualche cosa" puo anche essere letta in questo senso.

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    1. Ma dai, in appello, con i trent'anni del primo grado sul groppone, era ancora lì a difendere con le unghie e con i denti la sua versione di complice davanti a Filastò che aveva dimostrato l'acquisto di una 124 blu mesi prima del delitto... Fosse stato innocente avrebbe buttato il tavolo per aria approfittando di quell'assist, non credi? Infatti si prese 26 anni...
      In realtà lui sperava che nel ruolo di complice secondario le cose gli sarebbero andate meglio, e comunque, anche con i 26 anni confermati dalla cassazione, non sarebbe stato dentro a lungo.
      Vogliamo fare un bilancio finale? Da innocente gli sarebbe andata molto male, da Mostro gli sarebbe andata abbastanza bene. Quindi, visto che la scelta l'aveva fatta lui, credo che ogni persona di buonsenso debba propendere per la seconda delle due. Che ne pensi?

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  12. Il raggionamento sulla 124 blu non fá una piega e sono d'accordo!!!
    E qualsiasi persona furba l' avrebbe colto al volo!!! Ma siamo sicuri che lotti era cosi furbo da cogliere il sottile assist di filastò?
    Comunque opinioni personali (le mie intendo) a parte, Aspetto gli altri articoli e colgo l'occasione per esprimerti i miei complimemti per il blog e per gli articoli sulla vicenda tutti ben strutturati e pensati!!

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    1. Vai oltre i luoghi comuni e rifletti sulla perizia Fornari-Lagazzi e sulla relativa deposizione, della quale ultima ti riporto un frammento di Lagazzi:

      Ha condotto lui il colloquio. Sempre, lo ha condotto lui. Ci ha dato quello che ha voluto darci con estrema abilità. Con quell'astuzia che può avere l'uomo, il contadino. Che però ha un'esperienza di vita che batte magari quella dell'intellettuale. Perché lui è uno che è cresciuto proprio a contatto della vita. Quindi lui sa benissimo regolarsi nei confronti dell'esistenza, della vita, è un astuto.

      Preferisci credere alla figura dell'ebete che inseguiva gli UFO?

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    2. Salve, il suo blog è fatto veramente molto bene.
      All'inizio ero relativamente scettico riguardo la colpevolezza del Lotti, ma poi leggendo le sue riflessioni e le perizie mi sono, via via, ricreduto.
      L'unico dubbio che ho riguarda la lettera inviata nel 1985 alla dottoressa Silvia della Monaca; lei che valore da a questa lettera?
      Questo senso di sfida e di minaccia nei confronti delle autorità può essere accomunato alla figura del Lotti?
      E soprattutto: un soggetto che compie tale azione non manifesta un certo grado di autocompiacimento e di voglia di apparire tali da poter addirittura confessare "soddisfatto" i suoi terribili crimini?
      La ringrazio e la saluto.

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    3. Guardi, le premetto come sempre che mettersi nei panni degli altri, e tanto più di un serial killer, è molto difficile. Comunque io ci provo lo stesso.
      A mio parere la lettera del 1985 e il taglio del seno sono intimamente connessi. Non a caso, infatti, il frammento nella busta era proprio del seno. A mio parere una busta analoga era già stata spedita nel 1984, come raccontò Lotti, ma non era pervenuta, probabilmente per un indirizzo sbagliato.
      De Fazio interpretò il taglio del seno come una risposta alle illazioni della stampa su un Mostro "mammone", incapace di tagliare anche il seno perchè era un simbolo materno. Con il taglio e il successivo invio il Mostro rispondeva.
      Che Lotti fosse stato capace di un gesto simile non lo vedo affatto impossibile. D'altra parte la mancanza di un messaggio scritto e gli errori e la sciatteria dell'indirizzo lasciano intravedere un personaggio ignorante al massimo grado, come lui era.
      Invece, per il rivendicare i propri delitti ho già espresso il mio parere: da una parte aveva paura del carcere senza appello che gli sarebbe toccato e dall'altra non aveva il coraggio di esporsi in modo così clamoroso.

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    4. Lagazzi e Fornari, nelle loro consulenze su Pucci e Lotti, hanno fatto più danni della grandine.
      E' di solare evidenza che una persona "astuta" (nel senso che conosce la vita, che sa viverla concretamente, indipendentemente dall'intelligenza astratta o dal grado di istruzione) non avrebbe fatto la vita di Lotti e non avrebbe finito la vita come fece Lotti. Purtroppo molto spesso i consulenti dicono quello che i loro committenti desiderano sentirsi dire.

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    5. Naturalmente non sono d'accordo. Primo perchè sentire Lotti che fronteggia Filastò porta a condividere il giudizio di Fornari e Lagazzi. Secondo poichè il grado di intelligenza non è certo l'unica qualità che serve per costruirsi una vita dignitosa. Ci sono tratti della personalità che prescindono dall'intelligenza, e a mio parere possono concorrere molto più di essa nel vivere bene. E terzo, perchè la perizia Fornari-Lagazzi, in mano ad avvocati meno mostrologi e più concreti, avrebbe potuto contribuire, e molto, a lasciare Canessa con il cerino acceso in mano.
      Riporto questa frase significativa:

      Non ci siamo quindi trovati davanti ad un soggetto dipendente, passivo facilmente spaventabile o suggestionabile, che nel caso avrebbe immediatamente adottato un atteggiamento di altrettanta dipendenza verso gli inquirenti ed i consulenti, ma, al contrario, abbiamo incontrato un uomo determinato, sfuggente o francamente sleale quando gli era utile, del tutto privo di empatia e di rincrescimento, ed attentamente impegnato nella gestione di una sua «strategia» difensiva.

      Non era certo a favore di un Lotti "pentito" questo giudizio, ma semmai di un Lotti che aveva qualcosa da nascondere.
      "Le avrà fatte lui quelle cose", disse il povero Vanni, e aveva ragione.

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    6. No! Non mi bevo la figura dell edete che insegue gli ufo.
      Però ci sono due dilemmi che mi portano ad escludere lotti come mdf
      1 non credo ad un passaggio volontario o a un casuale ritrovamento della pistola da parte di lotti dopo il delitto del 68
      2 il delitto dell 85 (per me commesso il venerdi sera) comporta alcune varianti al modus operandi significative, che non avrebbero senso affibiate a lotti, dal quale sorgono una serie numerosa di domande alcuna delle quali senza risposta!

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    7. Però credi a un innocente, che non ritieni un ebete, che si sarebbe fatto condannare a 26 anni di carcere non si sa bene perché, un caso davvero unico.

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    8. Adesso si parla di caso riaperto, di nuovi indagati, di piste differenti ecc.ecc.
      Ma il fatto che una persona si sia, in un certo qual modo, dichiarata colpevole come viene interpretato?
      Ho visto un servizio in cui si parlava dell'ultimo omicidi, quello del 1985, e sembrerebbe che da una analisi fatta da degli entomologi forensi si possa con certezza far risalire il delitto a sabato o addirittura a venerdì.
      Il Lotti però a processo disse che l'omicidio fu commesso la domenica così da incastrare il Pacciani.
      Ora pero' che si sa con certezza che Lotti menti'bisognerebbe riflettere sul motivo della sua menzogna.
      Risulta abbastanza strano che abbia mentito così per gioco tanto per beccarsi "solo" ventisei anni di carcere.

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    9. Mentì semplicemente perchè era il modo migliore per tirarsi fuori dal problema della sua auto vista sotto Scopeti alla domenica. Gli inquirenti credevano che quello fosse stato il giorno del delitto e lui si adeguò.

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    10. E quale era il senso del suo passaggio a scopeti la domenica sera??.... se come molti sospettavano e alcuni entomologi confermano, l omicidio sarebbe avvenuto il sabato o addirittura il venerdì sera?

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    11. Voleva far vedere i cadaveri a Pucci. Era la sua ultima occasione per dimostrargli che le mezze confidenze che gli aveva fatto da anni erano vere.

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    12. Anche il pomeriggio si erano fermati agli Scopeti. Perché tornare la sera? Se Lotti aveva confidato a Pucci la verità, ed era riuscito evidentemente a garantirsene la complicità per tanti anni, come è possibile che in un periodo così lungo non fossero riusciti ad accordarsi per una versione di comodo da offrire eventualmente agli inquirenti?
      Non so se lei ha potuto consultare altro materiale oltre ai verbali che ha messo a disposizione dei suoi lettori, ma le confesso che io ci ho capito poco. Sono convinto che Lotti non fosse un idiota e che avesse la coscienza sporca, ma sul rapporto con i compagni di merende e i motivi di contrasto con questi possiamo azzardare solo ipotesi.

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    13. Il pomeriggio Lotti sperava di assistere al ritrovamento dei cadaveri che non ci fu. I due non salirono fino alla tenda, ma rimasero accanto all'auto. A metà pomeriggio Pucci, che non era tranquillo, volle essere accompagnato a casa.
      Poi tornarono entrambi alla sera, poichè Lotti a quel punto voleva almeno far vedere i cadaveri a Pucci. Fu quella l'occasione in cui Lotti fece il taglio nella tenda, il cui rumore era rimasto così bene in mente a Pucci. Perchè? Chi lo sa che cosa aveva in mente? Forse voleva accelerare la scoperta dei cadaveri.
      Riguardo la versione da fornire agli inquirenti quale motivo avevano di prepararla subito? Nessuno era andato a cercarli. In ogni caso la versione di comodo la misero insieme alla grossa dopo che Lotti, il 23 dicembre 1995, seppe dalla Ghiribelli che aveva visto la sua auto la sera e lo aveva detto agli inquirenti.
      Con Vanni e Pacciani, soprattutto con il primo, Lotti andava a mangiare e bere, e se motivi di contrasto c'erano, non credo proprio che potessero aver influenzato le sue accuse. Le accuse a loro due nacquero dal fatto che gli inquirenti avevano individuato proprio loro, e nel primo interrogatorio di Pucci i due energumeni, che negli accordi erano due sconosciuti, divennero Vanni e Pacciani.
      Tutto quello che ho scritto sopra non è una mia fantasia nuda e cruda, ma una ricostruzione che ho ottenuto incrociando tutti i dati disponibili sui verbali, naturalmente con una chiave di lettura adeguata, quella di Lotti assassino che cercava di salvarsi alla meno peggio, con Pucci a tenergli bordone altrimenti ci andava di mezzo pure lui.

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    14. Non avevano motivo di prepararla subito, ma l'impressione è che fossero impreparati, e che l'avessero messa insieme davvero alla grossa. Il tempo per architettare qualcosa di meglio non gli era mancato. Tra l'altro non sempre Lotti si adegua alla versione di Pucci, a volte avviene il contrario o si contraddicono proprio.
      Nel primo interrogatorio di Pucci, almeno nel verbale di interrogatorio che ho letto, non vengono fuori i nomi di Vanni e Pacciani. Evidentemente lei lo ha saputo da altra fonte.
      Fornari e Lagazzi nei colloqui con Lotti avevano rilevato una forte irritazione nei confronti di Pacciani: l'unica reazione emotiva di Lotti in un quadro generale di "affettività piattissima". Io credo che una ragione di contrasto ci fosse.
      Per me sui rapporti tra questi personaggi sappiamo poco. E nessuno conosce il contenuto della lettera che Pacciani dal carcere inviò a Vanni, che non credo fosse un ricordo delle antiche bevute...



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    15. Qualcosa di meglio con un personaggio come Pucci? Non credo fosse possibile. Che nel primo interrogatorio di Pucci venne già fatto almeno il nome di Pacciani lo si desume dalla deposizione del fratello:

      Io non sapevo perché lo avevano chiamato. […] Quando lo ripresi in macchina, gli dissi: «Ma icché t'hai fatto? Che c'è qualcosa di male?». «Mah, io passai così dagli Scopeti, mi fermai per fare un bisogno con Giancarlo e ho visto, ho sentito delle voci, poi degli spari, poi sono andato via. Ma la voce la mi sembrava quella del Pacciani»

      Ma quel nome non credo proprio che lo avesse fatto Pucci di sua iniziativa. Lo si desume dal successivo interrogatorio di Lotti, dal cui gioco di rimessa si può comprendere qual'era stato l'accordo. Lotti raccontò dei due energumeni, ma non volle assolutamente fare nomi, fino addirittura a chiederli lui a Vigna: "Che nomi le ha fatto Fernando?". Vigna non glieli disse, ma poi fece entrare Pucci e li fece dire a lui. A quel punto Lotti si accodò.
      Cosa vuole che ci sia stato scritto nella lettera... Vanni poveretto era stato preso di mira fin da subito, aveva addirittura dovuto farsi assistere da un legale talmente oppressivi erano gli inquirenti con lui. Qualcosa di Pacciani avrà detto, tipo del fucile, quindi Pacciani gli scrisse per dire che non parlasse troppo. Mi pare la spiegazione più ovvia e semplice.

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    16. Per una scemenza come la storia del fucile Vanni era tanto spaventato in dibattimento? Può darsi, io non ci giurerei.
      Lotti, interrogato prima del confronto con Pucci, ancora cercava di negare la sua presenza agli Scopeti la domenica in cui l'auto fu vista dalla Ghiribelli: questo fatto mi pare in contraddizione con una versione concordata tra Lotti e Pucci. La storia degli energumeni non furono certo gli inquirenti a suggerirla a Pucci: il quale non aveva nessuna necessità di tirarla fuori per giustificare la sua presenza agli Scopeti la sera della domenica (la Ghiribelli aveva visto solo l'auto di Lotti). Non avrebbe potuto dire semplicemente che si erano fermati per pisciare o magari incuriositi dalla presenza della tenda nella piazzola e nulla avevano visto?

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    17. Vanni era intimidito da anni da quattro anni di interrogatori.

      Faccia un'analisi dell'interrogatorio, di cui il verbale riassuntivo riporta le frasi cruciali. Lotti all'inizio non sapeva se Pucci aveva o no detto quello che doveva dire, quindi cercò di giocare il più possibile di rimessa.

      Le ho già scritto che gli energumeni li avevano decisi Lotti e Pucci, ma che erano Vanni e Pacciani secondo me no. Pucci probabilmente prese la palla al balzo da qualche suggerimento di Giuttari. Basta leggere la sua deposizione per capire il suo suo modo di fare.

      E lei crede che Lotti fosse così stupido da non capire che gli inquirenti non si sarebbero accontentati? Lui aveva paura che fosse torchiato Pucci, che sapeva troppo, quindi qualcosa doveva dare.

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    18. Per avere la certezza che la versione fu concordata dovremmo capire se Lotti e Pucci ebbero modo di incontrarsi negli ultimi giorni del 95 all'insaputa della polizia. I rapporti tra i due erano interrotti da un pezzo anche se non per il motivo che addussero loro.
      Inoltre, non comprendo per quale motivo Pucci non ammise subito di aver visto Pacciani e Vanni. Forse semplicemente perché non gli fu suggerito. In altre parole la domanda è: cosa cambia tra il 2 gennaio e il 23 gennaio? Il 23 gennaio erano presenti i PM, mentre il 2 solo ufficiali di PG. Mi sembra che Giuttari accenni nel suo libro di non aver voluto fare lui il nome di Pacciani (pag. 128; anche se di Pacciani il 2 si parlò, ma non con riferimento a Scopeti).

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    19. Comunque,ancora non mi capacito del perché secondo te lotti sia passato la domenica pomeriggio e poi la sera. Fino a quel momento se lui era il killer, aveva agito perfettamente senza commetere grossi errori!!poi ad un tratto ne commette due nello stesso giorno? Solo per dimostrare ad un amico che lui ne sapeva di quella storia? Mha...

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    20. Lo penso anch'io, ma è solo una deduzione; bisognerebbe esserci stati per saperlo :-)
      A questo punto, l'unico punto che mi manca per completare la mia ricostruzione della vicenda Cdm (che come sai è opposta alla tua) è questo: se in qualche modo i due compari avevano potuto mettersi d'accordo e quando; perché al confronto dell'11 febbraio Lotti sembra del tutto inconsapevole e si adegua semplicemente a Pucci (incredibile: adeguarsi a Pucci).

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    21. In teoria potrebbe anche esserci una semplice svista nei verbali: in quello relativo all'interrogatorio del 27 dicembre si riporta l'episodio dell'auto visto dalla Ghiribelli, che l'avrebbe riferito spontaneamente. Ma in effetti se Venturini e Lamperi erano presenti anche il 21, Giuttari pare ci fosse solo il 27.
      Avevo capito bene quello che lei intendeva: Pucci e Lotti si sarebbero accordati sulla storia dei due energumeni, ma non sui nomi di Pacciani e Vanni. Io però non capisco per quale motivo avrebbero deciso di riferire questo episodio, mettendo inevitabilmente una pulce nelle orecchie degli inquirenti. Se Lotti aveva potuto contare per ben dieci anni sul silenzio di Pucci, mi sembra strano che siano finiti così facilmente nelle grinfie di Vigna e Giuttari. Il fatto che la 128 di Lotti fosse stata vista agli Scopeti non significava nulla: potevano anche essere capitati lì per caso. E invece Pucci riferisce della minaccia subita da due uomini sconosciuti, e la frittata è fatta.

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    22. Lei chiama una semplice svista nei verbali essersi dimenticati di riportare l'episodio che avrebbe dato il via a tutta l'inchiesta? Il mio sospetto è che dietro ci sia il semplice desiderio di Giuttari di essere lui quello che per primo raccolse la testimonianza, e che quindi avesse messo agli atti una versione tarpata del verbale vero, quello letto alla Ghiribelli a febbraio. In sostanza, di per sè questa storia potrebbe essere soltanto un peccato a suo modo veniale di chi aveva troppe smanie di protagonismo, ma certo fa sospettare che altri e ben più gravi taroccamenti siano accaduti.

      Attenzione, è sempre pericoloso identificare quello che avrei fatto io se fossi stato loro come la scelta più logica. Se nel corso degli anni Lotti aveva fatto delle confidenze a Pucci, in sostanza dei vanti detti e non detti (un modo per rivendicare imprese non apertamente rivendicabili), è chiaro che aveva paura di un suo cedimento sotto interrogatorio. Ecco quindi la ricerca di una ragione plausibile per la loro fermata e nello stesso tempo indirizzare le indagini su due sconosciuti. Perchè due e non uno? Chi lo sa, forse Pacciani e Vanni erano già nella mente di Lotti, anche se non c'era l'accordo di farne direttamente i nomi.

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    23. X Omar Quatar
      Studiati bene la sequenza di risposte di Lotti dell'11 febbraio. Lotti giocò di rimessa, dicendo il meno possibile, e cercando di evitare gli strafalcioni di Pucci, tipo quello di Pacciani che avrebbe inseguito il ragazzo sparando. Al momento disse di non aver visto, ma pochi giorni dopo racconto benissimo il suo accoltellamento, coincidente con quanto ricostruibile dalle ferite almeno nella prima parte.

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    24. X Lovecchio
      Credo siano tanti i serial killer che si sono fatti prendere per un errore. Secondo me Lotti si sentiva abbastanza tranquillo da esporsi perchè sapeva che non avrebbe ucciso più. Quindi poteva passare per un semplice visitatore della piazzola come ce n'erano tanti. Le sue sfortune furono due: la collocazione del delitto alla domenica sera, e l'indirizzamento delle indagini su Pacciani, del quale a un certo punto si cominciarono a cercare i complici.

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    25. Non lo metto in dubbio che prima o poi un errore viene commesso!!
      Però il fatto che qualcuno segnalò la sua auto la domenica sera.non lo rendeva automaticamente il killer, bastava non parlare come fece all epoca spalletti.

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    26. Mi pare di aver più volte fatto osservare che il punto debole di Lotti era Pucci. Lotti ce l'avrebbe sicuramente fatta a stare zitto, ma non Pucci. Per questo assieme a lui preparò una versione che giustificava la loro sosta e nello stesso tempo cercava di orientare i sospetti verso due persone diverse da loro.

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    27. In realtà Lotti interrogato subito dopo il confronto confermava in parte il racconto di Pucci: "Ricevuta lettura del passo in cui il Pucci racconta di aver visto un uomo uscire dalla tenda e scappare verso il bosco e il Pacciani sparare contro di lui inseguendolo dice: io non ho visto cosa è avvenuto dopo che il giovane è andato verso il bosco. Non so cosa è avvenuto nel bosco. Io l'ho visto soltanto uscire dalla tenda ed ho visto il Pacciani sparargli contro". Certo non diceva che Pacciani aveva continuato a sparare mentre lo inseguiva. Questo mi fa pensare che Lotti fosse presente quando avvenne il duplice omicidio, Pucci no.
      Fino a un certo punto le devo dire che il comportamento degli inquirenti mi pare lineare: dopo aver ascoltato il 15 dicembre Lotti parlano con tutti gli altri, lo interrogano di nuovo solo l'11 febbraio dopo che hanno sentito Pucci in tre occasioni, non fanno a Lotti i nomi dei due energumeni ma lo mettono a confronto con Pucci. Dopo il confronto anche io ci vedo poco chiaro.

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    28. I nomi di Vanni e Pacciani è Pucci che li fa a Lotti durante il confronto. Dopo che i due avevano parlato di varie cose, facendo i finti tonti, Vigna perse la pazienza e chiese a Pucci: “E chi eran questi due?”; lui rispose: “A me mi sembrava uno il Pacciani e uno il… come si chiama? il Vanni”. Al che Lotti, non potendo rimangiarsi subito la precedente dichiarazione che non li aveva riconosciuti, si dichiarò incerto: : “Io… io un l'ho visti per bene. […] E io un son sicuro. Se devo dire una cosa e poi la unn'è. […] E io un posso proprio… se son loro. Ma e… se un son sicuro…”.

      Mi domando comse si faccia a fare una lettura del confronto immaginando che i due fossero stati del tutto estranei alla vicenda. Si sarebbero prestati a recitare una commedia a due mai vista prima, due tontoloni che si divertivano a cacciarsi nei guai dal nulla...
      Tra l'altro nel precedente interrogatorio, prima che entrasse Pucci, di propria iniziativa Lotti aveva detto: “Anche la sera del sabato ero passato da via degli Scopeti, ma da solo”, e poi ancora: “La sera prima dell'omicidio sono passato agli Scopeti da me, il giorno del fatto ero con il Pucci”. Se la prima fase poteva anche far pensare a un passaggio in auto, la seconda invece fa pensare a una vera e propria sosta, come la domenica con Pucci, viene infatti specificato. Allora, perché Lotti avrebbe preso questa iniziativa? Evidentemente era stato sulla piazzola anche il sabato sera, e aveva messo le mani avanti temendo di essere stato visto.
      Mi piacerebbe sentire l'amico Omar Quatar come inquadra quest'uscita di Lotti.

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    29. probabilmente intendeva far capire che dagli Scopeti ci passava spesso, quindi che la sua macchina fosse stata vista, non c'era nulla di strano. Però a quel punto dell'interrogatorio, dopo che ha già ammesso di aver visto i due ecc., l'inserto ha poco senso. Se invece Lotti era l'assassino e sapeva che l'omicidio era avvenuto di sabato, ammettere spontaneamente di essere passato di là da solo non mi pare un colpo di genio.
      vorrei però tornare su un altro argomento. Lotti e Pucci danno inizialmente una versione concordante (si sono fermati, sono stati minacciati, sono scappati) ma falsa, secondo le loro stesse dichiarazioni successive. Però una versione concordante e falsa deve per forza essere stata concordata, visto che due individui non possono immaginarsi la stessa e medesima scena, mentre se l'avessero vissuta la racconterebbero subito per come effettivamente è avvenuta (c' è un'altra possibilità che però non voglio neppure considerare). A questo punto, però, se la storia è concordata solo per togliersi d'impaccio dal fatto che la sua auto era stata vista sul luogo (come ha notato il lettore Kozincev avveine il contrario e la storia anziché toglierlo d'impaccio lo inguaia definitivamente) mi sento libero di non crederci per niente, ossia la vedo una fantasia che man mano si arricchisce di particolari che servono a conferma.
      Per me sarebbe fondamentale capire se Lotti e Pucci ebbero la possibilità di parlarsi tra il 15 dicembre e il 2 gennaio. Né loro (il che può essere naturale) né parenti o conoscenti ne accennano.

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    30. In tutto quante volte sarebbe passato dal luogo del delitto prima della domenica ?

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    31. Mi pare pacifico che il delitto avvenne di venerdì. Quindi Lotti venerdì c'era. C'era anche il sabato, lo disse lui a Vigna, e non si vede perchè avrebbe dovuto mentire. Evidentemente era andato a rivedere la scena del crimine, per suo gusto personale. Il fatto che i due fossero stati uccisi la sera prima lo faceva sentire ragionevolmente tranquillo di non essere incolpato di nulla.

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    32. Quindi, venerdi per l omicidio e su questo ci sono pochi dubbi, visto che i francesi sono stati visti il venerdi al tardo pomeriggio l ultima volta e visto che l autopsia evidenziava resti di cibo parzialmente digerito.
      Ora come può il killer ritornare per ben tre volte sul luogo del delitto? be questo è un mistero.. visto che è pure pacifico che i corpi sono stati volutamente occultati per ritardarne la scoperta ... e lotti killer prima li occulta e poi ritorna per due giorni consecutivi nella speranza del rinvenimento? Non ti sembra una contraddizione che stride con la tua ipotesi?

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    33. Gli indizi vanno presi per quelli che sono, se Lotti dice di essere passato sabato dalla piazzola avrà avuto i suoi motivi, tu non lo avresti fatto, per questo dovrebbe stridere?
      Credo che di questo passo non andremo da nessuna parte, quindi mi fermerei.

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    35. Che il fratello di Pucci possa aver fatto confusione non lo ritengo possibile. Il secondo interrogatorio avvenne a distanza di tre settimane dal primo, quando in casa Pucci l'argomento sarà stato trattato e ritrattato più volte, compresa la presenza di Pacciani, quindi è difficile che Valdemaro Pucci avesse confuso così clamorosamente il momento in cui lo venne a sapere.
      Che Pucci potesse aver detto al fratello quello che non aveva detto a Giuttari lo ritengo parimenti poco ragionevole. Sappiamo bene quali erano i metodi di Giuttari, che Pucci gli avesse potuto nascondere qualcosa in un interrogatorio durato tre ore e mezza non è da prendere in considerazione.
      Tutto invece porta a pensare che le rivelazioni di Pucci fossero state opportunamente pilotate per incastrarsi nel modo giusto nel piano della Procura per fronteggiare l'annunciata assoluzione di Pacciani.
      Infine che Lotti e Pucci avessero visto qualche strano personaggio nei pressi della tenda, ma non certo gli assassini visto che i due francesi erano morti da un paio di giorni, in teoria potrebbe anche essere possibile, ma in pratica non spiega nulla.

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    36. Non si può del tutto escludere che Valdemaro P. si riferisse a un altro interrogatorio; quello che è certo, perché risulta a verbale, è che il 2 gennaio si parlò ampiamente di Pacciani e Vanni, anche se non in diretto riferimento ai due individui presenti a Scopeti; quindi i due nomi nel successivo interrogatorio non caddero dal cielo.
      Questo per voler essere più realisti del re...
      Un particolare in genere poco considerato è che Pucci già in questa occasione non la racconta giusta sulla rottura dell'amicizia con Giancarlo, come se fosse già per qualche motivo sulla difensiva.

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    38. Nella mia ricostruzione Lotti e Pucci, dopo il primo interrogatorio di Pucci, non si videro più, quindi Lotti non poteva essere sicuro di quello che aveva raccontato Pucci. E infatti davanti a Vigna giocò tutto di rimessa. Ma prima si erano incontrati eccome, basta la storia della comune scusa di fare pipì a dimostrarlo, ma non è la sola.

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    39. Il fatto che Pucci fosse sulla difensiva a proposito della sua rottura con Lotti potrebbe accordarsi con l'ipotesi che fosse complice di Lotti o destinatario del terribile segreto. Se è possibile che Lotti e Pucci inizialmente non intendessero fare i nomi di Pacciani e Vanni, la descrizione che Pucci fornisce di uno dei dei energumeni si attaglia però perfettamente alle caratteristiche fisiche di Pacciani.
      Io ritengo che l'ipotesi di Segnini reggerebbe perfettamente se il delitto fosse avvenuto la domenica: la scusa concordata sulla sosta per fare pipì; Lotti che, interrogato sulle auto da lui possedute, dimentica di citare proprio la 128; la conversazione tra la Nicoletti e la Ghiribelli in cui si mostravano stupite del fatto che Lotti non avesse fatto il nome di Fernando: molti elementi potrebbero far pensare che i due avessero qualcosa di grave da nascondere.
      Il problema è che la domenica sera i due francesi erano morti da un pezzo, e questo complica tutto.

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    41. Non ho trovato dove Vanni avrebbe detto a Pucci questa cosa.
      Il fatto che i francesi fossero stati già uccisi non cambia nulla sulle implicazioni del girovagare di Lotti e Pucci attorno alla piazzola alla domenica. Anzi, ne costituisce l'ideale giustificazione. Lotti voleva assistere alla scoperta dei cadaveri, e con quella gongolare per la sorpresa di Pucci. La sera ripiegò sul fargli vedere i cadaveri, e quella fu l'occasione in cui tagliò la tenda. Tutto secondo la mia ricostruzione personale, naturalmente.

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    42. Interrogatorio del 23 gennaio:
      Invitato a dire se egli abbia capito che il delitto era già stato commesso, risponde:
      Il VANNI disse che li avevano già ammazzati.
      Chiestogli dove e in che circostanza, gli è stato detto ciò risponde:
      Il VANNI me lo ha detto al bar di San Casciano qualche giorno dopo e ciò in presenza anche del
      LOTTI.
      A richiesta di precisazione dice:
      Il VANNI non disse che erano stati loro ad uccidere, ma disse semplicemente, che i due della coppia
      erano stati uccisi.
      Mi sembra di poter interpretare, ammettendo che questo incontro al bar ci sia effettivamente stato, che il Vanni abbia semplicemente confermato che nei giorni precedenti era avvenuto un duplice omicidio.

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    43. Credo che Marletti si riferisca all'interrogatorio del 23 gennaio, non a quello del 2.
      "Invitato a dire se egli abbia capito che il delitto era già stato commesso, risponde: il Vanni disse che li avevano già ammazzati.
      Chiestogli dove e in che circostanza, gli è stato detto ciò che risponde: il Vanni me lo ha detto al bar di San Casciano qualche giorno dopo e ciò in presenza anche del Lotti.
      A richiesta di precisazione dice: il Vanni non disse che erano stati loro ad uccidere, ma disse semplicemente, che i due della coppia erano stati uccisi".
      Erano già stati uccisi quando: pochi minuti prima che si fermassero Lotti e Pucci o molto tempo prima (anche un paio di giorni)? Sembrerebbe logico il primo scenario, avendo Pucci già raccontato delle minacce subite e di aver riconosciuto in uno dei due energumeni proprio Vanni.
      Il taglio della tenda, senza lavorare di fantasia (ma forse è necessario), ben si accorderebbe con il tentativo di introdursi nella tenda. Oppure con l'intenzione di distrarre gli occupanti facilitando l'agguato con la pistola dell' (altro) assassino.
      In dibattimento Pucci, tra reticenza e smemoratezza, insiste ossessivamente su tre circostanze: il rumore prodotto dal taglio effettuato sulla tenda, le minacce subite e lo spavento che ne conseguì. L'unica accertata è ovviamente la prima (il telo esterno risultò in effetti percorso da un taglio verticale), le altre potrebbero anche essere inventate.

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    44. l'avevo scritto ma di nuovo il messaggio non è comparso. E' l'interrogatorio del 23 gennaio
      A nuove richieste di riferire tutto ciò che sa e tutto ciò che vide quella sera, il PUCCI risponde:
      Uno aveva il coltello e l'altro aveva la pistola. Quello che aveva il coltello era il VANNI e io non ho
      riconosciuto l'altro.
      Invitato a dire se egli abbia capito che il delitto era già stato commesso, risponde:
      Il VANNI disse che li avevano già ammazzati.
      Chiestogli dove e in che circostanza, gli è stato detto ciò risponde:
      Il VANNI me lo ha detto al bar di San Casciano qualche giorno dopo e ciò in presenza anche del
      LOTTI.
      A richiesta di precisazione dice:
      Il VANNI non disse che erano stati loro ad uccidere, ma disse semplicemente, che i due della coppia
      erano stati uccisi.
      Chiesto ancora al PUCCI se sia sicuro di aver visto il VANNI con un coltello in mano risponde:

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    45. Gli interrogatori di Pucci sono tutti gravemente inquinati, ritrovare i particolari di quello che disse lui di propria iniziativa è impresa improba. Io penso che chi gli mise molte parole in bocca fosse anche piuttosto acerbo su certi elementi, di qui alcune inverosimiglianze che poi Lotti avrebbe fatto sue (poichè gli furono lette).

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  13. Lotti, per sua stessa ammissione, è uno che nn ha mai avuto nulla, faticava a sopravvivere, come da lui stesso dichiarato!! Un emarginato, che secondo me ha avuto solo la furbizia di credere che collaborando con la polizia, il suo stile di vita da pentito lo avrebbe messo a riparo dalla vita stessa!!
    Non dimentichiamoci, che per mesi ha usufruito del programma di protezione dei testimoni, dove ti danno di tutto e di più!

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    1. Insomma, barattò un quasi ergastolo per qualche anno di vacanze pagate in quel della Questura di Arezzo... Se ti pare logico...

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  14. Mettiamo da parte lotti per un momemto.
    Tu nn dai alcuna spiegazione particolare al fatto che escludendo signa 4 omicidi su 7 sono avvenuti a due passi da caselli autostradalali?

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    1. Di caselli autostradali ce ne sono molti nella zona, quindi non mi porrei alcun problema. Ti che conseguenze ne trai?

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  15. Che presumibilmente l'assassino utilizzava l'autostrada per raggiungere o per abbandonare i luoghi dei delitti!

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  16. Quindi in teoria, l'assassino potrebbe non essere un residente stabile nella provincia, oppure non conoscere cosi tanto bene la zona da dover avere il supporto di una via di fuga per lui sicura.

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    1. Può darsi di sì e può darsi di no, non mi sentirei di concludere alcunché con tali elementi.

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    2. Il paletto di cemento non dovrebbe essere stato rotto dai vigili del fuoco.
      Capitava abbastanza frequentemente anche nei vigneti (dove oggi non si usano più) che a causa di urti di trattori od altro venissero fessurati, ma continuavano a rendere il loro servizio restando allineati grazie ai quatto tondini di ferro che si trovavano all’intero. Difficilmente venivano sostituiti, almeno fin quando i due monconi non perdevano una certa quantità di cemento sul punto di rottura ed il paletto cominciava a piegarsi. I due monconi restavano comunque attaccati e per separarli necessitava tagliare i quatto tondini di ferro, dei quali restavano gli spuntoni.
      Osservando la foto si nota infatti che i monconi non possono combaciare, segno di una rottura non recente, e non vi è segno dei quattro tondini.
      C’è da pensare che i vigili del fuoco, a fronte di una rottura, non si fossero dato troppa premura di separare i due monconi che, ripeto, avrebbero dovuto essere pressoché combacianti. Avrebbero anzi cercato di preservare il più possibile il paletto, benché fessurato.
      Il primo foro dell’unico paletto rotto sarebbe stato un punto inconfondibile per inserire la pallottola, ben più di un qualsiasi angolo delle abitazioni, come ipotizzato dal giudice Ognibene.
      Saluti, Cesare

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    3. Effettivamente il tuo ragionamento fila. Il paletto doveva già essere diviso in due pezzi, quando Pacciani lo aveva adagiato a terra. E le quattro anime ferrose già spuntate. Se la provenienza era di seconda mano, come si può ragionevolmente ritenere, o chi glielo aveva venduto o Pacciani stesso avevano tagliato via gli spuntoni.
      Rimangono comunque validi tutti i ragionamenti probabilistici, sul fatto che la cartuccia si sarebbe infilata proprio nel buco del mezzo paletto che poi i vigili avrebbero utilizzato.

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