giovedì 15 giugno 2017

La dinamica di Giogoli

NB: Si avverte che in alcune sue parti l'articolo risulta superato dai corrispondenti video.
Giogoli Parte 1: Due uomini e un assassino
Giogoli Parte 2: La dinamica del delitto
Giogoli Parte 3: Quanto era alto l'assassino?

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Il duplice omicidio del 1982 era avvenuto all’inizio dell’estate e con evidente improvvisazione, come se il Mostro avesse avuto fretta di uccidere, forse per lasciarsi il tempo di colpire ancora una volta dopo qualche mese, come aveva fatto l’anno prima. Il risultato però non era certo stato ottimale, anzi, l'individuo aveva corso grossi rischi, senza perlatro portare a termine l’azione per come avrebbe voluto. Nei mesi successivi potremmo pensare che si fosse preso una specie di pausa di riflessione, iniziando dalla rinuncia al secondo omicidio, se mai lo aveva preventivato. La sua prudenza continuò anche nell’estate del 1983, quando del resto, causa le sue stesse imprese, neppure le potenziali vittime si lasciavano andare facilmente a comportamenti pericolosi. Per questi e forse per altri motivi che non conosceremo mai arrivò a settembre senza che avesse ancora trovato l’occasione giusta. Fino a quando non incontrò, molto probabilmente quasi per caso, un furgone con targa straniera.
Uwe Rush e Horst Meyer erano due amici tedeschi di 24 anni che stavano trascorrendo una vacanza avventurosa a bordo di un classico furgoncino Volkswagen Transporter, un mezzo che in quegli anni molti ragazzi attrezzavano a camper, e nel quale anche loro passavano la notte. Secondo una testimone abitante in zona (vedi, ma un documento emerso dopo la stesura di questo articolo la smentirebbe, vedi addendum finale), da una settimana circa avevano scelto di parcheggiare per la notte dentro uno spiazzo erboso situato a fianco della via di Giogoli, una stretta strada asfaltata che portava dalla provinciale Volterrana fino a Scandicci, mentre durante il giorno se ne andavano in giro.
Anche Rolf Reinecke era un cittadino tedesco. Abitava nel residence “Villa La Sfacciata”, il cui ingresso secondario si apriva a meno di un centinaio di metri dal luogo di sosta del furgone. Al mattino di sabato 11 settembre, dopo aver lasciato l'auto in mezzo alla stretta carreggiata, si era avvicinato al furgone (del quale aveva notato la targa tedesca) con l'intento di scambiare due parole con gli occupanti. Ma un'altra auto che non poteva passare lo aveva costretto a tornare sui suoi passi e a desistere. Aveva ripetuto il suo tentativo nel tardo pomeriggio, attorno alle 19.30, scoprendo i fori di proiettile sui vetri e i ragazzi morti all’interno. Probabilmente ingannato dai lunghi capelli biondi di Uwe – ma per molti la sua scelta sarebbe stata consapevole – per la prima e unica volta il Mostro di Firenze aveva ucciso due maschi, nella buia notte di novilunio del giorno precedente, venerdì 9 settembre 1983.
L’intervento delle forze dell’ordine fu molto disordinato, con le gazzelle dei Carabinieri parcheggiate accanto al furgone e un esercito di uomini intento a calpestare il manto erboso prima dell’inizio dei rilievi. A loro volta questi furono molto approssimativi, e al solito condotti senza il minimo coordinamento sia dai Carabinieri sia dalla Polizia Scientifica, quasi che l’intento fosse più quello di esserci che di scoprire elementi utili. La confusione dei risultati sarebbe emersa in tutta la sua imbarazzante enormità durante il processo Pacciani, quando il presidente Ognibene si lamentò più volte ascoltando i racconti del personale intervenuto. È celebre la sua sarcastica battuta di fronte a una foto della scena del crimine affollata di agenti, durante la deposizione del sottufficiale dei Carabinieri che aveva condotto i rilievi: “Maresciallo, mancavano i brigidini e poi era la fiera all'Impruneta”. Al momento di redigere la sentenza il giudice non se ne dimenticò, inserendo queste amare osservazioni:

Lo scarsissimo coordinamento tra gli inquirenti, quando non anche l'agire slegato o, peggio, dissociato ed in contrasto tra loro, l'assoluta mancanza di un programma di intervento sui luoghi dei delitti, con la inevitabile invasione degli stessi da parte di sempre più numerose schiere di intrusi (sfaccendati, curiosi, cercatori di souvenir etc.) e la conseguente dispersione di eventuali prove, per non dire poi anche dei gravi errori, non solo di valutazione, commessi, trovano nella incredibile confusione presente sul luogo dove da poco erano stati rinvenuti uccisi i due ragazzi tedeschi, il punto della loro massima espressione.


Quasi sicuramente, anche se notizie al riguardo non sono note a chi scrive, la valigia e gli altri oggetti che nella foto sopra si vedono a terra furono tirati fuori dalle forze dell’ordine senza troppa cura.

La scena del crimine. Il furgone era stato parcheggiato nello spiazzo entrando di muso, quindi perpendicolarmente alla via di Giogoli, la coda distante sette metri circa dal ciglio della strada. Attorno viti, ulivi e sul fianco sinistro un basso muretto ricoperto da una siepe. I ragazzi avevano modificato il vano di carico fissandovi nella parte posteriore rialzata una pedana che sosteneva un materasso, e su questo sistemavano il necessario per dormire.


L’accesso era possibile attraverso una portiera sul lato destro, a due ante, davanti alla quale si apriva un piccolo spazio con a sinistra i giacigli e a destra un ripiano su cui erano sistemati i bagagli (non è ben chiaro se fosse stato presente anche un portellone posteriore). La cabina di guida e il vano di carico avevano come unico parziale elemento divisorio la spalliera del doppio sedile. Su ogni lato si aprivano quattro finestrini, uno grande sulla portiera anteriore, e tre più piccoli in corrispondenza del vano di carico, i primi due fissi e trasparenti, l’ultimo, vicino alla coda, leggermente basculante e quasi del tutto opacizzato, a parte una piccola striscia sul lato superiore. Il materasso si trovava sotto gli ultimi due.
Gli sportelli del vano guida e l'eventuale portellone posteriore furono trovati chiusi, mentre sull’anta destra della portiera laterale non esistono certezze. Le foto la mostrano aperta, il che però vuol dire poco, vista la confusione dei rilievi. D’altra parte esistono testimonianze contrastanti, come quella di Giovanni Nenci che alla mattina del sabato, verso le 7-7.30, l’aveva vista chiusa, e quella di Reinecke, per il quale sarebbe stata aperta (ma il comportamento di tale personaggio non fu troppo limpido, anche se nulla lo collegava al delitto). In ogni caso il particolare non è di apprezzabile rilevanza.
Sul lato destro si notavano due fori di proiettile, uno sul vetro del penultimo finestrino, che si era fittamente frammentato, uno sull’ultimo, rimasto invece integro. Sul lato sinistro ancora due fori sui finestrini omologhi, con vetri rimasti integri, e un terzo sulla lamiera oltre l’ultimo finestrino.


I cinque colpi che avevano forato vetri e lamiera erano stati tutti sparati dall’esterno verso l’interno, ma dei cinque bossoli corrispondenti ne furono ritrovati soltanto due: uno sul lato sinistro quasi sulla coda a distanza di 110 cm dal mezzo (contrassegno “1” nella prossima foto) e uno sul lato destro verso la cabina di guida, raccolto però quando il furgone era già stato rimosso e del quale non conosciamo in modo preciso la posizione. Altri due bossoli erano dentro il mezzo, uno sul sedile di guida e uno tra coperte e indumenti, a testimoniare l’esplosione di due colpi dall’interno. Pertanto, sommando questi ultimi due ai cinque esplosi dall’esterno, in totale il Mostro sparò almeno – ma quasi certamente anche soltanto – sette colpi.


Sull’erba, in corrispondenza del vertice sinistro del furgone, fu rinvenuta una grossa macchia di sangue, la cui origine era da ricercarsi nel trasudamento, attraverso il pianale, dalle ferite di Uwe, il cui corpo giaceva supino con la testa appoggiata proprio lì sopra. Dalla parte opposta del materasso, verso la cabina di guida, si trovava il corpo di Horst, in posizione bocconi con la testa girata verso destra.


Proiettili e ferite. La perizia balistica Arcese-Iadevito, scaricabile qui, elenca due proiettili completi e un grosso frammento, verosimilmente estratti dal corpo di Horst, due frammenti, uno di dimensioni solo poco minori del precedente e uno molto più piccolo, estratti probabilmente dal corpo di Uwe, infine un proiettile quasi completo ma molto deformato e un piccolo frammento di provenienza incerta, forse rinvenuti a bordo del mezzo. Tutti i proiettili erano del tipo a piombo nudo, come a Scandici, Calenzano e Baccaiano, a parte uno dei due completi estratti dal corpo di Horst che risultò invece del tipo ramato, come quelli di Borgo, dei quali forse la cartuccia era una rimanenza.
Su Horst Meyer furono riscontrate tre ferite d’arma da fuoco.


  • Ferita mortale (1), con proiettile entrato nel fianco destro con direzione dal basso verso l’alto e da destra verso sinistra e finito nel muscolo pettorale sinistro dopo aver attraversato fegato, cuore e polmone sinistro;
  • ferita non mortale (2) al gluteo sinistro, con proiettile diretto verso l’alto arrestatosi nella parete addominale;
  • ferita poco più che superficiale alla nuca (3), con proiettile recuperato tra cute e osso della scatola cranica; la direzione della traiettoria non risulta precisata, quindi la freccia in figura è soltanto indicativa.
Le ferite d’arma da fuoco su Uwe Rusch furono quattro.


  • Ferita di striscio alla coscia sinistra (4);
  • ferita alla mano sinistra (5), con proiettile entrato tra il pollice e l’indice e uscito dalla parte opposta sotto il mignolo, in corrispondenza della cosiddetta “eminenza ipotenar”;
  • ferita alla bocca (6), con proiettile entrato sul labbro superiore sinistro, un frammento del quale si fermò contro l’arcata dentaria retrostante;
  • ferita allo zigomo sinistro (7), unica mortale, con il proiettile che attraversò l’encefalo con direzione da sinistra verso destra e dal basso verso l’alto.
Azzardando una correlazione tra proiettili descritti nella perizia Arcese-Iadevito e ferite, si potrebbe ritenere che i due completi estratti dal corpo di Horst fossero quelli che lo avevano colpito al fianco destro e al gluteo sinistro, mentre il grosso frammento fosse quello che lo aveva colpito alla nuca, a parere di chi scrive di rimbalzo, vedremo il perché. Dei due frammenti associati a Uwe il più grosso, un proiettile quasi completo, potrebbe essere quello entrato nel cranio dallo zigomo sinistro, mentre il più piccolo potrebbe essere derivato dalla frammentazione contro la resistente arcata dentaria del proiettile che lo aveva colpito al labbro.

La dinamica. Rispetto ai casi precedenti, l’azione poneva problemi ben maggiori. Le vittime non si trovavano subito dietro il finestrino di uno stretto abitacolo, e per questa ragione del tutto impossibilitate a sottrarsi alla scarica di pallottole. Il vano di carico del furgone era molto più ampio, con bersagli più lontani e soprattutto potenzialmente mobili. In ogni caso, di fronte a condizioni assai più difficili, il Mostro dimostrò di averne fatta di strada, come sparatore, rispetto alla prova concitata e confusa di nove anni prima a Borgo San Lorenzo, conducendo un attacco tanto audace quanto efficace.
Come ci mostrano le foto, tra il materasso e la parete sinistra del vano di carico restava uno spazio libero nel quale i ragazzi avevano sistemato dei cuscini. Questo perché la loro posizione di riposo era trasversale, un po’ inclinata data la modesta larghezza del vano che non arrivava al metro e settanta, con i piedi vicini e le teste lontane a formare una “V”. L’autoradio fu trovata ancora accesa, quindi almeno uno dei due non dormiva. A questa certezza si aggiunge la probabilità quasi equivalente di una luce interna accesa, anche se i documenti noti non sembrano parlarne. Usando una torcia, infatti, per lo sparatore sarebbe stato quasi impossibile inquadrare adeguatamente i bersagli attraverso i piccoli finestrini laterali.
Considerando gli elementi soprastanti e la posizione dei cadaveri, possiamo presumere che al momento dell’attacco Horst stesse già dormendo o comunque fosse in procinto di addormentarsi, e che Uwe invece stesse leggendo, forse proprio quella rivista che l’assassino avrebbe trasportato all’esterno, lo vedremo. La scena che si presentò al Mostro affacciatosi ai finestrini del lato destro, ricostruita per ragioni pratiche su un normale letto di casa, dovette essere più o meno questa:


Il primo sparo, esploso dal penultimo finestrino, fu quello che colpì Horst al fianco, uccidendolo sul colpo e congelandone il corpo nella posizione in cui si trovava al momento. Il vetro si divise in minutissimi frammenti rimanendo in sede e oscurando del tutto la visuale. In precedenza, in situazioni analoghe, l’assassino aveva continuato a sparare almeno un altro paio di colpi, ma con un bersaglio molto più vicino e molto più facile da colpire a intuito. In questo caso preferì spostarsi a sinistra, sul finestrino accanto, da cui, guardando attraverso la stretta striscia trasparente in alto, sparò ancora contro Horst colpendolo al gluteo sinistro.


Sulla dinamica fin qui illustrata non esistono dubbi, poiché le due ferite al fianco e al gluteo di Horst sono compatibili soltanto con gli unici due colpi sparati dal lato destro, i quali del resto furono senz’altro i primi, poiché non dettero al ragazzo il tempo di compiere  alcun movimento. Il fatto che anche il secondo colpo fosse stato indirizzato verso di lui invece che su Uwe potrebbe spiegarsi con la subitanea reazione di questi, messosi con grande prontezza fuori tiro contro la parete destra, oppure e più facilmente con la volontà del Mostro di neutralizzare del tutto quella che riteneva fosse la minaccia più pericolosa, il maschio. In ogni caso, se non subito dopo il primo sparo, almeno dopo il secondo effettivamente Uwe dovette posizionarsi fuori tiro, costringendo l’assassino a spostarsi dalla parte opposta.
Sugli effetti di ognuno dei tre colpi esplosi dal lato sinistro poco si può dire. Il bersaglio era diventato Uwe, che cercava di non farsi inquadrare muovendosi carponi, come è testimoniato da alcune ferite abrase riscontrate sulla faccia anteriore della sua gamba e del suo ginocchio sinistri. Probabilmente anche qui il Mostro iniziò dal penultimo finestrino, dal quale si godeva della visuale migliore, spostandosi poi sull’ultimo opaco. Infine Uwe si addossò con le spalle all’angolo posteriore sinistro, portando testa e busto fuori tiro e inducendo il Mostro a sparargli alla cieca attraverso la lamiera. Era il quinto colpo. A questa fase concitata dobbiamo associare sia le ferite alla gamba e alla mano sinistre di Uwe, sia quella alla nuca di Horst, che per la posizione proprio sotto i finestrini fu dovuta a un proiettile di rimbalzo, come del resto si arguisce anche dalla scarsa penetrazione del singolo frammento poi estratto. Certo, un proiettile di rimbalzo che colpisce una vittima proprio alla nuca potrebbe sembrare una coincidenza eccessiva, ma così dev’essere per forza, poiché la parte era completamente irraggiungibile da un colpo diretto, data la sua posizione quasi addossata alla parete.
Il colpo sparato attraverso la lamiera fu tutto sommato inutile, e infatti il Mostro non insistette, e cercò un modo per entrare. Purtroppo per Uwe, che in caso contrario avrebbe anche potuto salvarsi, il portellone laterale non era bloccato. Forse non aveva la sicura, considerato che il vano posteriore non era adibito al trasporto di persone, forse i ragazzi avevano dimenticato d’inserirla, oppure lo avrebbe fatto Uwe prima di mettersi a dormire. In ogni caso il Mostro spalancò l’anta destra, inquadrò la testa del ragazzo appoggiata sul fondo e sparò due colpi in rapida successione. La prima pallottola colpì Uwe al labbro superiore, inducendolo a portare la testa un po’ all’indietro, da cui la traiettoria dal basso in alto della seconda, che lo colpì allo zigomo sinistro uccidendolo sul colpo.


Due maschi. Abbiamo già visto che il Mostro non mise mano al coltello, dopo aver finito di sparare. Evidentemente, una volta resosi conto di avere di fronte due maschi, il suo interesse cessò, poiché non c’erano né un pube né un seno da tagliare. Si può però ragionevolmente presumere che già durante la fase in cui gli sparava da fuori avesse capito che Uwe non era una ragazza, se non dalla barbetta – che portava, vedi qui – almeno dal torso nudo. Eppure non si fermò. L’equipe De Fazio fece al riguardo alcune interessanti considerazioni.

Nel corso di questa azione, ha avuto forse poca importanza il fatto che le vittime fossero entrambe di sesso maschile. Ciò non avrebbe tolto nulla all’eccitazione del momento, suscitata dal rinvenimento della vettura, alla quale l'omicida si è avvicinato probabilmente seguendo il richiamo della luce e della musica, mentre l'eccitazione in lui cresceva e lo spingeva ad agire. La dinamica dell'azione poi si è svolta con modalità che richiamano direttamente quelle del reato precedente, ossia dell'azione omicidaria gratificante di per sé, nell'ambito di un "gioco al bersaglio" reso più difficile dalla possibilità di movimento delle vittime designate, collocate in uno spazio meno ristretto di quello che offre una piccola auto, e quindi con maggiore possibilità di movimento e di occultamento, e con maggiori possibilità di dispersione dei colpi d’arma da fuoco, e quindi maggiori possibilità di insuccesso. […]
Va sottolineato, a questo punto, che secondo questa interpretazione i macabri rituali attuati in altri casi dall'omicida si collocherebbero in una posizione accessoria rispetto all'azione omicidaria di per sé che costituirebbe la principale motivazione psicologica (e sessuale) dell'omicida.

Del medesimo parere era Mario Rotella, come si può rilevare dalla sua sentenza:

Gli uccisi sono due uomini e, pur sussistendo un sospetto di relazione omosessuale tra loro (poi avallata da riscontri della polizia tedesca), non risulta minimamente che fossero in atteggiamento intimo al momento del fatto. […]
Tutto ciò significa che per l’omicida ha avuto maggior peso l’occasione d’uccidere due persone inermi, in circostanze favorevoli, che non una pulsione suscitata dal loro comportamento in intimità. […] Se ha seguito un richiamo sessuale, per aberrante che possa essere, esso appare secondario.

Il delitto di Giogoli conferma la mancanza di un vero movente di natura sessuale nei delitti del Mostro, come già la freddezza delle escissioni del 1981 aveva fatto sospettare. Una freddezza che oggi potrebbe anche favorire l’ipotesi di delitti su commissione volti unicamente alla ricerca del “feticcio”, che però proprio Giogoli consente di ridimensionare. Ci si deve chiedere, infatti, il perché le vittime prescelte non furono controllate con la dovuta attenzione, se lo scopo era quello di impadronirsi di parti sessuali di donna, per di più dopo già un tentativo fallito l’anno precedente, e soprattutto il perché l’assassino non si fermò appena scoprì di aver aggredito due maschi. Il delitto pare piuttosto opera di un individuo che effettuò una scelta in “zona Cesarini”, alla fine di un’estate in cui non era ancora riuscito a trovare la situazione giusta. Il non facile attacco a dei turisti stranieri chiusi in un furgone va dunque visto come una insperata opportunità colta in fretta, forse nel timore di una loro ripartenza improvvisa.

La rivista. Il giorno successivo a quello del rinvenimento dei cadaveri venne effettuata una ulteriore ricognizione dei luoghi adiacenti alla scena del crimine. Dietro il muretto che correva a sinistra del furgone fu rinvenuta tra l’erba una rivista pornografica, dalla quale erano state tagliate e accartocciate tre o quattro pagine, anch’esse gettate a terra. La distanza dal mezzo non era molta, e anche il tempo di permanenza all’aperto pareva breve, visto il buono stato della carta patinata ancora ben lucida: il reperto aveva qualcosa a che fare con il delitto?


L’ispettore della Scientifica che aveva effettuato i rilievi, Giovanni Autorino, nella sua deposizione al processo Pacciani parlò tra l’altro anche della rivista (vedi). A dire il vero i suoi ricordi parvero un po’ annebbiati, poiché se da una parte ne collocò la posizione a ridosso del citato muretto, dunque a pochi metri dal furgone, dall’altra affermò che ne distava “30, 35, 40 metri, 50 metri”. Il maresciallo dei Carabinieri Giovanni Leonardi (vedi) parlò invece di “una distanza di circa dieci metri dal furgone, dieci, quindici metri, se non ricordo male. Comunque nelle vicinanze, immediate vicinanze. Come potrebbe essere da qui al di là del tavolo.”.
Un altro elemento d’incertezza riguarda il numero: si trattava di una rivista soltanto oppure di alcune? Sempre secondo Autorino sarebbero state alcune: “in mezzo a questa vegetazione che noi osserviamo, sul terreno, erano sparsi vari fogli e riviste pornografiche, quasi tutti in lingua italiana; o quasi tutte, o tutte”. Il maresciallo dei Carabinieri Giuseppe Storchi così disse (vedi): “[…] mi sembra comunque che era una rivista - cioè una rivista, erano qualche foglio non è che poi erano molti - erano tre o quattro fogli, se ben ricordo”. D’altra parte l’unica foto pubblicata, e probabilmente anche la sola scattata, mostra un’unica rivista con accanto qualche foglio sparso.
Non abbiamo fatto una ricerca, diciamo, a largo raggio perché sicuramente ne avremmo trovate altre”, così dichiarò Autorino, convinto che il punto dove furono uccisi i ragazzi fosse frequentato da coppie in cerca d’intimità e che al di là del muretto si posizionassero solitamente dei guardoni, adusi a portare con sé e a lasciare sul posto delle riviste pornografiche. Ma se è possibile che ogni tanto qualcuna vi si fermasse, è indubbio che il luogo, situato in una zona piuttosto popolata, non offrisse la protezione richiesta da una coppia che voleva denudarsi. Una signora, abitante all’epoca nella vicinissima Villa La Sfacciata e chiamata a deporre al processo Pacciani (vedi), a domanda “era normale vedere delle coppiette che si appartavano in macchina?” rispose con un secco “no”. Tanto meno il posto si prestava a una frequentazione regolare di guardoni, notoriamente restii ad avvicinarsi troppo alle case per paura di essere scoperti. E in ogni caso i guardoni non vanno a osservare le coppiette portandosi dietro dei giornali pornografici, quelli se li sfogliano comodamente sul divano di casa oppure in bagno se non vivono da soli. Ma gli elementi che confutano la convinzione dell’ispettore Autorino non sono finiti, poiché la rivista era dedicata a un pubblico di omosessuali, che con i guardoni nulla hanno a che fare.

Tracce di culto satanico? Per dare un significato più convincente alla presenza di quel reperto, qualcuno cercò di esaminarlo con maggiore attenzione. Si trattava del numero cinque del periodico mensile “Golden Gay”, uscito in edicola nell’agosto del 1981. In ogni numero della serie era contenuto un fotoromanzo, pretesto per immagini molto forti di rapporti sessuali più che altro tra uomini, ma anche tra donne e tra uomini e donne, nel quale il protagonista, un agente segreto di nome Golden Gay facente parte di una organizzazione anch’essa segreta, difendeva la comunità omosessuale dai vari soprusi cui era sottoposta.
Anni dopo l’avvocato e criminologo Luca Santoni Franchetti, che rappresentava i familiari di alcune delle vittime al processo Pacciani, riconsiderò la presenza di quella rivista alla luce delle proprie convinzioni decisamente fuori dal coro. Al contrario dei suoi colleghi di parte civile, infatti, il professionista non credeva alla colpevolezza dell’imputato, ma riteneva che il responsabile, o piuttosto i responsabili, andassero ricercati nel gruppo degli assassini di Signa, e la rivista pornografica trovata a Giogoli rafforzava quella sua convinzione. Vale la pena ricordare, poiché su questo blog ancora non se n’è parlato, che dopo Baccaiano gli inquirenti avevano scoperto il collegamento con il delitto di Signa, e avevano messo in carcere Francesco Vinci accusandolo di essere il Mostro. In un articolo uscito su “Il Giornale” del 23 maggio 1994 veniva riportata la tesi di Franchetti, già espressa da occhiello, titolo e sommario:

Un indizio sottovalutato dagli inquirenti ed evidenziato da un avvocato fa ulteriormente vacillare le accuse a Pacciani. Un fumetto porta al vero mostro. Sul luogo di un delitto l’assassino aveva lasciato in evidenza una rivista pornografica. Il giornaletto porno racconta di un tribunale di incappucciati che designa una vittima e la uccide violentandola. C’è un nesso con i delitti del mostro? La rivista fu trovata accanto al camper dei due tedeschi trucidati nel 1983. Una pagina era sistemata come se quella immagine fosse oggetto di culto.

L’articolo rilevava prima di tutto la strana disposizione sul terreno delle pagine strappate, un altarino secondo Franchetti; poi raccontava la trama del fotoromanzo, cogliendo varie analogie con la vicenda di Francesco Vinci. Leggiamo sull’articolo:

Nel fumettone pornografico trovato accanto al camper tedesco la puntata narra che il Tribunale reagisce per difendere un gay accusato ingiustamente d’assassinio. E nel settembre ’83, quando il Mostro uccide i tedeschi, in carcere esattamente da un anno c’è come mostro di turno Francesco Vinci, uno degli amanti di Barbara Locci, la quale fu la prima ad essere uccisa nel ’68 con la Beretta e tutto il Mucchio selvaggio attorno.
“È - dice l’avvocato Santoni Franchetti - un messaggio troppo preciso per ignorarlo. Il giornale Golden Gay non poteva appartenere ai tedeschi poiché fuori commercio fin dall’81 e, per di più, in lingua italiana. Non poteva essere stato messo lì in precedenza, i fogli non avevano tracce di intemperie o di scolorimenti da sole. Perciò non può che averli messi lì il Mostro o qualcuno giunto con lui o subito dopo”. Un Tribunale segreto, suggerisce dunque Golden Gay. Ma anche un gruppo d’appoggio. Un Grande Esecutore. È uno scenario che, invece di incastrare Pacciani, riporta per direttissima, volenti o nolenti, al Mucchio Selvaggio del ’68 con un mostro coperto dal gruppo nei suoi alibi e movimenti. Forse persino aiutato direttamente nell’esecuzione?


Secondo Santoni Franchetti la rivista quindi sarebbe stata portata dall’assassino, o meglio dagli assassini, e sarebbe servita per mettere in piedi una specie di rappresentazione simbolico-teatrale. L’avvocato individuava in Salvatore Vinci, personaggio dalla sessualità multiforme e perciò in linea con i temi trattati da Golden Gay, un possibile protagonista dell’anomalo delitto, spalleggiato addirittura da un gruppo di complici.
È evidente che questa teoria manca di riscontri obiettivi, e gli elementi da essa presi in esame potrebbero essere interpretati in modo molto più semplice e logico.

Due povere vittime come le altre. Uwe Rush e Horst Meyer erano omosessuali, furono chieste informazioni sull’argomento alla polizia tedesca con esito positivo. Nell’Italietta degli anni ’80, ancora imbarazzata per i fenomenali passi avanti che il rispetto e la tolleranza verso ogni inclinazione sessuale avevano compiuto già da vent'anni, non si parlava volentieri di certi temi. E dunque che tra i ragazzi tedeschi ci fosse stato qualcosa in più di un’amicizia non veniva detto. Ma proprio la presenza di quella rivista dalle pagine ancora in buono stato, quindi gettata sul terreno da poco tempo, e quindi con molta probabilità proveniente dal furgone, costringe a prendere atto di una realtà della quale, per fortuna, oggi nessuno ha più motivo di vergognarsi. La vergogna è tutta di coloro che sono ancora dipendenti da schemi stereotipati ormai estranei al vivere civile.
Tuttavia, riguardo il numero 5 di Golden Gay, Santoni Franchetti faceva notare che era uscito in edicola due anni prima del delitto, quindi, a suo parere, non poteva essere stato acquistato dai ragazzi durante la loro vacanza. L’avvocato dimenticava però che per riviste di quel genere era normale che rimanessero grandi quantitativi d’invenduto a magazzino, smaltiti negli anni attraverso buste cumulative contenenti più numeri a prezzo ribassato, oppure come copie omaggio allegate ad altre pubblicazioni. Per evitare la messa in vendita al prezzo di copertina originale, tali esemplari venivano privati dell’angolo in alto a sinistra, proprio come mostra la foto di quello trovato vicino al furgone. Che il fotoromanzo avesse le didascalie in italiano non è granché significativo, dato il genere le immagini bastavano e avanzavano per renderlo interessante agli occhi di un appassionato anche straniero.
Infine il fatto che per staccare le pagine lasciate a terra accanto al corpo della rivista fosse stato usato un taglierino, o comunque uno strumento analogo, porta a vedere nell’artefice dell’operazione proprio il Mostro con lo strumento che non aveva potuto adoperare sulle vittime. A parere di chi scrive il ragazzo ancora sveglio stava sfogliando proprio quella rivista al momento dell’attacco, e per l’assassino il portarsela via assumeva il significato di un’istintiva ricerca di un compenso per la mutilazione mancata. Ma un rapido e non trattenibile sguardo alla luce della sua torcia gli svelò un contenuto indigesto, facendolo ulteriormente arrabbiare. Anche De Fazio sposò questa interpretazione: “occorre vagliare l'ipotesi che siano stati asportati dall'omicida all'interno della vettura delle vittime […] potrebbe poi averli abbandonati e stracciati, una volta accortosi del loro carattere omosessuale”.

L’altezza dello sparatore. In base all’altezza dei fori di proiettile su finestrini e carrozzeria del furgone, i periti dell’equipe De Fazio credettero possibile calcolare in modo approssimativo quella dello sparatore, con risultati però poco affidabili. Vediamo perché, cominciando a leggere le loro considerazioni:

Dalla perizia medico-legale si rileva che 4 dei 5 fori da proiettile di arma da fuoco rinvenuti nei vetri dei finestrini del pulmino distano da terra rispettivamente cm.137 (2) e cm.140 (2). La distanza da terra del foro sito nel vetro del finestrino anteriore dx. non ha potuto essere misurata in quanto durante il trasporto del pulmino molti dei frammenti di vetro si erano spaccati. Dalla documentazione fotografica relativa ad un momento in cui i frammenti erano ancora in sito si rileva che il foro in questione è ad altezza superiore rispetto a quello del vetro posteriore dx., distante da terra cm.140, ad una altezza deducibile di almeno 145 centimetri.
Va notato che i fori in questione sono ad una altezza abbastanza costante, quantomeno di cm. 137 da terra, ivi compreso il foro sulla carrozzeria, per il quale si può presumere non sia stata cercata dall'omicida una posizione "innaturale" di sparo (col braccio abnormemente rialzato), come in linea di ipotesi potrebbe essere avvenuto per gli altri colpi, sparati per il tramite dei finestrini, la cui altezza può condizionare giocoforza le posizione del braccio nel tiro. Il foro nella carrozzeria può rappresentare quindi un indice della posizione "naturale" di sparo dell'omicida, che teneva l'arma ad una certa distanza dalla carrozzeria (mancano segni di affumicatura e di polveri), con direzione lievemente inclinata in basso, tanto che, secondo la ricostruzione dei periti medico-legali, il proiettile, benché indirizzato all'Uwe Rush, è andato a colpire il gluteo sx. del Wilhelm Horst, all'incirca tra la metà e il terzo posteriore dell'asse longitudinale del pulmino. […]
Si può quindi ipotizzare che l'omicida abbia una statura considerevole, molto probabilmente superiore, e non di poco, a cm. 180.

Come si vede, il colpo più interessante per i periti era quello sulla carrozzeria, poiché lo ritennero esploso da una distanza notevole e soprattutto con il braccio disteso, visto che lo sparatore non doveva mirare avvicinandosi a un finestrino e quindi addurre il braccio in modo non valutabile. In più calcolarono una traiettoria dall’alto in basso, individuando nel gluteo di Horst la sua conclusione. La figura sottostante illustra lo scenario.


Poiché sono noti i segmenti AB (distanza del gluteo di Horst dalla lamiera), AD (altezza del gluteo di Horst dal terreno, BE (altezza del foro sulla carrozzeria), supponendo un certo valore per BC (distanza dello sparatore dal mezzo) si possono calcolare tutte quante le altre misure, in particolare CF, che è l’altezza della spalla dello sparatore (le mie troppo antiche reminiscenze di geometria non mi aiutano però a trovare la formula giusta, forse qualche lettore più fresco potrebbe suggerirmela).
La non esattezza della misura BC contribuisce all’approssimazione del risultato, che comunque i periti di Modena si sentirono di stabilire in almeno 180 cm. Salvo poi ricredersi al processo Pacciani, quando dovettero affrontare l’agguerritissima accusa, il cui colpevole poco si conformava alla figura di serial killer descritta nella loro perizia (vedi). Riguardo l’altezza, da diminuirsi di almeno una quindicina di centimetri, dichiararono di aver creduto erroneamente che il corpo di Horst si trovasse sul pianale, e di aver saputo soltanto al processo che era invece su una piattaforma rialzata. Per comprendere le conseguenze basta guardare la figura sopra: con BE costante, al crescere di AD diminuisce CF.
Si trattò evidentemente di un gioco delle parti, poiché è impensabile che i periti non avessero esaminato immagini simili a quelle che adesso girano in rete, dove si vede bene la piattaforma sulla quale i ragazzi avevano sistemato il materasso. In ogni caso i loro calcoli erano sbagliati in origine, poiché il colpo sparato attraverso la lamiera non poteva essere quello che aveva colpito Horst al gluteo sinistro, descritto in modo del tutto incompatibile da loro stessi:

un colpo in regione glutea sx., al quadrante superomediale, con tramite obliquo dal basso in alto e dall'avanti all'indietro, interessante il peritoneo posteriore, lo stomaco alla piccola curvatura, e proiettile ritenuto nello spessore della parete anteriore dell'addome.

Una descrizione similare è contenuta anche nella perizia Arcese-Iadevito:

un colpo d’arma da fuoco con foro d’ingresso in regione glutea sinistra e ritenuta a livello della regione epigastrica, con tramite, quindi, obliquo in alto, in avanti, e verso destra
 

Come si vede bene dalla freccia tracciata nell’immagine soprastante, il proiettile entrato dalla lamiera sul lato sinistro non avrebbe potuto percorrere il gluteo di Horst “dal basso in alto”, e non avrebbe certo potuto fermarsi nell’addome, dopo aver attraversato peritoneo e parte bassa dello stomaco. Quel colpo era stato sparato dal lato opposto del furgone, come abbiamo visto poc’anzi. Del resto non tornava neppure l’inclinazione della traiettoria verso il corpo di Horst, che si trovava a sinistra dello sparatore, il quale avrebbe dovuto colpire la lamiera obliquamente, con il rischio di non riuscire a forarla e soprattutto senza averne motivo. In realtà, indirizzando la canna della pistola in quel punto, mirava al bersaglio grosso di Uwe, nella speranza che il ragazzo fosse appoggiato con le spalle alla lamiera del furgone, riuscendo però a colpirlo, forse, soltanto di striscio alla coscia sinistra tenuta raccolta vicino al torace.

Una ragionevole valutazione. Premesso che qualsiasi calcolo rimane comunque di valore soltanto indicativo, date le inevitabili approssimazioni, a parere di chi scrive l’unico colpo dal quale si possa desumere una valutazione di massima dell’altezza dello sparatore è il primo, quello che attraversò il finestrino andato poi in frantumi e che colpì Horst al fianco destro. Gli altri furono esplosi in movimento, con il braccio più mobile e senza prendere troppo la mira, quindi la relativa posizione della pistola ha una significatività minore.
Nel momento in cui l’individuo si affacciò al finestrino, aveva di fronte dei bersagli immobili e ignari della sua presenza, quindi ebbe modo di inquadrarli mirando con relativa calma. La sua faccia doveva trovarsi a non più di trenta centimetri dal vetro, probabilmente anche meno, e il braccio corrispondente alla mano che impugnava la pistola doveva essere addotto, con l’altro appoggiato al mezzo a rendere più stabile la posizione.


In queste condizioni, nelle semplici prove condotte da chi scrive, il calcio dell’arma ha assunto una obbligatoria posizione orizzontale, come anche la canna e il braccio nel caso di un bersaglio posto ad altezza uomo. Via via che il bersaglio si abbassa la canna deve inclinarsi, e per mantenerla nei pressi degli occhi senza perdere la mira il gomito si alza, come nell’immagine soprastante in cui si è cercato di inquadrare il punto dove doveva trovarsi il fianco di Horst. Come si vede l’arma viene a posizionarsi più o meno all’altezza delle spalle, mentre l’altezza del punto d’impatto del proiettile sul vetro, che dipende anche dalla distanza della canna combinata con la sua inclinazione, si abbassa di qualche centimetro, in questo caso di un paio. A parere di chi scrive va esclusa una posizione dell’arma a cercare di mettere in linea la canna con occhi e bersaglio, quindi più in alto delle spalle, naturale a braccio teso ma non a braccio addotto, poiché troppo vicina alla faccia dello sparatore. Si potrebbe quindi concludere che l’altezza delle spalle del Mostro fosse di un paio di centimetri superiore a quella del foro prodotto dal primo sparo.
Purtroppo il vetro sul quale aveva impattato il primo proiettile – e che al suo passaggio si era fittamente frammentato – crollò al momento del trasporto del furgone in caserma, dove poi furono prese le misure esatte per gli altri quattro fori. Rimangono le immagini, tramite le quali De Fazio valutò un’altezza di “almeno 145 centimetri”. In più abbiamo la distanza dal bordo inferiore della cornice, presa da Autorino sul luogo quando il vetro era ancora in piedi: 20 cm. Il valore, molto probabilmente non noto a De Fazio, emerse in dibattimento al processo Pacciani, e lasciò traccia in sentenza:

Va precisato che per quel che riguarda il foro A i periti non sono stati in grado di indicare l'altezza effettiva da terra, poiché nel corso dell'affrettata rimozione del mezzo il vetro si era sbriciolato, disperdendo le tracce del foro del proiettile. Tale altezza è però determinabile esattamente in m. 1,50 partendo dalle uniche misurazioni fatte dalla polizia scientifica quella sera e riportate nel fascicolo dei rilievi tecnici. Infatti il foro B era situato a cm. 10 sopra la base del finestrino, mentre il foro A era collocato a cm. 20 sopra la base stessa. Poiché le basi dei due finestrini sono situate alla stessa altezza, come può vedersi dalle foto in atti, è evidente che il foro A era posto dieci centimetri più in alto dei foro B, e quindi a cm. 150 da terra, essendo quest'ultimo, come si è visto, posto a cm. 140 da terra.

Secondi i calcoli ritenuti validi dai giudici, quel foro era dunque a 150 cm di altezza. Nei loro ragionamenti c’è però un piccolo errore: rispetto al finestrino crollato, quello con il foro B posto a 10 cm dalla base era di tipo diverso, basculante, con il vetro circondato da una cornice metallica larga circa un centimetro e mezzo, come mostra l’immagine sottostante.


Questo fatto comporta un divario tra le due altezze dei fori rispetto al suolo non già di 10 cm ma soltanto di 8,5. Possiamo quindi stabilire per il foro scomparso un’altezza di 148 cm e mezzo, come abbiamo appena visto da ritenersi un paio di centimetri sotto quella delle spalle dello sparatore, che vanno quindi considerate alte 150,5 cm.
A questo punto introduciamo i valori normalmente accettati per le proporzioni medie di un maschio adulto.


La testa rappresenta un ottavo dell’altezza intera, il collo un terzo di un ottavo. Con semplici calcoli si arriva a determinare la quota totale di collo e testa, 1/6, quindi il resto, che poi sarebbe l’altezza delle spalle, vale 5/6. Conoscendo quest’ultimo valore, si determina facilmente l’altezza totale: 150,5 x 6 / 5 = 180,6 cm.
Secondo i calcoli appena fatti il Mostro era dunque alto poco più di un metro e ottanta, compresi i tacchi delle sue calzature. È il caso di ribadire ancora una volta che si tratta di un valore soltanto indicativo, il quale però non può essere diminuito troppo. Un individuo altro un metro e sessanta, ad esempio, sarebbe difficilmente compatibile. In ogni caso, se non altro per pura curiosità, il valore può essere confrontato con le altezze note dei vari personaggi entrati nella vicenda. Il lettore può farlo da solo, se crede, cominciando magari da qui. 

La macchina rossa. Nel libro di Giuttari Compagni di sangue si accenna a una testimonianza di un certo rilievo riguardo il delitto di Giogoli: 

E ancora un'altra conferma arrivava dalle dichiarazioni, rese in tempi non sospetti e, precisamente in data 13.09.1983, ai carabinieri della Stazione di Galluzzo da Nenci Giovanni, deceduto in data 09.08.1990. Costui aveva riferito che, nel transitare da via di Giogoli, la mattina del giorno precedente al delitto, aveva notato, accanto al furgone delle vittime, una autovettura Fiat 128 di colore rosso targata Firenze.
La moglie del Nenci, interrogata nel corso dell'inchiesta, confermava di aver saputo dal marito della presenza di quell'auto rossa, accanto al furgone. Lei stessa, aggiungeva, passando da quel posto proprio la mattina del giorno del delitto, aveva notato, nei pressi del furgone, un'auto di media cilindrata di colore bianco. 

Per Giuttari si sarebbe trattato di una conferma al coinvolgimento di Giancarlo Lotti, che proprio nel marzo del 1983 aveva acquistato la sua nota Fiat 128 coupé rossa. A parte la mancata specifica del modello – la 128 vista da Nenci era berlina o coupé? – l’investigatore dimenticava che nella presunta confessione del presunto pentito per quell’avvistamento non c’era posto, poichè Vanni e Pacciani lo avrebbero coinvolto soltanto la sera stessa della scellerata spedizione. In ogni caso, a parte gli eventuali legami di Lotti, poteva quell’auto aver avuto qualcosa a che fare con il delitto? Per quale motivo il Mostro avrebbe dovuto avvicinarsi al furgone dei ragazzi tedeschi alla mattina del giorno precedente a quello in cui sarebbe andato a ucciderli?
Abbiamo già visto in precedenza che la piazzola di Giogoli non sembrava un luogo adatto a impegnativi convegni d’amore. In un raggio di cento, duecento metri si trovavano varie abitazioni, tra cui Villa La Sfacciata, il cui cancello d’ingresso era ad appena ottanta metri. Per di più un’auto che vi avesse sostato rimaneva comunque ben visibile dalla via antistante, sulla quale insisteva un certo traffico, fatto più che altro di residenti ma anche di chi si recava a Scandicci partendo dai piccoli paesi a sud (o viceversa, la strada era molto stretta ma comunque a doppio senso di marcia). E in effetti dalle testimonianze raccolte risultò che davanti al furgone c’era stato un gran via vai di gente che l’aveva visto più volte.
Se il luogo non pareva adatto a frequentazioni di coppiette in cerca di privacy, tanto meno pareva adatto a regolari perlustrazioni da parte del Mostro, la cui scoperta del furgone potrebbe pertanto essere stata del tutto fortuita. Secondo Teresa Buzzichini, moglie di Nenci, i ragazzi si appartavano sulla piazzola per la notte già da una settimana (vedi), quindi per una settimana il Mostro li aveva lasciati in pace, molto probabilmente perché non si era accorto di loro. Questo fatto rende difficile che fosse un residente dei dintorni, avendo quindi la necessità di passare relativamente spesso davanti al furgone, ma favorisce l’ipotesi che avesse avuto qualche motivo per andare ogni tanto a Scandicci da sud o viceversa.
Torniamo adesso a quell’auto rossa. Se il Mostro aveva avuto occasione per transitare da via di Giogoli una sera sul tardi, poteva essersi già fermato alla vista del furgone, senza però capire chi vi fosse dentro poiché i ragazzi già si erano coricati. Quindi potrebbe essere tornato alla mattina successiva per controllare, rimanendo ingannato dai lunghi capelli biondi di Uwe che ancora dormiva. Ma perché non tornare subito la sera stessa per uccidere, e attendere il giorno dopo, con il rischio che i ragazzi se ne andassero?
Di recente è entrata nella disponibilità di chi scrive la trascrizione completa del verbale di Nenci, quello stesso riassunto da Giuttari. Leggiamola.

L’anno millenovecentottantatre addì 13 del mese di settembre nell’ufficio della Stazione CC. di Firenze Galluzzo, alle ore - - -
Avanti a noi M/llo Storchi Giuseppe, comandante della sopracitata Stazione è presente il signor Nenci Giovanni, in rubrica meglio generalizzato, il quale opportunatamente sentito in merito al decesso di due giovani tedeschi, spontaneamente dichiara:
Per ragioni di lavoro sono costretto a transitare in via di Giogoli ove è stato trovato il furgone con ì due cadaveri degli stranieri. Giovedì sera 8 c.m. nel rientrare a casa notai nello spiazzo di cui sopra il furgone straniero regolarmente parcheggiato nello spiazzo. Erano circa le ore 20,30 ed accanto al furgone non notai movimento di sorta. Il mattino transitai nuovamente in via di Giogoli verso le ore 7,30 e notai accanto al furgone in parola un’auto Fiat 128 di color rosso, targata FIRENZE. Non vidi movimento di sorta intorno e pensai a persone che provavano i cani per la caccia.
Anche venerdì 9 c.m, nel transitare verso le ore 20,30 in via di Giogoli, notai nuovamente il furgone in sosta nel prato adiacente alla via stessa, senza notare intorno nessun movimento di persone. Il giorno successivo passai ancora in via di Giogoli a bordo della mia auto ed in compagnia di mia moglie. Notai sempre lo stesso furgone, con le portiere chiuse, fermo nel luogo visto la sera precedente. Erano circa le ore 7-7,30 e mia moglie mi ha riferito che accanto vi era una auto bianca di media cilindrata di cui però non ricorda né la marca e né tantomeno rilevò particolari e targa.
La sera stessa di sabato appresi da mio figlio del fatto che era successo.
A.D.R. - Accanto al furgone di cui sopra non ho mai visto movimenti di persone sospette.
A.D.R. - Non ho altro da aggiungere e né da modificare e mi sottoscrivo. Fatto, chiuso e sottoscritto.

Come si vede Giuttari aveva capito male, o forse aveva capito bene, ma tanta era la sua voglia inconscia di dare un ruolo anche all’avvistamento dell’auto bianca – vale la pena ricordare che Pacciani possedeva una Ford Fiesta bianca – che aveva traslato indietro il tutto di un giorno. In realtà la signora Buzzichini aveva notato l’auto bianca alla mattina del sabato, quando i due poveri ragazzi erano già morti, quindi non pare che al suo avvistamento possa essere assegnato un apprezzabile valore. Invece il marito aveva visto l’auto rossa la mattina del venerdì, il giorno del delitto, e questo spostamento in avanti di un giorno rende la sua testimonianza ben più significativa, poiché si correla molto meglio con un delitto compiuto quella sera stessa. 
Possiamo notare che anche nel verbale originale non viene specificato il modello di 128, se berlina o coupé. Il documento fu però redatto in forma riassuntiva, quindi non è illogico prendere in esame la possibilità che l’eventuale mancata precisazione “coupé”, fosse da imputarsi all’incuria del verbalizzante. Anche perché il colore rosso era tipico proprio del modello coupé, macchina piuttosto diffusa per essere una (finta) sportiva, mentre sulla berlina era raro (la classica 128 si ricorda verde). 
Infine, a rendere la figura di Giancarlo Lotti ancor più compatibile con quella di un assassino che passa davanti alla piazzola per caso, è il fatto che l’individuo avesse avuto una cugina a Scandicci, che in aula (vedi) ammise di essere andato a trovare proprio in quei giorni, e proprio passando da via dei Giogoli, si legga anche qui.

Addendum 15 maggio 2019. La recente acquisizione di un documento datato 12 giugno 1992, contenente un'annotazione della questura riguardo il blocco Skizzen Brunnen di Pacciani (vedi), ha cambiato le carte in tavola sulla data di arrivo dei ragazzi in Italia, e conseguentemente anche a Giogoli. Vi si legge:

Un dato di interesse è che il giovane RUSCH, la sera del mercoledì antecedente la sua uccisione, verse le 20/20:30, telefonò ai suoi familiari dalla città di Spessart per riferire loro che erano arrivati lì e che il viaggio era andato bene. Va detto che i due giovani erano partiti la mattina da Munster, dove entrambi avevano un appartamente ciascuno in affitto, città che dista circa 4 ore di macchina da Spessart.
 

Quindi i ragazzi dormirono per la prima volta nella piazzola di Giogoli la sera prima di essere uccisi, e non per tutta la settimana precedente, come invece avrebbe testimoniato Teresa Buzzichini al futuro processo Paccia. È evidente che questa circostanza rende ancora più probabile che i ragazzi fossero stati avvistati da un assassino che transitò per caso davanti al loro furgone.