sabato 2 gennaio 2016

Skizzen Brunnen (3)


Abbiamo visto in un articolo precedente come tutti a Osnabruck avessero fatto a gara per venire incontro alle aspettative degli inquirenti italiani, dal commissario Klose della Kriminalpolizei alle impiegate ed ex-impiegate del Prelle-Shop, nonché il proprietario, signor Vesterholt. A dare speranza a tutti c’era quel blocco da disegno di carta pregiata, marca Brunnen, sul quale campeggiava la scritta “Skizzen” e del quale era estremamente necessario dimostrare la provenienza dal negozio suddetto. A promettere un consistente aiuto c’erano sei cifre e due segni divisori scritti a matita sulla quarta di copertina: “424/4,60”, evidentemente un codice seguito da un prezzo in marchi. Bastava dimostrare che la grafia era di qualche dipendente del Prelle-Shop ed era fatta. Come poi sarebbe accaduto davvero.
Al successivo processo fu data particolare enfasi alle perizie dei tre calligrafi con le quali si certificava che le autrici della scritta in due parti, “424” e “/4,60”, erano due impiegate del Prelle-Shop (Lohman e Stellmacher), ma si sorvolò sul perché della presenza di quella scritta e sul suo significato. La difesa, evidentemente impreparata, non approfondì la questione. Eppure di elementi con i quali contrapporsi alla sfrontata macchina da guerra dell’accusa ce n’erano. Abbiamo appena visto il prezzo, vediamone altri due: la scrittura manuale e il significato del valore "424".
Al Prelle-Shop, come in qualsiasi altro negozio di una certa dimensione, gli articoli non venivano prezzati a mano, ma si usava un’etichetta autoadesiva stampata da un’apposita etichettatrice. Nel suo libro Perugini riconobbe l’anomalia, ma fece di necessità virtù, cercando di girarla a suo favore:

È abbastanza strano che quei numeri siano stati scritti a mano, la macchina etichettatrice doveva essersi rotta. Ogni tanto succede. Ma io penso che non è “strano”, è magnifico, è meraviglioso, straordinario. Una straordinaria coincidenza. Come se Qualcuno, per il quale il tempo non esiste, ci abbia messo la mano. Per darci una mano.

Di straordinario nelle frasi precedenti c’è più che altro la faccia tosta dell’autore, che addirittura chiama in correità il Padreterno. A dire il vero Perugini aveva rielaborato e sintetizzato le spiegazioni un po’ più ampie fornite da due impiegate del negozio, come riporta la sentenza di primo grado:

Angelika Becker Hagensieker, che ebbe a lavorare come commessa dal 1980 al 1985 […] aggiungeva una circostanza interessante, che integrava quanto riferito dal Westerholt: costui faceva molta attenzione a che tutti i prodotti fossero contrassegnati con l'apposita etichetta recante il prezzo, però spesso, per via della fretta, non avendo a portata di mano l'etichettatrice, le merci venivano contrassegnate a matita. […]
Sentita la Stellmacher Etgeton Annegret Magda il 22.6.1992, costei […] aggiungeva una circostanza che confermava ed integrava quanto riferito dalla Hagensieker: in condizioni normali solo alcuni singoli articoli, come i registri, venivano di regola contrassegnati a mano, mentre sia il prezzo che il numero di merce venivano applicati a tutti gli altri con un'etichettatrice, ma il sistema manuale poteva trovare comunque occasionale applicazione anche ad articoli diversi nel caso in cui l'etichettatrice fosse difettosa o non se ne potesse disporre in quel preciso momento.

Nel dare un giudizio sulle spiegazioni precedenti, bisogna pensare che una macchina etichettatrice da negozio non era affatto un apparato di chissà quale costo e dimensione, tanto da poter disporre di un solo esemplare che, se guasto, avrebbe impedito l’etichettatura. Si trattava invece di un dispositivo portatile dal costo modesto, probabilmente venduto anche dallo stesso Prelle-Shop, e che quindi era facilmente sostituibile nel caso si fosse guastato. Le etichette riportavano soltanto l’indicazione del prezzo, senza le complesse codifiche a barre di oggi abbinate a lettori ottici in cassa. La tecnologia c’era già, ma non era diffusa, neppure in Germania, e comunque in quel caso non sarebbe certo bastata una semplice matita a sostituire l’etichetta mancante.
Macchinette di quel tipo esistono ancora oggi, vengono più propriamente dette prezzatrici, e costano poche decine di euro, come questo modello già professionale (35 euro + IVA):





Quindi non si comprende come si potesse transigere alle rigide disposizioni del teutonico proprietario perché non c'era sottomano un apparecchio del genere. In fin dei conti l’operazione di etichettatura non si faceva certo davanti alla clientela spazientita! Quindi si deve per forza pensare che le due impiegate avessero fatto di tutto per favorire le aspettative dei loro interlocutori. In ogni caso, se davvero poteva capitare che ogni tanto la prezzatura avvenisse a mano, va registrato l’ennesimo intervento della dea Fortuna, se non proprio del Padreterno come s’immaginava Perugini.
In più nella scritta non c’era soltanto il prezzo, ma anche il numero “424”. E le due parti risalivano a due diverse mani. Quindi si dovevano immaginare due momenti differenti in cui si era verificato un intoppo nella disponibilità di una macchina etichettatrice. In ogni caso quel misterioso numero “424” poneva ben altri problemi. Nessuno al Prelle-Shop era in grado di fornirne un’interpretazione, neppure la signora Lohman che si era detta sicura al 50% (?) di averlo scritto. Doveva senz’altro trattarsi di un codice, ma la sua struttura non si accordava con la codifica adottata al tempo in negozio, un numero e una lettera, con la quale si identificava il tipo di merce. Sentiamo come “Un uomo abbastanza normale” descrive la costernazione dei nostri investigatori in trasferta. 

[…] giorno dopo giorno, tutti i pezzi vanno a sistemarsi al loro posto. Tutti tranne uno. Abbiamo probabilmente trovato anche colei che ha scritto 424 sul nostro blocco. Si chiama Lohman, ha lavorato pure lei al Prelle Shop e, come diverse altre commesse del negozio, ha riconosciuto nel 4,60 la grafia di Annegrete Stellmacher. Però non si ricorda affatto cosa significhi quel 424 che crede di aver scritto di suo pugno. Spiacente, proprio non le viene in mente. E non viene in mente nemmeno al signor Vesterholt, direttore da tanti anni del Prelle Shop.
Herr Vesterholt è brusco e categorico, non gli piacciono le perdite di tempo. Nein, non lo ha scritto lui quel numero, impensabile; lui non si occupa delle vendite. Nein, non si riferisce né a un fornitore né a un cliente e neanche è un vecchio prezzo. Nein, non può trattarsi nemmeno di un particolare tipo di merce: fino all'85 le merci sono state contrassegnate da un numero accompagnato da una lettera dell'alfabeto. La sua voce, tagliente come il vento della Bassa Sassonia, mi fa venire la febbre. Ma, perdiana! Qualche significato ce lo deve pure avere quel numero maledetto! Non sarebbe, Herr Vesterholt, così gentile da fare una piccolissima indagine interna per vedere se c'è qualcuno che se lo ricorda? Jawohl, se ne occuperà nei limiti del suo poco tempo disponibile e ci farà sapere. Danke, Herr Vesterholt... dice Klose al telefono, lanciandomi un'occhiata e facendo spallucce. 

E alla fine il solerte ispettore Klose trovò il modo di far quadrare il cerchio. Vale la pena godersi fino in fondo il drammatico resoconto di Perugini (Simonetta era l’interprete). 

Dovevamo partire mercoledì 24 giugno ma ho deciso di rimandare di un giorno. La mattina del 25, Klose deve sentire altri due testi e mi pare che sia proprio il caso di esserci. Inoltre il signor Vesterholt non ci ha ancora fatto sapere un bel niente e io non me ne voglio andare senza aver chiarito tutto il possibile. Non voglio continuare a lambiccarmi sul significato di quel 424 e a sognarmelo di notte. Così la mattina di giovedì, alle sette e mezzo, dopo essermi bevuto mezzo litro di caffè sono piombato negli uffici della Kripo. Simonetta mi ha raggiunto poco dopo, trafelata, senza aver fatto colazione e sentendosi in colpa. La guardo in faccia e penso che, invece, dovrei sentirmi in colpa io.
Poco dopo arrivano le testi, entrambe ex commesse del reparto cancelleria del Prelle Shop, le quali confermano che 4,60 è stato probabilmente scritto dalla Stellmacher, poi se ne vanno. Klose ci guarda con aria interrogativa: e adesso? Il mio convincimento che i poliziotti ragionano tutti nello stesso modo è confermato dal fatto che, prima ancora che io glielo chieda, Klose forma il numero di Herr Vesterholt.
«Guten Morgen, Herr Vesterholt, ich bin...»
Dopo dieci minuti sono ancora al telefono. Vuoi vedere che stavolta il direttore del Prelle ha qualcosa da dire? La conversazione fra i due si prolunga e sembra mettere sempre più a disagio Simonetta che tende il collo in avanti come un decapitando in attesa della mannaia. Pietro e io siamo congelati nello sforzo di capire. Klose evidentemente si sente frugato dai nostri sguardi e, dopo essersi scusato con il suo interlocutore, «Ein Moment, bitte...» si rivolge a noi e comincia a parlare ma si interrompe di lì a poco, interdetto. Simonetta sta piangendo. Lacrime silenziose le rigano il volto e cadono sul petto che sussulta nello sforzo di trattenere i singhiozzi. Quando le diciamo di calmarsi e le chiediamo perché pianga ci guarda stupita: stiamo piangendo anche noi. Abbiamo capito.
Ma Simonetta ci riferisce lo stesso quello che Vesterholt ha detto all'ispettore Klose. E che spiega il perché di quel 424 sul retro del nostro blocco. Non si tratta di un unico numero, sono tre. E sono dovuti al fatto che dieci anni prima al Prelle hanno iniziato a sperimentare dei codici numerici per computerizzare la gestione del magazzino merci. La prima cifra indica il mese, la seconda l'anno e l'ultima il genere di merce.
Questo significa che il blocco da disegno era stato preso in carico dal magazzino della ditta nel mese di aprile 1982. Di conseguenza le date che Pacciani ha apposto sulle sue pagine sono fasulle.
Nel mio intimo lo sapevo già. 

Il mistero di quel numero si sarebbe dunque chiarito nella lunga telefonata del 25 giugno 1992 tra Klose e Vesterholt. Ma, se anche quella telefonata avvenne davvero, certamente non fu il titolare del negozio a ricordare il significato del codice, fu Klose a suggerirglielo, dopo che già lo aveva fatto il 23 o al massimo il 24 telefonando alla signora Stellmacher, come questa avrebbe riferito un anno dopo. Così la sentenza di primo grado: 

Nell'ultima deposizione, in data 16.6.1993, la Stellmacher ha poi fornito un'interpretazione della cifra "424” che coincide esattamente con quella data dal Westerholt, spiegando che a ciò era giunta dopo che l'ufficiale di P.G. di Osnabruck, sign. Klose, due giorni dopo il primo interrogatorio, l'aveva richiamata telefonicamente chiedendole se la composizione della cifra “424” potesse avere quello specifico significato: era bastato quel piccolo spunto e le era tornato tutto in mente con chiarezza, tanto da non avere nessun dubbio in merito, non avendo poi parlato né con ex colleghi della Prelle né, tanto meno, col titolare Westerholt. 

Secondo il libro di Perugini la Stellmacher era stata interrogata il il 21, mentre nella suddetta sentenza si legge: “Sentita la Stellmacher Etgeton Annegret Magda il 22.6.1992 […]”. In ogni caso i “due giorni dopo il primo interrogatorio” pongono la telefonata tra Klose e Stellmacher prima di quella tra Klose e Vesterholt (o Westerholt). La stessa sentenza di primo grado, quindi, riconduce l’interpretazione di quel codice non al personale o al proprietario del negozio, ma al fin troppo solerte ispettore Klose. In ogni caso Vesterholt raccolse l’assist, ricordandosi dell’esperimento informatico del 1982 nel quale si sarebbe inquadrata quella misteriosa codifica. Sia Klose che Vesterholt fecero insomma di tutto per togliere gli investigatori italiani dall’imbarazzo di quello strano numero anteposto al prezzo. Ma la loro invenzione era piena di punti deboli.

Mettiamoci pure nell’ipotesi che, attorno al 1982, in vista di cambiamenti nel sistema informatico, qualche consulente avesse elaborato una nuova metodologia per identificare gli articoli in vendita. Se tale metodologia fosse rimasta allo stadio di proposta, i relativi codici non sarebbero mai arrivati a contrassegnare i singoli prodotti, ma sarebbero rimasti all’interno di ponderose relazioni valutate e poi messe da parte. Se invece la nuova metodologia fosse divenuta operativa, anche se soltanto per un breve periodo, è impossibile che non avesse lasciato traccia su database o registri cartacei.
Vediamo poi la struttura di quel codice. La prima cifra (4) avrebbe rappresentato il mese di carico a magazzino (aprile), la seconda (2) l’anno (1982), e la terza (4) la tipologia di merce, articoli da disegno. Ma dentro un computer un codice così composto non avrebbe avuto alcun senso. Di sicuro non poteva servire a identificare il singolo articolo, causa due gravissimi limiti. Il primo è la mancanza di univocità, un requisito essenziale per la gestione di un qualsiasi database. È chiaro infatti che tutti gli articoli da disegno presi in carico nel medesimo mese avrebbero condiviso la medesima sequenza numerica: blocchi di ogni dimensione ma anche matite, righe, gomme, pastelli. Il secondo problema, altrettanto serio, è invece la mancanza di stabilità: lo stesso articolo, preso in carico un mese dopo, avrebbe ricevuto un codice differente (“524”), con ovvie ed enormi difficoltà nella gestione di un archivio anagrafico. Ma allora,  di quale archivio avrebbe potuto essere chiave tale codice? E perché riportarlo a matita sull’articolo in vendita?
Infine un’osservazione ovvia. Se il prezzo del blocco nell’aprile 1982 era di 4,60 marchi, come poteva essere schizzato a 5,90 appena un mese dopo, come si evince dalla relativa fattura presentata dal signor Vesterholt?

A un esame meno condizionato dalla necessità d’incastrare Pacciani, considerando che la dimensione dello “Skizzen Brunnen” era 17x24, il significato più plausibile del numero potrebbe essere stato “blocco da disegno” (4) “alto 24 cm” (24), e la sua estrema semplicità unita alla scrittura a matita non può che indicarne la provenienza da un piccolo negozio, dove non esistevano computer e i dati venivano riportati a mano sui tradizionali registri cartacei. Anche in questo caso, probabilmente, il metodo di codifica non avrebbe assicurato univocità all’intero insieme di codici del negozio, i quali però, più che codici, potevano essere considerati delle denominazioni sintetiche da riportare su schede e registri, alle quali era anche il contesto a dare un significato (la stabilità però sì, quella c’era).
Nello scenario di un piccolo negozio, si può anche immaginare il perché delle due differenti grafie per codice e prezzo. A causa dello smercio limitato, gli articoli rimanevano a lungo a magazzino, quindi, data l’alta inflazione del tempo, il prezzo di vendita non poteva essere stabilito al momento dell’acquisto (al contrario del Prelle-Shop, dove una singola fornitura si esauriva in pochi mesi). Quindi il prezzo veniva segnato sull’articolo soltanto quando questo passava dal magazzino allo scaffale di vendita. Per non doversi inventare valori al momento, si può immaginare che la proverbiale efficienza teutonica avesse elaborato un semplice metodo: esisteva un registro prezzi, aggiornato periodicamente in base all’inflazione, dove ogni riga riportava un codice articolo e ogni colonna i relativi prezzi nel tempo, con l’ultima a rappresentare quello corrente. Prima di essere messo a magazzino, l’articolo di nuovo acquisto veniva contrassegnato con il suo codice. Chi, tempo dopo, lo andava a prelevare per metterlo a scaffale, attraverso il codice individuava il prezzo corrente nel registro prezzi, che poi riportava sullo stesso articolo.

A questo punto si può senz’altro concludere che il blocco “Skizzen Brunnen” sequestrato in casa Pacciani non proveniva affatto dal negozio Prelle-Shop di Osnabruck. Ma allora, perché ben tre periti grafologi avevano associato la scritta “424/4,60” a due impiegate di quel negozio? C’è innanzitutto da chiedersi come si potesse sperare di ottenere risultati validi dall’esame di sole tre cifre scritte a matita, quindi neppure troppo nitide. Poi è bene cogliere l’occasione per ampliare un po’ il discorso. La perizia calligrafica in oggetto fu soltanto una delle tante perizie tecniche richieste dal PM sulle prove materiali. La legge vuole che la nomina dei periti venga disposta dal GIP, quindi da un organo in teoria neutrale, e quindi neutrale dovrebbe essere l’approccio dei periti verso l’oggetto delle loro verifiche, ma nella pratica quasi sempre non è così, e il caso Pacciani non fece eccezione. È evidente infatti che un tecnico al quale venga richiesto di trovare delle prove può essere indotto psicologicamente più a trovarne che a non trovarne, poiché trovandone può mettere sul tavolo un risultato certo, non trovandone può temere che il suo lavoro possa essere giudicato quantomeno superficiale. E in più, anche se formalmente l’incarico viene affidato dal GIP, il committente ultimo rimane il PM, quindi i periti si sentono in dovere di render conto a lui, con l’ovvia conseguenza di essere portati ad assecondarne le aspettative.
Nel caso in esame vale la pena riflettere sul comportamento di uno dei tre periti grafologi, Salvatore De Marco, che procedette all’esame non richiesto dei fogli dove Pacciani aveva riportato i noti appunti – dei quali vedremo nell’ultima puntata credendo di trovarvi tracce latenti di scrittura in tedesco! Allo scrivente ha ricordato, con tanta nostalgia, le “ricerche” svolte a scuola per iniziativa personale, sperando di fare bella figura con la maestra…


9 commenti:

  1. ..."codici numerici per computerizzare la gestione del magazzino merci. La prima cifra indica il mese, la seconda l'anno e l'ultima il genere di merce"...

    ciao Antonio,
    ti segnalo anche un'altra piena impossibilità sul fatto che quei 3 numeri ("424") stessero ad indicare mese/anno/genere:

    - se si usa un numero di una sola cifra per indicare il "mese": NON si possono indicare i mesi di:
    ---> "10"- ottobre
    ---> "11"- novembre
    ---> "12"- dicembre

    un'autentica follia!!!!
    Ancor più folle se pensata per un sistema di catalogazione di qualunque tipo (pensa te, poi se pure computerizzata).

    Una simile "indicazione di riscontro", vale solo ed esclusivamente se comunque ed in ogni caso si voglia tirare la croce addosso a qualcuno, arrivando addirittura a presentare delle palesi e macroscopiche fuffate (come usare una cifra numerica di un numero, per indicare i dodici mesi dell'anno)

    NOTA:
    così come ben poco credibile è che per indicare l'anno si usi una cifra soltanto... col bel risultato che ogni 10 anni non sai più nulla del riferimento, ripartendo la sequenza daccapo


    Ma Pacciani lo si voleva mostro a tutti i costi, e quindi... "evviva l'efficienza tedesca a codificare a muzzo con la santa benedizione del Padreterno" :(

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    1. Volendo si potrebbero usare le lettere per i mesi da ottobre in poi, come nella notazione esadecimale, ma si fa soltanto per dire. La cosa incredibile è come si sia riusciti a portare questo enorme guazzabuglio di sciocchezze fino ad una condanna all'ergastolo. Speriamo che prima o poi si cominci a lavare la coscienza sporca di un'intera nazione discutendo serenamente di quello che è accaduto. Purtroppo questo non accadrà fino a quando soltanto pochi appassionati come noi cercano di ragionarci sopra senza condizionamenti.

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    2. ma perché mai il centravanti della Lazio avrebbe dovuto escogitare quella strana spiegazione porgendola e facendosela confermare dai testi?
      quanto al prezzo, non si può escludere che l'articolo sia stato scontato.
      faccio queste osservazioni in veste di "avvocato del diavolo", ma devo ammettere che le tue considerazioni, prese globalmente, appaiono molto convincenti; bisogna però supporre che la Stellmacher sia stata indotta a riconoscere la sua grafia e i periti abbiano confermato - in termini di assoluta sicurezza - per compiacenza.
      E i due periti precedenti che fine hanno fatto?

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  2. Alcune persone amano sentirsi protagoniste, altre semplicemente utili. Spesso è questa la chiave di lettura di testimonianze fasulle. Nel caso specifico moltissimo dovette giocare la convinzione con cui i nostri investogatori erano andati là: il colpevole c'era, mancavano soltanto le prove.

    Il prezzo scontato potrebbe anche essere, ma la scritta a matita con quel codice davanti non si spiega ugualmente.

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  3. Antonio,
    ecco un'altra incongruenza mica da poco sull'ipotizzata fanfaluccata delle 3 cifre per indicare mese/anno/articolo
    Se usi 3 cifre,
    - ed una la occupi col mese (scartando ottobre, novembre e dicembre)
    - una la dedichi all'anno (perdendo il db ogni 10 anni)
    significa che:
    - te ne resta una sola per la catalogazione dei prodotti!!!!

    Ossia:
    al massimo puoi catalogare gli articoli in 0-9 macro categorie differenti

    WoooW! il non plus ultra per la gestione di un magazzino :) :) :)

    C'è seriamente da vergognarsi a pensare che qualcuno possa essersi bevuto una simile spiegazione !!!

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. Senza essere presuntuoso provo a dare una chiave di lettura riguardo al codice 424.
    Tra i commercianti è pratica comune ancora oggi inserire il costo a cui hanno acquistato l'articolo all'interno delle etichette o degli adesivi appositi, in pratica tale importo è "nascosto" da un apparente codice identificativo vicino al prezzo riservato al pubblico.
    Oggi ovviamente tale operazione risulta più precisa grazie a stampanti, etichettatrici, prezzatrici ecc.
    I modi sono vari, c'è chi scrive il costo al contrario partendo dall'ultima cifra, chi lo fa precedere da vari 0 (zero) e qualche lettera, chi inventa un proprio metodo e chi più semplicemente appone un numero davanti al costo d'acquisto. Si tratta di pratiche semplici e immediate, forse vecchie, ma che consentono di ricordare il costo sostenuto senza controllare registri, gestionali, fatture o altro.
    Tornando al 424, quindi potrebbe essere che il primo 4 serva a mascherare il prezzo di costo al commerciante, le altre due cifre 24 indicherebbero che il blocco sarebbe costato al commerciante 2,4 marchi. Le due cifre avrebbero differente calligrafia per il semplice fatto che il 424 sarebbe stato scritto all'arrivo del prodotto, e il 4,60 alla messa in vendita, evidentemente da persone diverse. Anche l'uso della matita per tali operazioni confermerebbe tale ipotesi, l'esigenza di aggiornare i prezzi (inflazione, sconti, ecc) o eliminarne la presenza in fase di vendita, come nel caso di un regalo.
    Spero di aver dato uno spunto utile, complimenti per il blog e per il confronto sempre civile e costruttivo.

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    1. Si tratta di un'ipotesi che ha la propria validità, senz'altro, e che lascia invariata l'altra di provenienza da un negozio piccolo, dove lo smercio di tali articoli era limitato.

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    2. Un codice/prezzo a matita fa pensare a realtà non strutturate, come piccoli negozi, edicole, mercatini ecc e il controllo doveva riguardare il solo costo di acquisto. Una sorta di promemoria che torna utile anche in caso di trattativa con il cliente, il che non è possibile in negozi come il Prelle, che gia nei primi anni 80 aveva bisogno di un gestionale.

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