giovedì 31 gennaio 2019

La madre di tutte le sette

Come abbiamo visto nell’articolo Il dottore di Lotti e il patrimonio di Pacciani, il primo passo concreto di Giuttari verso la pista dei mandanti fu la richiesta, inviata il 20 maggio 1996 al PM Canessa, di poter effettuare “accertamenti di natura patrimoniale e finanziaria nei confronti di Pacciani”. Contrariamente a quanto avrebbe poi dichiarato nei propri libri, a spingere Giuttari a prendere in esame uno scenario così atipico, mai visto prima in tutta la storia criminologica mondiale, non furono né le intercettazioni delle telefonate tra suor Elisabetta e Pacciani riguardanti i noti buoni postali, né il misterioso “dottore” della “lettera spontanea” di Lotti; entrambi gli eventi furono infatti successivi al documento inviato a Canessa,  rispettivamente fine giugno e metà novembre. Si potrebbe allora ipotizzare una semplice fulminazione, un’idea nata dalle doti di fantasista dell’investigatore messe a frutto più avanti anche nei propri romanzi di successo. Può darsi, ma una sospetta coincidenza di date fa intravedere una possibilità differente, legata a un personaggio che già da un po’ si era interessato alle indagini sui delitti del Mostro: la “giornalista investigativa”, come lei stessa amava definirsi, Gabriella Pasquali Carlizzi (1947-2010).

Vicende clamorose. Qualche semplice ricerca sugli archivi storici online dei nostri quotidiani restituisce molti articoli in cui il nome di Gabriella Carlizzi viene associato a note vicende di cronaca, nelle quali la donna era entrata dicendosi depositaria di verità clamorose sfumate poi in niente. Vale la pena fornire soltanto un paio di esempi.
Da questo articolo di “Repubblica” del primo novembre 1990 si viene a sapere che la Carlizzi si era accreditata come testimone di fatti importanti nella vicenda dei documenti riservati che le Brigate Rosse avrebbero sottratto allo statista Aldo Moro al momento del sequestro.

Ieri, sono state anche ascoltate come testi Maria Fida Moro e la signora Gabriella Carlizzi. Quest’ultima era stata già sentita nei giorni scorsi, ma ieri, sul Corriere della Sera sono apparse sue dichiarazioni nelle quali ha affermato di aver visto gli originali dei documenti di Moro nelle mani di Valerio Morucci nel carcere di Paliano. Un’altra versione. La teste ha ribaltato quanto riferito dal giornale. Avrebbe detto ai magistrati di non aver visto alcun documento ma di aver sentito dire, in carcere, quando prestava l’attività di assistente volontaria, che Morucci aveva quei documenti. La Carlizzi per alcune sue dichiarazioni è stata denunciata per diffamazione dal professore Tommaso Mancini, difensore di Morucci. Inoltre, ai due magistrati romani la donna ha detto più volte di essere amica di Maria Fida Moro e ha rivelato alcune presunte confidenze della figlia dello statista dc. Interrogata come teste, Maria Fida Moro avrebbe precisato che la Carlizzi l’avrebbe importunata da anni ed ha aggiunto che ne sono al corrente tutte le massime autorità di pubblica sicurezza e degli istituti di prevenzione e pena.

Valerio Morucci era stato uno dei sequestratori. Maria Fida Moro, figlia dello sfortunato statista, così respinse la pretesa della Carlizzi di accreditarsi come sua amica (vedi): “Ho un concetto dell’amicizia troppo alto per consentire ad una persona che conosco appena, che non stimo e che avrei preferito non conoscere mai, di entrare a forza nel numero dei miei amici”.
Un’altra e ancora più clamorosa vicenda viene illustrata da questo articolo, uscito su “Repubblica” del 2 agosto 1995:

Sembrerebbe, a prima vista, una delle classiche truffe all’italiana: c’è un bravo praticone che si spaccia per illustre clinico, guarisce la gente, ma non ha un titolo di studio e finisce nei guai. Invece, qui a Bergamo, la trama è misteriosa e complessa. C’è un video a luci rosse, ormai scomparso. Accanto agli investigatori giocano a tutto campo le due testimoni-accusatrici: una è la protagonista inconsapevole del filmino, l’altra una battagliera giornalista, sua amica. E l’uomo cardine di questa vicenda ha occhi penetranti e un innegabile "tocco magico" nelle mani: praticamente sconosciuto per i più, Pierantonio Bettelli, 50 anni, viene venerato da decenni da una clientela di star internazionali e di più modeste vedette della tv nostrana, da atleti e ballerini.

Bettelli venne indagato per abuso della professione medica, non essendo stato in possesso dei requisiti necessari alla pratica dei propri metodi di cura, applicati da vent’anni a un’ampia clientela di VIP, tutti soddisfattissimi (Pavarotti, Celentano, Zucchero, Lorella Cuccarini, Carla Fracci e tanti altri). Ma l’uomo venne sospettato anche di reati ben più gravi, nella cui configurazione ebbe un ruolo decisivo Gabriella Carlizzi.

Il secondo filone riguarda reati più gravi, da tribunale, ancora lontani da essere provati. Innanzitutto, c’è il filmato a luci rosse che vede come attrice protagonista Cristiana Crivelli, ex barista, con qualche problema psicologico, bella, che un giorno Bettelli nota e convince a mollare il bancone per passare ai massaggi. Ma, a parte il ruolo di assistente, Cristiana diventa la fidanzata di Bettelli, racconta di orge, di amore collettivo ripreso, a sua insaputa, con la videocamera […].
La storia poteva restare "coperta" sino a quando, nel centro di Bergamo, non irrompe per farsi curare la giornalista Gabriella Pasquali Carlizzi, la cui pubblicazione, L’altra Repubblica, ora campeggia nell’ufficio del capo della squadra Mobile, Giuseppe Vozza, riflessivo e caparbio. Carlizzi ha una passione per le storie oscure, ha contribuito a far mettere sotto accusa monsignor Cassisa, ha denunciato per mazzette Andreotti e Craxi, se s’imbatte in qualcosa che non quadra corre in qualche Procura. E così ha fatto anche questa volta. Per due mesi è stata ospitata nella villa di Bettelli, l’ha conosciuto bene, ha fiutato pericolo, ha scoperto che Bettelli ha curato anche il mafioso Gambino, e gli ha dato un consiglio: "Prendi il tuo prana (fluido magnetico delle mani, ndr) e va per il mondo, molla tutto prima che sia tardi". Bettelli non l’ha seguito e Carlizzi, che ha conosciuto anche Cristiana e l’ha portata a vivere con lei, a Roma, lontana da Bettelli, ha continuato a indagare.
La data cruciale è il 2 luglio scorso, quando muore agli ospedali Riuniti di Bergamo Giambattista Arzuffi, anziano architetto, curato prima da Bettelli (che lascerà erede). Qualcosa secondo la giornalista non quadra, convince gli inquirenti, tant’è vero che il cadavere, nonostante abbia subito già due autopsie, nei giorni scorsi viene riesumato e sottoposto al terzo esame autoptico. Gli anatomopatologi cercano alcuni farmaci letali. Se li troveranno, saranno riesumate altre due salme: un paziente, che si è buttato giù da una finestra del centro, sei anni fa; e un assistente, che nell’aprile scorso è stato trovato morto, sempre nel centro davanti alla prefettura, in una pozza di sangue e con medicine in bocca.

Alle tre morti sospette sopra indicate se ne aggiunse una quarta, di un personaggio ben più famoso, Walter Chiari, il cui cadavere venne poi in effetti riesumato. Chi scrive non è riuscito a recuperare informazioni sulla conclusione della vicenda, di sicuro Bettelli fu rinviato a giudizio per abuso della professione medica (vedi), mentre niente venne trovato sulle presunte morti sospette. Questo articolo del “Corriere della Sera” del 9 ottobre 1996 racconta della riesumazione della salma di Walter Chiari:

Walter Chiari, nessun mistero. La magistratura ha archiviato l'inchiesta sulla morte dell'attore. Cade così l'accusa più grave (omicidio colposo) per Pierantonio Bettelli, il massaggiatore delle star imputato di truffa ed esercizio abusivo della professione. E ieri, giorno del processo per la clinica dei vip, l'avvocato Roberto Ruggiero, legale dei familiari di Walter Chiari, non ha lesinato polemiche: "La riesumazione della salma si è rivelata assolutamente inutile, come noi stessi avevamo sostenuto. Un atto di violenza morale pesante". Invano Simone, figlio 22enne di Alida Chelli e Walter Annichiarico (in arte Chiari), s'era opposto alla riesumazione. […]
Il popolare attore morì il 20 dicembre '91 all' età di 67 anni, nel suo appartamento alla periferia di Milano. Per i medici non ci furono dubbi: insufficienza cardiocircolatoria provocata anche dalle precarie condizioni fisiche. Dunque, nessuna autopsia. La salma venne tumulata al cimitero monumentale a Milano. Fu durante gli interrogatori delle due grandi accusatrici di Bettelli, la giornalista Gabriella Pasquali Carlizzi e l’ex dipendente del centro fisioterapico Cristiana Crivelli, che vennero sollevati i primi sospetti (Walter Chiari era stato in cura alla clinica dei vip). Sospetti che spinsero la magistratura a ordinare la riesumazione della salma.

Condanna per truffa. Oltre che entrare da presunta testimone in quelle di altri, Gabriella Carlizzi fu protagonista di una vicenda giudiziaria tutta sua. Da “L’Unità” del 14 settembre 1995 (vedi):

Gabriella Pasquali Carlizzi, testimone volontaria in tante inchieste e in tante oscure italiche vicende, è stata arrestata ieri mattina dagli uomini della Guardia di Finanza per ordine del giudice per le indagini preliminari Alberto Pazienti. Insieme a lei è finito in manette anche il marito Camelo Maria. Ai coniugi, secondo le nuove disposizioni di legge, è stata concessa la detenzione domiciliare. Il provvedimento di custodia cautelare è stato firmato da Alberto Pazienti su richiesta del Pm Paolo D‘Ovidio. L'accusa è gravissima: circonvenzione d'incapace. I due coniugi, fondatori dell‘Associazione volontari della carità, avrebbero indotto sette anziane persone a finanziare l'associazione con grosse cifre, fino ad un totale di circa due miliardi di lire. Una sola coppia di anziani, i Deilei, ha raccontalo al giudice di aver dato ai coniugi Carlizzi almeno 900 milioni di lire, dopo aver saputo che la coppia andava raccontando in giro di essere la reincarnazione di un sacerdote deceduto nel 1984, il noto Padre Gabriele. Non dare soldi per la «sacra» memoria di Padre Gabriele, avrebbe significato incorrere in gravi disgrazie. Questo almeno secondo i denuncianti.

Prima di giungere alla fine della vicenda passarono diversi anni, ma alla fine i Carlizzi vennero condannati. Da “Repubblica” del 5 luglio 2006 (vedi):

Cinque anni e mezzo di reclusione e 2.100 euro di multa per l’accusa di circonvenzione di incapace. È la condanna inflitta a Gabriella Pasquali Carlizzi, per aver compiuto un raggiro nei confronti di alcuni anziani che avevano aderito all’Associazione dei volontari della carità, fondata dalla donna insieme con il marito Carmelo Maria Carlizzi. Condannato anche lui a 4 anni di reclusione. Al centro della vicenda, iniziata nel 1984, c’era un raggiro della Pasquali Carlizzi che, spacciandosi come il tramite di un religioso defunto, padre Gabriele, avrebbe convinto alcuni anziani a versarle beni valutati in 2 miliardi delle vecchie lire.

La vicenda Bevilacqua. Arriviamo alle vicende del Mostro di Firenze. Il 25 febbraio 1995 il dirigente della questura di Roma, Nicola Cavaliere, inviò un’informativa al sostituto procuratore Emma D’Ortona (vedi). Eccone alcuni stralci:

Alle ore 16 odierne, rientrando in ufficio [...] ho trovato in segreteria un appunto ove era riportata una telefonata pervenuta alle ore 13.50 precedenti. E precisamente «Dott.ssa Carlizzi – direttore “L’Altra Repubblica” – è urgente in quanto riguarda il Mostro di Firenze». Alle h. 14,15 mi mettevo in contatto con il citato direttore […]. Poco dopo raggiungevo la redazione del citato settimanale […].
La Carlizzi riferiva di aver appreso, circa 30 giorni orsono, da una ragazza di nome Anna Maria […] che il Mostro di  Firenze si identifica con il noto scrittore Alberto Bevilacqua.
Sulla scorta di tale confidenza, il direttore aveva quindi effettuato una serie di “indagini”, di riscontri ed altri accertamenti, giungendo alle stesse conclusioni della giovane donna […].
Riferiva, ancora, che la giovane era stata per un breve periodo l’amante del Bevilacqua e che, in detto periodo, nel corso degli incontri amorosi, avrebbe verificato alcuni atteggiamenti “mostruosi” dell’uomo, con totali sdoppiamenti della personalità.
La Carlizzi, dopo aver ricevuto questo input dalla giovane, aveva iniziato una serie di verifiche che lo scrivente provvedeva ad appuntarsi su un foglio, e che qui di seguito si riportano, tralasciando tutte le argomentazioni relative ai romanzi scritti da Bevilacqua, nei quali testi il direttore ha visto molte conferme alle sue tesi.

-  La giovane avrebbe visto in un armadio dell’abitazione di Bevilacqua molte confezioni del medicinale-psicofarmaco Norzetan. Il farmaco citato, a dire dell’avv.to Fioravanti, sarebbe stato trovato nei pressi di un luogo teatro di omicidio addebitato al Mostro di Firenze.
-  Bevilacqua avrebbe una casa in località Sermide (FE), alcuni testi del processo Pacciani sarebbero di Sermide.
-  Il Bevilacqua sarebbe stato più volte ricoverato in un ospedale psichiatrico in località Colorno.
-  La madre dello scrittore sarebbe stata a lungo ricoverata in vari ospedali psichiatrici e lui sarebbe stato cresciuto da una donna. Questa si sarebbe suicidata nello stesso periodo in cui è giunta la sentenza di condanna per il Pacciani.
-  Il Bevilacqua frequenterebbe la zona di San Casciano Val di Pesa, in quanto alcuni suoi libri sarebbero stati stampati presso “Le Officine Grafiche” di quella località.

La Carlizzi, a conclusione del colloquio, durato oltre un’ora, consegnava allo scrivente un “identikit”, a suo tempo divulgato, del “Mostro di Firenze”, avuto dall’avv.to Fioravanti, nonché due foto del Bevilacqua riprodotte da un retro copertina di un libro.
   
Poco più tardi fu Emma D’Ortona ad ascoltare la Carlizzi (vedi). La giovane che avrebbe avuto una breve relazione con Alberto Bevilacqua si chiamava Anna Maria Ragni. Il successivo 2 marzo sia la Carlizzi (vedi) sia la Ragni (vedi) vennero ascoltate in procura a Firenze da Paolo Canessa. Ecco uno stralcio del verbale della Ragni, dove viene descritto l’unico incontro con il famoso scrittore:

Il Bevilacqua mi ha detto espressamente nell‘unica volta che l’ho visto e nei modi che poi spiegherò di essere lui il mostro di Firenze. Lo avevo cercato io il Bevilacqua perché ero rimasta impressionata dai discorsi che faceva in televisione e volevo conoscerlo.
Nell‘aprile dell'anno scorso chiesi ad un mio amico di Milano […] di trovarmi l‘indirizzo del Bevilacqua. Stefano me lo trovò ed io cominciai a scrivere poesie che mandavo in forma anonima allo scrittore. Alla fine gli mandai anche due lettere con il mio indirizzo ed il telefono di Roma e lui mi telefonò la sera di Ferragosto dello scorso anno. Io non mi aspettavo quella telefonata. Parlammo un po', gli dissi che lo volevo conoscere e lui mi chiese se volevo portare fino in fondo il rapporto. Gli dissi di sì, mi disse che sarebbe stato via 15 giorni in America e che mi avrebbe richiamato.
Mi chiamò il 31 agosto andai a casa sua il 1° settembre […]. Mi ha subito offerto da bere, abbiamo un po' parlato. […] Conversando siamo andati prima in terrazza, poi ci siamo seduti sul divano in casa ad un certo punto da tranquillo mi è sembrato teso e serio. È diventato quasi malinconico e mi ha fatto una strana domanda: «Tu sei una ladra, hai rubato in casa mia?». Poi ha aggiunto «Tu non hai paura dei mostri?» ed ancora «Sono io il vero mostro». «Mi aggiravo nei boschi con Ligabue».
Si è assentato più volte e mi ha lasciato sola anche per una decina di minuti, ho girato per la casa ed ho visto su un mobile un coltello di tipo orientale. Girando ho trovato Alberto in camera da letto spogliato. Abbiamo avuto un rapporto completo anche se lui è andato in bagno più volte. Diceva parole volgari e mi ha preso con violenza. Mentre era in bagno ho visto che in un armadio aveva tante medicine. Io ho visto che fra queste c'era la Clozapina e che alcune erano confezioni vecchie, mi ricordo anche una medicina con una etichetta Norzaden. A mia domanda mi ha detto che alcune medicine erano di sua madre. Parlandomi parlò di quest‘ultima che era stata ricoverata in manicomio quando lui aveva 5 o 6 anni e lui era stato affidato ad altri. Faccio presente che quando mi chiese se avevo rubato in casa mi disse che lui aveva degli amici mascalzoni e criminali.
Sono stata in casa sua dalle ore 17.30 alle ore 22 circa. Uscendo mi disse di chiamarlo perché lui aveva tanti problemi ed aggiunse proprio mentre stavo uscendo «Io sono il vero mostro di Firenze».

Gli uomini della SAM (i “soliti” Lamperi e Venturini) effettuarono alcuni controlli, constatando tra l’altro che l’affermazione a verbale della Carlizzi “di mia iniziativa ho accertato presso l’ospedale psichiatrico di Colorno che il noto scrittore sarebbe stato ricoverato per ben due volte; voglio precisare che ho parlato con il Dott. Bianchi a cui ho telefonato oggi stesso…” non rispondeva al vero. Fu lo stesso Stefano Bianchi a smentire la donna a verbale (vedi), assicurando che Bevilacqua non era mai stato ricoverato presso la struttura ospedaliera della quale era lui il responsabile. Un risultato analogo ebbe il controllo presso l’azienda di San Casciano dove sarebbero state stampate opere di Bevilacqua, circostanza che risultò non vera (vedi).
Il 13 marzo sia Gabriella Carlizzi sia Anna Maria Ragni vennero iscritte nel registro degli indagati per il reato di calunnia; seguì, il 23 marzo, la richiesta d’arresto per entrambe (vedi), respinta però dal GIP, nel caso della Ragni per la mancanza delle necessarie condizioni di urgenza e pericolo di reiterazione del reato, nel caso della Carlizzi per incompetenza territoriale (vedi).
Gabriella Carlizzi non si lasciò spaventare dal pericolo di guai giudiziari, rispondendo a sua volta con denunce e scrivendo un libro, Lettera ad Alberto Bevilacqua, pubblicato nel febbraio 1996, dove ribadiva le proprie accuse. La vicenda giudiziaria terminò con la condanna sia della Carlizzi sia della Ragni, come attesta questo comunicato dell’agenzia Adrokronos del 25 maggio 2000:

Gabriella Pasquali Carlizzi, che nel 1995 aveva accusato lo scrittore Alberto Bevilacqua di essere il 'Mostro di Firenze', è stata condannata per calunnia dal Tribunale di Roma. Il presidente dell'ottava sezione penale, Luigi Rocco Fiasconaro, ha inflitto alla Pasquali Carlizzi una pena di due anni di reclusione, mentre l'altra imputata, Anna Maria Ragni, ha patteggiato la pena a 16 mesi di reclusione. La Pasquali Carlizzi era stata già condannata dal Tribunale civile di Roma a risarcire all'autore di tanti best-seller la somma di 500 milioni di lire per i danni arrecati alla sua immagine in seguito alle affermazioni diffamatorie che lo avevano coinvolto nei delitti delle coppiette nei dintorni di Firenze.
Gabriella Pasquali Carlizzi, ex assistente sociale a Roma, agli inizi degli anni Novanta fondò il periodico ''L'altra Repubblica'', pubblicando di volta in volta presunti scoop, poi rivelatesi sempre bolle di sapone. La giornalista, che di recente è stata condannata per calunnia anche ai danni del questore di Perugia Nicola Cavaliere, si è dichiarata via via in possesso di clamorose verità sui delitti di via Poma e dell'Olgiata, sulla morte dell'attore Walter Chiari, sulla Banda della Magliana, sul caso Moro, sul rapimento di Emanuela Orlandi, sull'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sulle stragi mafiose di Capaci e via D'Amelio.

L’idea della compravendita. Nei primi mesi del 1996 la Carlizzi inviò molti scritti ai magistrati fiorentini, riguardanti sia la vicenda Bevilacqua sia altri temi – come quello dei poteri forti che avrebbero tentato di boicottare l’inchiesta sul Mostro – riprodotti poi nell’opera in più volumi Il Mostro a Firenze, edita nel 2009. Scorrendo le varie pagine si scopre una lettera del 25 marzo, indirizzata a Vigna, Canessa e Fleury, dove si legge:

Illustrissimi signori, intendo informarvi di un particolare aspetto che è emerso nell’ambito della mia personale indagine sul “mostro di Firenze”. […] ritengo sia credibile il fatto che coloro (Vanni, Pacciani, Lotti,…) che avrebbero partecipato alle esecuzioni, in quanto organizzati, erano esenti da qualsivoglia movente psicologico o paranormale, ma, usati nelle loro perversioni e consuetudini nell’ambiente dei guardoni e della prostituzione, eseguivano un mandato. […]
È evidente che per quanto riguarda gli “esecutori”, i delitti non venivano concretati gratuitamente, ma in una collegiale complicità potevano essere garantiti solo da un passaggio di denaro e altri beni.
Come pure, se la “mente” commissionava i delitti per necessità occulte e finalizzate a riti sacrificali, tale pratica deve necessariamente essere pagata, così come dimostra l’intera letteratura nel merito. Nell’ambito della mia indagine in tal proposito mi sono chiesta e spero vi chiediate anche Voi: come si giustifica l’assetto patrimoniale di Pietro Pacciani? Con quali soldi acquista due case, intestate alle figlie, e contemporaneamente mette a frutto decine di milioni di risparmio in titoli di vario genere? O vogliamo veramente credere che abbia maturato certe somme mettendo da parte qualche centinaio di mila lire al mese? Non gli sarebbe bastata una intera vita.

Come si vede, ci sono tutti gli ingredienti della futura pista esoterica. Poco meno di due mesi dopo, il 20 maggio, la donna scrisse ancora ai medesimi magistrati:

Illustrissimi Signori, lo scorso venerdì 17 ho incontrato a Firenze il Capo della Squadra Mobile, dottor Giuttari, con il quale avevo preso un appuntamento onde illustrare circostanze “nuove” relativamente all’attuale inchiesta sul “mostro di Firenze”.
Seppure, con grande soddisfazione, ho avuto conferma dell’orientamento della Procura verso una vera e propria organizzazione, (e di tale orientamento ritengo, verbali alla mano, di essere stata promotrice, vedere verbale d’interrogatorio del 18/12/1995) ho peraltro percepito ancora una certa difficoltà nella lettura completa del fenomeno, che non può certo fermarsi alla bassa manovalanza delle esecuzioni, ma ha l’obbligo di risalire ai mandanti e ai mandatari, nonché alle eventuali complicità che di volta in volta hanno procurato coperture e depistaggi. […]
Se proviamo ad immaginare una piramide che comprende la chiave di lettura del fenomeno “mostro di Firenze”, possiamo distinguere vari strati: alla base, manovalanza locale e scelta nel mondo ricattabile dei guardoni e pervertiti, gente sicuramente conosciuta anche dalle forze dell’ordine locali, e forse, speriamo che non sia così, coperta anche da qualcuno di questi; al livello immediatamente superiore frequentatori locali di operatori dell’occulto e capaci di contrattare con la suddetta manovalanza il prezzo in danaro di tali “lavoretti”; ancora più su va ricercato il mago in loco, il quale appena raggiunta la certezza di potere attuare il rito con la disponibilità dei feticci, organizza, eventualmente con collaboratori di livello superiore nelle pratiche dell’occulto, il rito vero e proprio, quello cioè mediante il quale può adempiere secondo le esigenze espresse da chi si è rivolto alla magia costretto da situazioni di sofferenza personale.

Dalla lettera si viene quindi a sapere che venerdì 17 maggio 1996 la Carlizzi era andata a illustrare le proprie ipotesi esoteriche di fronte a Giuttari, al quale avrà senz’altro manifestato anche i propri dubbi sull’assetto patrimoniale di Pacciani. Naturalmente non è dato sapere quanto grande fosse stato il contributo della donna a sollecitare l'iniziativa di Giuttari, è però vero che il lunedì successivo il superpoliziotto avrebbe inviato a Canessa la richiesta della quale si è detto all'inizio dell'articolo:

[…] poiché si ha motivo di ritenere che le disponibilità finanziarie del PACCIANI possano ragionevolmente provenire dalla attività delittuosa in ordine alla quale è attualmente indagato. si prega di valutare l'opportunità di disporre completi accertamenti di natura patrimoniale e finanziaria, delegando Ufficiali di PG. di questa squadra mobile anche per l'assunzione di informazioni dai diversi datori di lavoro dell'indagato.

La coincidenza di date rende legittimo il sospetto che quell’incontro con la Carlizzi fosse stato piuttosto significativo per la partenza della pista esoterica. Di sicuro la donna sarebbe tornata molte volte a discutere delle proprie idee in questura e anche in procura, sia a Firenze sia a Perugia. Avremo occasione più avanti di esaminare qualcuno dei suoi “stimoli”; intanto si rifletta su questo frammento di un verbale datato 4 settembre 2002, in piena era Narducci (il documento completo è scaricabile qui).

Ieri 03.09 ho telefonato al dott. Mignini e gli ho parlato di due suore che sarebbero state interessate nel caso del mostro di Firenze, una è suora Elisabetta che tutelò Pacciani fino alla morte ed ebbe un interessamento un po’ troppo particolare. […] L’altra suora che ho conosciuto diversi anni fa, tale Suor Miriam, che effettivamente faceva parte del servizio segreto del Vaticano, questo avveniva nel 1993. Questa suora mi chiese se attraverso i messaggi di Padre Gabrieli avevo notizie della salute del Papa. Padre Gabrieli mi disse che era stato fatto un maleficio al Papa, una messa nera direttamente nel Vaticano, e gli avevano posto un “feticcio” nella rete ortopedica. Rivista la suora gli comunicai quanto avevo saputo; di seguito tornò questa suora per dirmi che il feticcio era stato trovato dove avevo indicato.

5 commenti:

  1. E cosa mai avrà detto la Carlizzi il 18.12.1995? Ho dato una rapida scorsa ai suoi volumi (per modo di dire) che sembrano compilati in ordine cronologico, ma di un interrogatorio in quella data non ho trovato traccia (peraltro, non avrebbe avuto il diritto di riceverne copia, se ben ricordo la norma).

    RispondiElimina
  2. anni fa, per farmi quattro risate, leggevo spesso il sito disinformazione.it , dove la Carlizzi blaterava spesso di setta dei rosa croce per qualsiasi fatto di cronaca nera avvenuto, compreso il fatto di Erba, che lei adduceva a questa fantomatica setta.

    RispondiElimina
  3. La vicenda della Carlizzi è una delle più squallide di tutto il percorso per cui esiste questo blog. Trovo molto apprezzabile che si sia diradato ogni dubbio su una costola di problemi e di farneticazioni che devono esser spazzati via. Tuttavia, continuo a ritenere (e a riconoscerlo è lo stesso Micheli nella sua ammirevole sentenza) che le indagini sul cadavere del lago e sulla vicenda Narducci si dovessero fare. Quella non era una questione inverosimile e remota, nè era avventurismo giudiziario. Riconosco tuttavia che si fece una immane confusione sul problema delle intercettazioni telefoniche con le minacce che, come innesco delle indagini, erano effettivamente assurde.

    RispondiElimina
  4. Ma riguardo la coincidenza delle date (venerdì 17 la Carlizzi incontra Giuttari, lunedì 19 Giuttari invia richiesta a Canessa), visto il personaggio, ed essendo di fatto il libro della stessa Carlizzi l'unica fonte, non vi è il più che legittimo sospetto che sia stata raccontata così a posteriori proprio per dare maggior peso al suo contributo? D'altra parte lo dice lei stessa: "Seppure, con grande soddisfazione, ho avuto conferma dell’orientamento della Procura verso una vera e propria organizzazione, (e di tale orientamento ritengo, verbali alla mano, di essere stata promotrice, vedere verbale d’interrogatorio del 18/12/1995".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Come viene riportato nell'articolo, la Carlizzi aveva già scritto una lettera alla procura sul tema feticci e soldi di Pacciani quasi due mesi prima, il 25 marzo (nell'articolo era scritto erroneamente un mese). Quindi è legittimo il sospetto che le sue idee possano aver influenzato il successivo orientamento delle indagini, che non risultano, a quella data, ancora interessate al tema. Al 25 marzo Lotti aveva appena ammesso di essere coinvolto nei delitti di Scopeti e Vicchio in un ruolo minimalissimo. Ancora niente per i precedenti di Giogoli e Baccaiano, per i quali si sarebbe dovuto attendere lo stimolo di Pucci (18 aprile). Credo che in quelle condizioni i nostri investigatori avessero avuto bisogno di chiarire ben altri aspetti della vicenda prima di lanciarsi sulla pista del commercio dei feticci, che invece la Carlizzi aveva già tracciato (stando appunto alla sua lettera del 25 marzo, che si presume non sia un falso).
      Naturalmente niente di tutto questo è dimostrabile, poiché non si può avere documentazione di quello che passava per la testa degli uomini della questura e della procura. L'articolo vuole essere soltanto uno stimolo alla riflessione, e mettere dei legittimi dubbi riguardo le versioni in seguito riportate sui libri. Può darsi che prima di incontrare la Carlizzi, venerdì 17 maggio 1996, Giuttari avesse già avuto in mente di chiedere a Canessa la delega per indagare sui soldi di Pacciani, e l'incontro con la Carlizzi fosse stato programmato soltato per maggior conferma. Rimane comunque la lettera della donna del 25 marzo.

      Elimina