Nella prima parte dell’articolo abbiamo visto quanto altamente probabile sia la possibilità che quella del “dottore” fosse stata soltanto una opportunistica menzogna di Lotti, nell’intento di compiacere le forze dell’ordine alle quali quella menzogna tornava comoda per spiegare i troppi soldi di Pacciani. Ma davvero quei soldi erano troppi per le possibilità economiche del contadino? Cerchiamo di scoprirlo in questa seconda parte.
900 milioni
di lire? Si legge in
Compagni di sangue: “Questa disponibilità finanziaria
e patrimoniale equivale, secondo i calcoli presentati nel processo da un legale
di parte civile, ad una cifra attuale di circa 900 milioni di lire”.
Grazie a questa frase contenuta nel libro di Giuttari abbiamo ancor oggi la
mirabolante cifra di quasi un miliardo di lire associata al patrimonio di
Pacciani; ma come al solito le parole scritte nei libri dell’ex superpoliziotto vanno prese con le
molle. A fornire quella valutazione sarebbe stato Patrizio Pellegrini
nell’udienza del 24 febbraio 1998, la cui relativa trascrizione è una delle
poche non pubblicate dal sempre benemerito blog “Insufficienza di prove”. Ci si
deve quindi rivolgere al sito di Radio Radicale, e alle sue registrazioni
audio. Chi scrive è riuscito a trovare il punto in cui Pellegrini spiega il proprio
metodo di rivalutazione, raggiungibile da qui andando al minuto 22 circa della
seconda parte. A beneficio del lettore, si riproduce la relativa trascrizione:
Fermiamoci
un istante su quel fiume di denaro, un fiume di denaro in relazione alle loro
possibilità economiche, tutto è relativo. Parlo a ragion veduta di un fiume di
denaro, perché è un fiume di denaro di allora, di 15 anni fa grosso modo,
accumulato nella prima metà degli anni '80.
Io
che sono un civilista prestato al penale sono andato a fare i conti con le
tabelle ISTAT alla mano. Sapete per quanto si moltiplica quel denaro per avere
il controvalore a oggi? Per 4,2. Fatevi i vostri conti. Vedrete che quella casa
comprata nel '79 da Pacciani e pagata 26 milioni oggi vuol dire che sarebbe
pagata 110 milioni. Un contadino che è stato più in prigione che sui campi, che
quando ha lavorato aveva un lavoro della terra che a malapena gli consentiva di
sfamare sé e quelle disgraziate delle donne che aveva con sé. Come ha fatto a
mettere da parte questi soldi? Voi ci riuscireste? Non credo, perché qualche
spesa l'avrà avuta anche lui, poche, però intanto andava per trattorie, si
comprava la macchina, si comprava il motorino, si comprava due case, metteva da
parte 160 milioni in quell'epoca. Moltiplicate per 4, vedete oggi che cosa
sono. Avrete una dimensione diversa. Purtroppo ci siamo abituati a uno
svilimento del denaro, quindi 150 milioni non sembrano più poi tanti.
(Audio)
Ecco dunque
il miracoloso metodo Pellegrini, in grado di moltiplicare il danaro come
qualcuno prima di lui aveva moltiplicato i pani e i pesci, facendolo diventare
addirittura un fiume: applicare la medesima rivalutazione monetaria di un importo del
1979 a un importo del 1996! “[…] metteva
da parte 160 milioni in quell'epoca. Moltiplicate per 4, vedete oggi che cosa
sono”, aveva
suggerito il legale, e così Giuttari nel libro avrebbe fatto, usando il
coefficiente di rivalutazione 4,2 sia per i 26 milioni spesi da Pacciani per la
casa di Piazza del Popolo nel 1979, sia per i 35 spesi nel 1984 per la casa di via
Sonnino, sia per i quasi 158 in valori mobiliari sequestrati a suor Elisabetta
nel luglio 1996. E infatti, 26 + 35 + 158 = 219 milioni, che, moltiplicati per
4,2, diventano quasi 920! Quindi, secondo i miracolosi calcoli di Pellegrini e
poi di Giuttari, in neppure due anni i 158 milioni di Pacciani in titoli e
libretti di risparmio sarebbero diventati ben 663 e rotti…
Ci sarebbe
da chiedersi se le parti in causa – non soltanto Pellegrini e Giuttari, ma
tutti coloro che di fronte al quasi miliardo non si posero alcuna domanda –
fossero o no consapevoli della realtà, ma lasciamo perdere, consideriamo il tutto soltanto
un clamoroso svarione, fonte però di perniciosissime conseguenze. Vediamo
allora a quanto ammontava davvero il patrimonio di Pacciani in quel 24 febbraio
1998 in cui Pellegrini lo aveva calcolato, applicando in modo corretto le
tabelle ISTAT. Nell’era di Internet è possibile evitare i necessari ma noiosi
conteggi avvalendosi delle numerose pagine che li fanno per noi, come questa, ad
esempio, dove basta inserire mese di partenza, patrimonio a quella data e mese
di attualizzazione per ottenere il patrimonio rivalutato. Ecco che cosa si
ottiene:
- Casa di Piazza del Popolo, acquistata a settembre 1979 per 26 milioni, valore attualizzato a febbraio 1998: 105 milioni (coefficiente applicato: 4,044, Pellegrini aveva abbondato con il suo 4,2);
- casa di via Sonnino, acquistata a giugno 1984 per 35 milioni, valore attualizzato a febbraio 1998: 69 milioni di lire (coefficiente applicato:1,965);
- patrimonio mobiliare, 158 milioni nel luglio 1996 (momento del sequestro), rivalutazione a febbraio 1998: 163 milioni (coefficiente applicato:1,03).
La somma
dei tre importi costituisce il valore corretto del patrimonio di Pacciani al
momento del calcolo di Pellegrini, secondo i dati da lui presi in esame: 105 +
69 + 163 = 337 milioni di lire, quindi poco più di un terzo della stratosferica
cifra riportata da Giuttari in Compagni
di sangue!
Il valore delle due case. In realtà, pur se le regole della
matematica finanziaria sono state rispettate, anche il calcolo precedente non
fornisce un valore corretto del patrimonio di Pacciani. Una delle ragioni è
costituita dall’impossibilità di conoscere il valore reale delle sue case al
momento del calcolo, a quanto insomma si sarebbero potute vendere. Tuttavia
attualizzare il loro prezzo d’acquisto costituisce senz’altro
un’approssimazione soddisfacente, minata però dall’incognita del prezzo
“dichiarato”, che potrebbe essere stato minore di quello realmente pagato. Non
a caso Giuttari, ne Il Mostro,
scrive:
[…] le
sue entrate per l'attività di mezzadro erano state modestissime, ben lontane
dal poter giustificare il possesso di tutto quel denaro liquido, e ancor meno
gli acquisti e le ristrutturazioni, sempre con denaro contante, delle due case,
avvenuti il 30 settembre 1979 (somma dichiarata 26 milioni) e il 30 giugno 1984 (somma dichiarata 35 milioni)
lasciando quindi intendere che le somme realmente pagate avrebbero potuto essere anche
più alte. In effetti, fino a non molti anni fa (oggi forse non lo si fa più),
nelle compravendite immobiliari era prassi consolidata versare una quota del
prezzo concordato in nero, risparmiando così su tasse e balzelli vari. Si
stipulava, come semplice scrittura privata, un preliminare di vendita, il
cosiddetto “compromesso”, in cui veniva indicata la cifra reale suddivisa in
più rate. A far testo di fronte al fisco era poi il “rogito” – l’effettivo
documento che registrava la compravendita, redatto da un notaio al momento
della consegna dell’immobile – nel quale compariva quasi sempre una cifra
minore.
È chiaro che
se Pacciani avesse versato più dei 26 milioni del 1979 e più dei 35 del 1984 il
valore del suo patrimonio immobiliare dovrebbe essere aumentato di conseguenza.
Ebbene, come si dimostrerà adesso, il prezzo reale delle due case era proprio
quello, quindi è inesatto quanto afferma Giuttari ne Il Mostro scrivendo di somme dichiarate.
Per quanto riguarda l’appartamento di Piazza del Popolo, si legge nella nota della questura sopra riportata:
Per quanto riguarda l’appartamento di Piazza del Popolo, si legge nella nota della questura sopra riportata:
Dall'atto
di compromesso si evince che il prezzo pattuito per l'appartamento fu di £
26.000.000 con le seguenti modalità̀ di pagamento: £ 2.000.000 all'atto di
compromesso che fu stipulato in data 24.01.1979, £ 8.000.000 con assegno nr. 203990894
e £ 16.000.000 all'atto del contratto entro il 30.09.1979.
Quindi i 26
milioni del 1979 furono quelli realmente versati da Pacciani al venditore,
mentre il prezzo dichiarato era di 17, come dimostra la trascrizione del rogito
riportata nella figura sottostante:
Per inciso,
anche se si tratta di argomento che esula dalla materia del presente articolo,
vale comunque la pena notare che il cattivissimo Pacciani aveva intestato la
sua prima casa alle figlie.
Per quanto
riguarda l’immobile di via Sonnino, chi scrive è anche in possesso della copia
del compromesso, della quale vengono qui riportati i passi che interessano:
Come si
vede, il prezzo reale era proprio di 35 milioni, suddiviso in tre rate di 5, 7
e 23. A riprova ecco l’immagine del rogito in cui si legge del “dichiarato prezzo di 30.000.000”.
Qualche
parola va spesa anche per le ristrutturazioni, un argomento che Giuttari non
mancò di tirare in ballo nell’intento di ipotizzare ulteriori spese. Pacciani
lavorò molto sulle due case, che erano vecchie e malmesse, soprattutto quella
di via Sonnino, ed è chiaro che la loro ristrutturazione ne fece aumentare il
valore, ma non sappiamo di quanto. In realtà il dato, che è comunque valido ai
fini del calcolo del patrimonio, in questa sede può anche trascurarsi, poiché
di sicuro comportò modesti esborsi di danaro da parte di Pacciani, che fece quasi
tutto da solo usando molto materiale di recupero, e magari neppure pagò qualche
prestazione. Da una nota della questura dell’8 ottobre 1996:
In
merito ad eventuali lavori di ristrutturazione effettuati presso le abitazioni
di proprietà̀ di PACCIANI Pietro, si è avuto modo di accertare, tramite
l'Ufficio Tecnico del Comune di S.Casciano V.P., che in data 18/9/84 PACCIANI
Pietro ha presentato domanda per effettuare opere di risanamento e modifiche
interne al fabbricato urbano ubicato in Via Sonnino.
La
concessione per la ristrutturazione e l'ampliamento richiesto veniva concessa
in data 15/3/85. La richiesta al comune veniva effettuata con una lettera
manoscritta dal PACCIANI stesso indirizzata al Sindaco di S.Casciano e da una
domanda corredata di relativa documentazione fatta a cura dell'Architetto
Andrea PIAZZINI di Mercatale V.P.. Al fine di completare gli accertamenti
richiesti su questo punto, si provvedeva ad incontrare l'architetto PIAZZINI
che veniva sentito a S.I.T. in merito alla vicenda.
Lo
stesso riferiva di avere eseguito le planimetrie e di avere presentato la
documentazione per conto del PACCIANI, il quale voleva costruire un
"bagnetto" nell'abitazione di via Sonnino. Per l'esecuzione del
lavori il PACCIANI non pagò il PIAZZINI, che per questo ebbe una discussione
con il PACCIANI. Lo stesso riferiva inoltre che per l'esecuzione del lavori il
PACCIANI ebbe a provvedere di persona con l'aiuto di un altro abitante di Mercatale,
ritenuto suo amico, PUCCI Giuliano.
Quella
sopra descritta risulta essere l'unica richiesta, per l'esecuzione di lavori
edili, presentata dal PACCIANI al Comune di S.Casciano.
Non può
invece essere trascurato un fatto che fino a oggi non è mai emerso, e che
invece potrebbe rivestire una certa importanza ai fini dell’oggetto del
presente articolo. Da varie fonti sappiamo che la casa di via Sonnino, dopo i
lavori di ristrutturazione, risultò separata in due appartamene diversi, uno al
civico 28, uno al civico 30. Ecco che cosa ne disse Perugini in dibattimento
raccontando della nota maxi perquisizione (vedi):
Nell’abitazione
di via Sonnino 30, che è la più grossa… diciamo… mentre l’abitazione di via
Sonnino 28 ha un ingresso, su a destra un camino, una larga stanza e un
bagnetto, l’abitazione di via Sonnino 30 ha più camere, una camera da letto
sulla destra, una cucina che è frontale alla porta d’ingresso, un’altra camera
piuttosto larga sulla sinistra e un bagno in fondo.
Ma una
qualche parte dell’immobile Pacciani la dovette vendere, come dimostra questo
documento, frutto di un’indagine successiva condotta nell’ambito della vicenda
Narducci:
Nell’immagine
sono stati riportati soltanto alcuni frammenti dell’annotazione di PG, poiché
le altre parti non riguardano l’argomento del quale si sta trattando. In ogni
caso si vede che il primo marzo 1986 Pacciani “cedeva l’immobile di San Casciano Val di Pesa Via Sonnino n. 31”. Il numero civico dispari della
parte ceduta poco si accorda con quelli pari delle parti rimaste a Pacciani,
ma, a dire il vero, già al momento dell’acquisto con i numeri c’era confusione,
poiché tra compromesso e rogito si parla sia di 30 che di 32. Per il momento
quella sopra rimane l’unica traccia emersa della misteriosa operazione, della
quale pertanto non è nota l’entità monetaria, che naturalmente farebbe
diminuire il patrimonio finale. Di quanto? Ad esempio, si fosse trattato di 10
milioni, il loro passaggio dal patrimonio immobiliare a quello mobiliare
avrebbe fatto diminuire il patrimonio totale al 28 febbraio 1998 di 17 milioni.
Ma, vista la sua aleatorietà, nei calcoli generali tale valore sarà trascurato.
A questo
punto calcoliamo il valore reale delle due case di Pacciani al 30 giugno 1996,
più o meno quella del sequestro dei valori mobiliari, usando la solita pagina
Internet, questa. Si ottiene per la casa di Piazza del Popolo un
valore di 102.284.000 lire, per
quella di via Sonnino un valore di 66.920.000
lire.
Il patrimonio mobiliare. Nella nota della questura del 9
gennaio 1997 (scaricabile qui), il patrimonio mobiliare di
Pacciani viene valutato in 157.890.038 lire.
Vediamone la composizione:
75.301.040 sul
libretto di risparmio 1189 dell’ufficio postale di Mercatale;
18.996.350 sul
libretto di risparmio 1190 dell’ufficio postale di Mercatale;
3.622.990 sul
libretto di risparmio A003402/06 dell’ufficio postale di Scandicci;
13.500.000 in
buoni fruttiferi acquistati nell’ufficio postale di Mercatale;
4.050.000 in
buoni fruttiferi acquistati nell’ufficio postale di Cerbaia;
27.000.000 in
buoni fruttiferi acquistati nell’ufficio postale di San Casciano;
11.300.000 in
buoni fruttiferi acquistati nell’ufficio postale di Montefiridolfi;
5.100.000 in
buoni fruttiferi acquistati nell’ufficio postale di Contea (fraz Rufina)
Per arrivare
al totale di 157 milioni e rotti vennero sommate tutte le cifre elencate. Prima che il lettore si metta a fare la riprova è bene avvertire
che nel prospetto della questura ci sono degli errori. Il primo è la mancata
indicazione di un buono da 500 mila lire, l’O/N 112 del 26 aprile 1982
acquistato a Mercatale, presente invece nel prospetto precedente, quello del 12
giugno 1996 (vedi). Il totale di Mercatale però è lo stesso,
quindi si può senz’altro ipotizzare una semplice dimenticanza. Il secondo è
nella somma dei buoni elencati per Montefiridolfi, calcolata in modo errato, 10
milioni e 300 mila invece di 11 e 300 mila, in questo caso come il prospetto
precedente. Il terzo è la somma finale, che, purgata del milione dimenticato di
Montefiridolfi, è più alta di 19.658 lire rispetto a quella che avrebbe dovuto
essere (ma forse mi è sfuggito qualcosa).
Tutto questo
per amor di precisione. Alla fine la somma delle cifre segnate sui tre libretti
di risparmio (97.920.380) e del
totale del valore nominale dei buoni fruttiferi (60.950.000) è di 158.870.380
lire, cifra che, pur formalmente corretta, è priva di significato. Vediamo
perché.
Nei quasi 98
milioni risultanti dai tre libretti di risparmio la questura conteggiò anche
gli interessi fino a tutto l’anno 1995 e nei buoni postali no. Il perché è
presto detto: gli interessi maturati sui libretti di risparmio risultavano
segnati sui libretti stessi, anno per anno, con il conseguente calcolo del
nuovo saldo, quindi l’agente che redasse il prospetto considerò valido il saldo
al 31 dicembre 1995; gli interessi maturati sui buoni postali non erano segnati
da nessuna parte, quindi ne venne preso il puro valore nominale, corrispondente al
prezzo d’acquisto. A questo punto tentiamo di calcolare, per quanto possibile,
la vera entità del patrimonio mobiliare di Pacciani al momento del sequestro
dei primi di luglio 1996, diciamo, per semplicità, al 30 giugno 1996.
Cominciamo
con l’aggiungere ai due libretti di Mercatale, fermi da diversi anni, gli
interessi maturati nella prima metà del 1996, applicando il tasso rilevabile
dagli interessi del 1995 indicati nel prospetto, che risulta del 5,75%. Si
ottengono così 2.165.000 lire sul
libretto 1189 e 545.000 lire sul
libretto 1190. Per quanto riguarda il libretto di Scandicci, anch’esso fermo da
anni, il prospetto non evidenzia gli interessi maturati, quindi applichiamo
anche in questo caso il tasso del 5,75%, ottenendo la cifra di 104.000 lire. Possiamo quindi
concludere questa prima e più semplice parte del lavoro affermando che al 30
giugno 1996 Pacciani disponeva di un patrimonio investito in tre libretti
postali di 77.466.040 + 19.541.350 + 3.726.990 = 100.734.380.
Calcolare
gli interessi maturati sui buoni postali al 30 giugno 1996 è molto più
complicato. Gli inquirenti avrebbero dovuto richiederli all’amministrazione
postale, e sarebbero stati molto felici del risultato, poiché avrebbero
ottenuto una cifra sommata di prezzo d'acquisto e interessi di gran lunga superiore ai quasi 61 milioni da loro presi in
esame. Le due tabelle scaricabili qui e qui, messe a disposizione dal sito
delle Poste, consentirebbero di effettuare un calcolo preciso applicando la
formula dell’interesse composto a ogni buono secondo le regole e i tassi
indicati, che purtroppo non sono lineari. Chi scrive non ne ha né il tempo né
la voglia, forse qualche lettore sì, quindi sarebbero ben accetti i suoi
calcoli. In ogni caso è possibile raggiungere una soddisfacente approssimazione
considerando tutti i buoni acquistati in un anno come se fossero un buono unico
acquistato alla metà dell’anno, e applicando un tasso di rendimento medio. Per
valutare quest’ultimo valore torna comoda l’operazione effettuata da Pacciani
nell’estate 1992, quando incassò i buoni cointestati con le figlie versando il
ricavato sul libretto di risparmio 1189, come mostra la tabella 6 del prospetto
riassuntivo della questura del 12 giugno (vedi).
Nella figura
sottostante i buoni incassati sono stati raggruppati e ordinati per data di
acquisto, e, con l’aiuto di questa pagina Internet (quadro:
“Investimento semplice”), per ogni gruppo è stato calcolato il tasso di
rendimento annuo effettivo.
Con l’estrapolazione di un tasso medio dalla tabella soprastante – per i vecchi buoni Contea, del 1972-1973, dal quadro messo a disposizione dal sito delle Poste – e con l’aiuto di questa pagina Internet, si ottengono i risultati visibili nella seguente immagine:
Come si
vede, i quasi 61 milioni nominali vedono più che triplicato il loro valore al
30 giugno 1996, raggiungendo la ragguardevole cifra di 193 milioni e rotti.
In
conclusione possiamo valutare il patrimonio totale di Pacciani al 30 giugno
1996 come composto di due case del valore totale di circa 170 milioni e di
libretti e buoni postali per un valore totale di circa 294 milioni, per un
totale generale di 464 milioni di lire.
Volendo
rapportare il tutto al momento dei calcoli di Giuttari e Pellegrini, 28
febbraio 1998, si ottengono circa 477 milioni, che rimangono ancora ben lontani
dai loro gonfiatissimi 900. Infine, se rapportiamo il tutto a oggi (agosto
2018), rivalutando e convertendo si ottiene la bella somma di 348 mila euro.
Correlazioni di date? È possibile che almeno parte del
notevole patrimonio di Pacciani fosse ascrivibile alla vendita dei “feticci” al
“dottore” di Lotti? Nella tabellina sottostante sono stati inseriti i totali
giornalieri degli acquisti di buoni con l’indicazione dell’ufficio postale,
così come si desumono dalla documentazione della questura. È bene premettere
che l’elenco non può considerarsi completo, poiché non riporta gli acquisti di
buoni che sono stati poi incassati (escluso quelli trasferiti nel 1992 nel
libretto di risparmio 1189, 28.050.000 nominali diventati 61.411.580, dei quali
nei prospetti della questura c’è documentazione).
Cominciamo subito a eliminare una castroneria riportata nella sentenza di primo grado del processo a Vanni e Lotti, secondo la quale Pacciani avrebbe disseminato i buoni “tra i vari uffici del circondario (Mercatale, Montefiridolfi, San Casciano, Cerbaia e Scandicci), chiaramente per tener nascosta tanta provenienza di denaro, non sicuramente di fonte lecita”.
Negli anni
1972-1973 Pacciani lavorava come mezzadro in un podere in località Casini di
Rufina, e l’ufficio postale di Contea, che di Rufina è frazione, si trovava a
un chilometro o due. Nel 1981 i buoni vennero acquistati a Montefiridolfi, poi
a partire dal 1982 fino al 17 giugno 1986 a Mercatale. Guarda caso, secondo i
dati della questura, dal 15 aprile 1973 Pacciani risiedette a Montefiridolfi, da
dove si trasferì a Mercatale il 17 marzo 1982. È vero che il 15 novembre 1985
un milione risulta investito a Montefiridolfi, ma l’operazione sa tanto del
semplice rinnovo di un buono dal rendimento non più conveniente rispetto alle
nuove emissioni. I buoni cartacei del tempo si andava a incassarli nell’ufficio
dove erano stati acquistati, e già che si era lì si potevano anche rinnovare.
Dopo
l’ultimo del 17 giugno 1986, Pacciani smise di acquistare buoni a Mercatale,
servendosi degli uffici di Montefiridolfi, San Casciano e Cerbaia. Lo avrebbe
fatto per tenerli nascosti? Forse sì, ma certamente non alla magistratura, come
dimostra questa lettera:
Il 23 ottobre 1987 Pacciani, che si trovava in carcere per i noti abusi in famiglia, chiedeva all’amministrazione postale di bloccare i propri buoni per impedire che in sua assenza le figlie potessero venderli. Ora ci si deve chiedere se davvero un commerciante di “feticci” che avrebbe occultato i relativi proventi acquistando buoni postali a destra e a manca si sarebbe poi dato la zappa sui piedi chiedendo pubblicamente che tali buoni venissero rintracciati e bloccati… In realtà proprio la lettera ci dà la chiave di lettura del cambiamento di ufficio d’acquisto nella seconda metà del 1986. In quel periodo Pacciani era in rotta con le figlie e i loro spasimanti – a maggio 1987 sarebbe stato denunciato e poi arrestato – e temeva di veder sparire i propri risparmi. Non è certamente un caso se i buoni acquistati a Mercatale erano cointestati con le figlie e quelli successivi no. Che avesse preferito servirsi di uffici postali differenti da quello del proprio paese poteva spiegarsi con il tentativo di non mettere troppo in piazza i propri affari.
Veniamo
adesso alla correlazione di date tra i soldi spesi e le ipotizzate vendite dei
feticci. Scrive Giuttari in Compagni di
sangue:
Dall'analisi
dei movimenti di quel denaro, si poteva constatare che l'acquisto della quasi totalità
di buoni era avvenuto tra il 1981 e il 1987 e, cioè, nell'arco di tempo, in cui
erano stati realizzati i delitti con le macabre asportazioni.
Inoltre,
in un arco di tempo molto ristretto, dal 15.11.85 al 26.05.87, aveva versato in
contanti per acquisti di buoni in più uffici postali (Mercatale, Cerbaia,
Montefiridolfi) una somma complessiva di £ 57.050.000. A volte aveva fatto più
versamenti nello stesso giorno. La circostanza fa pensare che quei soldi
potessero essere stati o il frutto di un saldo dei lavoretti, ordinati dal
mandante, oppure il ricavato di una attività di ricatto dello stesso Pacciani
nei confronti del mandante stesso. […]
Pacciani
acquistava i primi buoni postali proprio nel 1981 quando, in effetti, erano
iniziati gli omicidi seriali. Esauriva gli investimenti nei primi mesi del
1987, quando era stata completata la serie delittuosa.
Cominciamo
col dire che non è affatto vero che Pacciani acquistò i primi buoni postali nel
1981, come attesta la presenza dei buoni del 1972-1973 acquistati a Contea.
Ecco la lettera con la quale le Poste comunicarono il dato (nell’immagine manca
una pagina dell’elenco):
Come si
vede, i buoni erano cointestati a Pacciani e, in varie combinazioni, alla
moglie, alle figlie e alla sorella, e probabilmente detenuti dalla sorella o da
altri, visto che non erano stati trovati in mano a suor Elisabetta. È vero che
poi, a partire da allora, non risultano altri acquisti di buoni fino a quelli
del 16 giugno 1981 a Montefiridolfi, ma si è già detto che la documentazione
acquisita non comprende tutti i buoni incassati. Dopo il suo trasferimento a
Montefiridolfi nel 1973 Pacciani avrà senz’altro continuato a investire i
propri risparmi in buoni postali acquistandoli nell’ufficio del paese. Quando
poi, nel 1979, ebbe bisogno dei 26 milioni necessari all’acquisto della casa di
Piazza del Popolo, riscattò parte di quei buoni, che quindi non risultano negli
elenchi della questura. Tra l’altro, forse fu proprio allora che ebbe anche una
buonuscita di una decina di milioni dai marchesi Rosselli-Del Turco, con la quale potrebbe aver coperto una quota dell'acquisto.
Nel 1984
Pacciani ebbe bisogno di altri 35 milioni, quelli che gli servirono ad
acquistare la casa di via Sonnino. Dall’interrogatorio del venditore,
Gianfranco Matteuzzi (27 maggio 1996):
Mi
si chiede come sia avvenuto il pagamento e, in particolare, se in contanti o
assegni. La maggior parte della somma era costituita da assegni, non ricordo
però se postali o bancari. Ricordo, però, che Pacciani mi disse che aveva
preso i soldi alla posta, per cui ritengo che potessero essere assegni postali.
Anche nel
1984 Pacciani si avvalse dei buoni comprati a Montefiridolfi, quelli che gli
erano rimasti, naturalmente partendo dai più vecchi che già avevano fruttato
abbondanti interessi. Ma forse già nel dicembre 1982, al momento di versare i 6
milioni della Ford Fiesta, aveva effettuato un’operazione analoga. E altri
buoni di Montefiridolfi li avrà incassati alla scadenza. Al momento del
sequestro del 1996 in quell’ufficio gli erano rimasti quelli acquistati per
ultimi, i 2 milioni e 300 mila del 1981.
A questo
punto veniamo alle possibili vendite dei feticci. Negli anni ’70 feticci non ce
ne furono, quindi l’acquisto della casa di Piazza del Popolo nulla vi ebbe a
che fare. Il 1981 fu l’anno delle due prime escissioni. A ridosso di quella del
6 giugno risulta l’acquisto di buoni a Montefiridolfi, il 16 e il 18, per 2
milioni e 300 mila lire, in linea teorica possibile ricavato della vendita. Ma
allora, perché dopo la successiva escissione, il 22 ottobre, fino al 12 marzo 1982
non è documentato alcun acquisto? Risulta poco ragionevole ipotizzare che tali
eventuali buoni sarebbero potuti essere tra quelli in seguito venduti, quindi
non presenti nella documentazione della questura, poiché conviene sempre
vendere i più vecchi, quelli che già hanno reso interessi e che scadranno
prima.
Dopo il
delitto di Calenzano la successiva escissione avvenne il 29 luglio 1984 a
Vicchio. Ebbene, tra il 12 marzo 1982 e il 10 febbraio 1984 Pacciani acquistò
buoni per 17 milioni e 250 mila lire e la Ford Fiesta per 6, quindi con
proventi che nulla avevano a che fare con le macabre vendite. Anche il
danaro speso nel 1984 per la casa di via Sonnino di sicuro non fu frutto della
vendita delle parti mutilate alla povera Pia Rontini, poiché gli anticipi di 5
e 7 milioni risalgono al marzo e il saldo di 23 milioni al 30 giugno, quindi
ben prima del delitto. Il successivo acquisto di buoni è quello di 2 milioni
del 17 ottobre 1984, due mesi e mezzo dopo il delitto, e considerarlo il
pagamento per il pube e il seno mutilati è poco sensato, visto il ritardo.
Tra il
delitto di Vicchio e quello di Scopeti risulta l’acquisto di buoni per 7
milioni, l’ultimo il 20 aprile 1985, che non è affatto irragionevole
considerare frutto di risparmi. Il primo acquisto dopo il delitto di Scopeti
risale al 15 novembre 1985, due mesi dopo, quindi vale quanto già osservato
riguardo il delitto di Vicchio: non c’è correlazione con la supposta vendita
delle parti mutilate.
Giuttari fa
notare che dal 15 novembre 1985 al 26 aprile 1987 Pacciani acquistò buoni
postali per ben 57 milioni e rotti. In effetti sembra tanto, soprattutto
considerando i 10.550.000 del 1982, i 6.200.000 del 1983, i 6.000.000 del 1984
e i 7.800.000 totali del 1985. “La circostanza fa
pensare che quei soldi potessero essere stati o il frutto di un saldo dei
lavoretti, ordinati dal mandante, oppure il ricavato di una attività di ricatto
dello stesso Pacciani nei confronti del mandante stesso”, queste le
ipotesi di Giuttari, che però non stanno in piedi. Riguardo il saldo: Pacciani aveva
forse in mano un contratto scritto che impegnava i propri committenti a pagare
il conto per intero, pena la denuncia all’autorità competente? Riguardo il
ricatto: come poteva Pacciani ricattare qualcuno se era stato lui stesso a uccidere
i poveri ragazzi? Sembra molto più ragionevole pensare che l’aumento degli
acquisti di buoni negli anni 1986 e 1987 fosse dovuto soprattutto alla vendita
di quelli di Montefiridolfi anteriori al 1981. È vero che quei buoni dovevano
già aver contribuito all’acquisto di due case e di un’auto, ma abbiamo visto di
quali rendimenti vertiginosi erano capaci. E magari Pacciani, nell’imminenza di
entrare in carcere per gli abusi sulle figlie (30 maggio 1997), cercò di
convertire anche qualche buono di Mercatale loro cointestato (il 9 maggio un
milione e 750 mila, il 26 due milioni e 300 mila, tutti a Cerbaia).
La provenienza dei risparmi. In ogni caso bisogna riconoscere
che il patrimonio di Pacciani non era niente male per un contadino. Ma quando
si pensa che l’individuo aveva sempre lavorato senza risparmiarsi, anche
durante i periodi di prigionia, e che era taccagno fino all’inverosimile –
arrivando persino a mettere in tavola del cibo per cani, come si seppe con
raccapriccio dalla bocca di una figlia – la cifra appare già più plausibile.
Peraltro ha poco senso fargli i conti in tasca calcolando le sue entrate
ufficiali, come pure tentarono gli inquirenti nel prospetto del 9 gennaio 1997
(qui).
Ad esempio,
si legge nel prospetto:
Verso
la fine degli anni sessanta, inizio degli anni settanta, per circa tre anni, il
PACCIANI ha lavorato in qualità di mezzadro, senza quindi alcuna retribuzione
in denaro, presso un podere in località Casini di Rufina, in via Forlivese di
proprietà di LOTTI Cesare, da cui il PACCIANI, a dire delle figlie del LOTTI
stesso, ha ricavato "l'indispensabile per il fabbisogno di una famiglia”.
Però, come
abbiamo visto, risulta che nel periodo mise da parte almeno i 5 milioni e 100
mila investiti nei buoni postali di Contea. Rapportati a oggi, si tratta di 37
mila e 500 euro, mica male per un lavoro dal quale si poteva ricavare soltanto
“l'indispensabile per il fabbisogno di una famiglia”!
Passiamo al
lavoro successivo, quello a Montefiridolfi presso l’azienda dei marchesi
Rosselli-Del Turco. I 5-6 milioni all’anno che risultano guadagnati
ufficialmente nel periodo 1978-1982 come operaio agricolo di sicuro non erano
molti, ma ci sarebbe da stupirsi se non ci fossero stati anche dei congrui fuori busta;
poi Pacciani nulla pagava d’affitto, e naturalmente, come tutti i contadini,
per il mangiare si aiutava con i prodotti della terra, coltivati per sé e anche
per rivenderli. Faceva poi altri lavori, ad esempio allevatore – vincendo anche
dei premi – e custode di cani e cavalli conto terzi. Si diceva cacciasse di
frodo, non si sa quanto fosse vero, ma certo andava per boschi a raccogliere
funghi e castagne che vendeva. Di queste attività e di mille altre che si può
immaginare avesse intrapreso ogni volta che ne aveva avuto occasione – magari
qualcuna neppure troppo lecita – non è possibile quantificare il ricavo, che
però di sicuro va ben oltre le sue entrate ufficiali.
Si devono
poi aggiungere altri introiti non disprezzabili, come le due pensioni minime, a
partire dal 1973 quella della moglie e dal 1979 anche la sua, per un totale
annuo di 8 milioni e mezzo ciascuna nel 1996. Abbiamo visto che dai marchesi
Rosselli aveva ricevuto una buona uscita di quasi 10 milioni. Per anni
le figlie erano state ospiti di un collegio gratuito, poi avevano lavorato come
domestiche percependo stipendi non disprezzabili. Insomma, pare evidente che
Pacciani avesse approfittato di ogni possibilità di guadagno e di risparmio, e
per quanto riguarda quest’ultimo aveva avuto l’occhio lungo nel capire la
convenienza dei buoni fruttiferi postali già fin almeno dai primi anni ’70.
Ma proviamo
a sentire lui stesso, in questo memoriale pubblicato da “Epoca” nell’agosto
1996, fotocopiato dagli inquirenti assieme ad altri articoli e messo agli atti
(qui). Eccone una trascrizione con
qualche piccolo intervento per correggere errori di sintassi e punteggiatura.
Sul
Tirreno del 4 luglio 1996, il giorno 3 luglio, hanno dato notizia che hanno
fatto la perquisizione nel collegio il Samaritano in S. Frediano dalle suore. Gli
hanno portato via tutti i risparmi dati in custodia alla suora, Annamaria
Mazzari col nomignolo Elisabetta, la quale l'avevo delegata per tutelare i miei
interessi di tutta la famiglia: un libretto nominativo con 62.000.000 e tutti i
buoni postali per un totale di 150.000.000, frutto di 47 anni di lavoro e
risparmi di tutta la famiglia, lavoro, pensione, lascito dei genitori e sorella
e suocero, 12 anni di lavoro all’industria dal 1952 al 1964, e più lavoro in
proprio che facevo avanza tempo dopo il lavoro in fabbrica, e la domenica.
Sono
stato a lavorare sempre all‘industria dal 1952 al l964, e la paga era quella
che percepiva un operaio di fuori, paga stabilita dal sindacato, ma dovevamo
lasciare le trattenute della pensione per il versamento delle marchette e
l'assicurazione. E avevamo, oltre la paga sindacale stabilita, il premio di
produzione e il sotto banco. Inoltre facevo i cofanetti di madreperla con
carillon e ballerina per conto di un rappresentante di mobili. Li vendevo a L.
3000 e avevo 2000 lire di spesa, ci guadagnavo L. 1000 ognuno, ma ci volevano 4
ore di lavoro, avanza tempo la sera dopo il lavoro (in fabbrica e la domenica).
Dopo
13 anni tornai a casa a fine pena riportando tutti i miei risparmi, e trovai
mia madre sola, che mi aveva messo da parte il lascito di mio padre, più i suoi
risparmi di pensione e un libretto di mia sorella che aveva lavorato 12 anni
con un medico come domestica. Si era sposata, le disse mamma: «Questi soldi li
dai a Pietro, quando torna si deve fare una famiglia, noi non abbiamo bisogno,
io e mio marito». Misi tutto in banca in buoni bancari, Bot, poi girati in
buoni postali che rendevano di più, i quali dopo 5 anni triplicano, un milione
diventano tre. Mi misi subito a lavorare in fabbrica al mio paese di Vicchio in
calzaturificio. Nel 1965 tornai a contadino a Badia a Bovino col sig. Ceseri
Costantino, gestivo due poderi, 18 ettari di terreno con piante e bestiame.
Presi
moglie nel 1965, e con me tornò pure mio suocero che era rimasto solo, tutto
quello che aveva diede tutto a me. Compreso il libretto di pensione tutelavo
tutto io gli interessi e pensavo al mantenimento della famiglia. Nel 1966
nacque la prima figlia, mia moglie rimase seminferma di mente in seguito al
taglio cesareo, e quindi pensionata dal 1966. Ad ora 1996 sono 30 anni esatti.
Io mi ammalai d'infarto nel 1979 e fui pensionato, da allora sono 17 anni che
la riscuoto. Inoltre quando da Vicchio, Badia a Bovino, tornai a San Casciano
col marchese Rosselli, nel 1972 prendevo la prima paga di operaio specializzato
e qualificato con patente per mezzi operatrici e allevatore di bestiame con 28
capi di bestiame e lavoro col trattore, paga fissa 80.000 lire al giorno pagata
l'intera settimana pure i giorni festivi tutte le domeniche comprese, dal 1972
fino al 1979. Poi l'infarto, lasciai l'azienda, mi diede 10 milioni di
buonuscita, comprai casa a Mercatale e tornai lì. Come vedete questi tre soldi
sono guadagnati con tanto sudore da tutta la famiglia. Compreso 12 milioni, il
lavoro delle figlie di circa 8 anni, siano resi indietro e resi alla suora, che
mi tutela gli interessi, noi non abbiamo rubato niente a nessuno, è frutto di
tanti anni di sudore e sacrifici.
Impressionante lavoro, come al solito! Veramente ammirevole!
RispondiEliminaInvece di azzardare ipotesi fantasiose, io credo che dovremmo prendere tutti atto dell'assurdità delle indagini sui mandanti. Il lavoro certosino di Segnini e i documenti preziosi che ha inserito nell'articolo sconfessano clamorosamente le teorie di Giuttari: che ben sapeva che i primi buoni postali erano stati acquistati da Pacciani quasi dieci anni prima delle mutilazioni, ma non mi pare lo abbia mai scritto in modo chiaro.
RispondiEliminaMi sembra tutto semplice e logico a questo punto: Pacciani negli anni Ottanta acquistò molti buoni postali perché si era accorto che si trattava di un investimento fruttuoso e perché, accumulatisi molti anni di lavoro, aveva ovviamente più denaro da investire. Tra l'altro Pacciani continuò ad acquistarli praticamente fino all'arresto, senza interruzioni significative.
Vorrei chiedere ad Antonio se è possibile avere un elenco anche dei totali giornalieri dei buoni acquistati da Vanni. Ricordo che fu ascoltato nel processo ai complici del mostro un collega di Giuttari, Fausto Vinci, che aveva svolto accertamenti a riguardo.
Sui soldi di Vanni al momento non ho documentazione, però mi pare una buona idea scrivere qualcosa anche su questo. Vedo cosa posso fare.
EliminaCiao Antonio, innanzi tutto complimenti per il lavoro svolto!
EliminaAbbiamo già avuto modo di confrontarci sulla pista esoterica tempo fa, sotto il video di youtube in cui spieghi che su narducci le indagini erano partite prima che venisse menzionato nelle telefonate anonime di Dora.
Devo dire che leggendoti, assaporando il tuo blog, sulla pista Narducci mi sono ricreduto abbastanza. Ho altresi letto la tua coraggiosa intuizione Lotti e mi sono chiesto: Nessuno degli inquirenti si è accertato di un suo eventuale alibi per il delitto del 1974? Pur avendo creduto alle sue confessioni, era lecito verificare se anche per quel "primo" delitto del mostro non ci fosse in mezzo anche lui. Forse avrai già divulgato notizie e fonti rispetto alla mia domanda ma qui non ne ho trovate. Grazie per l'attenzione e grazie infinite per tutto il tuo lavoro.
P.S. ho appena ordinato il libro di Cochi, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi tu di quel lavoro, a detta di tutti, molto completo.
svogliando i giornali dell'epoca, grazie alla monumentale emeroteca di Flanz, diverso tempo fa vidi come nell'82/83 si era indagato anche sui soldi di Francesco Vinci, che alcuni articoli dell'epoca giudicavano sospetti e non compatibili con le sue reali possibilità. ho altresì visto come la figura del "dottor b." non fosse solo una illazione giornalistica, poichè viene citato, con il cognome per esteso, nella sentenza Rotella, descrivendo la sua posizione come "archiviata". ne potremmo forse dedurre che già all'epoca si era concretamente, almeno per un breve periodo di tempo, pensato a un possibile "mandante medico", che si serviva della manovalanza dei criminali più o meno comuni. quella degli anni '90 è stata solo una riproposizione riveduta e corretta di quella teoria già nota? un'altra cosa che mi colpi, ma vado fuori dalla discussione specifica, è che Rotella, contrariamente a quanto si crede, non era affatto sicuro di aver risolto il caso quando firmò i mandati di cattura dei due cognati. nelle poche interviste rilasciate nel 1984 è chiarissimo in questo senso. una cosa in particolare mi ha colpito. quando dichiarò che : " la pistola potrebbe sparare ancora; dopo il delitto (del '68 n.d.s) potrebbe essere stata CEDUTA o RESTITUITA ad altri. nonostante quanto ci dice la teoria sardista "classica", potremmo pensare che lo stesso Rotella avesse in realtà ipotizzato, o addirittura ritenuto probabile, un passaggio di mano dell'arma?
RispondiEliminaBelle domande alle quali però è difficile dare risposta. Rotella riteneva comunque molto probabile che la pistola fosse rimasta nel giro dei sardi, e non poteva essere altrimenti, pena l'inutilità delle sue indagini. Riguardo una pista del dottore ante litteram, è possibile che Giuttari abbia ripreso l'idea, certo.
EliminaLorenzo Franciotti, i cognati vanno dentro per il delitto del '68. Per quanto si trovino vaghi (a dir tanto) indizi su Giovanni Mele, l'interesse maggiore è sapere che fine ha fatto la pistola, anche se a Rotella furono attribuite delle dichiarazioni imprudenti all'epoca (vedi titolone la Città, 17 gennaio), diverse da quelle che hai citato tu.
EliminaAntonio, la pista del dottore mandante era pre-esistente, ma nella tua risposta hai commesso un lapsus. E' Lotti a ricordarsela; forse nella questura di Arezzo aveva a disposizione l'emeroteca sul caso? :-)
Non credo proprio che fosse stato Lotti a ricordarsela, qualcuno credo l'abbia ricordata a lui. O forse non ho capito quello che intendevi dire.
Eliminalo so che vanno dentro per il '68. per questo l'intervista in cui Rotella dice che la pistola potrebbe sparare ancora perchè poteva essere stata " ceduta o restituita" mi è parsa importante. siamo ancora lontani dall' all-in su SV. mi chiedevo se in quel momento potesse aver avuto l'idea che la pistola fosse passata di mano fuori dal giro dei sardi, come sostiene Antonio. rileggendo la sua sentenza mi sembra che lui alla fine si sia convinto che quella sera NM vide due persone : il padre e il secondo personaggio identificato come "zio piero/pietro/pieto". e forse una terza persona nascosta di cui il bambino si sarebbe accorto per averlo sentito. un'altra cosa che appare dalla sentenza è il fatto che, secondo il g.i, il bambino sarebbe stato si accompagnato, ma non dal padre. l'errore clamoroso fu quello di permettere a padre e figlio di stare tutta la notte successiva al delitto insieme. con il bambino che venne istruito dal padre. ma l'effetto non fu quello sperato. visto che il bambino in pratica negherà sempre di aver visto Francesco Vinci quella sera. potrebbe essere successa la stessa cosa fra Pucci e Lotti prima del confronto?
EliminaLorenzo Franciotti, bisogna vedere in che senso andarono le informazioni, se dal padre al figlio o viceversa; se Stefano non era sul posto, è lui ad aver ricevuto dei ragguagli sull'accaduto dal figlio (località, posizione dei corpi, freccia accesa ecc.).
EliminaQuanto a un incontro tra Pucci e Lotti prima del confronto di fronte a Vigna, temo che sia indimostrabile; ma la versione concordante (solo però per il motivo della fermata) dovrebbe essere parecchio antecedente, se è vero quello che riferisce la Ghiribelli nella telefonata intercettata del 25 gennaio, della quale, purtroppo, abbiamo solo un breve stralcio, non saprei perché.
resta il fatto che mele accuserà f.vinci praticamente fino al 1989, e il figlio dirà sempre di non averlo visto. se fu il figlio a dare le informazioni al padre, non si spiega perchè poi egli non confermi le parole del padre, da lui stesso ispirate. a me sembra che tra i due qualcosa sia andato storto. perchè mele, tra le tante cose, disse anche che era stato il figlio a dirgli di aver visto francesco vinci, se non ricordo male. mentre il bambino ammetterà solamente di essere stato imbeccato da mucciarini per la storia di "salvatore fra le canne". e, se non ricordo male, disse anche il babbo gli aveva detto di francesco vinci. perchè tutti questi inquinamenti sul bambino, se questi personaggi non c'entravano nulla?
EliminaGran bell’articolo Antonio. Tante parole sul tesoretto dette per anni, che negli atti trovano poco riscontro
RispondiEliminaUn articolo che senza il tuo lavoro di ricerca, catalogazione e archiviazione dei documenti non sarebbe mai potuto nascere! Grazie Francesca a nome di tutti coloro che alle favole preferiscono la verità, qualunque essa sia.
EliminaCiao Antonio,
RispondiEliminaottimo lavoro, ti segnalo questo articolo che ho online sul mio blog dal dicembre 2012:
https://mostro-di-firenze.blogspot.com/2012/12/a-quanto-ammontava-realmente-il.html
Un cordiale saluto,
a presto
Secondo me, le varie ipotesi sui mandanti,dottori satanici ecc..sono tutte sciocchezze, o alibi depistaggi. Ricordatevi poi che Pacciani , era molto tirchio.
RispondiEliminaScusi Antonio ma, soldi a parte, nella visione di Giuttari come ci è finita la pistola dai sardi a Pacciani. Confesso che ho anche letto il suo libro ma veramente non capisco. E' una leggenda o può essere vero che S.V e Pacciani erano stati in galera insieme oppure questo scambio sarebbe avvenuto con un intermediario-galeotto? In ogni caso il risultato non cambia molto perché è evidente che siano delle fesserie. Così, solo per curiosità, lei ne sa qualcosa?
RispondiEliminaNe tratto in questo articolo
Eliminahttps://quattrocosesulmostro.blogspot.com/2019/08/il-ritorno-di-giuttari.html
al paragrafo "Omicidi collaterali".
In ogni caso è chiaro che su questo argomento a parlare non fu tanto il Giuttari investigatore quanto il Giuttari romanziere!
Buongiorno a tutti.
RispondiEliminaNon mi stupirei se PP avesse avuto anche qualche intrallazzo illecito, sto pensando a un po' di usura: si sa niente in proposito?
Grazie!
Io non ne so niente.
Elimina464.000.000 di lire tutto compreso, nel 1996. Ma lei è riuscito a capire quanto aveva Pacciani verso il 1985 o 86 al massimo? Le chiedo questo perchè se fosse davvero stato pagato si deve pensare a quegli anni lì... Non credo che i misteriosi committenti gli possono aver lasciato sotto ad un sasso un assegno post datato!
RispondiEliminaDovrei rivedere la materia, ma non mi pare che dal 1985-86 in poi ci sia stato l'ingresso di soldi freschi, quindi, valorizzati a 10 anni prima erano quelli. Più o meno 280 milioni (a quei tempi l'inflazione era alta)
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