domenica 12 giugno 2016

Una strana malattia

Ho già avuto modo di occuparmi del delitto di Signa, soprattutto nell’articolo “La scatola di cartucce”, dove ho elencato le principali ipotesi che vengono formulate per risolvere il mistero del passaggio della pistola. Secondo quella oggi forse più accreditata, non ci sarebbe stato alcun passaggio di pistola, poiché anche nel 1968 a Signa a uccidere sarebbe stato il Mostro e quindi Stefano Mele, i suoi familiari e i suoi rivali non avrebbero avuto nulla a che fare con quel delitto. Non la pensava in questo modo il giudice Mario Rotella, il quale, nell’ambito della cosiddetta “pista sarda”, sull’uccisione di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco aveva indagato e ragionato a lungo, proponendosi non tanto di scoprirne l’autore o gli autori, quanto di trovare il serial killer che con la stessa pistola stava ancora uccidendo. Sappiamo bene che non lo trovò, e purtroppo proprio quel suo bisogno di fermarlo, del resto comprensibile, gli fece anche perdere il filo della vicenda di Signa, per la quale era invece arrivato a dei risultati molto interessanti, direi definitivi. Nella nota sentenza del 1989, pur ammettendo la propria sconfitta, Rotella ribadì però che in ogni caso il delitto di Signa era differente dagli altri.

Non è […] possibile ipotizzare la serie omicidiaria eliminando le differenze, vuoi trascurando talune variabili o forzandole in una spiegazione di comodo, vuoi creando costanti artificiali. È il modo più sicuro per allontanarsi dalla verità, per quanto quella che s'intravvede possa contrastare l'immagine maggiormente suggestiva che se ne sia fatta.
Per esempio, supponendo un solo esecutore in tutti i casi, dal 1974 in poi, non è possibile ipotizzare che fosse solo anche nel precedente del 1968. Può essere un'ipotesi di lavoro d'indagine di P.G., insomma di ricerca generica (v. la ricerca dell'origine della pistola — cfr.i volumi d'indagine agli atti), ma non può fondare alcun convincimento giurisdizionale in corso d'istruttoria, senza travisare il tema specifico della prova.
Sono in sintesi insuperabili i dati obiettivi raccolti subito dopo il fatto del 1968, per i quali esso ha caratteristiche tali da non poter essere assimilato, all'evidenza, ai delitti successivi, se non per le costanti ravvisate [di questa evidenza sono, per esempio, convinti i periti intorno al tipo d'autore nominati dal p.m. nel 1984, che definiscono la serie 'maniacale' circa i delitti dal 1974 in poi].

La sconfitta di Rotella dette modo agli investigatori arrivati dopo (Perugini e i magistrati della Procura), di ignorare il suo lavoro, ipotizzando il medesimo assassino anche a Signa, e quindi l’innocenza di Stefano Mele. Ecco il pensiero di Perugini espresso nel libro “Un uomo abbastanza normale”:

Anticipo subito che mi presi la libertà di considerare l'omicidio del 1968 come commesso dalla medesima mano anche se per quel fatto era già stato condannato Stefano Mele, marito della donna uccisa. E questo perché, tutto sommato, non credo alle favole: ivi compresa quella di una pistola che viene per accidente trovata (assieme alle relative munizioni) da uno sconosciuto di passaggio. Che siccome ha, vedi caso, qualche piccola mania, se ne serve per ammazzare altre sette coppiette di innamorati. Con l'aggiungere, poi, che quella di un consapevole passaggio di mano dell'arma più che un'ipotesi la considero una farneticazione, credo di aver chiaramente espresso il mio punto di vista a questo riguardo.

Come si vede un colpo di spugna assoluto sulla pista sarda, smaccatamente strumentale al fronteggiare l'indimostrabilità di qualsiasi legame tra i sardi e Pietro Pacciani. Pur con intenti del tutto differenti, altri si sono poi messi sulla stessa lunghezza d’onda, fino all’ultimo arrivato, Valerio Scrivo, che nel suo interessante ebook Il Mostro di Firenze esiste ancora riporta un ambizioso tentativo di individuare il luogo dove il serial killer fiorentino avrebbe fatto base, includendo anche il delitto del 1968 nella serie. Peccato che anche lui chiuda gli occhi di fronte al lungo elenco di pesanti indizi che impediscono di eliminare Stefano Mele e i suoi complici, chiunque fossero stati, dalla scena del crimine di Signa. In questa sede ne esaminerò soltanto un paio o tre.
È ben noto l’aforisma (del quale non sono riuscito a rintracciare l’origine) “Il diavolo si nasconde nei dettagli”. Ebbene, che Mele fosse coinvolto nel delitto viene dimostrato da un dettaglio al quale di solito non si fa troppo caso, ma che invece a mio parere risulta determinante: il tentativo da parte sua di costruirsi un ingenuo alibi. Di per sé un falso alibi non è un indizio di colpevolezza troppo significativo, poiché potrebbe essere stato originato dal tentativo di sopperire a un alibi mancante. È insomma comprensibile che un innocente, non in grado di dimostrare di esserlo, possa anche mentire per discolparsi. È molto più sospetta, invece, la preventiva costruzione di un falso alibi, la quale dimostra che la persona era a conoscenza in anticipo di un misfatto di cui poteva essere accusata, e di conseguenza che vi aveva anche partecipato, altrimenti si sarebbe procurata un alibi vero.
Il 21 agosto 1968 Stefano Mele si recò al cantiere edile dove lavorava come manovale. Attorno alle 11 accusò un malore (conati di vomito e bruciori di stomaco) in conseguenza del quale si fece accompagnare a casa dal collega Giuseppe Barranca. Al pomeriggio passò a trovarlo uno degli spasimanti della moglie, Carmelo Cutrona, che poi testimoniò di averlo visto a letto. Quella notte la moglie e Antonio Lo Bianco furono uccisi, e quando Natalino suonò alla porta di De Felice, la prima cosa che disse fu che il babbo era ammalato a letto. E continuò a ripeterlo in seguito, allo stesso De Felice, alla moglie, al vicino di casa Manetti e anche al carabiniere Giacomini. Infine la mattina dopo, quando i carabinieri lo andarono a prendere, fu Mele stesso a ribadirlo: della moglie e del figlio non sapeva nulla, dopo il loro mancato rientro non era andato a cercarli perché era a letto ammalato. Però di quel terribile male che lo aveva costretto a tornare a casa dal lavoro e gli aveva impedito di cercare la moglie e il figlio non c’era più traccia!
Non è possibile ignorare la valenza probatoria di un simile comportamento. Con la sua strategica malattia Stefano Mele aveva tentato di costruirsi un alibi preventivo, quindi sapeva di sicuro che quello era il giorno del delitto, ed è quasi altrettanto sicuro che al delitto anche lui aveva partecipato. Questa seconda considerazione deriva dal fatto che, dopo aver faticato tanto per precostituirsi un alibi, avrebbe potuto completarlo facendosi vedere nell'intorno dell'ora del delitto, ad esempio suonando a un vicino di casa per telefonare o comunque chiedere aiuto.
Chi oggi ritiene Stefano Mele innocente considera la combinazione di una malattia sopravvenuta proprio nel giorno in cui sarebbe stata uccisa sua moglie nient’altro che una coincidenza. Si tratta però di un tentativo di far tornare dei conti che non tornano, a mio parere intellettualmente disonesto. Escludendo il caso di infortunio, quante volte può essere accaduto a una persona media, nell’arco della propria vita lavorativa, di tornare a casa dal lavoro per un sopraggiunto malore? Ognuno di noi può chiederselo, e sono sicuro che le risposte potranno andare da zero alle dita di una sola mano. Normalmente chi sta male al lavoro non ci va, e se ci va viene via soltanto per un aggravamento sostanziale della sintomatologia, che normalmente lo porta a transitare da un pronto soccorso. I problemi di stomaco accampati da Mele non parevano certo gravi, sia perché non esiste alcuna testimonianza di colleghi di lavoro che lo avevano visto, ad esempio, in preda a convulsioni da vomito, sia perché alla mattina dopo era già guarito.
È possibile che il malore accusato da Stefano Mele fosse soltanto un modo per abbandonare il posto di lavoro a fronte di una semplice mancanza di voglia di lavorare? Questa infatti potrebbe essere una spiegazione alternativa, anch'essa in grado di giustificare una malattia inesistente. Ma la famiglia Mele versava in un grave stato d’indigenza, pertanto è poco credibile che l’uomo avrebbe rischiato di mettersi in cattiva luce in un cantiere dove aveva iniziato a lavorare appena da un paio di settimane. D’altra parte il suo principale lo avrebbe definito “buon lavoratore anche se utile per lavori non impegnativi”, quindi, per quanto gli era possibile, pareva darsi da fare. E comunque ricadremmo sempre nella sorprendente e sospetta coincidenza di un evento molto improbabile accaduto proprio nel giorno in cui gli sarebbe stata uccisa la moglie.
Anche l’insistenza con la quale Natalino disse del babbo ammalato a letto agli adulti che lo soccorsero è molto sospetta. Possibile che, dopo un’esperienza traumatica come quella di aver abbandonato la propria madre morta per intraprendere un viaggio di oltre due chilometri nel buio della notte, fin dalla primissima frase pronunciata davanti a De Felice affacciato alla finestra avesse detto del padre ammalato? E poi lo avesse ribadito più volte nel corso delle ore successive? La spiegazione più logica appare quella di un adulto, e chi se non lo stesso padre, che glielo aveva raccomandato fino a un momento prima di lasciarlo suonare.

Come si sa di lì a breve Stefano Mele avrebbe iniziato un balletto di confessioni e dichiarazioni contrastanti in mezzo alle quali gli investigatori di allora non seppero districarsi, e che in seguito furono interpretate come l'effetto di pressioni e paure. Ma non va dimenticato che esistono almeno un altro paio di indizi di colpevolezza di Stefano Mele precedenti la sua prima confessione. Si legge nel rapporto giudiziario dei carabinieri, il cosiddetto Matassino (21 settembre 1968):

Si è del parere che addirittura il Mele si è recato da solo sul posto, in bicicletta, e dopo aver lasciato il bambino, ripercorso lo stesso tratto di strada fatto per l’andata, ha ripreso la bicicletta ed è ritornato a casa.
A giustificare questa ipotesi stanno alcune macchie di grasso, tipico grasso di catena di bicicletta, che il Mele presenta su ambedue le mani al mattino del 22.8.68, quando viene accompagnato in Caserma per le quali, a nostra richiesta, non sa dare alcuna giustificazione. Le stesse infatti può essersele procurate nel rimettere in sesto la catena della bicicletta evidentemente saltata dagli appositi ingranaggi. Si precisa che il Mele non è idoneo a condurre motomezzi di sorta.

Dopo un mese di accuse, confessioni e ritrattazioni, i Carabinieri si erano convinti che Stefano Mele avesse fatto tutto da solo, e che avesse raggiunto il luogo del delitto in bicicletta, visto che non possedeva un mezzo a motore né era capace di guidarlo. Ecco quindi che i residui di grasso riscontrati sulle sue mani la mattina dopo il delitto furono interpretati come effetti dell’azione di aver rimesso in sede una catena di bicicletta saltata via. Ma si trattava di una convinzione sbagliata, per tutta una serie di ragioni che per ora non è il caso di esaminare. Piuttosto quelle tracce di grasso testimoniavano di un possibile tentativo di eliminare i residui di sparo che Mele sapeva di avere sulle mani. E in effetti la prova del guanto di paraffina, condotta peraltro a un po’ troppa distanza di tempo dal momento del delitto (16 ore), evidenziò sulla sua mano destra una “colorazione azzurra in una zona di circa tre millimetri in corrispondenza della piega della pelle tra il pollice e l’indice”, e quindi una leggera positività.
Quella prova oggi non si fa più, poiché non risulta affidabile. Esistono infatti troppe sostanze (saponi, solventi, fertilizzanti) in grado di reagire allo stesso modo della polvere da sparo, e quindi risulta elevato il rischio d’incorrere in un falso positivo. Però la colorazione azzurra sulla mano destra di Stefano Mele fu riscontrata proprio nella zona lambita dai gas scaricati di una pistola semiautomatica mentre il carrello otturatore arretra per espellere il bossolo.
Dunque Mele non soltanto era stato presente al delitto, ma aveva anche sparato. Si tratta di un dato di fatto sul quale non è possibile soprassedere, neppure di fronte alla difficoltà di spiegare il mistero del passaggio della pistola. A meno di non distorcere la realtà. Anche perché esistono molti altri indizi, alcuni assai pesanti, che collocano l'uomo sulla scena del crimine.

178 commenti:

  1. la frase “Der Teufel steckt im Detail” viene comunemente attribuits a Friedrich Nietzsche.

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    1. Il passaggio della pistola ci deve essere logicamente stato. Il delitto del '68 è infatti un delitto passionale (anche se di passione alquanto singolare si tratta) maturato nell'ambito del cosiddetto clan sardo (il clan sardo della Val di Pesa o comunque dell'area a sud ovest di Firenze, aggiungo io, quella cioè che sarebbe diventata il distretto "privilegiato" dal Mostro). I deus ex machina di quel (duplice) delitto sono più probabilmente i due fratelli Vinci (da Vilacidro), insofferenti della relazione fra la "loro" ape regina e il Lo Bianco. E, più probabilmente, era loro la celeberrima pistola (credo, se dovessi fare un solo nome, di Francesco Vinci più che di Salvatore). Ed è altrettanto vero che il Mele Stefano vi partecipò, sparando pure qualche colpo, ancorché -credo- glielo fecero fare i Vinci, ai quali il Mele era del tutto asservito, consentendo loro, fra l'altro, senza battere ciglio, l'uso a piacimento della propria moglie.

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    2. Leggendola tuttavia , signor Segnini, mi par di capire che Lei attribuisca la maggiore probabilità ad un passaggio d'arma incidentale, verificatosi la notte stessa del delitto di Castelletti di Signa (dando di fatto credito alla testimonianza del Mele stesso, circa il fatto che l'arma fu gettata via subito dopo aver sparato e quindi deducendo che qualcuno che era lì casualmente - ad esempio per "guardare" le vittime nel loro amplesso - la raccolse): questo qualcuno con ogni probabilità era il futuro Mostro. E' una possibilità signor Segnini: concordo con Lei che questa soluzione aprirebbe la via a tante spiegazioni circa i tragici fatti che sarebbero avvenuti negli anni a venire e fino al Settembre 1985. Tuttavia, anche ammettendo (ma personalmente non concedendo) che gli ideatori del delitto del '68 avessero non molto razionalmente deciso di gettare la pistola che aveva appena sparato e ucciso proprio nei pressi della scena del crimine - così riferì il Mele Stefano- (con la certa conseguenza che, non fosse stato per il futuro Mostro, l'arma sarebbe stata senz’altro ritovata dagli inqiurenti e che gli stessi ideatori si sarebbero pertanto complicati molto la vita - senza alcun reale beneficio in cambio - rispetto al non far ritrovare l'arma), il punto cruciale, se si accetta questa tesi, è: chi era il guardone che si trovava proprio lì, non visto, quando il Mele o i Vinci o chi altro coinvolto nel duplice delitto di Castelletti gettò via la pistola che aveva appena ucciso? Un comportamento del genere (nascondersi nella notte per guardare una coppia in atteggiamenti amoroso-sessuali) è tipico di soggetti marginali. E infatti se capisco bene Lei ha un candidato per questo ruolo, il Giancarlo Lotti detto Katanga. Mi permetto però di dirLe, sig. Segnini che il Mostro di Firenze è (o fu, se non fosse più in vita) un soggetto che è stato in grado di tendere “a regola d’arte” ben sette imboscate (sei in cinque anni) in condizioni di scarsa o nulla visibilità, a due persone, senza quasi mai lasciargli possibilità di reagire e mai alcuna via di scampo, anche in condizioni ambientali oggettivamente molto difficili per una persona priva di esperienza e addestramento. riuscendo però a dileguarsi senza mai lasciare una qualche traccia utile agli inquirenti (almeno per le tecniche di indagine dell'epoca). E mostrando una rapidità e lucidità di reazione ad imprevisti (vedi Baccaiano, vedi Scopeti), che ancora una volta chiama in causa specifici esperienza ed addestramento. Non solo: è un individuo che è stato in grado di concepire un depistaggio come l'apertura della pista sarda nel Luglio 1982, in risposta al tranello tesogli dalla dr.ssa Della Monica (ci vogliono informazioni prvilegiate, ci vuole grande controllo della situazione, per fare un depistaggio come quello, che aprendo una pista reale agli inquirenti - l'arma del Mostro aveva in effetti sparato per la prima volta nel '68 - allo stesso tempo li porta su un binario morto e fa perdere anni ed energie investigative a profusione alle indagini). Io credo sig. Segnini che si debba convenire come un profilo di questo tipo sia del tutto eccezionale, sicuramente non compatibile in alcun modo con personaggi come i compagni di merende. Io credo non in quella notte di Agosto del 1968, ma tra il '68 e il '74 (l'anno del primo delitto del Mostro). E il passaggio fu tra i sardi (i Vinci più probabilmente) e qualcuno che aveva influenza su di loro (li poteva ricattare? era un personaggio da loro temuto?) o comunque sul loro ambiente. Un personaggio davvero fuori dagli schemi, ma secondo me anche potente e del tutto temibile.

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    3. E' davvero cosa impossibile cercare di individuare un personaggio con queste del tutto straordinarie caratteristiche che visse ed operò nei decenni settanta e ottanta (quanto meno) del secolo scorso nel fiorentino?

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    4. Che cosa vuole che le dica, le sue opinioni sono legittime ma i miei studi di ormai tanti anni mi portano su una strada differente. Mi permetto soltanto di metterle una pulce in un orecchio: e se la pistola fosse stata dei Vinci ma loro del delitto nulla sapevano? Il che fornirebbe una ragione plausibile per averla abbandonata sul posto.

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    5. La storia del mostro potente e influente a mio avviso è un luogo comune di cui dovremmo sbarazzarci. Credo che cercando questo fantomatico profilo non si arriverà mai a capo di nulla. Quali sono le caratteristiche eccezionali dell'assassino? La capacità di uccidere dei poveri ragazzi inermi e svestiti in un ambiente chiuso in cui erano in trappola? O il praticare tagli su dei corpi già cadaveri?
      Se l'assassino sapeva che l'arma da lui usata era la stessa che aveva sparato a Signa, mi pare logica e certamente astuta la scelta di portare le indagini su un binario morto. Di certo non ha senso immaginare un assassino-depistatore nella cerchia dei sardi.
      Per non parlare poi della lettera alla Della Monica, che i mostrologi più accreditati continuano a ritenere del tutto incompatibile con personaggi come Pacciani e Lotti. Una persona potente e influente che c'azzecca con delle lettere ritagliate da periodici di bassa qualità e larga diffusione e un banale errore di ortografia?
      E qualunque assassino astuto avrebbe usato la colla e non la saliva per chiudere la busta o per incollare le lettere e il francobollo. Ma l'astuzia non appartiene solo agli uomini potenti e temibili.



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    6. Do^ atto che potente e influente sono espressioni che riflettono una mia opinione del tutto soggettiva e che potrebbero essere inappropriate in questo contesto. Le uniche cose che mi permetto di osservare e poi mi taccio è che non è facile come sembra portare a termine sette attacchi a due persone con esiti mortali del 100% e dileguarsi poi senza mai lasciare tracce utili. Per decidere di attaccare in un contesto quale quello del 1982 a Baccaiano bisogna davvero essere sicuri di sé, bisogna essere piuttosto addestrati a fare imboscate. Uno che fa un depistaggio come quello del 1982 (pista sarda) è un professionista, che per confondere gli inqurenti potrebbe benissimo farsi passare per sprovveduto e ignorante e anche lasciare tracce organiche che sa però che non porteranno a lui (all'epoca non c'era la tecnica del DNA). La sua ipotesi è sicuramente interessante sig. Segnini, come sempre. E infatti (tenendo presenti anche gli esiti dei test di paraffina all'epoca eseguiti) io credo che a sparare a Castelletti di Signa fu un estraneo rispetto al clan sardo, ma che fu in qualche modo "assoldato" da coloro del clan interessati all'omicidio (più probabilmente i Vinci, mentre il Mele Stefano ignorava la circostanza) per eseguire il "lavoro".C'è in effetti un buon candidato per questo ruolo, ormai da anni entrato nelle indagini sul Mostro, molto esperto nell'uso delle armi per i suoi trascorsi di legionario combattente, che viveva all'epoca nel medesimo paese di residenza di Salvatore Vinci (Vaiano, se non erro, vicino Prato). Tuttavia credo non sia lui il Mostro: la pistola secondo me è stata restituita dal sicario "assoldato" ai proprietari e da questi portata via in luogo sicuro. Il cruciale passaggio di mano dell'arma dovrebbe
      a mio avviso essere avvenuto in un qualche momento successivo, tra il '68 e il '74.

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    7. E secondo lei per quale motivo Natalino disse che aveva visto lo zio Piero gettare la pistola nel fosso? Qualsiasi ipotesi è legittima purchè tenga conto dei dati di fatto, che troppo spesso si dimenticano.

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    8. Sicuramente se ne deve tenere conto signor Segnini, Lei ha ragione piena. Mi chiedo però quante cose siano state messe in testa (e in bocca) al povero Natalino, quella notte...

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    9. Di fronte alle parole contraddittorie di Stefano Mele e del figlio è facile scoraggiarsi, ignorandele del tutto. E' una tendenza che oggi va per la maggiore, in competizione diretta con quella di Salvatore Vinci che avrebbe tenuto la pistola, anch'essa comunque poco rispettosa soprattutto di quanto disse Natalino.
      E invece ciò che disse Natalino ha un'importanza eccezionale, anche se ogni sua parola va soppesata con attenzione per scoprirne il contesto. Non si può pensare che un bambino di quell'età avesse inventato in modo autonomo delle bugie grandi come quella di aver visto lo zio Piero gettare la pistola nel fosso. Ne disse, certo, ma perchè gli avevano detto di dirle. Quindi per ogni sua affermazione va chiarito il contesto, cercando di capire quale potesse essere stata la fonte. Nel caso della pistola gettata via non sono riuscito a trovare alcuna fonte plausibile, poiché nessuno degli attori in gioco aveva interesse a fargli dire una cosa simile. Indi, ergo, il fatto è vero, anche perchè s'incastra con altri. Il primo e più importante è che Mele, nella sua prima confessione quando coinvolse Salvatore Vinci, affermò proprio che la pistola l'aveva lasciata lì. Perché inserire questo particolare? Non poteva, più plausibilmente, raccontare di averla restituita a Salvatore, come dovette fare quando gli dissero che la pistola non si trovava? Troppo difficile ragionare su elementi come questi?
      Dicevano i latini: pochi libri ma buoni. Oggi c'è chi accumula documenti su documenti, ma non è capace di leggerli.

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    10. Antonio mi corregga se ricordo male. Natalino iniziò a parlare dello zio Piero quando si trovava in istituto. Il Direttore chiamò il maresciallo Ferrero, dicendogli che il bambino aveva cominciato a parlare. E Natalino , autonomamente, tirò fuori la storia dello zio Piero. Che poi diventerà pieto/pietro. Il problema è che il bambino continuerà a descrivere lo zio Piero, quando parla dello zio Pietro : " quello di scandicci che lavora di notte e ha una figlia che si chiama D.". Questa era la descrizione dello Zio Piero. Il cognato del padre. Non certo dello zio Pietro, il fratello della madre. Per quanto riguarda gli inquinamenti su Natalino, sono un numero esorbitante. I più importanti sono quelli attuati da suo padre, dal maresciallo Ferrero e prorpio dallo zio Piero. Ricordiamo tutti la forzatura, se volete la brutalità, con cui l'ufficiale dell'Arma lo costrinse a dire che quella notte era stato accompagnato da suo padre. Ciò non toglie che potrebbe essere vero, o vero in parte. Rotella alla fine pareva convinto che non fosse stato il padre ad accompagnarlo. L'altro inquinamento riguarda la notte successiva all'omicidio. Quando padre e figlio sono stati insieme. Non sapremo mai tutto quello che si sono detti. Ma entrambi ammisero che quella notte il padre istruì il figlio sul fatto che doveva dire di aver visto Francesco Vinci. Eppure Natalino questo non lo dirà mai. L'ultimo inquinamento, forse quello più grave, è proprio quello attuato dallo zio Piero. Perchè lo zio Piero disse a Natalino che avrebbe dovuto dire di aver visto Salvatore fra le canne? Lo stesso zio Piero che sarà presente alla confessione di Stefano Mele. Lo stesso zio Piero che verrà difeso dal famoso bigliettino di Giovanni Mele. Potrebbe essere stato tutto un enorme malinteso?

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    11. Attenzione! Che il maresciallo Ferrero possa essere stato brutale sarà anche vero, ma perdere la pazienza con un bambino cocciuto è normalissimo, succede anche a ogni genitore. Detto questo, non soltanto in quell'occasione Natalino ammise, ma raccontò vari particolari, tipo la sosta al ponticino, con un comportamento poco spiegabile se non stava dicendo la verità.
      Poi non dimentichiamo che l'accompagmento del padre continuò a sostenerlo fino in corte d'assise, dopo due anni di collegio nei quali non è possibile che non si fosse reso conto dove lo stava portando quella lontana bugia detta al maresciallo, se davvero bugia era stata.

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    12. Sono d'accordo sul fatto che, per uomini dell'epoca, non era facile mantenere la calma in una situazione del genere. Quello che mi lascia perplesso è perchè, gli inquirenti del 68-70, non abbiano approfondito i riferimenti di Natalino riguardo lo Zio Piero. Matassino giudicò le mani sporche di grasso come una prova del fatto che il Mele si fosse mosso in bicicletta, seguendo un automobile di notte per diversi km. Poteva davvero sembrare plausibile tutto questo all'epoca? Possibile che non si chiese perchè, se si era sporcato le mani per rimettere una catena, poi , una volta rientrato a casa, non se le fosse semplicemente lavate? Quello che voglio dire è che rileggendo gli atti dell'epoca a me sembra che sia presente una certe superficialità nelle indagini. Capisco che c'era un uomo che aveva confessato, accusando altre persone sospette prima di lui, e che aveva anche il movente. Ma gli inquinamenti sul bambino, e il mancato rinvenimento dell'arma, come minimo avrebbero dovuto ipotizzare la presenza di almeno un complice. Faccio un esempio, per chiudere, bisognerà aspettare Rotella nel 1989, per rendersi conto che Natalino, al De Felice, dice tante cose, ma non dice il suo cognome. Non consentì la sua identificazione. Bisognerà chiamare i carabinieri e andare a cercare i cadaveri per scoprire chi è la sua famiglia. Bisognava dare il tempo a qualcuno di tornare a casa?

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    13. Vedo che siamo molto in linea sulla valutazione di quegli avvenimenti. Le forze dell'ordine dell'epoca gettarono la spugna davanti al comportamento contraddittorio di Stefano Mele, che riuscì a dirottare le loro attenzioni sui Vinci, quando in realtà i Vinci non erano coinvolti, se non per aver consegnato una pistola a Mele dietro congruo compenso. E poiché i Vinci non c'era modo di incastrarli, si accontentarono di condannare Mele. Questa è la semplice verità, evidentemente TROPPO semplice per essere accettata dai più.

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    15. Le contraddizioni tra il comportamento di Mele e quello dei suoi familiari va letto alla luce delle differenti posizioni: i suoi familiari volevano mandarlo in carcere per togliersi del tutto dal pericolo di essere scoperti mentre lui non ci voleva andare.

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    17. La vicenda è molto articolata, non si può spiegare in breve.

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    19. Come ho evidenziato nella mia ricostruzione, dopo la fase dei sei primi spari esplosi in rapida sequenza da un tiratore esperto, se ne ebbero due da posizione diversa sui corpi inanimati. Che fosse stato uno sparatore unico in entrambi i casi di sicuro è possibile, ma poco probabile. Altri indizi non ne ho visti.

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    20. Mele poteva anche essere succube, ma era capace di ragionare. Ne abbiamo la prova quando, se non ricordo male, nell'82 disse :"se fosse morto il bambino adesso sarei ancora in carcere". Che sia per questo che Natalino fu risparmiato nonostante avesse visto qualcuno?

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    21. Affibbiare patenti di stupidità è la via più semplice per far quadrare dei conti che non tornano. Lo si fa con Mele, con Pucci e con Lotti, mentre per Natalino la patente è quella di fanciullezza eccessiva. Troppo complicato cercare un filo logico nelle loro parole e nei loro comportamenti.

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    22. Non ricordo quella frase di Mele, in ogni caso Natalino fu risparmiato perchè a uccidere la madre era stato qualcuno che lo aveva a cuore.

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    23. Rotella a un certo punto era riuscito a trovare il bandolo della matassa, come dimostrano queste parole pronunciate nel settembre '84: "Barbara Locci e Antonio Lo Bianco furono ammazzati per un motivo molto preciso. Le altre coppie no: negli omicidi successivi commessi con la stessa pistola non ci sono relazioni fra le coppie uccise e l'omicida. Viceversa il primo fu un omicidio motivato. Lo dimostra il fatto che il bambino fu accompagnato fino alla casa colonica. Ce lo vedete il mostro che dopo aver ucciso l'uomo e la donna porta il bambino fino a un luogo abitato?" Peccato che a un certo punto abbia gettato la spugna, e proprio quando la catena dei delitti si era finalmente fermata.
      Forse furono le accuse tra i parenti del clan Mele a mandarlo in tilt. Se la pistola fu gettata sul posto, forse gli assassini credettero davvero che uno di loro l'avesse poi raccolta. Questo potrebbe spiegare per esempio quello che disse Giovanni Mele, che il fratello conosceva il mostro. Ma in realtà non era vero. Il mostro non aveva nulla a che vedere con gli assassini di Signa, ma nessuno riuscì a capirlo.

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    24. Rotella fece come chi chiede carta a sette e mezzo con un sette in mano: sballò. Con il quartezzo Stefano Mele, Giovanni Mele, Piero Mucciarini, Marcello Chiaramonti tutti sull'auto di quest'ultimo, il quadro era completo. A far perdere il filo a Rotella fu proprio la fideistica convinzione che la pistola fosse rimasta nel giro degli assassini di allora. A quel punto, con Mucciarini e Giovanni Mele in carcere al momento del delitto di Vicchio, non gli restava che puntare sull'unica carta che gli era rimasta in mano: Salvatore Vinci. Mise in galera Mele con la scusa della calunnia costringendolo, per uscire, a mettere dentro anche Salvatore. Venne fuori così una assurda carovana di due auto e una assurda staffetta di tre sparatori.
      Invece la pistola, che era stata lasciata sul posto, se l'era presa qualcuno. Questa è la semplice verità, troppo semplice per essere accettata.

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    26. Non mi pare che Rotella gettò volontariamente la spugna. Senza contare il fatto che con la riforma il suo ufficio fu in pratica soppresso. Continuare con la pista sarda era praticamente impossibile. Con tutti i sospettati, per un motivo o per un altro, scagionati dagli eventi. Oggettivamente dopo l'assoluzione di Salvatore nel suo processo in Sardegna, la pista sarda era un vicolo cieco che creava anche un certo imbarazzo. Probabilmente è vero quanto si dice attorno alla sua sentenza, che gli venne imposta. Anche se nella parte finale scrisse che la pistola era noto che era appartenuta a una degli indagati, almeno per un certo periodo di tempo. Non credo sia giusto essere troppo duri con lui perchè credette che la pistola era rimasta in tale ambito. O perlomeno che qualcuno di quei personaggi sapesse in mano a chi fosse andata. Era oggettivamente la cosa più facile a cui pensare. Se il "mostro" non aveva niente a che fare con gli assassini di Signa, Rotella , o chi per lui all'epoca, erano completamente al buio totale.

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    27. Bisogna vedere se il risentimento era vero o fasullo. Può darsi che Mele stesse recitando un copione che aveva già recitato anni prima. Francesco Vinci disse bene quando affermò che :" non ci si vendica dopo 14 anni".

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    28. Rotella ha avuto molte intuizioni intelligenti e forse giuste: che Mele non mentiva in toto, ma copriva qualcuno e infangava altri; che Signa differiva dai delitti maniacali; che i cognati avevano a che fare col delitto del '68 (e infatti si oppose alla loro scarcerazione); che il mostro avesse in qualche modo reiterato il delitto del '68.
      Non ne trasse la deduzione più coraggiosa e radicale: l'impossessamento dell'arma da parte di un individuo estraneo al delitto dei due amanti, ma che ne era a conoscenza e forse vi aveva addirittura assistito.
      Non si può escludere che Mele avesse un autentico risentimento verso i Vinci, soprattutto Francesco. E forse su questo puntarono i suoi parenti.

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    29. Mi fa piacere Kozincev che qualcuno prenda sul serio lo scenario più semplice e logico, in grado di spiegare ogni cosa, e dal quale scioccamente quasi tutti si tengono lontani.

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    30. Nelle perizia De Fazio infatti viene ventilata l'ipotesi che l'assassino sia qualcuno che non aveva preso alcuna parte attiva al delitto, o che avesse avuto un ruolo marginale. Io penso che, in qualche modo, questa ipotesi sia corretta. Per questo ritengo valida l'ipotesi di Antonio, su chi potrebbe essere l'mdf. Ma ce ne sono anche altre (poche) che potrebbero essere giuste. Il personaggio estraneo al delitto che si impossessa dell'arma, o lo ha fatto subito dopo, non visto da nessuno, oppure in un secondo momento. In questo caso, qualcuno coinvolto con Signa, per forza di cose, sapeva chi l'aveva presa. L'unico scenario che vede, in maniera plausibile, tutti i personaggi del '68, all'oscuro del destino della pistola, è quello che sostiene Antonio. Per chiudere il discorso su Rotella, una deduzione così coraggiosa, per l'uomo che conduceva le indagini, immagino fosse troppo difficile da fare. Anche perchè vorrei ricordare che chi ha preso in mano le indagini dopo di lui, per spiegare il delitto del '68, si è avventurato in assurde ricostruzioni che vedono il Mele arrivare sul luogo a cose fatte, prendere il bambino e istruirlo per paura di essere incriminato lui. E tutto questo da innocente che passava di lì in cerca della moglie e del figlio che non erano tornati a casa. Mi sia concesso di dire che una ricostruzione del genere mi provoca molta tristezza e delusione. Specie perchè venne sostenuta con vigore dal PM nella sua requisitoria nel processo di primo grado a Pacciani. Ricostruzione che venne giudicata plausibile anche nella sentenza Ognibene. Una sentenza molto triste per chi crede nel garantismo.

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    31. Nell'ipotesi dell'estraneo che raccolse la pistola dalla scena del crimine si inseriscono in modo armonico sia la testimonianza di Natalino che la vide gettare via dallo zio Piero, sia la prima confessione di Stefano Mele in cui Salvatore Vinci appariva come complice. Evidentemente Mele contava sul fatto che l'arma sarebbe stata ritrovata.
      Naturalmente può anche esseree che chi la prese la cedette a sua volta, o gli fu rubata, ma mi si consenta di ritenere che un tizio che seguiva la Locci senza trovare il coraggio di farsi avanti ha tutte le caratteristiche del frustrato che anni dopo si mette a uccidere coppie innocenti.

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    33. Rotella, magari controvoglia, ha ammesso l'insufficienza di prove e ha assolto in istruttoria persone di cui sospettava. Altri magistrati hanno inflitto 7 ergastoli senza uno straccio di prova. Se si vuole continuare a fare finta di niente allora va bene tutto. Ma la sentenza Ognibene è una pagina nera nella storia della nostra giustizia. Una pagina molto triste per chi crede nella valenza di determinati diritti dell'uomo.

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    35. Già il fatto che lei giudica il garantismo come "astratto" mi scoraggia dal continuare questa conversazione iniziata a suo tempo in un altro blog. Davvero non so cosa dirle più di questo. Se per lei è cosa buona e giusta condannare qualcuno a 7 ergastoli senza prove, senza indizi seri, e senza testimoni attendibili, francamente non so cosa dirle. La Costituzione Repubblicana, e il codice di procedura penale attuale, fortunatamente affermano cose diverse da quelle che afferma lei. Nessuno ha visto Pacciani nei luoghi dei delitti, nel momento in cui avvennero. Si sta parlando della triste sentenza Ognibene. Non della sentenza Lombardi. Non mi sembra ci fosse Lotti nel processo Pacciani. Il colonnello dell'Amico ha detto tutto e il contrario di tutto. Disse che i calzini erano sporchi, al processo Pacciani. Mentre nelle interviste disse che erano puliti. Fossi in lei cercherei di prendere in considerazione tutto l'insieme. Le ricordo che di testimonianze decisive, nel processo Pacciani, non c'è n'erano nemmeno l'ombra. Anzi. C'erano personaggi che davano le percentuali e sbagliavano il colore delle automobili. Un processo davvero molto triste. Fortunatamente in secondo grado la questione venne affidata ad un giudice serio che affermò quello che tutti già sapevano. Che senza prove, senza testimoni, senza indizi autentici, non si può condannare nessuno a 7 ergastoli. Perlomeno nei paesi democratici è cosi. Personalmente non rimpiango i tempi in cui in Italia era in vigore il Tribunale Speciale per la Sicurezza dello Stato. All'epoca il garantismo era davvero astratto.

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    37. Per come la vedo io un testimone attendibile è chi vede l'imputato nel luogo del delitto mentre esso avviene. Sul delitto dei francesi non abbiamo nemmeno la sicurezza su quale sia la data esatta. Oggi quelle testimonianze dovrebbero essere del tutto ignorate. Tranne quella dei coniugi della domenica pomeriggio e quella della Carmignani. Che non hanno mai visto Pacciani. Quello che è emerso su Pacciani prima del processo era poco o nulla. Come ha recentemente ribadito, giustamente, Tony. Cosa c'era, di concreto? Un quadro non dipinto da lui, un biglietto paradossale, un quaderno che non si sa da dove veniva, e una magica cartuccia che, da quello che è emerso recentemente, era stata quasi pronosticata da alcune lettere anonime. Indizi, seri, non c'erano. Assolutamente. Niente che giustificasse una condanna a 7 ergastoli. Nella maniera più assoluta. Il processo fu condotto abilmente dall'accusa. Tranne la parte su Signa, dove si è sfiorato il grottesco. La personalità di Pacciani era quella che era. Le coincidenze bio/geografiche meritavano senz'altro un approfondimento. Che però non portò a nulla. Io non sono certo dell'innocenza di nessuno. Se dovessi scommettere, scommetterei su quella del povero Vanni. Non su Pacciani. Anche se lo giudico un probabilissimo innocente. Di sicuro non scommetterei su Lotti. Per quanto mi riguarda Pacciani andava senz'altro assolto per mancanza di prove. Su di lui c'era tanto materiale per romanzi e articoli. Vorrei ricordarle che il magistrato non è un'opinionista. Purtroppo la sentenza Ognibene è una sentenza prettamente opinionista. Che generò molte polemiche in Italia e all'estero. E non vedo come potrebbe essere altrimenti.

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    39. I due uomini descritti dai coniugi assomigliano molto di più a Lotti e Pucci, piuttosto che a Pacciani e Vanni. Cosa nascondesse Vanni francamente non lo so. Secondo me un bel niente. Aver "modificato" un quadro per lei è un indizio? Mi sembra che un uomo dentro casa può disegnare e scrivere quello che vuole. Il biglietto era paradossale se ipotizziamo fosse stato redatto dal Mostro di Firenze. Si annotava le targhe di auto che poteva non rivedere più senza nemmeno sapere a chi appartenevano? La spiegazione che ne diede Pacciani è di gran lunga la più logica e credibile. Il problema è che si guarda a tutto quello che ha detto Pacciani, con un pregiudizio colpevolista, come fa lei, e come, purtroppo, fece Ognibene, si rischia di vederci dentro quello che si vuole. La cartuccia non abbiamo idea nemmeno di quando ci sia finita in quell'orto. Contando che il proprietario di casa era stato in carcere negli anni precedenti. Non dimostra nulla. Anzi, fa sorgere dei seri dubbi sulla buona fede di certi personaggi e di certe indagini. Su questo c'è poco da discutere. Basti pensare alle vergognose fandonie, che sono state spacciate per verità assolute, riguardanti il mirabolante patrimonio di Pacciani. I giudici hanno valutato le medesime cose. Giusto. Il problema è che il giudice di primo grado, per ragioni a noi non note, inflisse 7 ergastoli senza avere uno straccio di prova. In quello che è stato , probabilmente, il processo meno garantista nella storia di questo Paese. Il giudice di secondo grado, correttamente, non potè fare altro che prendere atto della assoluta fumosità, ad essere gentili, degli elementi contro Pacciani. Che erano praticamente nulli. Come, suo malgrado, ammise il sostituto Procuratore Generale. Ognibene è stato opinionista. Ferri no. Assolutamente no. Ferri applicò la legge. Senza prove 7 ergastoli non si possono dare. Chi ha qualche rudimento di Procedura Penale, questo la sa. Le sentenze non sono tutte uguali. Nella maniera più assoluta. Il fatto che i magistrati siano degli eroi senza macchia e senza paura che non sbagliano mai, è una invenzione giornalistica. Non certo la realtà. Se Antonio me lo consente, per chiudere il discorso, le vorrei ricordare le forbici di Zornitta. Come vede, purtroppo, i complotti, se cosi li vuole chiamare, non sono poi cosi rari, quando si ha la convinzione di avere fra le mani il colpevole. Per me la questione finisce qui, non ho la minima intenzione di confutare le sue ipotesi o di farle cambiare idea. Personalmente non vedo di buon grado i magistrati opinionisti. Anche perchè , a questo punto, i processi andrebbero fatti a Forum.

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    40. Ci sono alcuni passaggi della sentenza Ognibene che fanno inorridire per la loro logica piegata all'esigenza di dimostrare l'indimostrabile: la colpevolezza di Pacciani. Si tratta di una delle peggiori pagine della giustizia italiana, superata forse soltanto da quella successiva della condanna di Vanni.

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    42. Lei Marletti è un drago nell'addebitare agli altro quelle che invece sono le sue manchevolezze. Me ne sono accorto nell'incipit del suo intervento sul mio articolo della dinamica di Scopeti."Ho la sensazione che lei abbia prima individuato il colpevole e poi ricostruito la dinamica dei delitti", quando la dinamica era spiegata fin nei minimi dettagli quindi meritava un approccio critico di per sè. A me pare che sia lei quello con i paraocchi, abbia pazienza, poichè tende a escludere ogni elemento che minacci di mettere in crisi le sue convinzioni. Un esempio è in quest'ultimo intervento: "Se il delitto non è avvenuto la domenica, che importanza dovrebbe avere la testimonianza dei coniugi?", come se il ritorno sulla scena del crimine non fosse un elemento spesso presente nella storia di molti assassini.
      Mi fa poi cadere le braccia il discorso delle illazioni di Ferri. Credo che lei non abbia ben compreso il significato del termine illazione, poichè semmai di illazioni è imbottita la sentenza Ognibene.

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    44. Dimenticavo i sospetti di Ferri, che peraltro sono anche i miei, di manovre poco pulite da parte della polizia. Lei ha certamente il diritto di considerarli illazioni, quindi, per questo solo aspetto, correggo il mio intervento.

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    45. Considerando chiuso il discorso sulla sentenza Ognibene, sul quale ho scritto molto, c'è un punto nelle affermazioni del Marletti, che la mia coscienza non mi permette di ignorare. Salvatore Vinci non lo considero affatto un perseguitato. Anzi. A parer mio gli è andata anche bene. Non per la vicenda del Mostro, ma per la vicenda per la quale venne rinviatona giudizio in Sardegna. Comunque sia rispetto la sua assoluzione, pur nutrendo forti dubbi. Pacciani non lo considero un perseguitato, ma un uomo sfortunato si. Ma il punto che mi preme davvero chiarire è un'altro. La mia coscienza me lo impone. Quando si parla della storia delle indagini sul Mostro di Firenze, e si nomina la parola "persecuzione", il mio pensiero va senza dubbio a Francesco Narducci. Un uomo che viene sistematicamente e vigliaccamente calunniato e infamato da 30 anni. Senza aver avuto la possibilità di difendersi. Quando penso ad un perseguitato penso a lui. 30 anni di calunnie a lui e alla sua famiglia, praticamente senza alcun motivo. Ne fanno, a mio avviso, l'uomo più calunniato dell'Italia Repubblicana. Basta vedere quello che, ogni giorno, sul web, viene scritto su di lui. Sulla base di leggende e balle clamorose. Francamente mi dispiace perché penso che quell'uomo non meritasse tutto questo.

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    46. Concordo in pieno su Francesco Narducci, al quale aggiungo Francesco Calamandrei, entrambi messi sulla graticola in base all'assurda ipotesi dei mandanti, sulla quale ho ancora molto da scrivere.

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    48. I miei studi (ci tengo molto a ribadire che ogni mia affermazione è passata al vaglio dell'esame dei documenti che sono riuscito a reperire) mi hanno portato alla convinzione che la morte di Barbarina Steri fu un suicidio dovuto alla delusione per il comportamento disdicevole del suo innamorato Antonio Pili, che con l'omicidio del '68 Salvatore Vinci non ebbe a che fare (anche se da lui era arrivata la pistola), e tantomeno che l'individuo fosse implicato nei delitti successivi.
      Sto aspettando della documentazione nuova, non so se mi arriverà. Se sì, scriverò qualcosa di significativo anche su questa storia.

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    49. Fantasie perverse e maldicenze popolari che però hanno incontrato il favore di eminenti investigatori e magistrati; è bene non dimenticarlo.

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    50. Se è vero che il diavolo si nasconde nei dettagli, allora come si spiega che SM si trova un alibi già dalla matrina/pomeriggio, senza effettivamente sapere se, quando, dove ecc. la mogglie si sarebbe appartata?

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    51. Era agosto, e la moglie usciva tutte le sere con qualcuno. Tanto per fare un esempio, rifletta su quello che disse in dibattimento Giuseppe Barranca:

      Fu la moglie di lui a dirmi una sera che eravamo insieme in occasione della fiera di Signa, nell’agosto del ’68, e io l’avevo invitata ad avere rapporti con me: «Ci potrebbero sparare mentre siamo in macchina». Io riflettendo al fatto che sia ella che il marito erano sardi e temendo qualcosa, non ebbi alcun rapporto con lei e la riaccompagnai a casa.

      Il delitto era programmato per quella sera già da una settimana.

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  2. Unìipotesi verosimile sul presunto passaggio di9 pistola l'ha fatta l'Alessandri suy "La leggenda del VAmpa", secondo lui il Vampa noto frugatore delle discariche ando' con la sua lambretta a Firenze nel 1966 durante l'alluvione, sfruttando il casino erivato dallo straripamento dell'arno si diresse verso un'armeria da cui rubò la Beretta calibro 22 insieme a un altro fucile; il poissesso della beretta fu poi confermato indirettamente dal guardiacaccia Bruni; era un modello 70 calibro 22 long rifle, Giuttari invece parla di modello 74 o 76 comunque serie simili; il passaggio sarebbe quindi inesistente e lo Stefano Mele innocente

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  3. il passaggio della pistola beretta calibro 22 L.R. è, solo, una delle tante ipotesi, che, fra le altre cose, non mi sembra essere suffragata da PROVE certe.
    la pistola beretta era munizionata con proiettili winchester provenienti da almeno due lotti diversi e commercializzati fino al 1980... si passarono anche le scatole dei proiettili? mi sembra si era parlato di 2 scatole.
    azzardata mi sembra anche l'ipotesi che pacciani trovò la pistola nella discarica: con la beretta, trovò anche le scatole dei proiettili? un po', tanto...
    nel suo libro dolci colline di sangue, il giornalista mario spezi avanza, invece, un'altra ipotesi, e, cioè, che 'carlo era la persona che salvatore vinci nella primavera del 1974 aveva denunciato alla polizia per il furto con scasso in casa sua e che, in questo modo, si sarebbe potuta impadronire della beretta tristemente nota come arma dell'assassinio di barbara locci e del suo amante, così come della scatola di proiettili utilizzata in quell'occasione'.
    il mistero della pistola e dei collegamenti tra il delitto del 1968 e gli altri rimane, per l'appunto, un mistero.

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    1. Prove certe mi pare che ce ne siano ben poche per qualsiasi argomento, quindi non resta che fare appello alla logica per ipotizzare una ricostruzione ragionevole. Innanzitutto la storia delle due scatole di cartucce non esiste, vedi qui http://quattrocosesulmostro.blogspot.com/2016/02/la-scatola-di-cartucce-1.html . Poi ci sono le parole di Natalino a confermare che la pistola fu lasciata sul posto. Lo disse al giudice Spremolla nel 1969, era stato lo zio Piero a buttarla via. Perchè? Al perchè si arriva facilmente analizzando la prima confessione del Mele, dove la pistola, che sarebbe stata fornita da Salvatore Vinci, era stata lasciata sul posto. Quale miglior conferma di quella confessione avrebbero avuto gli inquirenti se l'avessero trovata e avessero potuto collegarla al Vinci? Il che potrebbe fare del Vinci un complice fasullo scelto dai veri complici, che poi erano coloro che la pistola avevano deciso di lasciarla lì. Ma per forza di cose, e qui subentra la logica a sostituire la mancanza di prove certe, qualcuno se la dovette esser presa, qualcuno che poi divenne l'assassino che tutti sappiamo.

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    2. ti ringrazio per il "link", me l'ero perso per strada.
      se diamo per buono IL PASSAGGIO DELLA PISTOLA (ci sta), adesso tutto mi torna.
      la scatola di cartucce era, in effetti, il mistero più grande dell’intera vicenda del mostro di firenze.
      tra i vari libri che ho letto quello che più mi ha convinto è stato giuttari. io credo che sono stati fermati da ambienti "neri".

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  4. domandiamoci: chi ha fermato le indagini di giuttari? e perché?
    vedrete che sono ambienti "neri".

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  5. carissimo,

    se mi posso permettere tu dici: '[...] nessuno degli esperti della materia, né internazionali né nostrani, ha mai preso sul serio lo scenario di una scalcagnata banda di paese che avrebbe ucciso per rivendere parti sessuali di donna ad una fantomatica setta...' che, detto così - ovviamente - non è, non può essere.
    il pacciani non poteva aver fatto tutto da solo, ti ricordo i famigerati compagni di merende, vanni e lotti.
    esisteva un indicibile secondo livello, anche qui come nel caso della mafia, un mandante o una cupola forse sofisticati burattinai, cioè, dietro queste vicende che hanno interessato il nostro paese vi era - in realtà - una regia oscura e occulta dietro le gesta di questo abbietto mostro, anzi forse è meglio dire dei mostri.

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    1. Sulla plausibilità di una pista che prevede un livello di mandanti ognuno può pensarla come vuole, in ogni caso deve tener conto del fatto che attorno ad essa Giuttari e Mignini hanno speso montagne dei nostri soldi inutilmente. Giuttari, da ottimo venditore di sè stesso, cerca sempre di far passare il suo fallimento come responsabilità dello stesso livello di cui non ha mai trovato traccia; in realtà, se si va a veder bene, ha sempre picchiato alla cieca, senza mai un reale indizio, perlopiù riesumando vecchie storie già scartate.

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    2. giuttari è stato fermato e intimidito dalla borghesia nera prima di arrivarci. te lo sta dicendo lui!

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    3. Credo si possa concludere la discussione constatando che Giuttari è riuscito a convincere te e non me.

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    4. perché dici che non ti sei convinto di giuttari? guarda, ti sono andato a riprendere quello che giuttari ha detto, è importante: "l'ipotesi dei cosiddetti compagni di merende E' UNA CERTEZZA. in una vicenda così difficile, unica, in appena 3 anni si è giunti alla sentenza definitiva. c'è stato un primo processo di primo grado, il processo di appello che ha confermato le condanne, LA CASSAZIONE che ha messo la parola fine il 26 di settembre del 2000, QUESTO E' UN PUNTO FERMO. questa è una CERTEZZA, non è un'ipotesi. gli ultimi 4 duplici omicidi riferibili al cosiddetto mostro di firenze, alcuni dei loro autori hanno nome e cognome".
      questi sono fatti PASSATI IN CASSAZIONE, che cosa ci sarebbe da aggiungere. resta, invece, da scoprire gli altri autori, la trama occulta e così via, guardiamo in avanti.

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    5. Mi piacerebbe sapere da quelli che sostengono la tesi del secondo livello , cupole mafiose mandanti ecc , quando e come si sono conosciuti il serial killer e questi misteriosi personaggi ? Vi rendete conto che tutto ció é ridicolo?

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    6. Eppure è un'ipotesi verosimile. Piuttosto voi della tesi Lottiana non ho ben capito per quale motivo il Lotti asportasse le parti di corpo femminile, non ha molto senso se non legato ad un qualche rituale; Zodiac e Jack the ripper in genere nbon ìhanno asportato niente se non facendo grande macellerie. Quando si sono conosciuti? certamente dovrebbe aver fatto in quel caso da cementificazione una mente malata e carismatica, iniziali PP forse....?

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    7. A mio parere le escissioni erano soltanto spettacolo, da "gustarsi", se così si può dire, il giorno dopo sugli articoli di giornale.

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    8. Io invece già dal '74 ci vedo una certa ritualità, partendo dalle 96 coltellate attorno al seno della vittima. Continuando con le asportazioni probabilmente ha voluto rendere partecipe anche altri del suo folle rituale. Anche quello che hai detto può essere ma io ci vedo più attinente una certa spettacolizzazione rituale. Poi colpendo nell'81 e nell'83 con presunti MDF in galera era già ben alla ribalta delle crionache non aveva bisogno di aggiungere altro se non per sadismo sessuale eventualmente legato a delle pratiche rituali

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    9. Su Francesco Narducci c'era una montagna di indizi. A quelli inizialmente trascurati quando ancora si pensava che il Mostro fosse un serial killer e non una setta criminale (Narducci aveva un alibi per un delitto), si sono aggiunte (molti anni dopo) numerose testimonianze perugine e fiorentine (che lo collegavano rispettivamente ai feticci e ai compagni di merende) e tutte le gravi irritualità compiute in occasione della sua morte (subito dopo l'ultimo duplice omicidio) che, non Giuttari, ma l'assoluta convergenza di autopsia (per cui Narducci è stato strangolato), perizie antropometriche (compresa la controdeduzione di parte che al più contesta l'incompatibilità dell'altezza) e tutti i testimoni (specie gli addetti alle pompe funebri che giurano di non aver usato il telo trovato sotto pantaloni di taglia, 48 small, assolutamente incompatibile col volume e il gonfiore del cadavere da loro trattato) dimostrano un grossolano tentativo di produrre false apparenze (varie testimonianze e le vistose correzioni su due certificati di morte convergono su una data, un luogo e circostanze diversi da quelli del ritrovamento inscenato). Dimenticate poi la sentenza De Robertis che al contrario di quella a dir poco fantasiosa di Micheli (per cui tutto quello che è emerso a carico di Narducci è solo frutto di tantissime sfortunate coincidenze, reinterpretate singolarmente con argomenti che rasentano il ridicolo: i pantaloni devono essersi infeltriti perché solo un fantino avrebbe potuto indossare il 48 small indicato sulla targhetta) non è stata annullata dalla Cassazione.

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    10. Il sentire la definizione "fantasiosa" riguardo la sentenza Micheli, che ho letto con moltissima attenzione e che condivido in toto, mi scoraggia dal tentare qualsiasi scambio di opinioni.

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    11. Quando una sentenza invece di basarsi sui fatti (autopsia, perizie, testimonianze tutte convergenti), li reinterpreta adeguandoli alla propria immaginazione (ho fatto l'esempio dei pantaloni infeltriti solo perché è talmente assurdo da commentarsi da solo) per me è fantasiosa. Comunque è stata annullata, al contrario di quella De Robertis che non citi.

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    12. Chiuderei qui la discussione, che ritengo del tutto inutile. Padronissimo di credere quello che vuoi, meno di interpretare a tuoi piacimento i fatti, come quello dell'annullamento della sentenza Micheli. Non è proprio così, la sentenza è stata annullata solo per alcuni proscioglimenti per reati minori, tipo false testimonianze e cose simili. Assieme ad altri, il proscioglimento per il reato di gran lunga più grave, l'associazione a delinquere, è rimasto.
      Riguardo la sentenza De Robertis, chiariamo che si tratta di un documento di valenza infinitamente minore. In effetti non si tratta neppure di una sentenza, ma di un procedimento di archiviazione. Io non ce l'ho e neppure l'ho letto, sarei proprio curioso di capire quali sono stati gli elementi che hanno convinto la giudice sul coinvolgimento di Narducci nelle vicende fiorentine. Forse il dossier "Rizzuto"? Si trattava di una caterva di sciocchezze scritte da un personaggio che, secondo la De Robertis, avrebbe "reso articolate e precise dichiarazioni, dando finalmente nomi e cognomi di persone, a suo tempo, in ipotesi, coinvolte nel delitto, tra cui l'immancabile, ormai, Mario Spezi". Una cosa è certa: tra Mignini e De Robertis l'intesa è sempre stata perfetta.
      Infine, riguardo i pantaloni, ti ricordo che la S dell'etichetta non vuol dire SMALL, ma SLIM.

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    13. Il reato di associazione a delinquere non poteva essere contestato per ragioni giuridiche, non perché non ci fosse stato alcun inghippo intorno alla morte di Narducci che, guada caso, coincide con la fine di delitti e lettere del mostro. C'è poi la vox popoli perugina che già all'epoca spediva lettere anonime alla Procura di Firenze per spiegare che con la morte del medico, ucciso dai sodali fiorentini, il mostro non avrebbe più colpito (dicerie, ma come facevano a prevederlo o a usare il plurale quando il luogo comune era ancora quello del "serial killer"). Ci sono investigazioni private e un'impiegata dell'anagrafe che riferiscono di "indagini bloccate dall'alto" e numerosi testimoni, anche appartenenti alle forze dell'ordine, che le collegano al ritrovamento dei feticci in una abitazione fiorentina di Narducci (menzionata pure da Pacciani) e all'opportunità di mettere tutto a tacere perché infierire su un uomo morto, non solo metaforicamente, avrebbe solo aggravato lo strazio dei congiunti. Poi ci sono tutti i testimoni che riconoscono Narducci in un non meglio identificato professionista (medico, fotografo, regista, o rappresentante d'una ditta farmaceutica) di Prato che frequentava gli ambienti dei "compagni di merende"(Nesi si dice addirittura certo di averlo visto più volte insieme a Vanni) e il farmacista Calamandrei (già accusato, guarda caso, dalla moglie che, per nevrotica che fosse, all'epoca non poteva saper nulla di Narducci, Pacciani & company). Poi ci sono incredibili riscontri incrociati tra testimonianze perugine e fiorentine come quello che conferma il poliziotto Petri sulle tracce del Narducci, la fatale telefonata il cui autore non s'è mai fatto vivo (e nessuno ha mai cercato) quando sarebbe servito a orientare le ricerche prima (mentre il padre Ugo si oppose a qualunque indagine, dando già per spacciato il figlio) e a fugare altri sospetti dopo (se ad esempio avesse notificato una diagnosi infausta. come ipotizzato successivamente). Potrei continuare senza nemmeno dover scomodare Rizzuto. Delle due l'una: o Narducci c'entrava in qualche modo coi delitti fiorentini, o contro di lui il caso si è accanito sfidando oltremodo il calcolo delle probabilità. Ma per Micheli il fatto che Narducci si fosse drogato, come faceva abitualmente (o foss'anche più del solito in un momento di particolare tensione), anche prima di essere ucciso, sarebbe più fortuito (troppa grazia per l'assassino trovarselo ammansito!) del riscontrare, per mero scherzo della sorte, una lesione tipica dello strangolamento (temuta dai legali dei Narducci che, chissà perché?, non volevano fosse analizzato il complesso laringofaringeo durante l'autopisia cui, a scanso di equivoci, hanno assistito i periti di tutte le parti), e nessun segno di annegamento nel cadavere di un uomo affogato.
      L'uomo corpulento e incredibilmente gonfio vestito dagli addetti delle pompe funebri (secondo cui pesava un quintale!) con pantaloni elastici (e senza alcun telo attorno all'addome) per facilitare le operazioni (dato anche l'avanzato stato di putrefazione, anch'esso incompatibile col buono stato di conservazione del cadavere riesumato), come confermano le perizie antropometriche e tutte le altre testimonianze, non era SMALL né SLIM (sai che differenza!) e neppure 48.

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    14. Perdonami, ma non ho alcuna voglia di addentrarmi nelle questioni da te sollevate, che sono sempre le solite sulle quali in altre sedi si è discusso fino allo sfinimento senza che nessuno cambiasse idea.
      Ti segnalo la mia ipotesi riguardo la lesione al collo riscontrata sul corpo di Narducci, sulla quale scommetterei molto forte
      http://quattrocosesulmostro.blogspot.com/2015/11/una-misteriosa-frattura-al-corno.html
      pensaci sopra, vediamo quali punti deboli ci trovi.

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    15. Premesso che le conclusioni di Pierucci (non dell'accusa che come fa notare lo stesso Micheli non aveva alcun bisogno di preferire l'omicidio al suicidio per associare Narducci al mostro) sono quelle che tu stesso insegui (molto meglio di quanto abbia saputo Micheli tirando a indovinare, pur di negare la soluzione di gran lunga più probabile), la tua ipotesi, oltre a supporre l'ennesima fatalità prodottasi contro lo sfigatissimo Narducci, serve anche a dimostrare che il cadavere a cui fu tagliata la cravatta per facilitare la svestizione non poteva in alcun modo essere quello avvolto da un telo sotto gli slip e pantaloni regolarmente allacciati alla vita. A parte la taglia (per me è di tutta evidenza un capitolo chiuso!), una vestizione così complessa (e infatti negano recisamente di aver operato in questo modo!) è assurda per un cadavere in quelle condizioni. Tutto complessivamente e converge sull'ipotesi accusatoria (autopsia, perizie, testimonianze, gravi irritualità compiute all'epoca del ritrovamento e il tentativo di evitare quella particolare analisi durante l'autopsia). Altrimenti bisogna ragionare in modo frammentario (interpretando ogni indizio singolarmente), con la necessità di appellarsi a scherzi della sorte e il rischio di incappare in contraddizioni.
      Se Micheli si fosse limitato a non rinviare gli imputati a giudizio perché c'erano poche probabilità di provare la loro responsabilità soggettiva o l'impossibilità di contestare un inappropriato reato associativo, avrei potuto condividere (è proprio quello che ha fatto De Robertis accogliendo la richiesta di archiviazione per le imputazioni legate all'omicidio di Narducci).
      Invece ha riempito 900 pagine per trovare una spiegazione diversa a ciascun indizio (e ce ne erano evidentemente molti più del "nulla" che tu denunci) per regalarci la sua personale versione dei fatti con argomenti meramente congetturali del tipo: "siccome non occorreva tutta questa messa in scena per evitare l'autopsia, hanno preso tutti lucciole per lanterne e ora vi spiego come può essere successo".
      De Robertis s'é comportato da giudice.
      Micheli ha redatto con la sentenza quello che in conclusione s'è impegnato a non pubblicare da romanziere...

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  6. Secondo me Perugini ha ragione; l'omicidio del 1968 presenta il solito modus operandi degli omicidi successivi; se pensiamo che Pacciani sia colpevole o implicato come penso anch'io c'è tutta una serie di conseguenze molto strane.
    I personaggi di via Faltignano frequentanti di quella colonica degradata sono quasi tutti morti ammazzati, la MAlatesta il Vinci, un tale Domenico Agnello sparito addirittura, uno dei pochi in vita era PAcciani e non sappiamo se sia deceduto ammazzato o per cause naturali, può darsi, ma in ogni caso il fatto che il Vinci che amava la Locci e frequentasse lo stesso ambiente di Pacciani è quantomeno sospetto

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  7. Interessante la parte sul Mele. Una considerazione mi preme farla. Se il Mele era in combutta col Vinci come mai ha sparato lui, da tutti era consederato uno scemotto di paese, si dice fosse oligofrenico anche un po' come Lotti, un FV non si sarebbe fidato seconbdo me a far compiere l'omiciddio a tale personaggio, secondo la Locci era stata per dicverso temnpo la sua amante a cui voleva bene. Poi perchè avrebbe rischiatoi di colpire anche il figlio che era all'interno dell'abitacolo. Del resto la rioscostruzione del Mele dell'omicidio non ha mai convinto nemmeno gli inquirenti.
    Inutile ribadire che ci vedo altre mani; considerqazioni: la Bugli abitava a 50 m dalla Locci, il Vanni conobbe PAcciani a Montefirodolfi già nel 1967-68 all'incirca mhm

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    1. Le sentenze di primo e secondo grado che hanno condannato Vanni sono una vergogna per la nostra civiltà giuridica. Ho passato giorni e giorni nella loro attenta lettura, e so quel che scrivo. Tra l'altro ai cosiddetti "riscontri" accampati dalla prima ho dedicato molti articoli, che forse non hai letto. Si voleva risolvere il caso a tutti i costi, e non si andò certo per il sottile.

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    2. Si il precedente articolo sui cdm l' avevo letto. Anch'io ero abbastanza scettico poi sentendo le dichiarazioni del cognato di Pucci molto meno, disse era rimasto turbato dall' aver visto vanni tagliare la tenda.
      Per l' omicidio locci lo bianco tu dici il mele ha agito da solo? Non mi sembra fosse in grado di realizzare quel duplice omicidio, sembra fosse un ritardato mentale probabilmente non aveva mai usato nemmeno la pistola. Il modus operandi era il solito dell' mdf tranne le escissioni che non ci furono sembra un po fosse un novello sk

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    3. Si voleva risolvere il caso a tutti i costi imputando solo 5 dei 7 (o 8) duplici omicidi con la complicità di tre gradi di giudizio (che hanno condannato gli imputati solo per gli ultimi 4), ma quando si cercano i registi e su Narducci emerge di tutto e di più, questo sodalizio diventa addirittura una guerra intestina. Si può e si deve criticare tutto, anche le sentenze (io disapprovo la grossolana condanna di Pacciani in primo grado, e le 900 pagine di sarcastiche elucubrazioni di Micheli), ma questo è uno di quei casi in cui il calibro degli indagati sembra aver fatto la differenza tra condanne in tempi record e indagini non certo rallentate da un difetto di indizi (come pur sarebbe stato naturale dopo 15 anni), quanto da un eccesso di conflitti e ostacoli.

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  8. metto, qui, di seguito, il link all'articolo: http://www.perugiatoday.it/cronaca/omicidio-mostro-firenze-caso-narducci-rivelazioni-giuttari.html
    l’aspetto che giuttari non ha potuto chiarire è quello dei mandanti. l’indagine in corso a un certo punto fu bloccata dalla iniziativa della procura di firenze di mettere sotto indagine per abuso d’ufficio giuttari e mignini, pm a perugia. in quella circostanza, durante le perquisizioni, furono sequestrati gli atti del procedimento perugino sul medico francesco narducci, bloccando di fatto le deleghe e dunque le indagini. Nel suo libro, giuttari spiega tutto in dettaglio con documenti inequivocabili.
    la verità è che il mostro di firenze è la cultura del depistaggio.

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    1. La verità è che Giuttari è un abilissimo venditore di sè stesso, e tutto quello che scrive va preso con le molle. Quali indagini sarebbero state bloccate? Non c'era più nulla su cui indagare, le sentenze Micheli e Maradei lo dimostrano. In ogni caso chiuderei qui la discussione, neppure pertinente al tema trattato dall'articolo.

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    2. l'ipotesi dello scambio di cadavere di narducci non è un'ipotesi è una certezza, ce lo sta dicendo giuttari, sono queste le indagini che sono state bloccate.
      quanto al tema trattato nell'articolo, giuttari ha detto che non esiste alcuna pista sarda.

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    3. Dunque se l'ha detto Giuttari dobbiamo crederci per forza!!!! Scusami, ma non pubblicherò più interventi che tirano in ballo Narducci su questo articolo, se proprio vuoi intervenire sul tema ce ne sono altri, dove però non vorrei sentire solo professioni di fede verso le verità giuttariane. Ad esempio qui puoi trovare la mia ricostruzione, del tutto inedita, sulla frattura riscontrata al collo di Narducci. A mio parere si tratta di una ipotesi altamente verosimile che mette una pietra tombale sopra lo scenario del doppio cadavere. Le tue osservazioni in merito, se pertinenti, le valuterò volentieri.

      http://quattrocosesulmostro.blogspot.com/2015/11/una-misteriosa-frattura-al-corno.html

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  9. Pare anche a voi che il Mele al primo omicidio abbia avuto una buona mira? davanti agli investigatori però dette un racconto inverosimile. Poi i successivi omicidi verrebbero perpetrati da un SK che imita l'omicidio Locci - Lo Bianco aggiungendo anche le escissioni, per quale motivo? su questo punto sono abbastanza in accordo col Filastò che il I° omicidio faccia parte della stessa serie omicidiaria; per quale motivo ci sarebbe un SK che imita il I° omicidio mi sembrerebbe una coincidenza abbastanza strana in pratica ci troveremmo di fronte 2 SK contemporaneamente in cui il II° aggiunge le escissionbi per distinguersio dal I°.
    Riflettete su questo; nel 1967 Vanni butta giù dalle scale la moglie per via di una certa situazione familiare all'incirca in quegli anni conosce PAcciani a Montefiridolfi ove si recava come portalettere, nel 19658 avviene il I° duplice omicidio; in dibattimento il VAnni nega di conoscere Gina Manfredi una delle 4 prostitute finite morte ammazzate a inizio anni 80, guardacaso la MAnfredi vola dalle scale....

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  10. Ho appena finito di rivedere un giorno in pretura e mi ha colpito la deposizione di tale Calamosca che dice che Vinci non puo' essere stato ucciso per il furto di qualche pecora ma di qualcosa di piu' grosso, facendo intendere che forse era collegato alla pistola e al mostro. In effetti non è una ben strana coincidenza che il Vinci e la Malatesta, anch'ella uccisa, frequentassero la casa di Indovino assieme al Vanni e Pacciani? Mi pare che qulcuno abbia fattto l'ipotesi che il Vinci ricattasse il mostro.

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    1. Se leggi il librodi Giuttari c'è proprio la testimonianza di un paio di detenuti che affermano che PAcciani voleva che facessero fuori il Vanni altro frequentatore della casa colonica in questione. Per me potrebbe essere PAcciabni stesso ad averlo ordinato dal carcere un eventuale omicidio, in tal modo si levcava di torno un testimone scomodo che magari conosceva qualcosa sull'omicidio di Signa oppure faceva parte della stessa strategia volta a eliminare testimoni e compagni implicati nella vicenda più probabile; probabile PAcciani avesse paura il Vanni parlasse. Lotti invece è rimasto vivo magari perchè sotto tutela della polizia

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  11. Sig. Segnini ha letto il libro di Valerio Scrivo? Cosa ne pensa?

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    1. Tentativo lodevole e coraggioso per la sua critica aperta alla verità giudiziaria, ma privo di valore per i risultati sull'individuazione dell'assassino.

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    2. Certo, pero' anche il suo libro per quanto interessante, è fondato su deduzioni logiche, non su prove. Cosa abbiamo contro il Lotti? Solo la sua confessione, a detta di molti data per assicurarsi vitto e alloggio e qualche testimonianza oculare in cui si afferma di aver visto un uomo di corporatura simile e una macchina simile alla 128 rossa.

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    3. Mi ha chiesto il mio parere e gliel'ho dato. In ogni caso, se proprio vogliamo fare un confronto, mi pare che qualcosa di tangibile da una parte ci sia, per lei troppo poco, va bene, ma dall'altra ci sono soltanto puri ragionamenti astratti.

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    4. Volevo solo dire che di certezze non ce ne sono.
      Rimango in fiduciosa attesa del suo secondo libro.

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    5. dite "confessione data dal Lotti"?
      A me verrebbe da dire .....fatta dare....mentre lo si ingozzava e lo si dissetava a dovere (certo non con acqua) presso la questura di Arezzo.
      Eh....si direi proprio fatta dare....come peraltro era già avvenuto anni prima con Mele....e lo riporta oggi anche il figlio Natale.

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    6. Peccato che quell'ingozzamento e quel dissetamento gli costarono 26 anni di carcere... un bel guadagno

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  12. A proposito di libri cosa ne pensi di quello di Paolo Cochi e company al di là di ogni ragionevole dubbio? Io lo trovo ottimo nella parte storica ma molto fazioso nei confronti della teoria Lotti mdf, ricostruisce legittimamente le bugie e i racconti inventati del Lotti , ma non accenna nemmeno alle sortite dello stesso Lotti nella piazzola nei giorni precedenti al delitto, della dichiarazione del Vanni in cui Lotti gli parló dei ragazzi che facevano l' amore su una panda nella piazzola non vi é traccia, della testimonianza del Poggiali sull' auto simile a quella del Lotti che li pedina nemmeno , sono forse meno importanti delle testimonianze sull' uomo misterioso incravattato del Mugello? Sul 128 rosso parcheggiato vicino al camper a Giogoli lo stesso giorno dell' omicidio niente non vi é traccia, che Lotti percorreva quella strada x trovare la cugina 2 o 3 volte l ' anno ( azz propio quel giorno ) niente di niente ... del 124 avvistato subito dopo l' omicidio di Baccaiano niente di niente ... non poteva essere lui la sera della domenica a Scopeti xé il 128 non era assicurato, a mé risulta che x far funzionare una macchina serve la benzina non un talloncino appiccicato al vetro , ricordiamoci che stiamo parlando del 85 , in certe parti d italia tutt'ora anno 2016 neanche sanno cos'é l' assicurazione... riguardo la testimonianza dei coniugi de Faveri Chiarappa nisba i due avvistati x ore che guardavano verso la tenda erano ologrammi , idem con patate il soggetto visto dalla Carmignani su una macchina rossa ologramma pure lui... ma la cosa piú faziosa riguarda il capitolo Gl un testimone abbastanza normale , accennano alla perizia Lagazzi Fornari solo sulla famiglia istruzione la patente e l' abitazione , ma gli costavano tanto scrivere anche sul rapporto o meglio il non rapporto che Lotti aveva con le donne che stá alla base del profilo psicologico del mostro????

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    1. A quanto ne so Francesco Cappelletti, responsabile della parte del libro di cui hai parlato, è orientato in modo inflessibile per una completa estraneità di Lotti, quindi è difficile pretendere da lui una visione anche "lottiana", se così si può dire. Ma già aver messo nero su bianco le cantonate prese dai nostri giudici e investigatori mi pare un gran bel risultato, purtroppo non premiato dai mass media nazionali, a quanto sembra. Piuttosto credo che il limite fondamentale del libro sia la sua frammentarietà, con troppi argomenti messi assieme che rischiano di disorientare il lettore non troppo addentro alla materia. Devo dire che alla fine ho preferito di gran lunga la linearità del precedente, limitato al delitto degli Scopeti.

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  13. L'articolo è sul delitto del 68. Provo a rientrare sull'argomento iniziale. Stefano mele avrebbe finto di sentirsi male per crearsi un alibi? Infatti è notorio che uno con i conati di vomito non verrà di certo indagato per un duplice omicidio!! Come alibi è semplicemente ridicolo! Se fosse stato ricoverato in ospedale tanto tanto sarebbe stato appena più credibile. Quindi Mele si sarebbe creato questo alibi di ferro rafforzato dall'incrollabile versione di un bambino di sei anni presumibilmente sotto shock? Ma stiamo scherzando? Se quel giorno fosse andato a lavorare, sarebbe stato perseguito lo stesso allo stesso modo, sarebbe finito ugualmente sotto indagine perchè la Locci era sua moglie. A mio avviso non è questo il dettaglio importante e quanto meno la sua interpretazione è assurda. Mi sembra veramente impossibile che chiunque abbia commesso il duplice omicidio di Signa abbia abbandonato in loco la pistola. Questa ipotesi è assurda. Vedo che spesso si continua a tirarla fuori, da quali dati è avvalorata? Le dichiarazioni del Mele sono contraddittorie da sempre anche quelle del bambino paiono esserlo. Vorrei chiedere quali altre prove oltre al guanto di paraffina che almeno per completezza di informazione bisogna ricordare esser stato positivo anche per il sig. Cutrona ci sono all'indirizzo di Stefano Mele? Quali sono i dati incontrovertibili oltre alla sua discutibile autoaccusa finale? Senza fare illazioni, i dati processuali quali sono? Grazie comunque per questo spazio di discussione.

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    1. Non fornisci però una spiegazione alternativa allo strano malessere di Mele, evidentemente lo consideri una coincidenza.
      Le dichiarazioni del bambino sono contraddittorie soltanto se esaminate senza criteri. Sono invece ben congruenti con la realtà vissuta e le pressioni ricevute dagli adulti per nasconderla.
      Ci sono vari motivi che possono indurre un assassino a lasciare l'arma del crimine sulle scena, se non è in grado di condurre a lui. Ad esempio potrebbe essere in grado di ricondurre ad altri. In questo caso basta pensare alla prima persona che Mele accusò per trovare un buon candidato.
      Parlare di prove in senso classico contro Mele o contro altri in questo guazzabuglio non è più possibile, ormai, si può parlare soltanto di prove storiche, che alla fin fine non sono altro che ipotesi ragionevoli in base agli elementi disponibili.
      Tanto per fare un esempio. Uno degli elementi che a mio modesto avviso inchiodano Mele di fronte alla storia è il fatto che davanti ai giudici del processo suo figlio ancora ribadì che quella sera il padre c'era e lo accompagnò. Ormai credo che il bambino avesse capito che cosa lo aspettava (anni di orfanotrofio) quindi contribuire a tenere il genitore in carcere con una bugia non aveva proprio senso.

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    2. Non si può solo partire dal dopo...certo!!può esser utile a volte..però bisogna tener conto anche del prima. qui più che mai...questo delitto è chiaro come l'acqua...avviene tutto dentro una cerchia ben precisa... con moventi ben precisi...sapere chi è l'autore delitto non serve a niente...non ci sarebbe mai stato un seguito...la cosa era fine a se stessa ed era una tantum...era la risoluzione di una situazione che non era più tollerabile punto e a capo. Da qui in avanti bisogna iniziare a levare cose e non aggiungere.....bisogna levare...

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    3. Nella prima parte sono d'accordissimo con Dave...circa le prove intorno a Mele ...ed il ridicolo supposto alibi ... ma qui,adesso no.
      "Chiaro come l'acqua"?......direi come l'acqua di fogna semmai...."la risoluzione di una situazione non più tollerabile....si dice?
      E si decide di agire con la presenza del piccolo Natalino?
      Ma....io non penso proprio...

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    4. Avere una propria opinione è del tutto legittimo, afficnché possa essere condivisa da altri bisogna però darne delle giustificazioni. E per questo non bastano i punti interrogativi e i puntini di sospensione.

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  14. Personalmente, a differenza di Antonio, non attribuisco troppo valore alla (finta?) malattia del Mele, se presa da sola. Ma trovo che ci siano troppe coincidenze, ben note e che non sto a ripetere, che rendono credibile una "pista sarda" limitatamente al primo delitto; quella che più mi rende scettico rispetto alla teoria del SK estraneo, che sembra ormai predominante, è la predizione della Locci della propria morte.

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    1. In effetti sembra proprio che si voglia chiudere gli occhi di fronte all'evidenza della pista sarda per quanto riguarda il delitto di Signa. Il ventaglio di soggetti che lo fanno va dall'interessato dell'ultima ora, che sa poco e che va a naso, all'esperto criminologo che si arma di riga e compasso ignorando gli elementi che non rientrano nel suo disegno.
      Chi conosce la mia idea su chi potrebbe essere stato il Mostro capisce bene che anche a me tornerebbe comodo immaginare che so, dopo un fortuito ritrovamento della pistola tra i fanghi dell'Arno, il tizio che va a far fuori la Locci, ma non sarei onesto con me stesso. Quindi preferisco misurarmi con il problema del passaggio della pistola, che ci fu, non ci sono dubbi, a meno di non pensare a un Mostro sardo, che però strenue indagini non hanno trovato.

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  15. Secondo me se Natalino era in macchina non possono aver sparato dei suoi parenti (come penso). Natalino se lo portarono dietro i Mele perché funzionale all'alibi, lasciarono le sue scarpette nell'auto e lo accompagnarono per un lungo tratto in direzione della casa di Vargiu, amico intimo di S. Vinci, tanto per indirizzare su di lui i sospetti, ma il bambino sbagliò casa e suonò al De Felice a cui raccontò la lezione imparata a memoria. S. Vinci, che non era un fesso, aveva seguito tutti i loro movimenti e s'era nascosto veramente tra le canne e quando quelli gettarono la pistola la riprese per farla sparire perché sarebbe stato un indizio contro di lui, forse la vendette subito a un altro sprovveduto magari guadagnandoci altre 400 mila lire. Da notare che Natalino interrogato da adulto, credo al processo Pacciani, non confermò di essersi svegliato per gli spari e lo ripetè due volte. Come se in parte volesse ammettere parte della verità.

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    1. I parenti non possono aver sparato, ma non è detto che sapessero che Natalino era nell'auto. Il Mele nella sua prima confessione disse che fuggì quando si accorse che Natalino lo aveva riconosciuto. Avrà anche mentito, ma a che pro? Serve troppa malizia per mentire su una reazione del genere, soprattutto perché anche oggi non se ne vede la ragione. E neppure si riesce a capire perché ci si dimentichi o ci si rifiuti di prendere in considerazione Natalino quando si confeziona un delitto premeditato. Se avessi dovuto organizzare io l'omicidio sarebbe in assoluto il primo,se non l'unico, vero pericolo da dover gestire; Natalino a casa avrebbe significa un possibile testimone del fatto che Stefano era uscito di casa dopo la moglie; Natalino con la moglie... beh, non credo ci sia molto da dire no? Come andarono allora le cose? Perché Natalino andò con la madre e l'amante a un cinema in seconda serata dove proiettano un film vietato ai minori e poi li segue in camporella? Io un'idea me la sarei fatta, ma devo ancora verificare. Però credo che sia un argomento interessante da prendere in considerazione.

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    2. La Locci aveva paura che le sparassero, come aveva riferito a Barranca, e si era portata dietro il figlio sperando di riceverne protezione. Questo vuol dire che chi le poteva sparare era persona interessata alla sorte di Natalino, nei cui racconti c'era anche l'episodio in cui la Locci era stata avvertita.
      La mia non è un'ipotesi a sé stante, ma un frammento di una ricostruzione ben più ampia, che a tempo debito uscirà fuori.

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  16. Sto leggendo la sentenza Rotella da alcuni giorni (grazie mille per averla trascritta e resa disponibile nella sezione download) e mi sono imbattuto in questa frase che sta all'inizio della sezione 3.7, Salvatore tra le canne. "È vero tuttavia che l'indicazione ha trovato riferimento in un'impressione, legata al rumore di canne, che nel 1985 (durante il sopralluogo più volte citato), Natale afferma di aver avuto anche la notte del delitto. Non è improbabile che, nel 1968, gli si sia suggerito di dare un nome a persona stimata esser tra le canne a cagione di quel rumore". Questa frase sembra suggerire che in effetti Natalino vide qualcuno muoversi tra le canne, ma lo identificò come SV solo dopo il suggerimento di Piero Mucciarini. Se ciò fosse vero, l'ipotesi che ci fosse qualcuno a spiare la coppia quando avvenne l'omicidio sembra prendere un po' più di sostanza, sebbene si tratti ancora di un flebile indizio.

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    1. Tutto quello che Natalino disse da adulto ha poco significato, a mio modesto parere. Sapeva benissimo come erano andate le cose, e non lo diceva per il semplice fatto che avrebbe inguaiato dei familiari.
      Vanno invece tenute in gran conto TUTTE le sue parole di bambino, sia per ricostruire i fatti inerenti l'omicidio vero e proprio (e addirittura, con la storia dello zio Piero che aveva fatto vedere la pistola alla mamma, anche precedenti), sia per ricostruire le manovre degli adulti per fargli dire e non dire.
      Devi anche tener presente che Rotella, senz'altro il migliore degli investigatori che si dedicarono al caso, doveva giustificare le proprie indagini. Ad esempio, sarebbe stato dirompente per lui ammettere che Natalino aveva detto il vero nel raccontare della pistola lasciata sul posto, poichè il fatto avrebbe eliminato ogni possibilità di trovare il Mostro tra i sardi, dove invece lui lo ha sempre cercato.
      Riguardo invece la presenza di un'estraneo che poi raccolse la pistola e diventò il Mostro, per me è assolutamente l'ipotesi da privilegiare, con la quale si dà una spiegazione a tutto. Però non credo che quell'estraneo avesse davvero assistito al delitto. Secondo me era al cinema, l'ultimo a entrare appena dopo la coppia, che evidentemente seguiva. Credo fosse lui il personaggio che Natalino notò all'uscita, forse perchè si accorse che guardava verso di loro, forse perchè la mamma e Lo Bianco in qualche modo se ne erano interessati (era lui che seguiva la Locci in motorino?). Tale individuo capì quel che stava succedendo, e a debita distanza seguì Mele e i suoi familiari che a loro volta seguirono la Locci. Non credo poi che si avvicinò più di tanto, probabilmente attese che la scena del crimine diventasse deserta, poi andò, trovò la pistola e se la portò via.

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    2. Segnini, mi sembra una ipotesi un po' fantasiosa la sua: la Locci e il suo amante sarebbero stati seguiti quella sera da un intero esercito di criminali: il futuro mostro+ i Vinci+Mele e chi altro?

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    3. no, ma forse c'erano anche Riina e Provenzano. A parte gli scherzi, la trovo una teoria un po' forzata...non impossibile ovviamente, ma improbabile.

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    4. Sono tutto occhi per leggerne una migliore.

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  17. prima ipotesi: l'arma usata nei delitti seriali potrebbe non essere una pistola beretta.
    seconda ipotesi: il mostro ha ucciso anche nel 68.

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    1. Mi aspettavo di meglio, invece siamo in presenza di due ipotesi trite e ritrite, con le quali si è cercato di truccare le carte senza mai andare troppo lontano.
      Un po' più di fantasia no? Troppo faticoso?

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  18. A me sembra stano una cosa , che Natalino tuttora non dice come sono andate le cose nel 68 , se è stato accompagnato o se è andato da solo a casa del De Felice , siccome da qualche anno non se la passa bene , non capisco xè non guadagnarci economicamente nel raccontare la verità , e la verità sul 68 pone buone basi per risolvere l'intero enigma

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    1. La ragione più ovvia, e che del resto si accorda con tutto il suo comportamento dal 1982 in poi, è che qualcuno a lui caro possa subire delle conseguenze, almeno la sua memoria. Poi dovrebbero esserci dei cugini.

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  19. Riguardo il parlar male del dottor Narducci la moglie non e' stata la prima a parlarne di avere avuto un marito strano e molto ancora nel libro un amore all 'inferno ,tempo fa feci una domanda all 'autore del libro Diego Cugia gli chiesi una percentuale di Narducci mostro o mandante mi rispose 60% propio un dottorino al di fuori di ogni sospetto non mi pare

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    1. Si dovesse dar retta a quello che dicono alcune mogli staremmo freschi... Altrettanto direi per Cugia, considerando le sciocchezze uscite dalla bocca di fior d'investigatori avvocati e criminologhi vari, a quel che dice uno scrittore farei un minimo di tara.
      Personalmente sono convinto che Narducci nulla abbia avuto a che fare con la storia del Mostro, ma la prova positiva, cioè che il Mostro fosse tutt'altra persona, non posso portarla. Posso però portare le prove storiche che Narducci venne scelto di proposito per mandare avanti le indagini sui mandanti, quando a Firenze la situazione era bloccata.

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    2. Mi chiedo come si possa credere a Narducci come mostro di Firenze, non foss'altro per la territorialità dell'assassino, che è una delle poche certezze in tutta questa vicenda. Perché un medico perugino avrebbe ucciso o ordinato dei delitti che avvenivano sempre e solo nella provincia di Firenze mi risulta incomprensibile.
      Mi sembra che alcuni anni fa il criminologo Bruno, che pure di sciocchezze ne ha dette e scritte non poche, abbia fatto un'ipotesi credibile sulla vicenda del povero medico perugino: le persone presenti sul molo avrebbero cercato di impedire l'autopsia e i familiari allora e successivamente di chiudere in fretta la vicenda semplicemente perché temevano che si scoprisse che Narducci faceva uso di sostanze stupefacenti. Senza scomodare doppi cadaveri e altre assurdità, è forse questa la "terribile" verità?
      Il caso è stato doppiamente infame perché ha voluto che Narducci si togliesse la vita proprio dopo l'ultimo delitto del mostro. Le malignità che giravano sul suo conto, come su molti altri medici e chirurghi all'epoca (qualcuno si tolse addirittura la vita) trovarono nuova linfa da questa sfortunatissima coincidenza. Purtroppo la memoria di Narducci è stata infangata anche in alcuni libri e credo non ci sia fine al peggio.

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    3. La mia opinione personale, basata però sull'attento studio del materiale disponibile, è che Narducci si suicidò, probabilmente per motivi di grave malattia (AIDS?, non sarebbe così improbabile, i sieropositivi in quegli anni venivano fuori a bizzeffe, e le abitudini sessuali del nostro chissà quali erano). Il poveretto avrebbe potuto avvelenarsi, o spararsi, invece cercò di risparmiare lo scandalo alla famiglia simulando una disgrazia. La famiglia semplicemente proseguì su quella strada.
      Le maldicenze della gente, alimentate dalla coincidenza della fine dei delitti, diffusero la leggenda che il mostro era lui, fino a che da Firenze scattarono i controllo che non portarono a niente.
      Poi arrivò Giuttari, che in un momento in cui a Firenze si era cacciato in un cul de sac (perquisizione fallita alla villa, nuovo procuratore capo poco incline a dargli corda), andò a cercare aiuto in quel di Perugia. E lo trovò alla grande.

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  20. Ho finito di studiare per la seconda volta la sentenza perugina che può considerarsi l'autentica summa della vicenda Narducci. Preliminarmente, vi è da dire che è un ottimo lavoro: analitico, giuridicamente ineccepibile e rigoroso. Mi sento di svolgere tre considerazioni suffragate, però, dagli atti giudiziari. La sentenza di Micheli (così si chiama il giudice estensore) liquida subito gli addebiti nei confronti degli imputati, in particolare quello di associazione a delinquere (416 c.p.) e rende evidente come Mignini avesse svolto le indagini formalmente per perseguire l'occultamento e la sostituzione di cadavere, ma in realtà per fare luce sulla sorte di Narducci e sul suo coinvolgimento nelle vicende fiorentine. Si trattava, dunque, di un processo funzionale ad accertare una verità storica e giudiziaria diversa da quella per cui si procedeva formalmente. Il che spiega, almeno in parte, la teoria dello scambio di cadavere, la quale, comunque la si veda non rileva poi tanto. Infatti: a. se vi fosse pure stata (e io non lo credo, ancorché non manchino zone oscure e incomprensibili di quella giornata di ottobre del 1985), la si potrebbe comprendere per i motivi più vari, anche correlati all'eventuale suicidio del Narducci e senza dover mettere in campo l'omicidio. b) il pasticcio sull'ipotetico doppio cadavere non sposta di una virgola la vicenda di chi sia il Mostro, comunque la si veda. Infatti, che ci fosse qualcosa da nascondere o perlomeno di scabroso nella morte di Narducci mi pare pacifico sotto tutti punti di vista. Su tutti, giunge a questa conclusione lo stesso Micheli il quale è durissimo (pur non rilevando la consumazione di reati) sulla vicenda della mancata autopsia e delle anomalie nel processo di vestizione della salma e di tumulazione.
    La seconda considerazione attiene, invece, ad un fatto (anch'esso sicuro) che mi trova del tutto concorde con Antonio Segnini: la "vicenda di Dora" che ha costituito l'innesco dell'indagine su Narducci è assolutamente demenziale e viene liquidata in modo lapidario da Micheli. E' questo il vero punto debole della indagine di Mignini, il quale, per come la vedo io, forse ha commesso un errore strategico (pure se in buona fede) nel conferire tanto rilievo a quel lato della complessa storia dei legami tra Perugia e Firenze. In molti, non a caso, vi hanno letto una sorta di scusa o di elemento strumentale per arrivare al famigerato secondo livello, quando ormai il filone investigativo appariva arido. (segue)

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    1. le indagini sono iniziate prima che il nome di Narducci venisse menzionato nelle telefonate. sulle testimonianze della ghiribelli, del pucci, del nesi, della sperduto, a mio parere, non si deve minimamente tenere conto. che narducci frequentasse quell'ambiente è solo un'ipotesi. anche abbastanza strampalata.

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  21. La terza considerazione, tuttavia, è quella più problematica e di gran lunga più interessante per i nostri temi, a mio avviso.
    Muovendo dalla rilettura delle pagine da 306 in poi della sentenza Micheli, emergono i rilievi concernenti i rapporti tra Narducci e l'ambiente dove gravitavano i Compagni di merende. E qui vengono i guai. Depuriamo l'argomento da temi su cui c'erano solo elementi da vox populi: e quindi via la storia della casa del Narducci con i reperti organici; via la storia di Emanuele Petri che è sulle tracce di Narducci, tanto da inseguirlo e tallonarlo; via le dicerie perugine nel complesso, con tutto il corredo di veggenti e maghi.
    Rimane, tuttavia, del materiale provato che fa dire a Micheli che i rapporti con quel mondo Narducci ce li aveva eccome.
    In particolare: testimonianza dirette in tempi non sospetti della Ghiribelli, di terzi e, in parte, persino della Sperduto, dalle quali emerge che Narducci: conosceva il Vanni e il Lotti, partecipava alle scorribande mercenarie e orgiastiche che avevano luogo in quegli anni; prestava consulenza medica da quelle parti (e questo è addirittura inequivoco e provato). Della vicenda Calamandrei, la sentenza Micheli non si occupa, però rileva giustamente come la pervicacia con la quale quest'ultimo ha sempre negato di conoscere Narducci è dubbia e lascia credere che su questo legame si possa annidare qualche ambiguità. Micheli, fatti e indizi alla mano, ritiene chiaramente che i due si conoscessero.
    Un poco meno sconvolgenti, ma non irrilevanti, sono gli elementi pregressi della vita privata del Narducci che emergono dalle risultanze processuali: anche qui, depurando il quadro da mitomanie e racconti astrusi, i suoi gusti sessuali e certe componenti vagamente sadiche che appaiono da taluni racconti (che non si vede perché ritenere inattendibili) qualche pensiero inducono a formarselo.
    E poi ci sono le coincidenze obiettive: la fine dei delitti, dopo la morte di Narducci; la necessità di evitare accertamenti sul di lui cadavere (vedi supra); la incomprensibilità del suicidio in termini di movente, se non con la duplice alternativa di una malattia inguaribile, oppure con un problema di coscienza o di paura per la propria impunità. Sempre tra le coincidenze curiose c'è l'avvenuta misteriosa frattura, che sarei disposto a risolvere con l'elegante tesi di Segnini, se non fosse, tuttavia, che la presenza della cravatta sul cadavere è da considerarsi essa stessa dubbia.
    Insomma, questo terzo livello di analisi rende la storia di F.N. molto complessa. Non riesco proprio a liquidarla per intero come meramente pretestuosa e del tutto lontana dai fatti. Non bisogna dimenticare, infatti, che sicuramente il Narducci fu fermato e controllato nei dintorni dei luoghi dei delitti, in una circostanza. Questo se non è provato, è da ritenersi certo perché fu quello il vero modo con cui gli inquirenti conobbero il suo nome, al principio. (segue)

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  22. Della ponderosa sentenza Micheli ammetto di aver letto con attenzione e non di recente solo alcune parti, quindi potrei sbagliare. Tuttavia non ho avuto l'impressione che il giudice ritenesse accertati i rapporti di Narducci con i compagni di merende e più in generale con la gente di San Casciano.
    Nella corposa sentenza Micheli cita molti documenti, tra i quali le consulenze di Pierucci, la sentenza De Luca e in particolare le memorie di Mignini, di cui vengono riportate per intero pagine e pagine. E appunto Mignini era convinto che Narducci fosse ben integrato nell'ambiente di San Casciano.
    Micheli mette in evidenza alcune incongruenze nei racconti della Sperduto, Nesi, Ghiribelli, Vanni ecc., ritenendo possibile la presenza di Narducci solo in via teorica. A mio avviso Micheli era alquanto scettico, ma forse ha avuto rispetto e comprensibile cautela nel valutare il lavoro del pm. Anche sull'ipotesi dei mandanti, Micheli non la esclude del tutto semplicemente perché non gli interessa farlo, e infatti conclude per il suicidio anche ammettendo in astratto questa ipotesi, alla quale a mio avviso non credeva affatto.
    Chiedo però aiuto ad Antonio, che ha studiato la sentenza molto meglio di me.

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    1. E' davvero sconfortante verificare ogni volta che la montagna di illazioni su Narducci non cesserà mai di fare danni. Si tratta di una storia ripescata ad arte da chi voleva andare avanti a ogni costo con le assurde indagini sui mandanti, alimentata da testimonianze compiacenti.
      Calamandrei non ha mai visto Narducci, che a sua volta non è mai andato a San Casciano. Nè Micheli nè De Luca lo hanno mai davvero creduto, a mio parere.

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  23. Giusta l'enorme stima per la sua capacità di analisi e il rigoroso metodo, mi permetto di insistere su due dettagli con i quali non riesco a fare pace, in punto di logica. Anche se mi vado convincendo che la pista Narducci fu assurdamente sopravvalutata.
    Bisogna tenere conto, purtroppo, che il suo nome nelle indagini ci entrò ben prima dell'idiota vicenda di Dora. Io ho ricostruito che dipese dal fatto che fu fermato da una pattuglia stradale, nei dintorni di tempo di uno dei delitti successivi al 1974. Quindi, nelle campagne fiorentine il Narducci ci finì eccome. Sono ancora troppo lucido per credere alle sciocchezze dette dal "legionario di quest'estate", che va narrando di sue girate in macchina con Narducci. Però, ho un problema aggiuntivo nel trascurare del tutto la coincidenza della morte di Narducci con la fine dei delitti. Le chiedo dunque le ragioni per cui si sarebbe fermata secondo Lei. Apprezzo la tesi della decisione razionale di impiegare tutti i proiettili e poi chiudere il capitolo. Però non la ritengo sufficiente, per una serie di ragioni di ordine psicologico. Poi Vigna aveva dalla sua l'altra coincidenza perfetta del dentro/fuori il carcere di Pacciani. Insomma, il quadro è intricato anche su questo.
    Sto ora analizzando un filone di riflessioni sui c.d. punti di frattura. Cioè l'idea che anche la serie vada segmentata, perché le formazioni (o i singoli) coinvolti negli omicidi non sono gli stessi dal 1974 al 1985. Mi permetto di far notare che proprio le Sue brillantissime analisi sulle dinamiche (Giogoli, in particolare) portano a questo. (Segue)

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    1. Ma si può sapere dove risulta, oggettivamente, che Narducci venne fermato da una pattuglia nell'immediatezza di tempo e luogo di uno dei delitti? Di quale delitto?

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    2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    3. Rimane il fatto che i proiettili a piombo nudo sparati dal Mostro erano "quasi" 50. Solo una coincidenza? Considerato che tutti erano compatibili con la provenienza da una medesima scatola, e che l'assassino non era uno psicopatico che uccideva dietro impulsi incontrollabili, l'esaurimento di quella scatola può esser visto almeno come una importante concausa della fine degli omicidi. Forse, se avesse avuto la possibilità di riempire un altro caricatore, l'anno dopo non avrebbe resistito alla tentazione di uccidere ancora.
      In ogni caso si tratta di valutazioni che lasciano il tempo che trovano, utili soltanto per disegnare un'ipotetica figura di assassino che non avrà mai conferma.

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  24. Ho letto attentamente la vostra diatriba su Stefano Mele e le feroci critiche ai fans del serial killer mai entrato nelle indagini. Purtroppo, e non capisco perché, pochissime persone hanno dato l'importanza giusta alle notizie date dal quotidiano "La Nazione" a metà dicembre. Per Chi non le conoscesse il mio consiglio è di informarsi bene e chiedersi (Antonio compreso) come sia possibile che un Dna di un uomo sconosciuto sia stato trovato sui pantaloni di Nadine lasciando perdere assurdi preconcetti… Fatevi avanti, aspetto conclusioni valide.

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    1. La notizia è molto importante, non c'è dubbio. Bisognerebbe però saperne di più. Per esempio, i pantaloni taglia 44 di chi erano?
      Poi, hanno capito quale fosse il liquido corporeo da cui hanno estratto il DNA?
      Infine, si può ricostruire in via ipotetica l'etnia?
      Le possibilità che l'assassino si fosse ferito durante la collutazione con il ragazzo sono molto alte, considerando il numero delle coltellate e il fatto che il coltello sia passato da una mano all'altra. Che poi una goccia del suo sangue abbia macchiato un paio di pantaloni dentro la tenda, durante la manipolazione del corpo di Nadine, è del tutto plausibile.
      Lei sarebbe in grado di indicare l'elenco delle esclusioni e gli articoli? Su quello di Brogioni vengono esclusi Vigilanti, Caccamo, Pacciani, Narducci, Reinecke. Non si parla di Salvatore Vinci.
      Poi è vero che i DNA di Vanni e Lotti non sono più recuperabili.
      Faccia lei un bell'intervento per fare il punto della situazione.

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    2. Ciao Antonio, ma il DNA di Lotti non potrebbe essere ricavato dai discendenti della sorella? Ammesso che lei li abbia avuti.

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    3. Di sicuro la sorella di Lotti ha avuto almeno una figlia

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  25. Buongiorno a tutti. La notizia potrebbe essere importante, ma è molto azzardato attribuire con certezza il delitto degli Scopeti a un individuo ignoto. Per prima cosa, sono stati analizzati alcuni punti a campione e sulla tenda non è stato trovato nulla. Sono state isolate tracce del patrimonio genetico di uno sconosciuto su dei pantaloni che le vittime non indossavano quando furono uccise, non si sa se questo DNA sia sangue (io non l'ho letto da nessuna parte). Forse è meglio aspettare di saperne qualcosa di più. Da quello che ho letto, pare che il DNA di Salvatore Vinci sia stato recuperato e non abbia fatto match con quello trovato sui pantaloni. Ricordiamo che i due poveri francesi hanno avuto una vita prima di quella tragica notte, sono venuti in contatto con altre persone che potrebbero in qualche modo aver lasciato tracce genetiche. Saluti Giorgio C.

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    1. Confesso la mia ignoranza sull'argomento, però non credo che il DNA si possa depositare su della stoffa per semplicemente toccamento. Probabilmente serve qualche fluido che lo veicoli, tipo sangue, sudore, muco. Chi potrebbe aver contaminato quei pantaloni con un fluido corporeo? Durante la vacanza mi pare molto improbabile. Potrebbe essere avvenuto in Francia, ma da quanti giorni quei pantaloni non venivano lavati al momento della partenza? La logica dice da poco, anzi, probabilmente erano addirittura puliti, il giorno della partenza.
      Quando il Mostro ha spostato il cadavere di Nadine per effettuare le escissioni, e poi lo ha rimesso a posto, è senz'altro possibile che abbia spostato quei pantaloni che erano dentro la tenda. E se si era ferito durante la collutazione con il ragazzo averli macchiati di sangue.

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    2. Se è vero quello che ha scritto Brogioni poco tempo fa, il DNA di Vinci sarebbe stato ricavato da una tazzina usata dal figlio in un bar, quindi dalla saliva immagino. Pare che il genetista Ricci, analizzando il famoso pezzo di stoffa sequestrato nell'84, abbia trovato tracce epiteliali che combacierebbero col DNA di Vinci. Quindi con le tecniche moderne si possono ricavare tracce lasciate anche dal semplice contatto con un oggetto, se non ho capito male. Personalmente non ho preclusione verso nessuna ipotesi (Pacciani, Lotti, compagni di merende, killer sconosciuto...) ma è bene non dare nulla per scontato. Saluti

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    3. Certo che se fosse bastato toccare quei pantaloni per depositarvi del DNA l'importanza dell'esame scadrebbe molto. Non so però quanto 34 anni di invecchiamento potrebbero aver fatto degradare un DNA di quel tipo.
      Purtroppo siamo abbastanza al buio, finché non usciranno notizie maggiori sulla perizia. E non è detto che la procura abbia interesse a farle uscire. Secondo me procurarsi i profili genetici di Vanni e Lotti sarebbe ancora possibile. Qualcuno sa se le loro ossa sono già state messe via?

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    4. Su questo articolo

      http://www.gazzettinodelchianti.it/articoli/approfondimenti/11579/notizie-su-san-casciano/esumazione-giancarlo-lotti.php#.Xhb1TIh7mHs

      si legge che i resti sono stati esumati e messi in una cassettina di zinco. Magari sono ancora lì, e magari la procura li ha già controllati.
      Mi domando quanto contenta sarebbe la procura se si dovesse scoprire che il DNA era quello di Lotti... Io credo molto poco, quindi...

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  26. Brogioni ha detto che il Dna non è compatibile con quello si SV e chi si chiude a tutti gli effetti la pista sarda. A me appaiono abbastanza evidenti due cose: 1- che quel Dna è di chi ha compiuto il delitto perché ( e no, non può venire da un tocco della mano ma da un liquido corporeo) 2- Io credo assolutamente che il Dna di Lotti e Vanni sia facilmente recuperabile visto che lo possono prendere sia dai resti che dai parenti prossimi. Poi come ha detto Antonio dobbiamo vedere quanta voglia ha la procura di andare fino in fondo ma se hanno imboccato questa strada secondo me prima o poi ci arriveranno. Antonio, io non so se credere alla sua ipotesi ma se questo Dna fosse davvero di Lotti lei entrerebbe nei libri di storia...

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    1. Entrerò di sicuro nei libri di storia, purtroppo da morto. Intanto segnalo a lei e ai miei lettori questo libro di un astrologo di fama mondiale che ha sposato la mia tesi. Si tratta di una persona molto intelligente che non fa gli oroscopi, ma ritiene di aver individuato per via statistica le correlazioni tra il cielo astrologico di una persona alla nascita e il suo essere / destino.

      https://www.amazon.com/dp/1657474526/ref=sr_1_1?keywords=%22il+mostro+di+firenze%22&qid=1578563997&s=digital-text&sr=1-1-catcorr

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  27. Scusi ieri ero un po' di furia e mi sono scordato di dire diverse cose. I pantaloni taglia 44 dovrebbero essere di Nadine ma c'è chi ha ipotizzato che una 44 potrebbe appartenere anche a Jean M. ma nella sostanza non cambia niente perché erano dentro la tenda e chi ha lasciato questa traccia biologica deve essere entrato per forza nella tenda, lasciando un'altra traccia sulla cerniera. Ribadisco che hanno confrontato questo Dna oltre che alle persone sopra indicate anche con Narducci. Altre notizie, sempre dalla Nazione: non c'era Dna nella lettera alla Della Monica e questo lascia capire con quale accuratezza il MdF abbia scritto quella lettera. Poi hanno esaminato il Dna sulle 3 buste con i proiettili e anche in questo caso è risultato essere di un' ignoto non compatibile con l'ignoto di Scopeti quindi, secondo me, anche qui dobbiamo dare ragione ad Antonio che non ha mai considerato le buste un azione del MdF. Da tutte queste notizie secondo me possiamo affermare che in procura stanno cercando di sgombrare il campo da tante cose inutili. Fatto sta che non credo abbiano ancora voglia di spendere risorse, uomini e tempo per non arrivare a niente.

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  28. Qualcuno è a conoscenza se ci sono dichiarazioni di Mucciarini sia sul 68 sia sul periodo che andò in carcere? E di Chiaramonti?

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  29. Ma perchè quella traccia di dna deve 'per forza' appartenere al mostro (e quindi escludere o permettere una pista rispetto ad un altra)?
    Non risulta da nessuna parte che sia stato accertato dove e quando tale contaminazione (dna di ignoto / pantaloni taglia 44) sia avvenuta.
    A tutti gli effetti, nemmeno è ancora stato identificato con sicurezza certa quando il delitto avvenne (io reputo e valuto il venerdi su sabato, per tantissimi motivi, scontrini compresi)!
    I francesi (come dice anche Antonio) mi pare logico che siano partiti con la biancheria lavata (ma non possiamo averne piena certezza tra l'altro), ma non è mica che dalla Francia raggiunsero Scopeti il venerdì primo pomeriggio in tappa unica e senza mai fermarsi!
    Andarono all'autogrill, al ristorante, al mare, a spasso e il venerdì sera pure alla sagra... quindi per nulla impossibile una interazione (volontaria o involotaria) con chicchesia.
    Faccio un esempio: un commensale alla sagra che accompagna le tagliatelle al ragù con troppo vino e che vomita da qualche parte, magari nel parcheggio della sagra, e loro che si sporcano inavvertitamente un poco i pantaloni ritornando a prendere l'auto (primo esempio che mi passa per la testa e per nulla così impossibile o rarissimo che accada in certi contesti).
    Che i pantaloni fossero dentro la tenda non implica corrispondenza diretta univoca e obbligatoria col mdf. C'è una probabilità e possibilità che, questo di sicuro: ma nessun obbligo affatto.
    Purtroppo quel dna non ha al momento 'chiuso' niente nè in un senso nè in un altro.

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    1. A me sembra che qui sia lei ad avere "chiuso" con la lingua italiana. Rilegge, ogni tanto, le sbrodolate pleonastiche che scrive? Anacoluti, consecutio temporum ammazzata, accenti sbagliati... Ma, per lo meno, qualcosa è davvero "chiuso" in questa orrida faccenda.

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    2. siccome so che Antonio non gradirebbe la mia risposta al suo commento (benchè dettagliata e argomentata), mi limito ad un semplice ma significativo: ...omississ...

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  30. Se lei vuole credere alla storia del vomito faccia pure… Piuttosto domandiamoci perché non hanno comparato quel Dna con gli unici due condannati nel processo ai CDM.

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  31. @il Collega.
    io non credo (nè ho detto di credere) alla storia del vomito tanto quanto non credo alla storia del dna del mdf.
    E 'non credo' nel senso che, non essendoci nè prove nè obblighi in un senso o in un altro (o in un altro ancora), ritenere aprioristicamente una delle n possibilità come 'quella vera' e le n-1 restanti 'quelle false': allo stato attuale delle informazioni note su quel ritrovamento [*1], sarebbe un atto di fede e basta.

    [*1]
    la contaminazione da cui è stato estratto quel dna ignoto, si trattava di sangue? di saliva? di liquidi seminali? di sudore? di vomito? di sfregamento epiteliale? di altro?
    In che punto dei pantaloni è stato ritrovato? cavallo? fondo pantaloni? polpaccio? gamba? sedere? sul davanti o sul retro [quindi acquisibile anche solo tramite un appoggiarsi/sedersi su un qualcosa]?
    Sono note le modalità di conservazione del reperto? perchè il dna col tempo si degrada e se il reperto non è stato conservato ben sigillato o conservato in presenza di umidità il responso scientifico già assume un altro valore.
    Come è avvenuto il passaggio contaminante di dna? per sfregamento? sgocciolamento? schizzo? macchia? pressione? altro?
    Che dimensioni e forma aveva tale contaminazione?
    Quali alleli, quali marcatori sono stati evidenziati? Quali no?

    Nulla di queste ignoranze vuole negare valore alla (non) identificazione di quel dna.
    Tutto di queste ignoranze però giustifica l'andarci coi piedi di piombo.

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  32. Caro Hazet, le riformulo la domanda con la quale ho aperto questa discussione: qualcuno è in grado di spiegare in maniera plausibile in quale modo una persona estranea agli omicidi possa aver rilasciato una traccia del suo Dna sulla cerniera della tenda e sui pantaloni che erano dentro la tenda? Non voglio mancare di rispetto a nessuno ma se a lei sembra realistoco quello che ha scritto sopra possiamo concludere qui.

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    1. Scusate, ma chi avrebbe detto che il DNA è stato trovato sulla cerniera della tenda? Io ricordo di aver letto che tracce genetiche riconducibili a un soggetto ignoto sono state rilevate solo sui pantaloni che si trovavano all'interno, non sulla tenda. Sbaglio?

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    2. al momento a me risulta che solo 'Il Collega' l'abbia detto.
      Può darsi che a differenza nostra abbia accesso ad informazioni più complete ed affidabili.


      Un profilo maschile, battezzato «uomo sconosciuto 1» è stato isolato su una paio di pantaloni taglia 44 presenti nella tenda.
      https://www.lanazione.it/cronaca/mostro-firenze-dna-1.4904866

      «Un profilo maschile, battezzato "uomo sconosciuto 1", - si legge negli atti della procura - differente da quello della vittima Jean Michel Kraveichvili è stato isolato su una paio di pantaloni taglia 44 presenti nella tenda».
      https://www.leggo.it/italia/cronache/mostro_di_firenze_nuovo_dna_reperti_delitto_scopeti_ultime_notizie_oggi-4885853.html

      Il DNA di Pacciani e di tutti i soggetti indagati non è presente sulla tenda, mentre quello maschile della vittima Jean Michel è differente da quello che è stato identificato su di un paio di pantaloni taglia 44 presenti nella tenda.
      https://www.okmugello.it/rubriche/18153/mostro-di-firenze-nuovo-dna-nei-reperti

      etc etc.

      Però siccome i pantaloni possono essere stati contaminati in qualsiasi momento (facciamo tra la partenza dalla Francia fino al delitto), mentre la cerniera della tenda molto più difficilmente;
      Quindi se l'informazione di cui pare essere a conoscenza Il Collega è vera (a differenza di quello che i giornali riportano), indubbiamente quel dna riveste una evidente importanza.
      Se l'informazione de Il Collega non è vera, allora nulla cambia

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  33. Avendo già argomentato in risposta precedentemente, non vedo motivi di ripetermi, nè di richiedere nuovamente precisazioni (al momento mancanti) essenziali sul tipo di traccia analizzata etc.
    Posso al limite solo aggiungere che io sono solito prestare più attenzione a ciò che si può (diffusione pubblica permettendo) leggere nei documenti d'indagine che a vaghi articoli di giornale.
    Posso aggiungere anche che la tenda venne aperta, perquisita, smontata, sistemata da qualche parte, così come il suo materiale all'interno, ed inseguito rimontata e poi nuovamente rismontata.
    Posso aggiungere che dalle foto disponibili (ad esempio quelle su Calibro22.blogspot), si può notare che non tutto il personale sulla scena indossasse guanti e nemmeno mascherine (es: http://4.bp.blogspot.com/_HsrYwuV-rWI/TP5qZ5y86tI/AAAAAAAABIE/t0V2Q4FWAN4/s1600/rimozionecadavereJMK.jpg).
    Posso solo aggiungere che all'interno della tenda e nelle sue vicinanza una volta aperta e smontata, visto lo stato di decomposizione della VF, di certo non vi dovesse aleggiare aria profumata di rose e non pare quindi così impossibile nemmeno che un simile pungente miasma possa aver causato una reazione involontaria (tipo espettorante) da parte di chi incaricato di estrarre il contenuto della tenda o operare sulla tenda.
    Posso aggiungere che non si ha nè conoscenza nè certezza che sia stato prevelato e messo a confronto il dna di ogni singola persona delle FF.OO/periti/scientifica/ che ha avuto modo di presenziare ai sopralluoghi sulla scena del delitto o che ha avuto a che fare con la catalogazione, analisi e stoccaggio dei reperti, e che quindi quel 'ignoto' potrebbe (potrebbe) addirittura essere molto meno ignoto di quello che sembra.

    Ma siccome (mi) è sufficientemente chiaro che qualsiasi plausibile (non obbligatorio) esempio o palusibile (non obbligatoria) considerazione venga portata, non vale di fronte al 'certezza' che si tratti di dna del mostro, inutile proseguire oltre.

    Questo, unito ai precenti esempi, domande e ragionamenti significa che quel dna non sia del Mdf? NO, esattamente come non ci sono certezze che significhino che quel ignoto dna del mdf invece sia.

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  34. Si chiudiamo qui visto che continua a sostenere di aver argomentato una risposta che a quanto sembra ha capito solo lei. Piuttosto da questa storia si potrebbe trarre dei ragionamenti utili. Ad esempio proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo se la prova del Dna fosse esistita già ai tempi del primo processo Pacciani. Secondo me per l'accusa sarebbe stato un colpo terribile dover ammettere l'esistenza di un Dna sconusciuto dentro la tenda e al tempo stesso ammettere di non aver trovato quello dell' imputato (cosa che a quanto pare Hazet non vuole ammettere). Sarebbe interessante sapere l'opinione di un penalista.

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    1. Se al tempo del processo Pacciani avessero potuto riscontrare ed analizzare quella traccia di dna, il 'problema' sarebbe esattamente lo stesso: non sarebbe stato nè una prova a carico nè una prova a discarico del Pacciani, fino a che non fosse stato accertato quando e con che modalità quella contaminazione fosse avvenuta.

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  35. ovviamente l'ultimo mio commento era per Richard Sorge

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  36. Caro Hazet chiedo umilmente scusa a lei e a tutti gli altri utenti. La notizia della cerniera non è confermata ed è riportata come l'ha riportata lei. Credo però che le mie osservazioni restino valide.

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  37. @il collega.
    tranquillo, non problem per me.
    Solo non capisco in base a cosa le tue 'osservazioni' (già prima contestabili) dovrebbero comunque anche adesso 'restare valide'.
    Infatti:
    Appurato che quella traccia era solo su un capo di vestiario, che in quanto indossabile, è contaminabile facilmente in una miriade di modi e luoghi differenti slegati dalla tenda e dal momento del delitto;
    appurato che di detta traccia non si sa nulla di nulla (manco traccia di cosa!);
    appurato che sulla/nella angusta tenda altre tracce non ne sono state rilevate (cosa che rende più incongruente che probabile la possibilità che il mdf possa averne invece lasciata una sola e proprio solo quella, ancor più se ematica o di fluido corporale, su un oggetto che nella tenda si trovava);
    appurato che nessuna fonte ci informa se è stato prelevato (e confrontato con il dna trovato) il dna a tutti (tutti) i carabinieri, poliziotti, magistrati, periti, tecnici, medici, etc sulla scena del crimine e su chi ha avuto in consegna il materiale;
    appurato che i francesi non sono arrivati dalla Francia direttamente a Scopeti giusto appena pochi minuti prima di essere uccisi;

    a 'sto punto si dovrebbe essere abbastanza lungimiranti da capire che quel dna ignoto, allo stato attuale, non serve proprio a nulla. E che se proprio ci si volesse sbilanciare a spannometricamente giudicarlo: il risultato sarebbe che le possibilità percentuali che possa appartenere al mdf appaiono ragionevolmente inferiori a quelle che non lo vedono come tale.
    Ma anche così, nonostante l'aiuto della ragione o del buon senso comune, non si avrebbe alcuna conferma certa di nulla.
    E'un elemento concreto ma di assoluto valore nullo (o, meglio, quantistico antes intervento esterno della misurazione) nell'attuale contesto probatorio-investigativo.
    Nel migliore dei casi -attualmente- tirarlo in ballo come elemento inerente, comporta il 50% di sbagliarsi (e poi di sbagliare a catena in successione sul dedotto/ipotizzato/creduto).
    Non mi sembra che ne valga proprio la pena. Già troppe volte nei contorni della vicenda mdf ci si è dovuti arenare per anni a disquisire su bolle di sapone e voci che il repetita aveva voluto trasformare in granito... e non erano nemmeno sabbia.

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  38. Gentile Sig. Segnini, i miei complimenti per il suo blog e l'ottimo lavoro svolto in questi anni.
    Per quanto riguarda questo articolo mi sembra di capire che lei non dia alcun credito al malore accusato da SM, infatti lei scrive: "Normalmente chi sta male al lavoro non ci va, e se ci va viene via soltanto per un aggravamento sostanziale della sintomatologia, che normalmente lo porta a transitare da un pronto soccorso." E ancora: "E comunque ricadremmo sempre nella sorprendente e sospetta coincidenza di un evento molto improbabile accaduto proprio nel giorno in cui gli sarebbe stata uccisa la moglie."
    Queste sono le sue legittime opinioni personali. Ma sono appunto opinioni. Io la vedo in maniera diversa, un problema di stomaco o intestinale non mi sembra proprio un evento raro per una persona di mezza età. Andare al lavoro con un fastidio e poi vedere aggravarsi il proprio malessere non è cosa affatto rara o improbabile. Dunque, sempre restando in tema di opinioni, non ritengo assolutamente sorprendente e sospetta la circostanza del malore di SM. Sorprendente e sospetto sarebbe stato l'acquisto di una Beretta lo stesso giorno in cui la propria moglie muore assassinata... ma un problema di stomaco più che sorprendente è alquanto comune e banale. Quindi il nesso malore-delitto è tutto da dimostrare e a distanza di 50 anni è ormai da ritenersi non più dimostrabile.

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    1. Quante volte le è capitato di tornare a casa dal lavoro per un malore?

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  39. Poche volte. Mi è capitata la stessa cosa (stomaco) un giorno di febbraio scorso e mia moglie è ancora nel numero dei viventi. Semmai dovremmo domandarci: è cosa rara e sorprendente avere problemi di stomaco-intestinali? No, non è un evento molto improbabile, soprattutto quando non si è più giovani. Che poi il malessere possa palesarsi di mattina o di sera, sul lavoro o in vacanza, in cantiere o allo stadio, è casuale ed irrilevante. Da quando i pirati sono spariti dall'atlantico è comparso il buco nell'ozonosfera, è vero ma queste due cose hanno un nesso? No, non c'è nessuna relazione di causa-effetto, a meno che non si voglia forzarla... Comunque non è un punto dirimente della vicenda mdf e le rinnovo la mia stima.

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    1. Cosa vuole che le dica, le opinioni sono opinioni. Un rarissimo evento del genere (a me per esempio non è mai successo, né a scuola né al lavoro) che il figlio racconta come prima cosa ai soccorritori e Mele riferisce ai carabinieri come ragione per non aver cercato figlio e moglie a casa mia si chiama tentativo (maldestro) di costruirsi un alibi, tantopiù che la fantomatica malattia era sparita alla velocità del fulmine. Con quel che ne consegue, naturalmente, perché chi si costruisce un alibi in anticipo ha tutte le intenzioni di mettere il dito nella marmellata. Lei la pensa in modo diverso, adesso che ce lo siamo detti non possiamo far altro che prenderne atto.
      Grazie per la sua stima.

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  40. 1) Malessere Stefano Mele + vacanza Mucciarini + assassinio moglie + Natalino che non si sveglia + fantascientifica passeggiata in solitaria + racconto omertoso e coprente al De felice + pronta guarigione di Stefano Mele: e.... e tutto nello stesso giorno!!!

    2) A seguire: ricostruzione in loco + particolari + confessione

    3) E seguire ancora il famoso 'bigliettino'


    (ciao anche qui) Vizzini,
    a quanto stiamo adesso a probabilità?

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  41. Ciao Hazet,
    Tranquillo non sono impazzito. Si parla di malesseri all'apparato digerente e non bisogna essere un gastroenterologo (o il gastroenterologo...) per considerarli come fastidi comuni e banali. Se invece vogliamo considerarli come eventi rarissimi ed altamente improbabili va bene, però usiamo lo stesso metro con tutto il resto. Dalle manomissioni di faldoni alle partenze da s.casciano alle 22 per colpire alle 21:40 (a mio avviso ben più improbabili di un mal di pancia). E questo vale per tutti, anche per me, of course.

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    1. Però lei aggira elegantemente il problema. A quanto sembra Mele accusò bruciori di stomaco. Erano così gravi da impedirgli di continuare a lavorare? Da quando dei semplici bruciori di stomaco che alla mattina dopo erano spariti hanno tale effetto? Si è a conoscenza di una malattia cronica, tipo ulcera, che avrebbe angustiato l'uomo durante l'istruttoria e i successivi anni di carcere? No, il che fa presumere che Mele fosse stato benissimo, in seguito, altrimenti qualche notizia sarebbe emersa, vista la quantità di documentazione esistente su di lui.
      Quindi un improvviso mal di stomaco, nato e finito in una ventina di ore, costrinse Stefano Mele ad abbandonare il lavoro. Ora, che lei non veda una correlazione con il fatto che proprio durante quelle 20 ore gli venne uccisa la moglie e che lui era altamente sospettabile mi pare davvero stupefacente. Tanto più considerando il comportamento del figlio, che continuò a ripetere del babbo ammalato a letto e di Mele stesso, che prese il fatto come scusa per non essere andato a cercare i congiunti. Ma anche la stessa pantomima del letto puzza, andare a letto con il mal di stomaco in pieno agosto non mi pare un comportamento tanto logico. È chiaro che si trattava di una commedia a beneficio di chi fosse eventualmente entrato in casa sua (lo fece Cutrona), o comunque fatta per entrare nella parte.
      Non se la prenda, siamo tutti persone grandi, ma a questo punto però affronterei un'altra questione, che non riguarda più Stefano Mele ma Vizzini. Provi a domandarsi perché è cosi convinto che la malattia di Mele nulla c'entri con il delitto. Probabilmente, immagino io, dovrà portare avanti l'ipotesi del Mostro ignoto che uccide già a Signa, quindi che il comportamenti di Mele fosse molto sospetto le scombina i piani. Dico bene? Oppure non ha particolari simpatie per uno scenario rispetto a un altro, ma è davvero convinto del fatto in sé stesso?
      Purtroppo eminenti studiosi del caso commettono lo stesso errore. Personalmente ho l'ambizione di non essere tra di loro. Pensi a quanto sarebbe stato facile per me seguire la sua strada e ipotizzare che Giancarlo Lotti avesse recuparato la famigerata pistola tra i fanghi dell'arno, assieme alle munizioni. Avrei elegantemente bypassato la critica più feroce che viene rivolta alla mia ricostruzione, che prevede una presenza di Lotti nei pressi della scena del crimine di Signa in quanto presumibile stalker della Locci (il tizio che la seguiva in motorino). Ma avrei dovuto chiudere gli occhi di fronte alla miriade di elementi che qualificano il delitto del '68 come di tipo comune e collocano il marito sulla scena del crimine (la sua malattia, peraltro, è soltanto uno, ma di per sé già sufficiente, a mio modesto giudizio). La mia onestà intellettuale, di cui mi glorio senza alcuna falsa modestia, mi ha impedito di farlo.

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    2. Quello del '68 potrebbe essere stato un delitto di tipo comune, ma compiuto con la stessa arma, la stessa tipologia di munizioni e la medesima situazione (coppia che amoreggia in macchina) dei delitti successivi. Sono questi gli elementi che fanno propendere Perugini, Filastò e molti studiosi del caso per l'esordio del Mostro. Vorrei dire però qualcosa su un argomento sfiorato nella discussione, gli orari di Vicchio. Ora io non ho la menoma certezza, ma mi viene un dubbio. Siamo sicuri che chi commette un omicidio (da solo o in compagnia) debba ricordare dopo 12 anni l'orario esatto in cui è avvenuto? Tanto più se ne ha commessi in serie? Vedo che tutti ironizzano e nessuno è sfiorato dal dubbio. In realtà le incongruenze negli orari non provano nulla, a mio parere.

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    3. Accantonare i problemi non è risolverli. Che il delitto del '68 sia da ascrivere al marito e compagni lo dice la logica, una volta preso atto delle notizie al controno. Se poi quella pistola uccise ancora si apre il problema di come poté accadere. Accantonare questo problema mettendo assieme le pere e le mele non serve a nulla.
      Riguardo Vicchio non so se vuole accreditare la versione del mentitore Lotti. Non è soltanto una questione di orario, che le ricordo fu stirato (ma la coperta era corta) per agganciare le testimonianze Caini-Martelli e Frigo, tutte collocate vicino alla mezzanotte. Nella versione del mentitore Lotti il piccolo commando sarebbe partito con la sicurezza di trovare la coppia sul posto: "Andiamo a dare una lezioncina a quelli di Vicchio!!!". Non capisco davvero persone adulte che si lasciano prendere in giro da queste scemenze...

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    4. Se Lotti ha preso parte al delitto come lei pensa, non vedo perché avrebbe dovuto mentire di proposito sull'orario. Mettere Pacciani e Vanni al suo posto, se uccideva da solo, non capisco cosa c'entri con l'orario, tanto più che gli orari della ricostruzione di Lotti non si armonizzano con le testimonianze. O Lotti ha indicato l'orario che dopo 12 anni ricordava (magari male) oppure ha mentito perché non c'era, secondo me. Come avrà capito, allo scenario di Lotti che ricorda tutto alla perfezione ma mente per paura che gli investigatori e i giudici capiscano che lui era l'unico killer non credo. Su Signa per me è un rompicapo. Le sue argomentazioni sono sicuramente valide, anche a me sembra strana la storia del malore di Mele. Ma è anche vero che le similitudini tra quel delitto e i successivi non sono di poco conto. Bisogna vedere quali elementi pesano maggiormente sulla bilancia, e io non saprei decidere. Mi sono limitato a riepilogare le ragioni di chi vede in Signa l'esordio del Mostro, e francamente non mi sembrano banali.

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    5. Lotti venne messo di fronte alla testimonianza Martelli-Caini e a quella si adeguò, a partire dagli orari. Da censurare totalmente gli inquirenti che non guardarono neppure all'orario desumibile dalla testimonianza della madre e di chi aveva udito i colpi di pistola.

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  42. Concordo pienamente con Segnini:
    smantellare ad ogni costo Signa 68 e assergnarlo ad un ignoto: è la nuova moda del momento.
    Moda che è più di una moda, per il fatto che si assegna quel delitto ad unignoto già mostro, non si possono avere possibilità di ricamare sopra i nuovi "sviluppi" (sic).
    "sviluppi" che sono mille volte più aleatori (vedasi identikit, come se fosse provato che quell'identikit corrisponde davvero ad un volto intravisto, di notte, per una frazione di tempo brevissima ed in movimento reciproco [somma vettoriale delle velocità], e come se fosse un dato riscontrato che davvero fosse non di uno che passava per gli affaracci suoi, ma proprio del mdf) di quelli di una Signa in cui in una maniera o in un altra l'entourage familiare e di amicizie sarde centrasse qualcosa (come nella stragrande maggior parte di simili delitti sempre avviene).
    Sarebbe poi anche molto interessante che si scoprissero le carte indicando quali sarebbero le caratteristiche riscontrate dall'analisi della scena del crimine, che ne farebbero un delitto maniacale.
    Toccherà aspettare in eterno, visto che non se ne riscontra una in quel delitto, ma la pazienza è una virtù.

    Ma se il caso editoriale e commerciale del mdf non lo si tiene continuamente vivo con cicliche "novità" a tutti i costi, il PIL non si muove... e correttamente anche gli aficionados mostrologhi ci tengono al PIL italiano. :)

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  43. Restando in tema 1968, domandona:
    Ma al momento degli spari, NM si trovava davvero addormentato in auto o invece era sveglio e fuori dall'auto?

    1) coppia + NM escono dal cinema e si dirigono, in auto, verso il posto dove imboscarsi.
    2) l'auto è del Lo Bianco.
    3) in corpi in auto verranno ritrovati con la VF al sedile di guida e la VM al sedile passeggero.
    4) sistemato sui sedili, sotto i corpi, verrà repertato un plaid
    5) siamo ad Agosto, stagione calda. è sinceramente dubbio che quel plaid avesse funzione differente da quella di evitare che i sedili si potessero sporcare durante gli amoreggiamenti
    6) ne conseguono solo DUE possibilità:
    - 6.A) all'uscita dal cinema il Lo Bianco fece guidare alla Locci la propria auto
    - 6.b) all'uscita dal cinema il Lo Bianco guidò l'auto fino alla futura scena del crimine, ed una volta arrivati si è scambiato il posto con la Locci

    6.A)
    La Locci era patentata? Non risulta
    Anche lo fosse stata, il suo permesso di guida non spiegherebbe con senso logico come fecero a sistemare la coperta se non scesero dall'auto

    6.B.1)
    in questo caso la coppia scese dall'auto (per prendere e sistemare il plaid, probabilmente. E per scambiarsi i posti), per poi risalitavici per amoreggiare sul sedile lato passeggero reclinato.

    Avremmo quindi (anche secondo le ultime versioni di NM)::
    1) sedile passeggero reclinato su quello posteriore (quindi mezzo sedile posteriore non era a disposizione di NM)
    2) NM poteva al massimo occupare il mezzo sedile posteriore rimasto, lato guida, e con la testa rivolta lato sportello, quindi in diretta vicinanza dal punto di sparo dei colpi
    3) NM dormiva così sodo da non svegliarsi per i colpi
    4) NM non notò nessuno nè al momento degli spari nè al momento in cui il corpo della Locci venne riposizionato in posizione adagiata allo schienale anteriore lato guidatore.
    5) che chi sparò alla coppia, visto il NM, coscientemente decise però di lasciare in vita un testimone oculare per via della minore età.
    - 5.1) se il colpevole fosse un estraneo, non avrebbe nemmeno potuto avere possibilità di successivamente indirizzare i ricordi del NM
    - 5.2) se il colpevole fosse ricollegabile all'entourage, familiare e/o amicale del Mele, il colpevole avrebbe potuto almeno in seguito (ma anche antecedentemente) influenzare il NM
    [NOTA: come da deposizioni ed intercettazioni telefoniche dei parenti del Mele]

    6) ABL sdriato sul sedile passeggero reclinato e la BL 'sopra' di lui, comportava che al ALB bastava girare la faccia di pochi gradi verso sinistra per ritrovarsi alla vista anzichè le grazie dell'amante, un bambino di 6 anni. Diciamo non il massimo del provocante.

    6.B.2)
    In questo caso, invece, al momento in cui la coppia scese dall'auto per scambiarsi di posto e sistemare la coperta, scese anche il NM [o meglio, venne fatto scendere, così da garantirsi quel minimo in più di privacy utile alla situazione].

    1) un NM che cammina scalzo per 1ora e mezza sul ghiaietto pungente, da solo, scalzo, al buio, verso una lucina che da dove è l'auto non può vedere, permette tranquillamente di ipotizzare un NM lasciato scalco per una mezz'oretta o anche meno, fuori dall'auto nei suoi pressi a bighellonare.

    2) un NM fuori dall'auto, al momento dell'arrivo di chi deve sparare comporta che:
    -> 2.1) un mdf 'moralista' estraneo che non uccide bambini (NM che resta in vita in auto), non avrebbe non potuto non vedere il NM fuori già prima di inizizare a sparare alla coppia, e per le implicite sue stesse motivazioni non avrebbe dovuto sparare proprio.

    - 2.2) uno o più (di certo non era presente solo SM) parenti/amici vedendolo fuori dall'auto, non avrebbero avuto problemi a farlo loro avvicinare e tenere distante dall'area di sparo, evitando così ogni possibilità che potesse restare ferito.
    -- 2.2.1) resta così ancor più piena coerenza con quanto il NM raccontò in prima battuta (omettendo di parlare di spari come causa di morte e di fornire le generalità delle vittime) sia al de Felice sia ai primi Carabinieri

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    1. Ulteriori domande sui cui riflettere se effettivamente NM era in auto o no al momento del delitto...

      sappiamo dal Verbale [24 agosto 1968] dell'esperimento compiuto dal maresciallo Ferrero in compagnia del piccolo Natalino Mele che:
      "Giunti sul luogo del delitto il Mele Natale, che calzava un regolare paio di scarpe, indicava la posizione in cui si trovava a dormire sulla macchina e cioè con la testa riversa verso la parte destra dell'autovettura, disteso lungo il sedile posteriore. Precisava che dopo essersi svegliato trovò la mamma morta al posto di guida e sul sedile di destra, disteso, lo "zio", mentre prima al posto di guida si trovava lo "zio". Che erano morti…morti proprio. Che spaventato si allungò per suonare il clacson, manovrando delle manovelle sul cruscotto...

      Può essere.
      Però viene lo stesso da domandarsi:
      - può un bambino di 6 anni ( e cinseguente statura) sporgendosi dal sedile posteriore verso il cruscotto, in una situazione in cui il sedile anteriore sx è rialzato e quello dx abbassato, e sui i due sedili ci sono due cadaveri insanguinati, riuscire a compiere simili armeggiamenti senza minimamente macchiarsi di sangue?

      Nè il De felice, nè la moglie del de felice, nè il vicino, nè i primi Carabinieri accorsi mai notarono tracce di sangue sui vestiti del NM

      ----
      PS: nel verbale di ecussione di NM del 21 aprile 1969, ore 10:00, si legge:
      "...[nda: NM] vide che la mamma scese dall'automobile e cambiò il posto con lo 'zio'che si mise a sedere e tirò giù il sedile".

      A parte la conferma di come il cambio di posti avvenne, è bene notare che per vedere tale azione il NM non poteca essere addormentato.
      Si addormentò di colpo appena pochi minuti dopo? Di colpo e così pesantemente da non sentire gli spari che non avvennero ore dopo ma quasi in quel frangente???

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    2. Salve, bella riflessione. E individuare il contesto giusto di NM ci porterebbe forse anche alla pistola. Personalmente ho sempre trovato assurdo che un bambino relativamente grande come NM possa vedere la mamma e lo "zio" coricarsi, cadere in sonno immediato, in posizione accucciata e scomoda (non è un neonato) e talmente profondo da non sentire nemmeno gli spari

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  44. Segnini grazie mille per "elegantemente". Si è vero ho aggirato il problema, però oltre al dribbling posso anche spiazzare il portiere. Sempre restando in tema di mal di pancia, escludendo l'ipotesi di caviale avariato, le potrei dire che questo malessere fu genuino, perchè già la mattina SM sapeva cosa sarebbe accaduto la sera. Attanagliato dai sensi di colpa, egli sfogò, con fiele per non dire bile, questa forma di supplizio, questa mano della morte che premeva sul suo debole cuore. Quindi pista sarda modalità ON. Ma resta il fatto che non è il mal di pancia (probabile o improbabile) a fare la differenza in questo delitto ma la confessione del mele. Il malessere (vero o falso) per stare a casa da soli non rappresentava oggettivamente un alibi, perchè stare a casa da soli non è mai un alibi. Non è necessario classificare un mal di pancia come evento rarissimo per fortificare la propria tesi. Tutto qua. Comunque lei è uno dei più eminenti studiosi del caso, si rassegni a questo ;)

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  45. Ciao Antonio, ben ritrovato. Io personalmente ho sempre pensato che sia altamente probabile che il delitto di Signa sia stato commesso dal "clan familiare". Pur non potendone avere la certezza. Alle persone che ribattono dicendo che alla fine degli anni '60 queste cose non succedevano più, possiamo rispondere che, tragicamente, accadono ancora oggi. Basta leggere i giornali. E in maniera anche più grave. Ma tralasciando questo, che è solo uno dei mille sassolini nelle scarpe che chi segue la vicenda ormai da anni come noi dovrebbe togliersi, volevo discutere una riflessione sul delitto di Signa. Mi sono sempre chiesto il motivo della morte del Lo Bianco. Non tanto della povera Locci. Perchè uccidere un uomo, padre di famiglia, che, per quanto ne sappiamo, non aveva ancora "consumato" la sua relazione? Ora sappiamo bene che i motivi della morte della Locci non sono solo da ricercarsi in ragioni di onore famigliare perduto, o gelosia, ma anche, e forse soprattutto, in motivazioni molto più materiali. Ma allora perchè uccidere anche il Lo Biano? Perchè ucciderla mentre era con un altro uomo? Perchè non ucciderla dentro casa per poi nascondere il copro ? Magari quando Natalino era stato preventivamente accompagnato dagli zii? La risposta a questa domanda, attualmente, per me è questa: " Codice Penale, art. 587
    Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella". L'art. 587 del codice penale consentiva quindi che fosse ridotta la pena per chi uccidesse la moglie, la figlia o la sorella al fine di difendere "l'onor suo o della famiglia". La circostanza prevista richiedeva che vi fosse uno stato d'ira. Quale miglior stato d'ira della scoperta in flagrante? Continua il vecchio manuale del CP:" La ragione della diminuente deve reperirsi in una "illegittima relazione carnale" che coinvolga una delle donne della famiglia; di questa si da per acquisito, che costituisca offesa all'onore. Anche l'altro protagonista della illegittima relazione poteva dunque essere ucciso contro egual sanzione". In pratica, se non ho capito male, uccidendo due persone, a patto che l'assassino fosse il padre, il fratello o il marito della donna, nel 1968, ce la si poteva cavare con 6 anni di reclusione. Sarà forse questo il motivo per cui chi di dovere convinse Stefano Mele a confessare? Facciamo attenzione, l'articolo 587 non si applicava ai cognati o ai parenti acquisiti. Che, in caso di colpevolezza, rischiavano l'ergastolo. Da una parte ce la si poteva cavare con sei anni, accumulando tre anni a testa per la fedifraga e l'amante, dall'altra si rischiava l'ergastolo. Mi sembra una differenza non da poco sinceramente. Sappiamo bene che Mele prese di più. Poco comunque, rispetto al reato per il quale era stato commesso. Ma sappiamo anche che il suo avvocato provò ad appellarsi al delitto d'onore. E, se non sbaglio, ci provò anche con Pacciani, per la Tassinaia. Prendere lo stesso avvocato, che si era già occupato di casi simili, sarà una coincidenza anche questa?

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    1. Sull'avvocato non saprei. Non ho informazioni che mi facciano pensare a qualcosa di diverso da una coincidenza. Probabilmente a Ricci piaceva occuparsi di casi clamorosi.
      Ti confesso che non avevo mai approfondito la questione del delitto d'onore, avevo come la sensazione che fosse stato già abolito, ma mi sbagliavo. Cercherò di capirne di più. So che Ricci riuscì ad annullare l'appello perché non era stato riconosciuto lo stato d'ira, per poi vederselo riconoscere a Perugia. Comunque la condanna fu sempre di 13 anni e non di 7, quindi non venne applicato l'art. 587. Perché? Non lo so, tu hai un'idea? Bisognerebbe avere le sentenze, che io non ho.

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    2. Dovrebbe essere stato abolito formalmente nel 1981. Sinceramente non so perché non venne applicato. Però sono sicuro che se l'imputato fosse stato un uomo diverso dal marito la pena sarebbe stata ben diversa. Quello che non ho ben capito io è questo: la pena, secondo l'articolo 587, era dai tre ai sette anni; ma si riferisce al solo omicidio della donna ( moglie figlia o sorella) o anche all'eventuale delitto dell'amante? Perché se la pena si riferisce ad una sola vittima allora i 13 anni potrebbero essere cumulativi dei due omicidi. In questo caso, pur non essendo applicato l'articolo 587, la condanna rientrerebbe comunque negli anni di pena previsti da quello stesso articolo. Qualche giurista che ricorda il diritto penale dell'epoca potrebbe aiutarci. Certo, bisognerebbe anche capire quanto ne sapessero di diritto penale i personaggi coinvolti nella vicenda. Sta di fatto che per una strage del genere solo il marito poteva cavarsela con 13 anni. O con meno, grazie all'articolo 587. Il mio chiaramente è solo un tentativo di ragionare sul perché la Locci venne uccisa col Lo Bianco. E non da sola. Penso che sarebbe stato più facile dimostrare lo stato d'ira, indispensabile per il delitto d'onore, se la moglie fedifraga fosse stata "colta sul fatto". Ho pensato anche che il Lo Bianco fosse stato ucciso semplicemente per non lasciare testimoni. E che l'articolo 587 fosse una sorta di "piano b". Come tu stesso hai ricordato più volte, Mele in carcere non voleva andarci. E all'inizio cerca anche di evitarlo, con la storia della malattia e non solo. Che sia stato un modo , da parte dei complici, per tenerselo buono? Penso sia possibile che , se le cose sono andate in un certo modo, gli altri attori della vicenda potrebbero aver avuto interessi ben diversi dal Mele. Sapendo anche che rischiavano molto di più dal punto di vista penale.

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  46. la moglie del LoBianco ha dichiarato che suo marito qualche giorno prima dell'omicidio le aveva prospettato una vita migliore economicamente,ed e'logico ipotizzare che questi aveva una mezza idea di avviare la Locci ad una carriera di prostituta.Per anni l'Ape regina non nascondeva i suoi tradimenti,ma la decisione di ammazzarla e' stata presa proprio con l'arrivo del siciliano.Dai racconti di Natalino si evince che lo zio Piero aveva minacciato la cognata,e questo lascia intendere,consideazione puramente personale,che l'uomo si fosse invaghito ,pure lui ,alla pari di Francesco Vinci e si sia fatto carico dell'esecuzione omicidiaria.Il passaggio di mano della pistola Vinci-Mele che la maggior parte degli esperti ritiene impossibile,potrebbe invece essere spiegato con la limatura del numero di matricola e quindi non rintracciabile.

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  47. Salve .....io mi sono sempre posto delle domande....
    -Quale assassino/i andrebbe/ro a commettere un omicidio sapendo a priori della presenza di un testimone?( Natalino)p.s Natalino Conosceva anche se di vista tutti gli amanti della madre
    -Quale padre potrebbe sparare all intero di un auto x uccidere la moglie e l amante con la presenza del figlioletto?la probabilità di colpire il bambino sarebbe elevata

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    1. La cronaca ci racconta quasi quotidianamente storie in cui le persone fanno cose impensabili.

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  48. È la prima volta che partecipo alle discussioni sul MDF. Dopo aver letto. visto e ascoltato le fasi processuali, sono arrivato alla conclusione che il personaggio che unisce tre dei sospettati di essere il MDF (Pacciani, Lotti e Vigilanti) è Miranda Bugli. Per il Pacciani è nota la vicenda. Vigilanti conosceva Pacciani in quel periodo, dunque poteva conoscere anche la Bugli. Lotti sembra che abitasse alla Romola quando ci viveva la Bugli. Alla Romola viveva anche la coppia Locci-Mele prima di trasferirsi a Lastra a Signa. Non è matematico che si conoscessero ma le coincidenze sono tante come la distanza tra la Bugli, la Locci e Lo Bianco a Lastra Signa.

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