mercoledì 27 febbraio 2019

La moglie del farmacista

Nell’articolo La vedova del dottor Jekyll abbiamo visto quale ruolo fondamentale (e deleterio) ebbero le chiacchiere della gente nell’assegnare a Giulio Zucconi il ruolo di possibile mandante dei delitti del Mostro. A quanto risulta dalla documentazione nota, riguardo Francesco Calamandrei, classe 1941, titolare in San Casciano di una storica farmacia fondata dal nonno e dal padre, non erano state lettere anonime o malevole voci di popolo ad allertare le forze dell’ordine, anzi, la persona in paese era benvoluta da tutti e, quando vennero alla luce i primi sospetti sul suo coinvolgimento nel presunto commercio dei feticci, nessuno ci voleva credere. Furono invece un'infelice coincidenza e soprattutto una penosa sventura che arrivava da lontano a far convergere su di lui i maggiori sospetti del superpoliziotto Michele Giuttari.
Liquidiamo subito la coincidenza. “Lo Zucconi Giulio Cesare aveva svolto la propria attività di ginecologo anche nell’ambulatorio di Piazza Pierozzi di S. Casciano di proprietà di Francesco Calamandrei”, si legge nella nota di Giuttari del 4 aprile 2007. Nella palazzina a due piani di proprietà della famiglia Calamandrei al piano terra c’era la farmacia, e una serie di locali attrezzati ad ambulatorio che il farmacista rendeva disponibili ai vari medici della zona per effettuarvi visite private. Tra di essi c’era anche Giulio Zucconi, che vi andava una volta al mese. Forse la semplice coincidenza di un farmacista che mette a disposizione una stanza per l’attività professionale di un ginecologo presunto mandante sarebbe stata, di per sé, non abbastanza per coinvolgere anch’egli nelle indagini. Ma Calamandrei aveva già un peccato originale che stava per presentargli il suo terribile conto.

Nascita di un pensiero folle. Si legge in una nota inviata dai carabinieri di Borgo Ognissanti alla procura, datata 21 settembre 1988:

Oggetto: indagini circa segnalazioni anche anonime concernenti i duplici omicidi ai danni di giovani coppie.
In data 28.6.1988, persona conosciuta da questo Nucleo, che ha chiesto di rimanere anonima, ha riferito di nutrire sospetti nei confronti di Calamandrei Francesco […] ritenendolo il possibile autore dei delitti in oggetto ed al riguardo esternava fatti ed episodi che suffragherebbero i suoi sospetti, tra i quali, oltre ad una serie di comportamenti ambigui, avrebbe notato che il Calamandrei, dopo l’ultimo omicidio avvenuto in S.Casciano V.P., aveva dei graffi al volto ed in altre parti del corpo. […] Detta persona riferiva altresì che il Calamandrei era o è in possesso di una pistola non denunciata, della quale se ne sarebbe disfatto gettandola in mare.
Stante ad una successiva informazione fornita dalla stessa persona il Calamandrei avrebbe dovuto possedere due pistole, all’apparenza molto simili, che avrebbe dovuto detenere nella casa al mare.
Questo Nucleo svolgeva i dovuti accertamenti e veniva a conoscenza che il sospettato non ha armi denunciate […] pertanto riteneva opportuno procedere a perquisizione domiciliare […] che dava esito negativo. […]
Sul conto del sospettato non sono emersi  elementi che suffragano i sospetti forniti, pertanto questo Nucleo non ritiene che possa essere considerato il possibile autore della serie dei duplici omicidi attribuiti al c.d. “mostro” di Firenze.
Il Calamandrei da qualche tempo vive separato dalla moglie Ciulli Mariella […]. È noto a questo Ufficio che la coppia suddetta attualmente sta vivendo il momento più difficile a causa del perfezionamento della loro separazione.

Certe volte è possibile individuare un evento all’origine delle disgrazie di qualcuno, e nel caso dello sfortunato farmacista lo è: aveva scelto la moglie sbagliata, una donna che portava dentro di sé il seme della follia. Come ben si comprende dalla lettura del verbale, la persona che nutriva sospetti verso di lui e che aveva chiesto di rimanere anonima era, infatti, proprio sua moglie.
Francesco Calamandrei e Mariella Ciulli si erano sposati nel 1969, e presto avevano messo al mondo due bambini, Francesca e Marco. Purtroppo nel loro matrimonio erano anche emersi gravi problemi, acuiti dalla fragilità di due condizioni psicologiche entrambe difficili. L’uomo era affetto da sindrome bipolare, quindi soggetto a forti oscillazioni dell’umore tra stati di esaltazione e stati di depressione; ma a covare i disturbi di gran lunga più importanti era la donna, un soggetto fragile e problematico fin dall’adolescenza. Di condizione benestante, certamente i genitori non le avevano fatto mancare nulla, ma non erano riusciti a comprenderla, provocando le sue reazioni esagerate, tra le quali lei stessa ricordava un periodo di anoressia e la finzione di forti dolori addominali che l’avevano condotta verso un’inutile appendicectomia. La ricerca inconscia di una nuova famiglia l’aveva poi indotta a sposarsi troppo presto, a 21 anni, e troppo in fretta, dopo appena pochi mesi di frequentazione con il futuro marito.
Nel 1985, in piena crisi coniugale, Mariella Ciulli si era presentata presso il Centro di Salute Mentale Infanzia-Adolescenza di Firenze per discutere dei disturbi comportamentali del figlio Marco, dopo una sollecitazione ricevuta dalla scuola. Il ragazzo venne poi preso in carico da apposito specialista, ma intanto erano emersi anche importanti problemi della madre – depressione, ansia, attacchi di panico – fronteggiati alla bisogna con qualche compressa di Tavor. Per questo la medesima struttura aveva organizzato per la donna un ciclo di colloqui psicoterapici che sarebbero andati avanti per qualche anno, senza però miglioramenti, anzi, con un progressivo aggravamento del disagio mentale.
Scorrendo il diario clinico tenuto dalla sua psicologa, Adima Ringressi, si ha modo di comprendere come Mariella Ciulli si fosse avviata verso un percorso purtroppo irreversibile di allontanamento dalla realtà, nel quale, a un certo punto, alla figura negativa del marito si saldarono le emozioni altrettanto negative per la vicenda del Mostro di Firenze. Si tenga presente che quelli erano gli anni del dopo Scopeti, quando ancora si temevano nuove feroci imprese del misterioso assassino, e tutti in città e in provincia ne erano angosciati. Al mese di maggio 1987, dopo un anno e mezzo di sedute, emersero i primi segnali di pensiero paranoide.

Il ripensare alla sua vita matrimoniale le fa focalizzare il pensiero sulle parti più cupe. Il suo dover sempre lottare per poter avere un po’ di amore, l’essere sempre stata sola nell’affrontare le difficoltà, l’avere la coscienza di non aver mai avuto accanto un uomo come lei sognava, tutto questo le fa apparire coloro che la circondano come nemici.
Consiglio alla sig.ra Ciulli di farsi aiutare farmacologicamente in questo momento così delicato e di rivolgersi pertanto ad uno psichiatra.

A novembre dello stesso anno entrò nei colloqui la figura del “mostro”.

In questo periodo si è venuta a creare una situazione estremamente critica. C’era stato un riavvicinamento da parte del marito ma nel contempo c’è stata una nuova grossa frustrazione per la signora Ciulli che riferisce di un interesse del marito per una sua amica. Questo ha fatto scatenare la sua rabbia che si è risolta in una violenta scenata cui ha fatto seguito una denuncia da parte di questa amica e del marito, che ha chiesto la separazione per colpa.
Nel parlare del marito la signora fa dei riferimenti ad una serie di pensieri che le affollano la mente. Dice che è come se, nel ripensare al passato, in lei affiorassero delle immagini che la turbavano, tanto che le era venuto il sospetto che il marito potesse entrarci qualcosa nelle vicende del mostro di Firenze.
Lei è molto angosciata ed io molto preoccupata.
Le dico che, probabilmente, tutto ciò che sta vivendo e che, ripensando alla sua vita, le è tornato alla mente, potrebbe aver procurato in lei un’immagine così negativa del marito da viverlo come un “mostro”. [...]
Le rinnovo il consiglio di rivolgersi ad un medico specialista e non solo al medico curante.

Nell’aprile del 1988 si svolse il processo contro Salvatore Vinci, con un prepotente ritorno dell’argomento “mostro” sugli organi di stampa. L’evento dovette costituire per Mariella Ciulli una ulteriore fonte di angosce, percepite anche dalla sua terapeuta che nel giugno scrisse queste frasi:

Compaiono sempre più massicciamente pensieri legati alle vicende del mostro. È molto interessata a tutto quello che viene scritto e si sente molto coinvolta in tutto ciò. Mi sembra che questo pensiero stia diventando un’ossessione.
Le cose che dice di ricordare sono francamente confuse, almeno per me. Non riesco bene a distinguere se sono cose lette o conosciute in altro modo – oppure una alterazione della percezione della realtà.

Come abbiamo visto, il 28 di quello stesso mese Mariella Ciulli andava dai carabinieri a raccontare i propri sospetti sul marito. Il perché sarebbe stata lei stessa a spiegarlo alla dottoressa Ringressi, come risulta dal diario clinico del gennaio 1989: “Mi ha riferito di aver avuto bisogno di andare a parlare alla SAM perché i pensieri che le assillavano la mente potessero essere valutati e sperando che le potessero togliere quell’idea fissa”. Un’idea fissa che purtroppo non se ne andò affatto, anzi, continuò a radicalizzarsi nella mente malata della donna, che tra l’altro rifiutava di assumere i farmaci indispensabili a una persona nel suo stato. Come risulta da una dichiarazione scritta rilasciata in seguito dalla responsabile della struttura, le venne diagnosticato il gravissimo disturbo di “psicosi schizoaffettiva di tipo depressivo”.
Prima di proseguire è bene che il lettore interessato si fermi un momento a riflettere. L’ipotesi sulla quale si sarebbe basata l’assunzione a prova delle farneticazioni di Mariella Ciulli in sede di futuro processo è quella di una donna inizialmente lucida – le cui accuse al marito erano quindi pienamente valide –, e che poi, proprio per lo scetticismo di chi non le aveva voluto credere, sarebbe andata fuori di testa. Se davvero fosse questo lo scenario corretto, ci si deve allora chiedere il perché, durante i primi due anni di terapia, la dottoressa Ringressi non sentì parlare di “mostro”, e come lei nessun altro. Possibile che nulla sarebbe emerso di un segreto così sconvolgente in una donna tanto fragile e per di più in grave contrasto con il marito? E ancora, il modo in cui l’argomento “mostro” iniziò a presentarsi durante i colloqui è del tutto incompatibile con la rivelazione progressiva di un segreto, mentre lo è totalmente con la nascita di un pensiero intrusivo nella psiche disturbata della donna (“Dice che è come se, nel ripensare al passato, in lei affiorassero delle immagini che la turbavano, tanto che le era venuto il sospetto che il marito potesse entrarci qualcosa nelle vicende del mostro di Firenze”). Infine non pare davvero possibile che il solo fatto di non essere stata creduta avesse potuto devastare in modo così importante la mente della poveretta, che invece doveva covare la malattia già dentro di sé.
Nel 1991 il caso di Mariella Ciulli fu preso in carico dal Centro di Igiene Mentale, una struttura dedicata agli adulti e senz’altro più idonea a fronteggiare la sua difficile situazione. Ma il peggioramento era ormai inarrestabile, nonostante l’impegno dei medici e della figlia Francesca, che dopo i primi contrasti si era resa conto della gravità della sua malattia e si era assunta l’onere di seguirla in modo costante.
Nel valutare gli eventi che stanno per essere qui riassunti, si tenga presente che Mariella Ciulli era lucidissima durante i propri racconti, tantoché i suoi interlocutori rimanevano sconcertati per il contrasto tra il loro contenuto inverosimile e la sicurezza con cui venivano riferiti. Affinché il lettore se ne faccia un’idea, giova precisare che al suo primo TSO – Trattamento Sanitario Obbligatorio, procedura riservata a chi risulta del tutto fuori di testa – i medici che ne disposero il ricovero descrissero la donna come “disponibile, cortese, collaborativa, lucida”.

Escalation di denunce. Dopo la prima segnalazione ai carabinieri nel 1988, Mariella Ciulli riferì dei propri sospetti in molte altre occasioni e non soltanto alle forze dell’ordine. Non è molto noto, ma nel luglio 1994 Rosario Bevacqua tentò senza fortuna di introdurre in dibattimento una testimone, Morella Sani, con la speranza che le sue dichiarazioni potessero scagionare Pacciani. La donna gli aveva fatto pervenire un memoriale nel quale raccontava fatti risalenti al 1988, quando, assieme al marito Paolo Caramelli, gestiva un bar situato nelle vicinanze del luogo del delitto di Signa, nel quale Mariella Ciulli era entrata più volte facendola partecipe dei propri angosciati pensieri. Eccone alcuni brani:

Nel corso del 1988 ho avuto modo di fare conoscenza con una signora, di cui successivamente ho raccolto le confidenze che mi ha fatto partecipe di un segreto che la angosciava; la stessa all’epoca era lucida, benché angosciata e disperata per il terribile segreto […]
La signora ricordava, a proposito del delitto del 1968, di essere stata sul luogo dello stesso e di aver corso durante la notte con un bambino in braccio; diverse volte portò mio marito sul luogo, per cercare di ricostruire tutta la vicenda, perché di quella sera rammentava soltanto di aver partecipato ad una seduta presso un (od una veggente), e sicuramente di essere stata sotto l’effetto di qualche medicinale o “intruglio” […]
La Ciulli rammentava anche che una sera il marito fu chiamato telefonicamente da una persona con la quale fissò un appuntamento in via del Moro a Firenze; un paio di giorni dopo apprese dai giornali che proprio quella sera in quella via una prostituta fu uccisa a coltellate. […]
La signora Ciulli disse di aver realizzato la terribile ed agghiacciante verità dopo il delitto del 1985; il marito rientrò in nottata graffiato al volto, e lei successivamente rinvenne presso la residenza familiare una maschera di carnevale (dei figli) in gomma od in lattice lacerata in alcuni punti, nonché una borsa di plastica macchiata di sangue, con dei guanti da chirurgo; successivamente la signora rinvenne nel freezer un fagotto (che il marito aveva sempre sostenuto contenere cibo per cani), che rivelò contenere una mammella femminile (qualcosa di spugnoso) e l’organo genitale femminile (sembrava, “con quei peli, un collo di pollo”).

Sembra evidente come Mariella Ciulli si fosse fatta suggestionare dai molti, troppi articoli che stava leggendo sulla vicenda – “È molto interessata a tutto quello che viene scritto e si sente molto coinvolta in tutto ciò”, si legge non a caso nel suo diario clinico – dove comparivano alcuni degli elementi che poi erano entrati a far parte dei suoi falsi ricordi. Molto probabilmente la fonte primaria delle sue farneticazioni era il libro Il Mostro di Firenze, di Mario Spezi, uscito nel 1983, nel quale si riscontrano moltissimi elementi presenti anche nelle sue dichiarazioni scritte. A titolo di esempio, ecco da dove arrivavano i guanti da chirurgo raccontati alla Sani: “[…] si copre le mani con i guanti sottili del chirurgo per non lasciare impronte”; il fagotto in freezer: “È il professore Garimeta Gentile […]. Ormai lo sanno tutti che a denunciarlo è stata la moglie che in un frigorifero ha trovato i terribili trofei del mostro”; la seduta dalla veggente: “[…] anche un magistrato che indaga sul Mostro di Firenze si rivolge a una veggente”.
Mariella Ciulli andava a cercare anche soggetti coinvolti in prima persona nella vicenda. Fu notata a Mercatale, ad esempio, dove si fece accompagnare a casa Pacciani, come attesta la seguente nota di questura del 16 ottobre 1992:

Noi sottoscritti Ass della P.S. DI GENOVA Callisto e Ag. SCIROCCHI Lidia in servizio presso la Squadra Mobile Sez. S.A.M. riferiamo che, nel corso di un consueto servizio di vigilanza eseguito in MERCATALE nei pressi dell'abitazione dell'indagato PACCIANI Pietro, alle ore 11.10, abbiamo notato giungere in paese CIULLI Mariella, in altri atti distinta, coniugata e separata con il farmacista di San Casciano V/P CALAMANDREI Francesco. La stessa entrava nel negozio di abbigliamento posto nei pressi dello sdrucciolo che consente l’accesso a casa PACCIANI e chiedeva alla titolare BANDINELLI Anna […] se poteva accompagnarla a trovare PACCIANI Angiolina poiché era una sua amica, che aveva conosciuto in Ospedale.
La BANDINELLI, meravigliata replicava che Angiolina non era mai stata in Ospedale e che forse la Ciulli si sbagliava con la figlia Rosanna. Tuttavia, considerate le insistenze della sconosciuta cliente (la CIULLI acquistava un giaccone) la negoziante acconsentiva ad accompagnarla per un breve tratto inoltrandosi nello sdrucciolo. L’accompagnamento era completato da un vicino di casa di PACCIANI, tale ROSANO, che abita proprio accanto al civico 28 di via Sonnino.
Si riferisce quanto sopra per opportuna conoscenza significando che CIULLI Mariella è uscita da casa PACCIANI alle ore 12.20. Si  sottolinea pure l‘espediente alquanto scaltro da lei usato vantando una amicizia di vecchia data con la moglie dell’indagato ed acquistando pure un indumento per indurre la BANDINELLI ad accompagnarla.

Ma fu soprattutto la figura di Renzo Rontini a diventare per Mariella Ciulli un interesse tanto continuo quanto morboso, con frequenti telefonate e anche visite, fino a indurre l'uomo ad avvertire le forze dell’ordine. Il 19 marzo 1991 Rontini chiamò la SAM affermando di aver ascoltato dalla viva voce della donna, recatasi qualche giorno prima a casa sua, un lungo racconto nel quale forse potevano cogliersi elementi di un certo interesse per le indagini. Quello stesso pomeriggio la donna si presentò in questura, dove venne invitata a mettere per iscritto i propri sospetti. E qualche giorno dopo tornò con un memoriale manoscritto di dieci pagine, nel quale raccontava tutte le sue peripezie di sposa e madre infelice, mischiandole con falsi ricordi legati alle vicende del Mostro. Leggiamone un frammento che riguarda il delitto di Signa:

Questa tizia mi telefona spesso tanto che mi decido ad incontrarla. Mi dice che è l‘amica del Piero Magi (ecco perché era lì alla Nazione senza invito) e mi parla di una “mamma” che toglie il malocchio, fa filtri d’amore. Sta a Signa. Ci andiamo ed è lì che Francesco incontra suo fratello. Persona ch’io intravedo soltanto (la casa era a Castelletti di Signa). Ci offre uno spuntino e dice a me di prendere una polverina bianca che mi servirà per rompere la fattura (il malocchio) che mi era stato fatto. Già poco dopo comincio a non star bene. Do la colpa al vino bevuto (io allora ero astemia). Con Francesco andiamo via, per la strada ci fermiamo in un viottolo a parlare. Ad un tratto si sentono degli spari. Ho paura dice che sono i cacciatori. Nel frattempo si avvicina all’auto un bambino; è piccolo, scalzo piange perché vuole andare a casa. Parla un italiano non chiaro. Lo prendo in braccio ci indica di andare verso un’auto che era poco più in là. Al di là di una siepe. Nell’auto non c’era nessuno: Francesco è andato a vedere. Decide di portarlo lui a casa. Lì vicino c’è una bici abbandonata. Monta su con il bambino e se ne va. Lo vedo attraversare un ponticino. Mi sento sempre peggio. Ho nausea, mi gira la testa. Mentre aspetto (e passa molto tempo prima che torni) passa un tizio strano indossa una mantella ed un cappello. Si avvicina alla nostra auto soffermandosi, poi prosegue e si ferma all‘altra. Dopo se ne va. Quando torna Francesco a piedi, gli racconto dell’uomo ed in più che mi era sembrato che nell’auto davanti ci fossero delle persone. Torna a vedere e non c’è nessuno. È un auto bella (non so perché ma mi ricordo che la cosa mi aveva stupito perché chi ne era sceso poco prima sembrava povera gente: quindi li avevo visti arrivare? Ce ne eravamo allontanati perché volevamo stare soli.
Con quelle persone c’era un bambino se questo fosse allora non era ancora buio!

È persino inutile evidenziare quanto poco si adatti il racconto della donna a quanto è noto del delitto di Signa, poiché è lampante come esso sia soltanto il frutto di una mente malata.
Nei mesi successivi Mariella Ciulli contattò molte altre volte la SAM, fino a diventare una presenza quasi fissa, come ci attesta questo passo del libro Un uomo abbastanza normale, di Ruggero Perugini:

«Dottore, ha visto chi è che sta piantonando la porta?» «No, chi è?»
«La moglie del mostro...» «Quale? quella dell'altra settimana?»
«No, no... la solita, quella che dice che sono tutti collusi con il marito tranne che lei...» «O Madonna santa! Falla parlare coll'ispettore...»
«Non posso... l'ispettore appena l'ha vista s'è squagliato... ha detto che doveva andare a finire l'accertamento di ieri e s'è portato appresso pure gli altri...» «Vigliacco disertore... vabbe', parlaci tu...»
«Niente da fare, le sto antipatica e con me non ci parla. Poi me l'ha detto subito che vuol parlare solo con lei che è l'unico che la capisce...» «E dille che devo andare all'estero, inventati qualche cosa...»
«Mi posso pure inventare che deve partire per la luna. Ha detto che di qua non si muove fino a che non ha parlato con lei. Ha detto che fa il sit in se lei non la riceve.» «Vabbe', falla passare. Però torna in ufficio e richiamami fra cinque minuti.»
Capita anche questo alla SAM. Per fortuna non è che il teatrino sia un fatto quotidiano da noi, però non è infrequente. E siccome sappiamo bene che i mitomani, a cacciarli in malo modo dalla porta, ti rientrano dalla finestra, ci è toccato studiare il modo di neutralizzarli con la massima educazione e il minimo danno. Altrimenti si mettono a scrivere lettere a tutti quanti, Santo Padre compreso, e ogni lettera diventa una formale richiesta di accertamento a cui rispondere, una perdita di tempo inutile. Inoltre niente vieta di pensare che dietro un racconto forsennato ci possa essere un fondo di verità o che l'assassino, travestendosi da mattacchione, si diverta, come ho detto, a stuzzicare. Un minimo di verifiche, perciò, vanno fatte comunque. È uno dei costi di questa indagine.

A dimostrazione che proprio di Mariella Ciulli il libro parlava si prenda quest’altro frammento: “Per non parlare delle Marielle, delle Marie, delle Margherite e di tutte le donne, fra i quindici e i settantacinque anni, il cui nome cominciava per M, che persero e ci fecero perdere il sonno con le loro continue telefonate”.
Il seguente frammento di una nota della SAM inviata al procuratore Vigna a fine 1994 riassume il via vai della donna successivo alla presentazione del suo memoriale di dieci pagine:

In data 11.04.1991 la Ciulli si ripresentava alla SAM per integrare le sue precedenti dichiarazioni ed esternava rammarico per quella che considerava inerzia da parte della P.G. e della A.G. in ordine alle accuse da lei mosse nei confronti del marito.
Pertanto la Ciulli veniva sentita a verbale dalla S.V. il 16 aprile 1991 alle ore 16.45. Emergeva con tutta evidenza la inattendibilità della teste, nonché la incrollabile volontà di nuocere al Calamandrei in quanto la stessa sosteneva di essersi nuovamente recata con lui sul luogo del delitto il pomeriggio seguente all’omicidio del 1968 e di aver preso una coperta da dentro l’auto degli uccisi mentre il Calamandrei aveva preso un beauty-case. La S.V. contestava alla Ciulli che ciò non poteva essere vero perché dagli atti processuali risultava che l’auto era stata rimossa e posta sotto sequestro presso la Compagnia di Signa alle ore 9.30 del giorno 22.8.1968, poche ore dopo il delitto, avvenuto nella notte precedente. Dal momento in cui furono rinvenuti i cadaveri del Lo Bianco e della Locci l’auto fu piantonata dai CC fino alla rimozione. La Ciulli prese atto della contestazione, si dichiarò sollevata nella coscienza e disse che l’auto da lei vista quel pomeriggio era sicuramente un’altra vettura.

Mariella Ciulli non si perse d’animo neppure di fronte all’evidenza dei fatti che lo stesso procuratore capo le aveva illustrato, e continuò con il suo via vai alla SAM.

Non contenta della deposizione di cui sopra, il giorno seguente, 17.4.1991, la Ciulli denunciava che il marito poteva aver occultato una pistola in un soppalco di casa sua per cui, su delega del PM, SAM e ROS si recavano nella sua abitazione fiorentina dove procedevano ad una accurata ispezione con esito negativo.
In ultimo la Ciulli contattò la SAM in data 26 aprile 1991 coinvolgendo nelle sue farneticanti dichiarazioni anche il giornalista Mario Spezi che, a suo dire, avrebbe custodito per alcuni mesi una pistola affidatagli dalla Ciulli (che l’aveva sottratta al marito). Secondo la donna questi se ne era impossessato prelevandola dalla macchina del Lo Bianco.

Come si vede, nelle farneticazioni della donna che era rimasta così colpita dal libro Il Mostro di Firenze a un certo punto entrò anche il suo autore.

Il coinvolgimento di Vigna. Infine, per completare lo scenario di quel terribile 1991, vale la pena esaminare un episodio risalente al 22 dicembre, così raccontato in un’annotazione di servizio dei carabinieri: 

Il 22 corrente alle ore 20.00 circa, lo scrivente, Cap. P. SCRICCIA veniva avvertito telefonicamente dal comandante della Compagnia Carabinieri Firenze-Oltrarno che, poco prima, il parroco della parrocchia di S. Jacopo, in Fraz. Sambuca di San Casciano Val di Pesa, aveva riferito al comandante della Stazione Carabinieri di Tavarnelle Val di Pesa, di aver appreso, in una situazione assimilabile alla confessione, dell'imminenza di un omicidio ad opera del c.d. “mostro” di Firenze.
Lo scrivente, dopo aver allertato i servizi esterni e la S.A.M, unitamente al M.llo FRILLICI Pietro si portava presso la Stazione Carabinieri di Tavarnelle Val di Pesa per aver un colloquio con il religioso al fine di meglio chiarire il contenuto delle notizie che questi aveva appreso.
Il parroco, Don Attilio BELLADELLI, nato a Vagnolo San Vito (MN) 1'8.12.1937, residente a Sambuca, via Senese nr. 36, riferiva agli scriventi uff.li di p.g. che intorno alle ore 14.00 si era presentata da lui una donna, mai vista in precedenza, condotta dalla cognata di costei.
La donna, che appariva al religioso in uno stato di agitazione, riferiva che:
- alla mezzanotte del giorno del 22 corrente si sarebbe verificato un omicidio in danno di una coppia di giovani appartati in località Madonna del Sasso, nel comune di Pontassieve;
- i due giovani sarebbero stati oggetto di verifiche precedenti riguardo alle loro abitudini ed ai loro spostamenti;
- i responsabili della serie omicidaria si identificavano in un gruppo di persone, tra cui anche il marito della donna, fatto che la rendeva altrettanto agitata, anche perché, a suo dire, dopo il duplice omicidio sarebbe stata lei un’ulteriore vittima della organizzazione;
- già in precedenza aveva riferito ad una Autorità (A.G. o Forze dell’Ordine) le sue conoscenze in merito alle vicende, ma non le era stato dato credito;
- nella organizzazione sarebbe inserita, in posizione di spicco, persona che svolge funzioni importanti nelle indagini sul “mostro”;
- di essersi messa a riferire questo in sua conoscenza, in quanto temeva che della serie omicidaria sarebbe stata incolpata persona innocente.
Gli scriventi, sentito quanto riferito dal religioso, chiedevano allo stesso di recarsi dalla donna per convincerla a presentarsi ai Carabinieri o, quanto meno, mettersi in contatto telefonico per fornire ulteriori più precise notizie.
Va soggiunto, inoltre, che gli scriventi, mentre il religioso riferiva le notizie apprese si rendevano conto che queste non possedevano molta credibilità e ritenevano che si trattasse di persona già nota per precedenti, analoghe iniziative.
Dopo qualche tempo, il religioso faceva ritorno in caserma, riferendo che la donna non intendeva presentarsi dai Carabinieri, ma aggiungeva altri particolari sulla vicenda:
- alle ore 23.00 uno dei componenti dell'organizzazione sarebbe stato ucciso ad opera degli altri membri per un rifiuto opposto alla decisione di procedere ad un ulteriore duplice omicidio;
- tra i membri del gruppo vi sarebbe stato anche il figlio, indotto a tale attività dal padre, sotto l’influsso di sostanze stupefacenti;
- tra le persone citate quali responsabili dei fatti riconducibili al “mostro” vi sarebbe stato anche il Procuratore della Repubblica;
A questo punto la narrazione appariva sicuramente il frutto di una persona in stato di alterazione psichica e veniva avvalorato il. convincimento che potesse trattarsi di persona nota all'ufficio.
Infatti il religioso, dopo il suo allontanamento dalla caserma per conferire con la donna, veniva notato entrare nella abitazione di CIULLI Pietro, nato a Firenze il 30.07.1946, residente a San Casciano Val di Pesa, Frazione Sambuca via B. Cellini nr. 56, industriale, fratello di CIULLI Mariella, nata a Firenze il 13.02.1948, ivi residente, via San Niccolò nr. 82, già nota all'A.G. in quanto non nuova ad analoghi episodi non ultimo essersi presentata spontaneamente nel marzo scorso alla P.G. per essere successivamente, il 16.4.1991, assunta a verbale.
Non appena ricevute le notizie del religioso, comunque veniva allertata l’Arma di Pontassieve che provvedeva a svolgere adeguati servizi di vigilanza nella zona indicata, con il concorso di altro personale del Gruppo di. Firenze.

Il Procuratore della Repubblica era Piero Luigi Vigna, della cui moglie Mariella Ciulli era stata buona amica, con frequentazioni reciproche dei rispettivi figli. Nell’ambito delle successive indagini sulla pista esoterica, il 5 luglio 2005 Don Belladelli venne sentito dal PM, al quale manifestò lo sconcerto da cui era stato preso all’epoca di fronte all’apparente lucidità della donna:

[…] il racconto della Ciulli era molto preciso e perentorio, nel racconto non c’era nessuna componente che denotasse in sé un qualche squilibrio. In altri termini, la donna parlava come un’agitata, ma con la testa a posto. In particolare, non cadde mai in una qualche contraddizione, da farmi sospettare che la cosa fosse inventata, magari per darsi importanza, o comunque che lei fosse fuori di testa. Il fatto che la donna parlasse di un evento di quella stessa notte e il realismo con cui parlava, mi indussero a cercare un contatto immediato con le Forze dell’Ordine, cosicché contattai telefonicamente il maresciallo Tagliaferri, che la conosceva bene.

Soltanto dopo aver parlato con gli agenti il parroco si rese conto di aver avuto a che fare con una donna malata, ma quasi non ci voleva credere.

Uno dei Carabinieri, sentendo che questa donna si agitava molto, mi chiese nel dettaglio che tipo di movimenti costei faceva: a seguito delle indicazioni che io detti mi fu detto che in effetti si trattava di persona che loro conoscevano, perché aveva già fatto a loro questo tipo di rivelazioni. Devo dire con sincerità che fu solo in quel momento e a seguito di questa affermazione, che mi venne il sospetto che la donna potesse essere una persona con dei problemi mentali e che quindi parlava per esibizionismo o millanteria. […]
Essendo i fatti tanto gravi era meglio secondo i CC svolgere gli opportuni accertamenti in merito, io, per parte mia, tornai in parrocchia talmente colpito dalla cosa che mi raccolsi in preghiera, andando addirittura in chiesa, che riaprii per questo specifico scopo. Seguii con apprensione le cronache giornalistiche del giorno dopo, rimanendo rinfrancato dall'assenza di qualsiasi riferimento al racconto fatto dalla Ciulli. Ricordo che addirittura aprii il televisore alle sei della mattina, per seguire i primi annunci di cronaca.

Il farmacista. Come già il lettore può immaginarsi, nel 1998 la situazione mentale di Mariella Ciulli aveva raggiunto punte di gravità estrema. A complicare la sua travagliata esistenza si erano aggiunti i problemi del figlio Marco, che nel dicembre del 1987 era entrato in contatto con il mondo dell’eroina (il 4 marzo 2008 sarebbe morto per overdose sulle mura di Grosseto). La povera donna viveva ancora da sola a Firenze, seguita dalla figlia, ma era soggetta a sempre più frequenti TSO (dal 2000, dopo l’incendio del proprio appartamento, fu ricoverata in modo permanente, e dal 2002 interdetta). Anche l’ex marito non stava bene, sempre preda di gravi angosce e tormenti a causa della sua sindrome bipolare e conseguente abuso di farmaci che certo a lui non mancavano. Questo era il tragico quadro familiare in cui a un certo punto, senza alcun riguardo e senza alcuna cautela, irruppero le ancora acerbe indagini della pista esoterica.
In una lettera inviata da Giuttari a Canessa il 10 giugno 1998 si legge:

In riferimento al procedimento penale in oggetto si trasmette il verbale di assunzione di informazioni rese da Rontini Renzo in data 06 maggio u.s.
In merito si precisa che nel predetto verbale il Rontini riferisce che la moglie del Dott. Calamandrei, farmacista di San Casciano, lo contattò telefonicamente più volte nel 1990 per riferirgli circostanze che avrebbero visto lo stesso medico coinvolto nei delitti del c.d. Mostro di Firenze.
L’anno seguente fu lo stesso Dott. Calamandrei a recarsi a casa di Rontini per esternargli la sua totale estraneità ai fatti per i quali la moglie lo accusava. Lo invitò insistentemente anche ad andarlo a trovare, cosa che Rontini fece più volte senza mai trovarlo.
A seguito di questa serie di contraddizioni, supportate anche dal fatto che il medico in questione fu uno dei primi al quale Mario Vanni scrisse durante la sua detenzione ed al fine di chiarire l’episodio esposto da Rontini, si chiede alla S.V. di voler delegare questo ufficio ad assumere informazioni dal Dott. Calamandrei […] valutando l’opportunità di autorizzare altresì l’esecuzione di perquisizione domiciliare volta a rinvenire cose utili e/o pertinenti alle indagini in corso.

Come abbiamo visto, che Rontini e Ciulli avessero avuto dei contatti era ben noto alle forze dell’ordine, Rontini stesso lo aveva denunciato; che cosa c’era quindi di nuovo su Calamandrei tale addirittura da giustificare la richiesta di una perquisizione domiciliare? Il documento accenna a una “serie di contraddizioni” che sarebbero emerse dalla recente audizione di Rontini, che però sembrerebbero limitarsi al contrasto tra l’insistenza di Calamandrei affinché Rontini lo andasse a trovare e il fatto che questi vi fosse poi andato senza rintracciarlo. Si legge nel verbale:
 
Giunto alla farmacia parlai con la commessa lì presente, la quale mi disse che il Calamandrei non era al momento presente in farmacia, ma sarebbe arrivato di lì a poco. Aspettai ancora altro tempo, ma ritornato per più volte la commessa mi disse che il Calamandrei non si era visto ed allora me ne andai.
Dopo qualche tempo ritornai alla sua farmacia di S.Casciano ed anche questa volta incontrai la commessa che mi riferì che il Calamandrei non era al momento in negozio, ma era lì nei pressi, per cui a breve sarebbe sicuramente arrivato. Aspettai per qualche ora ma, anche in questo caso il dottore non si fece vivo, per cui me ne andai senza averlo visto.
Aggiungo, ma non ne sono certo, di essermi recato alla farmacia del Calamandrei anche una terza volta, ma neanche in quest’ultima occasione ebbi modo di incontrarlo.
A.d.r. Non ho altro da dire.

Secondo Giuttari il non farsi trovare di Calamandrei sarebbe stato dunque sospetto. Ma di che cosa poteva aver avuto paura il farmacista se in precedenza era andato lui stesso da Rontini per respingere le farneticanti accuse della moglie? Alle quali peraltro il fin troppo coinvolto – nelle indagini – genitore di una delle vittime non aveva mai creduto, se è vero come è vero che non risulta una sua particolare pressione affinché venissero approfondite. Evidentemente in quelle due o tre occasioni Calamandrei, che magari si trovava nella fase depressiva della sua sindrome, non se l’era sentita di affrontare un colloquio che di sicuro non si preannunciava troppo piacevole. Del resto il suo invito doveva essere stato più un pro-forma che altro, come spesso succede.
C’è però un ulteriore elemento messo sul piatto da Giuttari: una lettera che Vanni aveva scritto a Calamandrei dal carcere, una delle tante lamentazioni inviate dal pover’uomo a mezza San Casciano nei primi mesi della sua detenzione. Leggiamola, compresi gli errori di ortografia:

Carissimo Farmacia Calandrei gli scrivo questa lettera per farli sapere che stò male in 9 mesi non mi è riuscito di telefonare alla moglie Luisa che schifo cari farmacisti che vergogna è questa non ne posso più di stare in galera non ho fatto nulla è una vergogna questa e chiedo la Nazione e non la portano da 10 giorni che sistema è questo… Mi ha detto il mio avvocato di Firenze che fino al processo non mi mandano a casa il signor giudice Vigna e Canessa insomma siamo a un bel punto ha detto l’avvocato Pepi Gianpiero che stia tranquillo e beato ci vuole pazienza insomma.
Quando tornerò a casa faremo un bel (carteggio ???) se lo permette il Maresciallo perché io sono innocente non ho fatto nulla di male e vi faccio tanti saluti a Francesca e signorina farmacista
Arrivederci a presto tanti saluti Vanni Mario

A chi scrive pare davvero incredibile, ma queste disperate e toccanti parole fossero state interpretate come indizio di un rapporto mandante-esecutore tra Calamandrei e Vanni! Sempre a parere di chi scrive, a una valutazione più serena si sarebbero invece dovute considerare come la più evidente dimostrazione della non esistenza di questo rapporto, altrimenti giammai Vanni avrebbe scritto una lettera di tal tenore. Semplicemente, quando ancora faceva il postino, ogni tanto la farmacia Calamandrei gli chiedeva il favore di consegnare dei farmaci a persone che non erano in grado di muoversi, quindi si era creato un rapporto non tanto con il titolare quanto con la stessa farmacia e i suoi dipendenti, ai quali, infatti, il pover'uomo si rivolgeva: “Carissimo Farmacia Calandrei”, “cari farmacisti”, “vi faccio tanti saluti”.
In realtà quel che più interessava i nostri investigatori erano le farneticanti accuse di Mariella Ciulli opportunamente riesumate, per avvalorare le quali, come già si è detto, si sarebbe cercato di far partire la sua malattia in un punto successivo al loro inizio, con aspri scontri in sede processuale. Al momento quel che serviva era un pretesto per riaprire il vecchio faldone, per il quale non fu trovato di meglio che tirare in ballo Rontini e la lettera di Vanni. Ma bastò, poiché le autorizzazioni necessarie furono prontamente concesse.
Il 7 luglio si procedette sia a interrogare Calamandrei sia a perquisire la sua casa di San Casciano, con un bottino però molto, molto misero. Tra gli oggetti sequestrati – quadri, agende, libri, giornali – il più intrigante fu ritenuto “Diva satanica”, una rivista così descritta nella nota GIDES del 2 marzo 2005:

Al suo interno (risultavano mancanti, siccome strappate, le pagg. 9 e 10, il cui contenuto quindi si ignorava) c’erano racconti di satanismo sessuale del tipo “Streghe, passione e crudeltà – I trionfi della Luna nera” (pag.20), “I circoli satanici del libertinaggio” (pag.46), “Il sangue e la Rosa” (pag.56), nonché foto e fumetti di tortura, anche estrema, nei confronti della donna. In pratica, quei contenuti denotavano uno specifico interesse di un particolare tipo di lettore amante dei significati esoterici e di scene di violenta perversione sessuale che sembrava compatibile con la personalità perversa dei presunti mandanti degli omicidi.

Ma l’opera che aveva così allarmato Giuttari altro non era che un libro di “studio, ricerca e documentazione sull'erotismo satanico”, come esso stesso si definisce, edito da Glittering Images e facente parte di una celebre collana specifica (altri eloquenti titoli: “Diva desiderio”, “Diva fetish”, “Diva puttana”, “Diva bizzarre”).


All’interno non racconti, ma saggi di storia dell’erotismo in triplice lingua (italiano, inglese, francese), con magnifiche immagini di genere tratte da fumetti, soprattutto, ma anche da film, fotoromanzi, quadri e illustrazioni d’autore. Un salto in libreria avrebbe potuto facilmente procurare una copia integra – la seconda edizione riveduta e corretta risaliva a due anni prima – risolvendo così il mistero delle pagine mancanti. Per la cronaca, la pagina 9 riporta la fine della traduzione inglese di un saggio sulle figure sataniche femminili nella storia (Eva, la prima tentatrice, Lilith, demone femminile di origine mesopotamica, Salomè, celebre personaggio del Vangelo di Marco), la 10 l’inizio di un saggio sulle antiche feste orgiastiche, intitolato “Le Baccanti delle selve – Orge per Priapo e Dioniso”. Certamente un’opera per un pubblico adulto, cui, a suo dire, Calamandrei sarebbe stato interessato in qualità di pittore, per ricopiarne alcune immagini – e il foglio strappato, sul quale ce n’erano quattro, gli darebbe ragione – ma che in ogni caso ritenere compatibile con le perversioni dei presunti mandanti dei delitti del Mostro pare davvero un’eresia. Anzi, va tenuto presente che Calamandrei, da persona istruita e benestante qual era, teneva in casa una biblioteca di qualche migliaio di volumi, quindi il fatto che Diva satanica fosse stato ritenuto l’unico compromettente per i suoi supposti contenuti esoterici dimostra soltanto il suo totale disinteresse per il tema.
A mettere ancor più in cattiva luce il povero cristo fu il rinvenimento di “varia documentazione cartacea (agende, appunti, riflessioni…), che sembrava attestare una forma di depressione acuta e di crisi di paura di cui il Calamandrei probabilmente doveva essere affetto”. In seguito le frasi disperate scritte da Calamandrei furono oggetto di analisi da parte di un ufficiale di polizia, con relativa nota inviata a Giuttari, alcune delle quali qui si riportano a titolo di esempio:

Ora vedo la vita tinta di nero. Vorrei essere in un altro pianeta. […] Non voglio essere uno zombi. Perché non riesco a esprimere quello che sento! Perché ho come un presentimento che succederà qualche cosa ma non so che cosa?[…]
Intontimento. Intontimento è un termine che non conoscevo prima d’ora. Come posso fare per passare il tempo? Sono invalido. Non si può vivere come vivo io. […]
Che ne farò della mia ultima parte della mia vita? Ora devo guarire. E poi? In questo momento non so chi sono, che cosa ho fatto, che cosa farò. Il fallimento di una vita sono io: questa è la verità.

Che l’uomo avesse sofferto di gravi problemi dell’umore non era però un segreto – del resto migliaia e migliaia di altri italiani gli facevano buona compagnia. In più con una ex moglie schizofrenica che lo accusava di essere un assassino e un figlio caduto nel tunnel della droga, la depressione di Francesco Calamandrei si poteva anche comprendere, ma per i nostri investigatori, evidentemente poco inclini a valutare situazioni psicologiche, anch’essa sarebbe stata un motivo di compatibilità con i mandanti degli omicidi del Mostro!
Infine l’interrogatorio, nel quale Calamandrei ammise d’essere stato amico d’infanzia di Giulio Zucconi e di avergli concesso l’utilizzo di un ambulatorio medico annesso alla propria farmacia. Coincidenze che i nostri investigatori ritennero molto significative, poiché, ai loro occhi, il rapporto tra i due rafforzava la sospettosità di entrambi.
Per quanto risulta a chi scrive, cominciava a delinearsi qui l’ipotesi dei “mandanti gaudenti” di San Casciano, asse portante del futuro processo che sarebbe stato intentato contro Calamandrei. Ma questa è storia successiva, poiché al momento Giuttari dovette fermarsi: il 20 agosto 1998 gli furono comunicati dal Ministero dell’Interno una promozione a vicequestore vicario e un trasferimento presso altra questura. Quindi niente più indagini sui mandanti dei delitti del Mostro.

sabato 23 febbraio 2019

La vedova del dottor Jekyll

Con l’articolo La madre di tutte le sette avevamo ipotizzato il probabile ruolo primario di Gabriella Pasquali Carlizzi nel fornire a Michele Giuttari lo spunto per la partenza della pista esoterica. Si può senz'altro scommettere a occhi chiusi –  ma il verbale non è nella disponibilità di chi scrive – che nel loro incontro del 17 maggio 1996 la donna avesse espresso la propria teoria su una complessa organizzazione della quale Pacciani e compagni avrebbero costituito il livello più basso, quello di una manovalanza pagata per procurare i “feticci” da utilizzare in qualche cerimonia esoterica. Difficile pensare però che Giuttari avesse preso sul serio l’intera teoria, mentre l’idea di Pacciani pagato da un perverso committente, eventualmente protetto da personaggi altolocati, gli dovette sembrare senz’altro più ragionevole. E in effetti le sue prime indagini andarono proprio in quella direzione, in accordo peraltro con il “dottore” di Lotti, la cui tardiva comparsa sa tanto di un aiuto che il presunto pentito – nonostante i molti scettici, un vero furbacchione nel capire le proprie convenienze – badò bene di offrirgli su un piatto d'argento.

La moglie del ginecologo. A quanto risulta dalla documentazione fino a oggi emersa, il primo scenario sul quale si appuntarono le attenzioni di Giuttari fu quello di un ginecologo, maniaco per interposta persona, che per sviare le indagini poté godere della protezione della propria potente famiglia. È quanto si deduce dalla lettura della parte finale di Compagni di sangue (maggio 1998), libro scritto a quattro mani assieme al noto giallista e intrattenitore televisivo Carlo Lucarelli, dove, giocando tra realtà e immaginazione e, a parere di chi scrive, lasciandosi prendere fin troppo la mano, i due autori tracciarono un possibile sviluppo delle indagini sui mandanti (a testimoniare la fluidità delle ipotesi sul tavolo, esaminarono anche una pista del tutto differente, quella di un pittore svizzero fuggito all’estero, ne tratteremo più avanti). Dopo aver elencato una serie di strani eventi, a loro giudizio indicativi della presenza nella vicenda di un personaggio che operava dietro le quinte, ben più raffinato di Pacciani e complici, gli autori si concentrarono sulla misteriosa signora che un paio d’anni prima aveva trascorso una notte in casa di Angiolina Manni, moglie di Pacciani, vicenda che vale la pena riassumere.
Lunedì 22 gennaio 1996, attorno alle 12.30, fu vista a Mercatale una signora bionda – probabilmente non naturale, poiché venne notata una ricrescita di capelli di altro colore – di circa settant’anni, avvolta in una lunga pelliccia. Riempite due borse di generi alimentari in un supermercato locale e chieste indicazioni a una persona incontrata per strada, la signora andò a bussare alla porta di Angiolina. Solitamente la burbera donna non permetteva ad alcuno di entrare, ma la sconosciuta le disse di essere stata mandata da una figlia per portarle la spesa, e con questo espediente riuscì a farsi aprire. Attorno alle 5 del pomeriggio la signora andò in farmacia a chiedere un tranquillante (Tavor), che però non le fu consegnato necessitando di ricetta. Per nulla scoraggiata, si recò allora in un vicino ambulatorio medico dove ottenne la ricetta e con quella in mano poté finalmente acquistare il medicinale voluto. Più tardi fu vista passeggiare per strada assieme alla Manni, in casa della quale trascorse la notte per poi prendere l’autobus alla mattina e sparire nel nulla.
Verso le 11 Angiolina uscì e si mise a gironzolare per le strade del paese con andatura un po’ barcollante, fino a quando non cadde battendo la faccia sul selciato procurandosi qualche leggera ferita. Nel mentre veniva soccorsa fu sentita lamentarsi di essere stata derubata di 200 mila lire dalla signora che aveva dormito da lei. Per precauzione fu ricoverata in ospedale per qualche giorno, dove le venne riscontrato un leggero stato confusionale ma nessun segno di violenza, se non le ferite provocate dalla caduta.
Naturalmente furono subito avvertiti i carabinieri, che effettuarono un sopralluogo nell’abitazione della Manni trovando gli ambienti in ordine, eccettuato entrambe le piazze del letto nella camera matrimoniale disfatte, come se vi avessero dormito due persone. Su un guanciale vennero trovate delle macchioline di sangue e una formazione pilifera, risultate da successivi esami del medesimo gruppo sanguigno di Angiolina.
Sul mobile specchiera posto nella stessa camera venne repertato un bicchiere con tracce di liquido, che, successivamente sottoposto ad analisi tossicologica, risultò contenere il principio attivo del Tavor, sostanza ritrovata anche nel sangue della Manni in una concentrazione, secondo il consulente tecnico del PM, “decisamente superiore a una dose terapeutica”, la qual cosa ben spiegava lo stato confusionale della donna riscontrato all’atto del suo ricovero.
In una ispezione di qualche giorno dopo, nel tratto di cortile che portava all‘abitazione della Manni, venne rinvenuto uno scontrino di prenotazione presso l‘ufficio informazioni della stazione di Santa Maria Novella, datato allo stesso giorno dell’arrivo della signora bionda, sul quale, con scrittura malferma, erano annotate a penna le parole “mercata val di pesa”. Da successivi accertamenti risultò che lo stesso era stato emesso fra le ore 11 e le ore 11:45, e che quel giorno e in quell’orario era arrivato nella predetta stazione un unico treno proveniente da Venezia, la qual cosa ben si accordava con l’accento della visitatrice, definito veneto da due testimoni (per un terzo era però lombardo).
Tutti gli indizi portavano a pensare che la signora avesse fatto prendere ad Angiolina una forte dose di Tavor, potendo così disporre di tutta la notte per muoversi con comodo in casa sua. A quale scopo? Certamente il suo obiettivo primario non potevano essere state le 200 mila lire, sempreché davvero le avesse prese lei. Sentiamo che cosa ne pensavano Lucarelli e Giuttari.

Se questi atti non fossero veri e, invece, fossero episodi di un romanzo giallo, la “donna misteriosa” sarebbe, allora, la moglie del medico, o l'amica, l'amante, una che sa e condivide, una che lo protegge. La moglie di un medico molto ricco, con gravi problemi sessuali. Un medico specializzato, magari in ginecologia come a suo tempo vociferava l'opinione pubblica.
Qui le deduzioni investigative si fermano e cedono il passo alla fantasia. Ma se fosse davvero un romanzo giallo, quello dei “Mostri di Firenze” sarebbe un romanzo con due protagonisti. Una sorta di “Dottor Jekyll e Mister Hyde” non fusi nella stessa persona, ma divisi in due persone distinte.
Da una parte, il Dottor Jekyll, un persona colta, facoltosa, potente. Il raffinato esponente di una famiglia d'élite che di giorno compie una vita normale. È un medico, il nostro Jekyll, che dedica gran parte della sua vita al suo lavoro. Il suo reparto in ospedale, le visite in clinica, gli esami al laboratorio. Un lavoro che lo porta a contatto con la fonte stessa della vita: la nascita. Il nostro dottor Jekyll è uno stimato ginecologo che di giorno, nel vero senso della parola, dà la vita.
Ma di notte, la notte del cuore, della metà oscura dell’anima, il nostro dottore è diverso. Pur essendo un uomo colto, di grande successo professionale, un uomo ricco, stimato e potente, il nostro dottore è infelice. È malinconico. È triste. È malato. Non riesce a raggiungere, né ha mai raggiunto, la soddisfazione sessuale. Si è sposato ma il matrimonio non funziona. Forse non riesce a confessare neppure a se stesso le proprie tendenze, quello che nasconde nel cuore e che lo spinge a fantasticare in modo inconfessabile. E irrealizzabile, perché il nostro dottore non ha il coraggio di far emergere quell’altro, il mister Hyde che sta nascosto in lui.
Poi, però, lo incontra.
Mister Hyde è un rozzo contadino che vive quasi esclusivamente nella brutalità fisica della materia. È l'esatto contrario di lui: incolto, diretto, violento. Distruttivo. Uno che ha a che fare in maniera istintiva e piena col lato oscuro delle cose. Con la morte.

Secondo l’ipotesi formulata dal libro la misteriosa signora bionda sarebbe stata quindi la moglie di uno stimato ginecologo, afflitto da gravi problemi sessuali, che un giorno aveva incontrato il proprio mister Hyde in una figura reale, Pietro Pacciani. Evidentemente la donna sarebbe andata a casa del contadino per far sparire – nonostante le certosine perquisizioni dell’era Perugini – eventuali prove rimaste dell’imbarazzante rapporto, così descritto da Lucarelli e Giuttari:

Gli stessi interessi sessuali, le stesse perversioni, lo stesso sadismo e la stessa attrazione per il sangue e per la morte. Due lupi che si incontrano. Il dottor Jekyll che incontra il suo mister Hyde.
Quello che nasce è un legame strettissimo. Mister Hyde subisce il fascino dell'uomo colto e raffinato, il dottor Jekyll quello dell'essere primordiale che vorrebbe diventare. Hyde, avido e avaro, legatissimo ai soldi, vede nel dottore l'uomo che può soddisfare i suoi bisogni materiali. Jekyll, debole e distante, vede in lui la stessa cosa. Soddisfare il bisogno di una brutalità che esca allo scoperto proprio nel momento in cui sta per avere origine la vita. Colpire e straziare le coppie nel momento dell'amore, mutilare la donna proprio in quei simboli di vita, di felicità e di piacere che a lui, al dottor Jekyll, sono negati.
Si crea un rapporto mandante-esecutore che si rovescia continuamente, che gira, come un vortice. Un rapporto piramidale, che si struttura in vari livelli e che coinvolge anche altre figure. Una struttura rara, insolita, ma tutto sommato non inedita, anche se non ancora studiata per gli omicidi in serie. È la stessa, per esempio, che domina gran parte del mondo della pedofilia: ricchi pervertiti che pagano sporchi mezzani che pagano brutali pervertiti per abusare di un bambino.
Ma gli altri, gli aiutanti che vedono il dottore, che ne sentono parlare, non lo conoscono. Non lo frequentano. Dottor Jekyll e Mister Hyde sono soltanto loro, il ginecologo e il contadino.
Questa è la storia, una storia vera, basata su fatti realmente accaduti, con un finale fantasioso. Anche se spesso la realtà supera la fantasia e i finali fantastici si rivelano più limitati e meno inquietanti di quelli reali. E forse un giorno si scoprirà che il medico e il contadino, il dottor Jekyll e il mister Hyde di questa strana storia di realtà e fantasia corrispondono davvero alla verità delle cose.
Anche se non sarà facile. All'epoca dell'ultimo processo il nostro dottor Jekyll potrebbe essere già morto e non c'è nulla come una pietra tombale per seppellire definitivamente ogni epilogo.

Anche se la prosa è certamente di Lucarelli, non c’è motivo di dubitare che Giuttari l’avesse condivisa, mancando nel libro ogni avvertenza contraria. La qual cosa appare eticamente censurabile per un investigatore impegnato sul campo proprio su quel tema, e dimostra come la troppa fantasia, sollecitata e alimentata dalle malignità della gente, possa comportare conseguenze nefaste su un’indagine giudiziaria, poiché il dottor Jekyll del libro era una persona reale, già deceduta da quasi dieci anni, i cui familiari subirono notevoli disagi causa meri sospetti originati da dicerie e lettere anonime. Accenni alla sua esistenza se ne erano già sentiti qualche mese prima dell’uscita del libro, appena morto Pacciani, quando i giornali avevano pubblicato delle eloquenti dichiarazioni in merito da parte di Aldo Colao, pronunciate durante l’arringa al processo contro Vanni e Lotti. Da “Repubblica” del 25 febbraio 1998:

Ma dimenticare Pacciani non sarà facile per nessuno. La sua figura continua a dominare il processo ai suoi scoloriti “compagni di merende”, mentre si è scatenata la caccia al medico presunto “committente” dei delitti. “So chi è”, ha detto ieri in aula uno degli avvocati di parte civile, Aldo Colao. Era un ginecologo, sostiene. È morto da anni. Ma una sua familiare - afferma - è la responsabile di una misteriosa aggressione subita il 22 gennaio 1996 dalla moglie di Pacciani, Angiolina.

Con tono maggiormente dubitativo, scriveva il “Corriere della Sera” nel medesimo giorno:

Ieri uno degli avvocati di parte civile, Aldo Colao, ha detto che il misterioso medico-mandante tirato in ballo dal supertestimone Giancarlo Lotti, potrebbe essere un ginecologo, morto da anni, che aveva in cura anche Angiolina, la moglie di Pacciani. Ma il capo della Mobile di Firenze, Michele Giuttari, ha precisato che Colao non ha fornito elementi di riscontro: “L'indagine non può essere condotta sulla base di voci di paese”.

Giulio Zucconi. Quando era stato chiamato da Vigna per cercare i complici di Pacciani, Giuttari aveva potuto contare su un magnifico punto di partenza, Mario Vanni, lo spaventatissimo ex postino che si era scavato la fossa da solo durante la propria celebre deposizione al processo Pacciani. Per la nuova ipotesi investigativa dei mandanti, invece, non c’era nulla, né elementi per identificare il “dottore” di Lotti, né tracce dei pagamenti ricevuti da Pacciani. C’era però il vastissimo materiale investigativo riguardante i personaggi che nella quindicina di anni precedenti erano incappati in qualche modo nei controlli delle forze dell’ordine, ad esempio per denunce di cittadini sospettosi o anche soltanto per  lettere anonime. Gli armadi di questura e procura dovevano essere pieni dei loro faldoni, bastava aprire quelli dei più ricchi, e, assecondando l’immaginario collettivo, meglio se dottori e ancora meglio se ginecologi. A quella fonte la pista esoterica attinse a piene mani, arrivando qualche anno dopo fino a Perugia.
Ma non anticipiamo i tempi. Nessun dubbio che il ginecologo indicato da Colao e il dottor Jekyll di Compagni di sangue coincidessero, e fossero da identificarsi in Giulio Zucconi, morto nel 1989 a 54 anni, già primario di ginecologia all’ospedale Careggi di Firenze e libero professionista a San Casciano, dove si recava a visitare una volta al mese in un ambulatorio messogli a disposizione dal farmacista Francesco Calamandrei, anch’egli poi finito nel mirino di Giuttari. Come altri dottori e ginecologi, Zucconi era stato oggetto di chiacchiere malevoli che, a detta di chi lo conosceva, lo avevano molto amareggiato.
Ma come fu che proprio lui, a quanto sembra, ebbe l'onore di essere il primo dei personaggi estratti dal mazzo dei possibili mandanti? Il seguente decreto di convalida a firma del GIP di intercettazioni telefoniche chieste dal PM, datato 6 dicembre 1997, ci dà modo di comprenderlo.

Letta la richiesta di convalida di decreto di intercettazione telefonica emessa d'urgenza dal Pubblico Ministero Dr. Canessa e trasmessa a questo Ufficio in data 6.12.1997 ore 9,50;
Rilevato:
- che all'udienza dibattimentale del 27.11.1997, nel corso di svolgimento del processo avanti alla Corte di Assise di Firenze a carico di Lotti Giancarlo, Vanni Mario, Faggi Giovanni e Corsi Alberto, l’imputato Lotti nel corso del proprio esame ha confermato le dichiarazioni in merito a un dottore che avrebbe ricevuto da Pacciani Pietro e dal Vanni le parti escisse dai corpi delle vittime femminili dei duplici omicidi per cui è processo, in cambio di denaro;
- che le dichiarazioni vengono indicate come riscontrate da accertamenti bancari a suo tempo condotti dalla Squadra Mobile a carico del Vanni e del Pacciani, indicanti la disponibilità da parte del Pacciani, in particolare, di rilevanti somme di denaro accumulate negli anni degli omicidi e non giustificate dalle modeste risorse di coltivatore diretto;
- che fra i vari medici sui quali si sono appuntate le attenzioni investigative spicca la persona del Dr. Zucconi Giulio Cesare, ginecologo di San Casciano deceduto nel 1989 che da una nota del 2.12.1989 risultava indicato come persona collegata agli autori dei delitti ed in particolare al Vanni e al Pacciani;
- che il 28.11.1997 è stata intercettata sull'utenza in uso a Rontini Marzia, sorella di una delle vittime degli omicidi, una telefonata in cui tale Gina, commentando le notizie apparse sugli organi di informazione in merito alle dichiarazioni rese dal Lotti, diceva “…sarà quello dell’Impruneta... gli è morto... questo tizio gli ha un fratello all’ambasciata... sono gente che… pagan bene su ‘i serio” e riferendo anche di aver saputo che la moglie di questo dottore era colei che si era introdotta in casa di Angiolina Pacciani, alludendo al noto episodio della “bionda” introdottasi il 22.1.1996 in casa Pacciani;
- che sussistono, pertanto, sufficienti indizi in ordine al coinvolgimento nei fatti, a titolo ancora da appurare, della sig.ra PIETRASANTA MARIA INES, vedova del predetto Dott. Zucconi (la cui utenza è già stata sottoposta ad intercettazione dal Pubblico Ministero con separato provvedimento già convalidato), nel mentre anche la Sig.ra FOGGI GINA, l'interlocutrice della Rontini che ha offerto lo spunto investigativo, appare persona a conoscenza di circostanze inerenti i fatti per i quali sono in corso indagini;
- che, in considerazione della persistente attualità dell’argomento, offerta dalla prosecuzione dell’interrogatorio del Lotti, appare effettivamente necessaria alla prosecuzione delle indagini l’intercettazione dell’utenza in uso alla Foggi, potendone scaturire ulteriori informazioni sull'individuazione del medico che avrebbe a suo tempo acquistato dal Pacciani e dal Vanni le parti di cui le vittime furono mutilate;
- che il titolo di reato (concorso continuato in plurimi omicidi commessi nella provincia di Firenze fino al 1985 – artt. 110, 81, 575, 410, 416 c.p.) consente le intercettazioni telefoniche;
- che il decreto del Pubblico Ministero è stato comunicato tempestivamente;
- che vi era urgenza di disporre l’intercettazione, essendovi fondato motivo di ritenere che dal ritardo potesse derivare grave pregiudizio alle indagini;
P.Q.M. Visti gli artt. 266 c.p.p. e sgg. CONVALIDA il decreto del Pubblico Ministero che dispone l'intercettazione d'urgenza dell’utenza telefonica XXX - XXXXXXX intestata a Bindi Franco ed in uso a Foggi Gina.
Firenze li 6.12.1997 ore 12,29 il giudice per le indagini preliminari Dr. Antonio Crivelli.

Dunque, riassumiamo. All’udienza del 27 novembre 1997 (vedi), Giancarlo Lotti aveva raccontato del “dottore”, notizia ripresa dai giornali del 28. Quella stessa sera, attorno alle 21, Marzia Rontini, sorella di Pia uccisa a Vicchio nel 1984, si era intrattenuta in una conversazione telefonica con “tale Gina”,  in cui questa le aveva manifestato il sospetto che il “dottore” di Lotti potesse essere Giulio Zucconi, e la donna a suo tempo introdottasi in casa di Angiolina Manni la di lui vedova. La conversazione venne ascoltata dalla polizia, essendo il telefono di Marzia Rontini sotto controllo causa le note vicissitudini giudiziarie del marito, il giornalista di RAI 3 Giovanni Spinoso, accusato di aver scritto varie lettere e biglietti anonimi e poi assolto.
La trascrizione della telefonata non è nella disponibilità di chi scrive, ma dalle frasi riportate e riassunte nel documento di cui sopra sembra di poter a ragione ritenere l’uscita di Gina un semplice riporto di chiacchiere, quelle appunto che già avevano originato la nota del 2 dicembre 1989 in cui Zucconi “risultava indicato come persona collegata agli autori dei delitti”. Ma il bisogno di spunti investigativi per la neonata pista esoterica aveva fatto saltare sulla sedia i nostri inquirenti, che immediatamente avevano messo sotto controllo il telefono della Pietrasanta, mentre qualche giorno più tardi – e il documento citato attesta proprio questo passaggio – venne chiesto e accordato il permesso di intercettare anche le telefonate di Gina, poiché, per la serie “incredibile ma vero”, dalle sue conversazioni sarebbero potute “scaturire ulteriori informazioni sull'individuazione del medico che avrebbe a suo tempo acquistato dal Pacciani e dal Vanni le parti di cui le vittime furono mutilate”! La circostanza appare ancora più sorprendente se si tiene conto dell’identità di Gina, che altri non era se non Gina Foggi, sorella di Giovanni, vittima del Mostro a Scandicci, ragionevolmente in contatto con Marzia Rontini causa la comune disgrazia. Si deve quindi immaginare che se davvero la donna fosse stata in possesso di qualche notizia in grado di mettere le forze dell’ordine sulla pista di eventuali mandanti avrebbe avuto tutte le ragioni per essere stata lei a prendere l’iniziativa.
Ma torniamo a Zucconi e alle chiacchiere su di lui. Come si desume dalla nota di Giuttari del 2 marzo 2005 (vedi), nel fascicolo che lo riguardava c’erano almeno due lettere anonime. Nella prima, giunta ai carabinieri il 14 gennaio 1996, lo si “segnalava quale soggetto che aveva a che vedere con le indagini sui delitti del Mostro”; nella seconda, scritta con ritagli di giornale e il cui timbro riportava la data del 18 gennaio 1997, si poteva leggere: “Cercate la pistola del Mostro dentro la bara del dott. Zucconi”. In una terza lettera, pervenuta al PM proprio in quei giorni, l’1 dicembre 1997 – evidentemente anch’essa stimolata dalla freschissima deposizione di Lotti – il ginecologo veniva indicato come persona alla quale, insieme ad amici tra cui Mario Vanni, “piaceva fare visita alle ragazze. Le spogliava e metteva nella cicalina un tralcio di vite”.

Le testimonianze. Poco prima di ritirarsi dalla polizia per dedicarsi a tempo pieno alla propria carriera di scrittore, il 4 aprile 2007 Giuttari avrebbe scritto una nota indirizzata alla procura di Perugia, summa di tutte le sue strenue indagini alla ricerca dei mandanti. In quella nota vengono riportate diverse testimonianze e notizie riguardanti Zucconi (il lungo frammento è scaricabile qui). Già il giorno dopo l’intercettazione telefonica di Gina, il 29 novembre 1997, venne ascoltato tale Simone Guidotti, che certo non fece economia nel riportare tante gustose chiacchiere, tra le quali, oltre a quelle comprensibili nate dal mestiere di ginecologo di Zucconi, ce n’erano alcune che riguardavano Pacciani:

Preliminarmente voglio farvi presente che da tanti anni mi reco a Mercatale, paese d’origine di mio padre, e nelle varie occasioni ho raccolto da più parti discorsi che facevano riferimento esplicitamente al dottor Zucconi. Voglio altresì far presente che i discorsi sullo Zucconi di cui adesso vi parlerò circolavano per tutta la gente del paese sin dagli inizi degli anni ’80 e, dopo il delitto dei due francesi, i discorsi da un piano di semplice sospetto passarono a qualcosa di più grave e circostanziato. Mi spiego adesso meglio. La gente del paese nel commentare gli omicidi che venivano attribuiti al Mostro di Firenze, in un primo tempo indicavano lo Zucconi quale persona sospettabile che potesse avere a che fare con quegli omicidi. Dopo il delitto del 1985, ossia quello ai danni dei due francesi, lo Zucconi venne notato in paese con una grossa ecchimosi in volto, da lui giustificata come una caduta da cavallo del quale sport era appassionato. Il fatto che il francese ucciso fosse stato cintura nera di arti marziali fece immediatamente collegare una colluttazione tra i “mostri” di cui probabilmente lo Zucconi avrebbe fatto il capo banda e l’ecchimosi presentata dallo Zucconi nei giorni immediatamente successivi al duplice delitto. Il particolare fu da tutti  interpretato come la prova regina del definitivo ed integrale coinvolgimento dello Zucconi nella vicenda del Mostro di Firenze. Ad ulteriore conferma dei precedenti sospetti si aggiunge il fatto da tutti conosciuto di ben due perquisizioni dell’abitazione subite dallo Zucconi. Se non ricordo male le perquisizioni sarebbero state effettuate una prima e l’altra dopo il delitto dei due francesi ed avrebbero avuto esito negativo.
Ricordo anche che, a proposito dell’interesse degli inquirenti sullo Zucconi, i paesani raccontavano che il fratello dello stesso avrebbe ricoperto importantissime cariche diplomatiche presso il Vaticano e con le sue conoscenze si sarebbe adoperato per tutelare il nome del fratello facendo in modo che i sospetti della giustizia non ricadessero sul dottor Zucconi.
Il dottor Zucconi Giulio era un ginecologo molto apprezzato ed affermato. Dalle informazioni raccolte in paese esercitava la libera professione sia a Firenze che saltuariamente nei dintorni di S. Casciano…
Da come ho potuto capire le perquisizioni sarebbero state eseguite con tutta probabilità in una abitazione che lo Zucconi aveva nei pressi della strada di principale accesso alla piazza del paese di Mercatale.
A proposito sempre della Zucconi voglio riferire la voce del paese secondo la quale il Pacciani fosse stato un commesso all’abitazione e servizi vari del dottor Zucconi. I paesani in ogni caso raccontavano che il Pacciani comunque conosceva ed aveva rapporti con lo Zucconi. Al riguardo ricordo che raccontavano che lo Zucconi fosse un amante di armi, soprattutto da sparo e che Pacciani provvedeva alla loro manutenzione.

Il 4 dicembre fu la volta di Orazio Torrini, titolare di un distributore di benzina di Impruneta di cui spesso si serviva Zucconi:

Nel corso degli anni ho avuto modo di conoscere il dottor Zucconi, morto da qualche anno, già da moltissimo tempo in quanto abitava proprio vicino al distributore, per cui lo stesso era solito venire da me per il rifornimento delle proprie auto…
Ricordo che parecchi anni fa ho avuto modo di notare alcuni carabinieri che per circa 8/10 giorni hanno piantonato la villa dello Zucconi. Preciso che per due volte, per provare un’autovettura passai davanti alla villa ed in entrambe le occasioni vidi dei carabinieri che erano lì nei pressi del cancello. Voglio aggiungere, ma non ne sono sicuro, che in una di queste circostanze, notai che vi era il maresciallo comandante della stazione Carabinieri di Impruneta…
Vorrei inoltre aggiungere che in quel periodo si diceva che il dottor Zucconi era implicato nei delitti del Mostro e che utilizzava le parti del corpo femminili asportate alle vittime per fare degli esperimenti…
Penso che dall’episodio del piantonamento della villa da parte dei carabinieri alla morte del dottor Zucconi sono passati circa due anni.

Sentito due giorni dopo, il figlio Tiziano aggiunse:

Intendo riferire quanto a mia conoscenza relativamente al Dott. Zucconi Giulio Cesare da me conosciuto in quanto cliente del distributore di mio padre e della sua officina meccanica… all’epoca dei delitti del cosiddetto “Mostro di Firenze” la gente in paese chiacchierava del fatto che lui c’entrasse qualche cosa infatti la gente diceva, in paese o al distributore dove si raccolgono molte di queste chiacchiere, che lo Zucconi era sotto indagine o comunque controllato dalle forze dell’ordine, anche perché ricordo che all’epoca si parlava di un medico o meglio di un ginecologo…
Mi ricordo che una sera di alcuni anni fa, presumo fossero gli anni che vanno dal 1984 al 1986, mentre tornavo a casa di ritorno da Prato, ove allora stava la mia attuale moglie, transitando sulla via Impruneta, nei pressi della villa del Dott. Zucconi, ho notato più volte autovetture ferme ed in particolare una sera d’inverno notai una Fiat Uno scura che quando passai mi sembra si mise a seguirmi. Ricordo che nella circostanza, erano forse l’una di notte, intimorito anziché fermarmi a casa ed aprire il cancello di accesso, proseguii sino alla piazza di Impruneta e poi visto che nessuno mi seguiva feci rientro a casa. Riferisco questo fatto perché pensai che si trattasse di una macchina in borghese o della polizia o dei carabinieri che stesse tenendo d’occhio la casa del dottore e che pensavo mi volesse controllare e essendo la strada buia dissi a me stesso “se mi devo fermare almeno mi fermo in piazza”.
Non sono a conoscenza del fatto che vi sia stata una grande perquisizione a casa dello Zucconi, ma so per sentito dire che fu controllato anche a casa.

Con la testimonianza di un certo Gino Bini, il 22 gennaio 1998 si aggiunsero altre notizie sui collegamenti con Pacciani:

Sul dottor Giulio Zucconi si diceva in paese che questi era stato fermato o indagato per i fatti del Mostro, proprio poco dopo il delitto degli Scopeti. Anzi si diceva in paese che lo Zucconi proprio il giorno del delitto o il giorno dopo era passato a cavallo dagli Scopeti…
Fisicamente era molto alto, di stazza robusta: posso inoltre dirvi che tutti dicevano che era impotente…
Posso inoltre dirvi che Zucconi era amico del Pacciani già da molti anni. Dico questo in quanto sono a conoscenza che lo Zucconi aveva accompagnato un suo conoscente, Sestini Franco, dal Pacciani, affinché quest’ultimo gli governasse il cavallo…
Fu proprio il Sestini che mi disse di essere stato accompagnato dallo Zucconi a casa del Pacciani.
L’impressione che ha avuto il Sestini è che lo Zucconi si conoscesse molto bene con il Pacciani.

Il 16 luglio 1998 venne interpellato direttamente Franco Sestini:

Premetto che sono sempre stato appassionato di cavalli e parlando con lo Zucconi, lo stesso mi propose di accompagnarmi in Maremma ad acquistare un cavallo, in quanto lui stesso conosceva molto bene un mediatore del settore... Effettivamente poco dopo averlo conosciuto andammo insieme in Maremma dove acquistai una cavalla maremmana che per le prime due o tre settimane tenni nella villa dello Zucconi…
Ricordo che parlando con lo Zucconi riguardo chi dovesse governare il cavallo quando fosse stato portato alla stalla di Montefiridolfi, lo stesso mi disse di non preoccuparmi assolutamente in quanto lui aveva una persona di sua fiducia che sicuramente avrebbe accettato di governare il cavallo durante la settimana, anzi fece il nome di tale “Pacciano”, che stava nella zona di Montefiridolfi. Infatti poco prima di condurre il cavallo nella stalla di mia cognata, io e lo Zucconi ci recammo insieme in una casa a Sant’Anna, ove lui scese dalla macchina e si recò all’interno dell’abitazione. Solo successivamente ho saputo che lì abitava Pacciani Pietro. Lo Zucconi rimase in casa per circa un quarto d’ora mentre io attesi in macchina. Al suo ritorno mi disse che il Pacciani, o meglio “Pacciano”, così lo chiamava, non era disponibile a governare il mio cavallo per cui andammo via…
Posso dirvi che lo Zucconi era un tipo che definirei sbruffone – sopra le righe; si vantava di essere un grande conoscitore dei boschi della zona di Impruneta, Montefìridolfi e Mercatale, tanto che raccontava di uscire a cavallo per boschi per due o tre giorni senza fare ritorno a casa. Si vantava inoltre di essere un grande cacciatore e proprio a tal proposito ho avuto modo di vedere nella sua casa numerosi fucili.
Altro motivo di vanto dello Zucconi erano le sue performance con le donne, tanto che si definiva un donnaiolo, amante della bella vita. Aggiungo che non mi è sembrato un instancabile lavoratore, lavorava lo stretto necessario, ma poteva permetterselo anche perché era di ottima famiglia con un notevole patrimonio familiare.
Qualche anno più tardi, negli anni ’80, anche io, come un po’ tutto il paese, ho sentito delle voci sullo Zucconi che indicavano come possibile Mostra di Firenze, anche perché si faceva riferimento ad un chirurgo che sapesse usare il bisturi. Mi venne detto, anche perché all’epoca non frequentavo più lo Zucconi, che lo stesso avesse preso a ridere queste dicerie, tanto che alle sue clienti faceva la battuta “ti fai vedere la passera dal Mostro?”. Per quanto ne sappia, inoltre, la Polizia si interessò a lui anche con delle perquisizioni, e le voci che circolavano in paese riferivano che dopo ogni delitto attribuito al Mostro, le forze di Polizia si recassero da lui per rivoltargli casa.

Saranno state vere le notizie sui rapporti tra Zucconi e Pacciani? C’è da dubitarne molto, però la nota di Giuttari aggiunge altre informazioni sul sospettato, tra le quali una coincidenza che andrebbe, almeno in apparenza, in tale direzione: “La famiglia Zucconi, prima di trasferirsi ad Impruneta aveva vissuto in Mercatale in Via Sonnino 58, in una casa che confinava con il giardino di quella che poi diventerà l’abitazione del Pacciani”.
Di pari se non superiore spessore la nota considera questa piccante notizia, dotata di maiuscolo nel testo originale:

Agli atti della Squadra Mobile di Firenze risulta che Zucconi Giulio Cesare veniva esonerato dal servizio di leva ai sensi dell’art. 87 dell’elenco delle imperfezioni e delle infermità che erano causa di non idoneità al servizio militare PER GRAVI MALFORMAZIONI AL PENE, PERDITA TOTALE O PARZIALE DELLO STESSO. MALATTIE CHE COMPROMETTONO LE SUE FUNZIONI.

Ecco spiegato il passaggio nella descrizione del dottor Jekyll contenuta in Compagni di sangue dove si afferma: “Il nostro dottore è infelice. È malinconico. È triste. È malato. Non riesce a raggiungere, né ha mai raggiunto, la soddisfazione sessuale”. Certo, dopo aver perso il pene chiunque avrebbe sofferto dei medesimi problemi, ma quanto si può essere sicuri che la motivazione per l’esonero dal servizio di leva di Zucconi fosse stata veritiera? Si sa bene che chi godeva delle giuste conoscenze e magari anche di buone disponibilità economiche poteva trovare tanti modi per scamparla al tedioso e inutile servizio militare, per fortuna oggi un semplice ricordo di purtroppo sempre meno persone.
Il seguente frammento della nota ci aiuta invece a capire il perché delle testimonianze su fantomatiche perquisizioni subite dal ginecologo:

Agli atti della stazione CC di San Casciano vi era una nota datata 20.9.85, in cui lo Zucconi risultava in possesso di nr. 2 fucili, la cui detenzione era invitato a regolarizzare. Agli atti della stazione CC di Impruneta, invece, vi era una denuncia, a nome dello stesso Zucconi, datata 4.10.85, di possesso di nr. 3 fucili, nr. 1 revolver e nr. 1 carabina. Appare singolare che tale regolarizzazione si sia verificata pochi giorni dopo il duplice omicidio di Scopeti (8.9.85) pur essendo Zucconi residente ad Impruneta dall’anno 1958. Evidentemente in quel periodo (settembre 1985) lo Zucconi era stato sottoposto quantomeno ad un controllo di natura amministrativa sulle armi in suo possesso. (Ciò rappresenterebbe quel riscontro indiretto sulla perquisizione e/o comunque sul controllo delle armi di cui si è fatto cenno.)

Giuttari trova singolare che Zucconi avesse richiesto la regolarizzazione delle armi in suo possesso proprio dopo il delitto degli Scopeti. Chi scrive non è d'accordo, poiché in linea d’aria tra la sua abitazione e la piazzola c’erano appena quattro chilometri, quindi è comprensibile che l’individuo avesse pensato bene di non correre rischi a fronte del pericolo di eventuali controlli conseguenti al feroce fatto di sangue. Controlli che, dopo l’autodenuncia, in una qualche misura vi dovettero essere stati ugualmente, la qual cosa spiega la presenza di auto delle forze dell’ordine davanti alla sua villa, e probabilmente anche la nascita o aumento delle chiacchiere nei suoi confronti, considerata la vicinanza temporale del delitto.

Le indagini sulla Pietrasanta. Torniamo ai giorni successivi alla sorprendente telefonata tra Marzia Rontini e Gina Foggi. Zucconi era morto, ma la sua vedova no, quindi proprio su di lei si concentrarono le indagini. Il 12 dicembre Giuttari redasse una nota in cui, richiamando la telefonata e le audizioni di Guidotti e dei due Torrini, indicava Ines Pietrasanta come indiziata di essere la donna che si era introdotta a suo tempo in casa di Angiolina Manni, “giacché la Pietrasanta sia per età, che per altezza, corporatura e capelli, corrispondeva perfettamente alle descrizioni dei testimoni. Inoltre si trovava corrispondenza anche per quanto concerneva l'accento, atteso che la Pietrasanta è originaria di Milano, ove era residente fino al matrimonio con lo Zucconi”.
Sull’accento ci sarebbe qualcosa da dire, poiché, come abbiamo visto, su tre testi soltanto uno lo aveva definito lombardo, mentre gli altri due avevano parlato di veneto, e la quasi certa provenienza della donna da Venezia dava loro ragione. In realtà, come vedremo più avanti, le due donne avevano davvero pochi elementi in comune, quindi la valutazione di Giuttari pare del tutto azzardata.
Il 6 gennaio 1998, in un album fotografico contenente cinque immagini di donna, Angiolina Manni individuò la Pietrasanta come autrice dei fatti che l’avevano riguardata. Inoltre, poiché erano a conoscenza di un aborto da lei subito, gli inquirenti le posero anche delle domande in tal senso, alle quali la teste rispose confermando e precisando che il marito l’aveva condotta all’Ospedale di Careggi – dove aveva lavorato anche Zucconi – da un medico “molto alto e giovane”, identificato tramite un secondo album fotografico proprio in Giulio Zucconi.
Il 9 successivo anche alla farmacista che aveva venduto il Tavor, Maria Antonietta Piscitelli, venne sottoposta un album fotografico, di fronte al quale affermò:

L’unica foto delle persone ritratte nelle foto contenute nell'album che mi sembra possa trattarsi di quella donna è quella contrassegnata dal numero 6. È solo questa che insomma mi sembra la più indiziata. Ci tengo però a precisare che non posso affermare con assoluta certezza l’identità, proprio per via del lungo lasso di tempo trascorso. Vedo nella foto di questa donna soprattutto la stessa espressione dello sguardo e la forma del viso. Solamente i capelli sono leggermente diversi.

Per irrobustire il tentennante riconoscimento gli inquirenti sottoposero alla teste la medesima foto in qualità migliorata, dopodiché, finalmente, essa affermò: “Sì, in questa foto che presenta i colori più nitidi, mi sembra proprio quella donna”. Riguardo la nulla attendibilità di tali ricognizioni fotografiche questo blog si è già espresso (vedi). In ogni caso altre sei persone che erano entrate in contatto con la donna misteriosa non riconobbero alcunché, anzi, la stessa Piscitelli, risentita il 21 gennaio, si disse non sicura di quel riconoscimento.
Anche Angiolina Manni venne risentita in data successiva. Nell’occasione la donna confermò il riconoscimento sia di Zucconi che della moglie, ma cambiò un importante particolare della propria testimonianza affermando che l’aborto le era stato praticato all’Ospedale di Ponte a Niccheri, con il quale Zucconi non aveva mai avuto niente a che fare.
Il 2 febbraio gli inquirenti interrogarono Gina Foggi, nel tentativo di scoprire che cosa poteva esserci dietro la battuta che aveva dato origine a tutta la vicenda (è quasi inutile precisare che null’altro era emerso dalle intercettazioni telefoniche iniziate due mesi prima). La donna affermò che tutto era nato dalle frasi pronunciate due anni prima da un uomo di Impruneta, ricoverato in ospedale nella medesima stanza di suo padre, nelle quali riportava i sospetti dei suoi compaesani su Zucconi, e quelli dell’individuo stesso sulla di lui vedova rispetto all’allora fresca notizia di stampa sui fatti che riguardavano la misteriosa vicenda della visita alla moglie di Pacciani. Fu sentito anche Dino Foggi, padre di Gina, che di quelle frasi invece non ricordava nulla.
Tutt’altro che scoraggiato, Giuttari riuscì a individuare l’identità del compagno di stanza di Foggi, tale Roberto Laterini, e il giorno dopo, 3 febbraio, lo convocò. L’attonito individuo escluse di aver mai pronunciato le frasi riportate dalla Foggi, resistendo alle insistenze dei suoi interlocutori fino ad accusare un malore. Subito dopo venne sentito anche il fratello, parimenti refrattario a ogni ammissione. Finalmente, in un confronto serale con la Foggi, Roberto Laterini ammise di aver detto qualcosa riguardo i sospetti su Zucconi, precisando però che si trattava soltanto di “voci di paese”, mentre continuò a negare ogni frase riferita all’ipotesi che fosse stata la vedova del ginecologo a introdursi in casa Pacciani.
Il 6 febbraio venne perquisita l’abitazione di Ines Pietrasanta, con un bottino magrissimo: una scatola di Tavor parzialmente utilizzata, una pelliccia di code di visone formato tre quarti, una parrucca di colore rossiccio di media lunghezza e due fucili che risultarono denunciati dallo Zucconi ma non dalla vedova, divenutane proprietaria per successione. Nel conseguente interrogatorio di fronte al PM la Pietrasanta negò ogni addebito ed escluse ogni coinvolgimento del marito nelle vicende dei duplici omicidi di Firenze e comunque ogni rapporto fra lui e Pacciani.
Infine le intercettazioni. Abbiamo visto che il telefono della Pietrasanta era stato il primo a essere messo sotto controllo, e a seguire anche quello della Foggi. Continuando a utilizzare senza parsimonia un istituto che la legge tende a limitare ai casi di assoluta necessità, le intercettazioni vennero poi estese a vari parenti della Pietrasanta, e persino a Roberto Laterini, in quel momento fonte primigenia delle chiacchiere da cui era partita tutta la grottesca vicenda. Serve specificare che non ne nacque nulla? Anzi, i parenti della Pietrasanta si meravigliarono molto della accuse a lei rivolte, e si dissero sicuri della sua estraneità ai fatti contestati.

Il fratello ambasciatore. Mentre erano in corso le indagini appena descritte, Giuttari preparava Compagni di sangue assieme a Lucarelli, dove, come abbiamo visto, venivano riportati anche i sospetti su Giulio Zucconi e la moglie. Inutile stigmatizzare l’assoluta inopportunità di tale operazione, nonostante l’assenza di nomi, il lettore lo comprende di sicuro anche da solo. Non a caso il Viminale vietò a Giuttari la partecipazione al Maurizio Costanzo Show dove nel maggio 1998 il libro venne presentato.
Della mancanza di discrezione su indagini tanto delicate e avare di certezze, a soffrirne fu anche il fratello di Zucconi, Gaetano, ambasciatore in pensione. Gli inquirenti non andarono né a interrogarlo né a perquisirlo, però gli organi di informazione riportarono via via notizie sui sospetti che lo riguardavano, procurandogli grande amarezza. Come in questo articolo del “Corriere della Sera” del 10 settembre 2001, in pieno delirio esoterico, quando si cercava la “Villa degli orrori” e si vociferava del coinvolgimento dei servizi segreti:

Tra gli insospettabili che avrebbero avuto rapporti con Pietro Pacciani c'è Giulio Zucconi, il primario di ginecologia dell'ospedale Careggi, morto nel 1989 a soli 54 anni. Sua moglie, Maria Ines Pietrasanta, è indagata con l accusa di essere entrata in casa del contadino di Mercatale il 22 gennaio del 1996, aver narcotizzato la moglie Angiolina e aver frugato tra le sue cose, forse alla ricerca di materiale compromettente. Di un «dottore che ordinava i lavoretti» parlò il pentito Giancarlo Lotti durante il processo ai «compagni di merende». Era il professor Zucconi? Per scoprirlo gli investigatori stanno vagliando anche la posizione di suo fratello, ambasciatore ora in pensione. Vogliono scoprire che rapporti avesse con il medico, se fosse a conoscenza delle sue frequentazioni, se abbia mai sentito parlare di contatti con una setta.

Dopo il fallimento della perquisizione alla villa di San Casciano, Giuttari compilò una nota per la procura con dentro tutti i suoi residui spunti investigativi sui mandanti. Nel resoconto che ne fece Fiorenza Sarzanini sul “Corriere della Sera” del 23 gennaio 2002 compariva anche il povero ambasciatore in pensione:

Maria Ines Pietrasanta, indagata per rapina per essere entrata il 22 gennaio del 1996 a casa di Pietro Pacciani, aver aggredito e narcotizzato sua moglie Angiolina, e aver portato via documenti. La donna è la vedova del professor Giulio Zucconi, primario di ginecologia all'ospedale Careggi di Firenze e titolare di un laboratorio a San Casciano, sospettato di aver avuto rapporti proprio con Pacciani. Anche il fratello di Zucconi è stato coinvolto nell'indagine. Si tratta di un ambasciatore ora in pensione che si sarebbe interessato in maniera sospetta agli accertamenti compiuti dalla Procura. Che interesse aveva? Era sua intenzione «coprire» qualcuno? Che cosa sa dei delitti del «mostro»?

Orgoglioso per una vita da onesto servitore dello stato e mortificato per l’incubo nel quale era caduta la propria famiglia, il malcapitato ex ambasciatore così si doleva in un bell’articolo di Giuseppe d’Avanzo dal titolo “Il falso mostro di Firenze”, uscito su “Repubblica” del 22 giugno 2002 (qui il testo completo, da leggere assolutamente):

In Italia non esiste la pena di morte, ma la morte civile sì e io mi sento condannato a una morte civile. È una condanna che uccide lentamente, che ti porta via quanto hai di più caro, un buon nome costruito dal lavoro e dalla vita di più generazioni, gli amici che hai amato o ami; è una Gehenna che isola la tua famiglia precipitandola nel disonore; è un fantasma che, alla fine, ti divora come un'ossessione.
Mi è sembrato naturale e doveroso attendermi giustizia da chi è deputato ad amministrarla. Sono stato per tutta la mia vita un funzionario dello Stato e a quella regola di discrezione personale e di rispetto istituzionale ho ritenuto di tener fede anche in questa penosa circostanza, anche quando c'era chi mi consigliava di reagire, di protestare. No, replicavo, è un lavoro che la legge assegna ai giudici. Prima o poi, mi dicevo, queste "voci di questura" assumeranno la forma di accuse, di contestazioni formali e allora mi difenderò davanti alla magistratura. O, se nessuna contestazione si materializzerà, sarà un giudice a punire la diffamazione del mio nome. Purtroppo, mi sono illuso: non vanno così le cose in Italia.

Dovette senz’altro essere di poca consolazione per Gaetano Zucconi la gelida replica di Canessa, pubblicata il giorno dopo nella cronaca fiorentina dello stesso quotidiano, che a suo riguardo precisava: “Non è iscritto nel registro degli indagati per la vicenda dei duplici delitti del mostro di Firenze. Non c'è alcuna indagine nei suoi confronti”.
Il 10 novembre 2005, quando ormai a Firenze le indagini sui mandanti si erano da tempo arenate, Gaetano Zucconi venne sentito da Giuttari per conto di Giuliano Mignini, nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Francesco Narducci. Dal relativo verbale, scaricabile qui:

D.: È a conoscenza di rapporti di natura professionale, di amicizia, di frequentazione del suo defunto fratello GIULIO con il farmacista di san Casciano Valdipesa FRANCESCO CALAMANDREI?
R.: Premetto che per ovvi motivi le due vite, cioè quella mia e di mio fratello GIULIO, per questioni professionali si erano allontanate e non vi erano rapporti di frequentazione. Per il mio lavoro vivevo a Roma o all’estero essendomi impegnato in carriera Diplomatica. E quando tornavo a casa a trovare i miei genitori fermandomi di norma per il fine settimana, chiaramente con mio fratello ci vedevamo però non avevamo amicizie e frequentazioni in comune. So però da mia cognata che mio fratello aveva un ambulatorio mensile presso la famiglia del Dott. CALAMANDREI dove quindi si recava una volta al mese per ricevere i suoi pazienti. Io il Dott. CALAMANDREI non l’ho mai conosciuto.
D.: Lei sa direttamente o indirettamente se suo fratello, che esercitava la professione di Ginecologo, aveva rapporti con colleghi ginecologi Perugini?
R.: No.
D.: Il nome di NARDUCCI di Perugia di cui da qualche tempo si sta parlando anche da parte dei media è un nome che lei in qualche modo ha conosciuto o sentito dire nell’ambito familiare?
R.: No. Non l’ho mai sentito dire e l’ho letto sui giornali.
D.: Suo fratello e lei avete frequentato le scuole in Toscana o in altre località?
R.: Entrambi abbiamo frequentato le scuole a Firenze e anche l’Università. Le scuole medie e le superiori in via San Lorenzo e via Martelli io poi ho preso la facoltà di Legge a Firenze e mio fratello quella di Medicina andando a specializzarsi poi in Svezia. Mio padre era medico e c’era quindi una tradizione in famiglia.
D.: Lei ha conosciuto PACCIANI Pietro che è andato ad abitare a Mercatale vicino all’abitazione dei suoi genitori, ovvero è a conoscenza se suo fratello GIULIO conosceva il PACCIANI?
R.: Posso escludere categoricamente di aver conosciuto personalmente il PACCIANI e la stessa cosa posso dire per quanto riguarda mio fratello sulla base di quello che mi ha detto mia cognata.
Seguendo le notizie di stampa che riguardavano il PACCIANI ho cercato di ricostruire i fatti della permanenza della mia famiglia a Mercatale e ho constatato che il PACCIANI è andato ad abitare in quel centro dopo almeno sei anni che ci siamo trasferiti all’Impruneta. Osservando una foto che ritraeva una casa del PACCIANI mi è parso di capire che lui abitasse in quei vani che all’epoca del soggiorno della mia famiglia erano adibiti a pollaio. La casa di Mercatale era stata presa in affitto da papà che l’ha restituita al proprietario al momento della partenza. Credo che il proprietario o l’amministratore di quella casa fosse tale SODERINI.
D.: A lei risulta che suo fratello negli anni ‘80 e in particolare che dopo l’ultimo delitto degli Scopeti sia stato controllato a casa, cioè abbia subito un controllo delle Forze dell’Ordine?
R.: Non mi risulta.

Dunque Pacciani era andato ad abitare vicino alla vecchia casa degli Zucconi almeno sei anni dopo il loro trasferimento, la qual cosa rende la coincidenza rilevata da Giuttari, che nella propria nota aveva scritto genericamente di “una casa che confinava con il giardino di quella che poi diventerà l’abitazione del Pacciani”, del tutto priva di valore.

Epilogo. Intanto l’inchiesta su Maria Ines Pietrasanta rimaneva aperta. Finalmente, a distanza di oltre sette anni dalla sua iscrizione nel registro degli indagati, il 21 aprile 2005 Canessa si decise a chiedere il rinvio a giudizio della povera donna, accusandola dei seguenti reati:

A) del delitto p. e p. dagli artt. 628 I e II co. n. 2 C.P. perché, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si impossessava della somma di lire 200.000 circa in contanti che sottraeva dall’armadio della camera da letto della abitazione di MANNI Angiolino dopo avere somministrato alla stessa una bevanda contenente sostanza ipnoinducente (contenente benzodiazepina - Lorazepam) che le provocava un sonno profondo.
B) del delitto p. e p. dall‘art. 605 C.P. perché, al fine di commettere il reato di cui al capo che precede, con la condotta ivi descritta, privava della libertà personale MANNI Angiolina la notte tra il 22 ed il 23 gennaio l996;
C) del delitto p. e p. dall'art. 582, 585, 576, 61 n. 2 C.P. per avere, in occasione dei fatti contestati sub A), e B) cagionato a MANNI Angiolina uno stato confusionale tale che al risveglio, per il torpore, si procurava cadendo, tra l‘altro, lesioni al volto, tanto che rimaneva ricoverata in ospedale con prognosi di giorni 10.

All’udienza preliminare del 4 ottobre successivo il giudice Anna Favi dispose un riconoscimento di persona – quello con più soggetti, tra i quali l’indagata, posti dietro un vetro unidirezionale – sia per Angiolina Manni, che non sarebbe stato effettuato per il sopravvenuto decesso della stessa, sia per Maria Antonietta Piscitelli, la farmacista. Inoltre richiese l’espletamento dell’esame del DNA sul pelo raccolto da un cuscino e della perizia grafologica sul biglietto trovato in corridoio.
All’esito di quanto richiesto e sulla base dei presunti indizi portati dall’accusa, nell’udienza del 4 luglio 2006 Anna Favi dispose il non luogo a procedere nei confronti di Ines Pietrasanta per non aver commesso il fatto, condannandola invece alla confisca dei due fucili ereditati dal defunto marito ma non denunciati, reato che si aggiungeva alle tre  richieste del PM riportate sopra. Diamo un’occhiata alle motivazioni.
Cominciamo col dire che sia le due perizie sia la ricognizione di persona avevano dato esito negativo. L’esame del DNA aveva dimostrato che il pelo non era della Pietrasanta, e quello del biglietto che la scrittura non era la sua. Riguardo il riconoscimento da parte della Piscitelli leggiamo la sentenza:

Nella descrizione fornita preliminarmente dalla teste prima di procedere alla ricognizione la donna sconosciuta che si era recata nella farmacia di Mercatale veniva così delineata: ‘una signora allora sui 60 anni, bionda, ma molto disordinata, spettinata, con un cappotto dimesso, con le ciabatte addirittura’, la dottoressa precisava poi che i capelli erano però tinti, ‘mezzi sì mezzi no’, che l’altezza era di circa m. l,54, che l’accento era toscano e che il cappotto era in realtà una pelliccia, ma ‘trasandata’, ‘non elegante’.
Introdotta poi la teste nella stanza munita di specchio unidirezionale e mostratele le tre donne (tra le quali l’imputata si era collocata come la prima da destra per chi osservava), la medesima affermava inizialmente che ‘come sagoma quella centrale somigliava’, precisando poi che si riferiva alla corporatura ed alla testa e aggiungeva altresì ‘quella a sinistra no, quella a destra nemmeno’, confermando di notare una certa somiglianza solo con la donna posta in posizione centrale. Successivamente invece affermava che l’ ‘espressione del viso’ somigliava a quella di destra, precisando poi di far riferimento ai lineamenti.

Conclude il documento: “Va dunque affermato che l’attività istruttoria integrativa disposta dal Giudice nell’udienza preliminare non ha fornito alcun elemento ulteriore a sostegno dell’accusa”. E prosegue: “Restano pertanto gli elementi indizianti acquisiti durante le indagini, in ordine ai quali può però solo formularsi un giudizio di grave insufficienza ai fini della sostenibilità dell’accusa in dibattimento e questo sotto vari profili”.
Gli elementi descrittivi della donna misteriosa non coincidevano affatto con le corrispondenti caratteristiche rilevate sulla Pietrasanta:

Quanto invece agli elementi inerenti la descrizione della donna sconosciuta che fu vista aggirarsi in Mercatale il 22 gennaio 1996 deve evidenziarsi come essi non possano riferirsi alla Pietrasanta né sotto il profilo dell’accento veneto rilevato dalle testi MAZZINI e PAMPALONI (solo il teste CIABATTI ha affermato che la donna poteva avere un accento lombardo, come potrebbe essere quello della Pietrasanta, di origini milanesi) né sotto il profilo della rilevata presenza di vene varicose sulle gambe della donna (v. s.i. rese dalla PAMPALONI), di cui la Pietrasanta tuttora non sembra affatto soffrire ad oggi e trattandosi peraltro di patologia che non migliora certo con l’avanzare dell’età.
Quanto alla parrucca rinvenuta nell‘abitazione dell’imputata, va certo escluso che la stessa fosse quella indossata dall’autrice dei fatti che, come affermato dai testi COLLINI, PAMPALONI, REDEGALLI, PISCITELLI (e confermato anche in sede di ricognizione da parte della PISCITELLI), aveva capelli biondi tinti, con una evidente ricrescita, così da essere incompatibili con una parrucca (come lo è anche il dato che i capelli fossero scarmigliati). Peraltro la parrucca della Pietrasanta è rossa, mentre la donna in questione è stata unanimemente descritta come bionda.
Ancora deve escludersi che l’autrice dei fatti indossasse la pelliccia di visone trovata in casa dell’imputata, trattandosi di una giacca ‘3/4’ di code di visone, mentre i testi REDEGALLI, PISCITELLI e MANNI hanno descritto una pelliccia lunga.

La sentenza prende in esame anche i collegamenti con la vicenda dei delitti del Mostro, assente dai capi di reato ma richiamata come movente nella richiesta di rinvio a giudizio del PM. Dopo aver premesso che “nessuna rilevanza potrà mai assumere in giudizio, evidentemente, quanto emerso in ordine alle ‘voci correnti’ relative al coinvolgimento del dr. ZUCCONI nei duplici omicidi in questione”, fa le seguenti lapalissiane osservazioni:

La fondatezza dell’accusa appare poi smentita da elementi logici, correttamente evidenziati dalla difesa in sede di discussione: in primo luogo il movente dei delitti viene individuato dal P.M. nell’intento della moglie dello ZUCCONI di cercare ed eliminare eventuali tracce a carico del marito in seguito all’emergere dei sospetti sul coinvolgimento dell’uomo nei delitti commessi da PACCIANI e gli altri correi, ma tale scopo (che ha puntato i sospetti fin dall’inizio sulla Pietrasanta) appare confliggere con le modalità di comportamento adottate dall’autrice delle condotte, la quale ha veramente fatto di tutto per concentrare su di sé le attenzioni degli abitanti di quel piccolo paese di provincia che è Mercatale V. di Pesa, nel quale peraltro è già ben difficile che una persona sconosciuta non venga notata. E ciò dà ancor più valore al fatto che i testi sentiti hanno escluso di aver mai visto prima quella donna, mentre la Pietrasanta vi si recava una volta l’anno.
Infine l’abitazione della Manni e del marito Pietro Pacciani già a quel tempo era stata oggetto di accuratissime perquisizioni, così che appare difficile ipotizzare che la donna potesse ancora trovarvi (e occultare agli investigatori) alcunché di rilevante per le indagini.

Un altro elemento favorevole all’indagata la sentenza lo rileva nella necessità che aveva avuto la donna misteriosa di richiedere una ricetta per ottenere il Tavor. La Pietrasanta era infatti un medico, e avrebbe potuto prescriversi il medicinale da sola.
Infine vengono liquidati i riconoscimenti fotografici del 1998 sia della Manni sia della Piscitelli:

A fronte di tale quadro indiziario gravemente insufficiente a dimostrare la fondatezza dell’accusa, le individuazioni fotografiche effettuate dalla dr.ssa PISCITELLI e dalla p.o. all’epoca dei fatti non appaiono tali da incidere significativamente sul medesimo: quanto alla prima deve subito evidenziarsi che la stessa PISCITELLI affermò davanti alla PG che fra le foto delle donne inizialmente mostratele solo la n. 6 mostrava una somiglianza, il che è ben diverso dall’operare una individuazione certa. Anche nella seconda individuazione, durante la quale le vennero mostrate le sole foto ritraenti la PIETRASANTA, la donna si espresse sempre in termini di somiglianza, non di certezza di identità, pur non essendo trascorso molto tempo dai fatti. E infine l’esito negativo della ricognizione di persona non può essere inficiato dalla mera notazione, fatta peraltro dopo una espressa esclusione, di una somiglianza dei lineamenti del viso.
Quanto poi all’individuazione fotografica operata dalla MANNI, pur essendosi la medesima espressa in termini di certezza non può non evidenziarsi la scarsa attendibilità soggettiva della p.o., che già al tempo mostrava una certa palese compromissione delle facoltà intellettive, né può dimenticarsi che la stessa ha operato una individuazione analogamente certa dello ZUCCONI indicandolo però come medico che le praticò un aborto presso l’ospedale di Ponte a Niccheri , dove lo ZUCCONI non ha mai prestato attività di ginecologo.

Osservazioni. Della vicenda nel suo complesso balza oggi agli occhi soprattutto il lato grottesco, ma questo non deve far dimenticare che fu messa in croce una famiglia di gente perbene, e sprecati chissà quanti soldi dei contribuenti. Il tutto sulla base di semplici chiacchiere di paese inserite in un contesto di fantasiosità poggiante sui calcoli esagerati del patrimonio di Pacciani e sulla sospetta affermazione di Lotti sul “dottore” (di entrambi gli argomenti si è già scritto, vedi).
Ma le macerie lasciate dalla fallimentare pista esoterica non si fermano certo qua; siamo appena agli inizi.