martedì 10 maggio 2016

La sentenza CdM e Baccaiano

Anche per Baccaiano i giudici poterono contare, come unico materiale probatorio, soltanto sulle dichiarazioni di Giancarlo Lotti, per il quale, a suo dire, il duplice omicidio avrebbe costituito il battesimo del fuoco. L’elenco dei riscontri è particolarmente scarno, se non inesistente (tre).

Primo riscontro


Provata necessità di un “palo” per l’esecuzione del duplice omicidio.
La mancanza di veri riscontri costrinse i giudici, come e più che nel caso di Giogoli, a inserire in sentenza uno specifico paragrafo per assegnare a Lotti quel ruolo di “palo” che, secondo loro, lui stesso avrebbe confessato e del quale ci sarebbe stata un’esigenza imprescindibile. Per dimostrare la presunta confessione del presunto pentito la sentenza ne riporta due frasi, in realtà due collage del tutto arbitrari: “… mi chiedevano di stare lì fermo, ma fermo lì… L’è un posto che ci passa le macchine, (in) quel punto lì… stetti fermo…”, “… a me non m’hanno detto nulla… sono sceso di macchina… come un palo, sì, sono stato fermo…”. La seconda frase è costruita di sana pianta partendo da uno scambio con Filastò, dove a pronunciare la parola “palo” non è neppure Lotti, ma l’avvocato (vedi):

Filastò: Fanno le carte false per portarsela dietro per star lì, fermo sulla strada. Ma lei scese di macchina?
Lotti: O un sono sceso di macchina, però sono andato...
Filastò: Si, o no?
Lotti: Sì, sono sceso.
Filastò: È sceso, però è rimasto lì fermo come un palo.
Lotti: Sì, sono stato fermo, io.

Con la sua sarcastica battuta, evidentemente Filastò intendeva riferirsi a un vero palo, di legno, tanto per intendersi, e l’assenso di Lotti riguardava lo “stare fermo”. Quindi l’interpretazione data dalla sentenza è del tutto falsa.
L’altra frase viene invece estrapolata dall’interrogatorio condotto dal PM, alle cui insistenti domande Lotti aveva risposto con impareggiabile ambiguità (vedi):

PM: Ma quando le dissero di andare con loro, cosa le spiegarono, le chiesero di fare? Cosa doveva fare lei, quella sera?
Lotti: Mah, io, a qui' punto lì, non feci nulla.
PM: Sì, ma cosa... Secondo loro, cosa le chiedevano di fare? Perché volevano anche lei?
Lotti: Mah, mi chiedevano di star lì fermo. Ma fermo lì, passa le macchine, l'è un posto che unn'è... l'è un posto che ci passa le macchine, quel punto lì.
PM: Sì. Capisce, io non le voglio far dire la parola esatta, ma se lei ci spiega cosa doveva fare, viene da sé. Cioè, volevano che lei guardasse...
Presidente: Eh, eh, spieghi, spieghi. Cosa doveva andare lei, cosa doveva andare lei, a fare il testimone? Non credo.
Lotti: Il testimone no.
Presidente: E allora, cosa doveva andare a fare?
Lotti: Mi avevano messo di mezzo che dovevo andare per forza con loro, lì. E basta.
Presidente: E cosa, qual era il suo ruolo?
Lotti: No, io… e stetti fermo con la macchina distante. Non sapevo mica che facessino questo... questo coso qui, questo omicidio. Io sapevo...
Presidente: Ho capito. Ma allora, queste persone vanno a commettere un omicidio e si portano un testimone dietro. Mi sembra impossibile. Vuol dire che se andava lei - se è vero quello che dice lei, non lo so - ma se è vero quello che dice lei, doveva avere uno scopo, doveva fare qualcosa anche lei.
Lotti: Per star lì a guardare se non veniva macchine...
PM: Oh!
Presidente: Eh, questo, doveva fare.
Lotti: Per me, è questo, quello che dico io. Se non mi esprimo bene...

Insomma, spingi di qua e tira di là alla fine tra PM e Presidente si era riusciti a far dire a Lotti: “Per star lì a guardare se non veniva macchine”, una frase che però, a rigor di logica, sembra più indicare un “palo” nella sua accezione classica (chi deve avvertire i complici) piuttosto che in quella intesa dalla sentenza (scoraggiare con la propria presenza l'arrivo di eventuali altre coppiette). In ogni caso alla fine i tre avevano tirato un sospiro di sollievo, poiché pareva che si fossero capiti. Ma Lotti neppure troppo, poiché qualche udienza dopo, durante il controinterrogatorio di Mazzeo, ancora una volta d’aver fatto il “palo” non lo voleva dire, suscitando così la nervosa reazione del Presidente (vedi):

Mazzeo: Qual'era il suo ruolo in quel caso? Aveva un ruolo, può anche darsi che...
Lotti: Di sta' lì, come dicevo a loro.
Presidente: Di sta' lì… di sta' lì come un palo!
Lotti: No.
Presidente: No, no. Aspetti. Cosa vuol dire stare lì?
Lotti: M'avevan detto che c'era questo coso così e così, e io dovevo stare lì fermo a provare da loro lì.
Presidente: A provare?
Lotti: Senza stare vicino alla macchina.
Presidente: E qual era lo scopo della sua presenza lì?
Lotti: Mah, di sta' lì per... che un venisse macchine, un si fermasse macchine.
Mazzeo: Che non venisse macchine. Quindi lei doveva...
Lotti: Macchine, in qui' momento un passò macchine.
Presidente: E se passava una macchina?
Lotti: E se passava una macchina...
Presidente: Cosa doveva fare lei?
Lotti: Che dovevo fare? Le vedevano anche loro le macchine, l'è una strada di coso...
Presidente: Ho capito, ma se lei sta in quel punto, sbuca una macchina là in fondo al rettilineo lì, cosa deve fare lei?
Lotti: Io gli dissi se passa le macchine, che devo fare?
Presidente: Allora, c'è o non c'è è la stessa cosa lei.
Lotti: No, ero lì perchè un si fermassin macchine lì, in questo punto lì.
Presidente: Cioè, doveva impedire che non si fermassino macchine.
Lotti: Macchine...
Presidente: Questo vuole dire?
Lotti: Sì .
Presidente: Oh.

Alla prima risposta sibillina di Lotti sul proprio compito (“Di sta' lì, come dicevo a loro”), il Presidente era intervenuto stizzito (“Di sta' lì… di sta' lì come un palo!”), ed è certamente comprensibile, dopo le sue titaniche fatiche di qualche giorno prima. Ma indietro aveva ricevuto un secco “no”, e poi una frase criptica in bella e involontaria rima: “M'avevan detto che c'era questo coso così e così, e io dovevo stare lì fermo a provare da loro lì”.
Alla fine però Lotti l’aveva ammesso: era sul posto affinché “un si fermasse macchine”, quindi in quel ruolo di “inibitore” che la sentenza chiama di “palo”. Ma ce n’era davvero la necessità? Secondo i giudici sì, e molta:

 […] il fatto di trovarsi proprio sul ciglio della strada rendeva la stessa piazzola molto pericolosa, non per gli automobilisti che si fossero trovati a transitare sulla strada nell’una o nell’altra direzione […], ma per il probabile arrivo di qualche altra coppietta desiderosa di intimità, che si fosse avvicinata all’area per sostarvi per qualche tempo. È in sostanza la stessa situazione del delitto di Giogoli già esaminato, ma in questo caso l’esposizione al pericolo era ancora maggiore, perché bisognava operare intorno ad un’auto quasi a contatto con la sede stradale.
S’imponeva quindi la necessità di un “palo”, cioè di una persona ferma sulla strada, a tutta vista, in modo da indurre, con la sola sua presenza, eventuali coppiette, in avvicinamento alla zona, a proseguire oltre in cerca di altri siti.

Ma non è vero per nulla, anzi, a Baccaiano un “palo” serviva ancor meno che a Giogoli. La coda della 147 di Paolo Mainardi arrivava fin quasi sulla provinciale ed era quindi ben visibile a chi avesse accarezzato l’idea di occupare la piazzola, nella quale d’altra parte più di un’auto non poteva entrare, come anche la sentenza afferma appena dopo: “la stessa piazzola era in realtà una “piazzolina” in quanto grande appena per contenere una sola macchina”. E allora, quale pericolo potevano costituire le altre coppiette se già a colpo d’occhio avrebbero capito che non era il caso di fermarsi? Ancora una volta c’è da chiedersi piuttosto il perché Pacciani sarebbe stato tanto folle da creare una situazione di pericolo lasciando in bella vista una persona la quale, se riconosciuta, avrebbe portato a lui. Tanto più che San Casciano distava pochi chilometri, quindi era anche altissimo il rischio di avvistamenti a opera di gente che conosceva gli assassini.
E se fosse passata un’auto della Polizia? In questo caso una persona ferma lungo un rettilineo buio avrebbe ottenuto l’effetto contrario rispetto a quello atteso, spingendo gli agenti a fermarsi per controllare. Appena dopo aver sospirato di sollievo per l’ammissione, strappata a forza, che Lotti era lì perché “doveva impedire che non si fermassino macchine”, al sagace Presidente era venuto il dubbio, e quindi aveva chiesto ulteriori spiegazioni. Ecco qua un estratto dell’incredibile scambio di battute (vedi):

Mazzeo: Lei ha dichiarato al Pubblico Ministero che doveva fare da palo. Poi all'avvocato Filastò, invece, all'udienza del 3 dicembre ha dichiarato: "A me non mi hanno detto di far nulla se passavano macchine". Quindi io le contesto questa sua precedente dichiarazione.
Lotti: Se le macchine passa, i' che devo fare.
Presidente: Allora... scusi Lotti. A questo punto mi inserisco io. L'ha presente la macchina della Polizia o dei Carabinieri? Che c'hanno quel cosino che gira, quella luce che gira? Se lei avesse visto una macchina di quel tipo sbucare dalla strada, che si avvicinava al posto dove è stato commesso quel delitto, cosa faceva lei?
Lotti: Un lo so mica i' che facevo allora io. Io ero fermo lì. Che facevo? Ero a vedere i' che faceva...
Mazzeo: Dirigeva il traffico, che faceva? Non lo so. Cioè, non gli avevano detto di avvertirli, di dargli un urlo, un richiamo no?
Lotti: L'ho detto innanzi, avverti' se si fermava macchina e basta.
Mazzeo: Gliel'hanno detto o no di avvertirli se passava...
Lotti: O un l'ho detto innanzi, di avvertilli se passava qualche macchina che si fermasse.
Presidente: La Polizia e i Carabinieri girano anche di notte, non è una cosa campata in aria. Allora si sta per arrivare questa macchina, lei non le avverte queste persone o no?
Lotti: Bisogna vede' la macchina se l'è quella della Polizia...
Presidente: C'è rischio che queste persone sparano mentre arrivano i Carabinieri.
Lotti: Lo so ma...
Presidente: Qual'era l'accordo che c'era tra lei, il Vanni e il Pacciani secondo quello che dice lei? Lei cosa doveva fare?
Lotti: Di sta' lì a avvertilli se gl'arrivava una macchina diversa...
Presidente: Oh, avvertirli. E come faceva a avvertirli con un fischio, con le luci, in qualche altro modo. Come faceva?
Lotti: No, avvertire così... passa le macchine, ferme o qualcosa di diverso. Un so se mi son spiegato bene.
Presidente: Sì, ma siccome lei nel verbale che ha fatto ha detto che ha posizionato la sua macchina a 40 metri dall'area di servizio. Come faceva... Lei ha detto: io ero qui, l'area era là, la macchina e i ragazzi era di là a 40 metri; è riportato nel grafico. […] Lei ha detto avvertire, cosa voleva dire, cosa doveva fare in concreto, in realtà cosa accadeva che facesse? Lei a 40 metri... è lei che l'ha detto ai Carabinieri che erano 40 metri. Da 40 metri cosa faceva lei per avvertire il Pacciani che sono vicino alla macchina?
Lotti: Sono andato a piedi vicino a loro per avvertirli. Se la macchina è da parte di là, vo giù a piedi per avvertilli!
Mazzeo: E che era più veloce della macchina?

Pertanto Lotti si sarebbe posizionato lungo il rettilineo e se fossero passati i Carabinieri avrebbe dovuto correre ad avvertire i complici. Ma come avrebbe potuto riconoscere per tempo una gazzella o una pantera? Né i Carabinieri né la Polizia se ne vanno in giro con il lampeggiante acceso, a meno che non stiano inseguendo qualche malvivente o correndo verso un luogo d’intervento. Dal lungo rettilineo buio Lotti avrebbe quindi visto avvicinarsi soltanto dei fari qualsiasi, e soltanto quando l’auto fosse giunta alla sua altezza avrebbe potuto rendersi conto del pericolo. Ma supponiamo pure che in qualche modo l’individuo fosse riuscito ad avvertire per tempo i complici, magari intenti nelle escissioni: come a Giogoli, era decisamente da escludere una rocambolesca fuga attraverso i campi, poiché a lato della strada erano parcheggiate le due auto, le quali andavano recuperate se non si voleva lasciare il proprio biglietto da visita sul posto. E intanto gli agenti che cosa avrebbero fatto?

Secondo e terzo riscontro


Tentativo di fuga del giovane Mainardi, con una disperata manovra di retromarcia, per sottrarsi all’azione omicida.
Esattezza delle modalità degli spari.
Il lettore ormai si sarà stancato dell’argomento, ma ancora una volta bisogna convenire che il presunto pentito, qualsiasi fosse stata la sua fonte, sapeva molto, sia della scena del crimine, peraltro vicinissima a casa sua (5 km), sia della dinamica del delitto. Anzi, molto più che nelle altre occasioni, in dibattimento Lotti si era dimostrato sicuro e preciso nel raccontare l’attacco sulla piazzola, la fuga del ragazzo finita con l’auto incastrata nella fossa, l’inutile tentativo della ripartenza e gli ultimi colpi contro il parabrezza e contro i fari. In risposta alle domande di Curandai (vedi):

Curandai: Senta, per quanto riguarda il delitto di Baccaiano, lei ricorda dove il Pacciani sparò, in che punto della macchina?
Lotti: La prima volta, quando erano su questa piazzettina…
Curandai: Sì, bene.
Lotti: Sempre sulla strada. Dalla parte dello sportello.
Curandai: Sì. Poi?
Lotti: Poi quande gli attraversonno di là, io veddi che volevano sortire, però non ce l'hanno fatto a sortire dal fossetto. Il fossetto era abbastanza profondo. Profondo, una cosa giusta, non è...
Curandai: Senta, io le ho chiesto - se lei ricorda - dove il Pacciani sparò, in quale altro punto della macchina?
Lotti: Dalla parte, quando gl'andette dalla strada di qua?
Curandai: Sì.
Lotti: Sul davanti.
Curandai: Sul davanti. Sul davanti cosa intende, il vetro, oppure no?
Lotti: Il vetro anche.
Curandai: Il parabrezza?
Lotti: Poi c'era dei fari anche rotti sul davanti.

Anche durante il controinterrogatorio condotto da Filastò, duro e non privo di qualche trucchetto del mestiere, riguardo la dinamica omicidaria Lotti non si era mai contraddetto. Dal canto suo l’avvocato era certo che stesse mentendo, e non soltanto perché lo riteneva del tutto estraneo all’intera vicenda. È ben nota infatti tra gli appassionati la sua ricostruzione del delitto, assai differente da quella ufficiale cui il racconto di Lotti si era uniformato, con Paolo Mainardi che aveva tentato la fuga dopo i primi spari finendo dentro la fossa dall’altro lato della strada. Facendo perno sulle testimonianze dei paramedici secondo le quali il ragazzo era seduto dietro al momento del loro arrivo, Filastò era convinto invece che alla guida dell’auto si fosse messo il Mostro. I quattro paramedici erano stati tutti convocati in aula, dove avevano confermato con sicurezza d’aver trovato Paolo Mainardi sul divanetto posteriore, nonostante l’ostilità del PM, del resto comprensibile, e quella invece del tutto inopportuna del Presidente. Addirittura quest’ultimo, durante l’interrogatorio di Silvano Gargalini, nel respingere la legittima protesta di Filastò aveva giustificato l’aggressività del PM con la necessità di appurare se il teste stesse dicendo la verità! (“Stiamo cercando, no, sta cercando di sapere se questo dice la verità o no. Tutto lì”, vedi). E per quale motivo Gargalini non avrebbe dovuto dire la verità? Quali interessi avrebbero potuto indurlo a sostenere una versione piuttosto che un’altra? Semmai il dubbio poteva riguardare la possibilità che non ricordasse bene, oppure che non avesse visto bene. Si era trattato di una vera e propria intimidazione, insomma, gravissima, come del resto aveva subito fatto notare Filastò adirato.
A ogni modo i testimoni erano andati avanti per la loro strada, raccontando senza alcuna incertezza che per estrarre Paolo Mainardi avevano dovuto basculare in avanti i sedili anteriori, quindi in nessun modo potevano aver trovato il poveretto seduto su quello di guida. Erano stati invece i quattro ragazzi intervenuti per primi ad apparire assai insicuri sul fatto che davvero avessero visto Mainardi alla guida. Eppure ottusamente i giudici le loro incertezze le ignorarono, mentre respinsero senza appello le testimonianze dei paramedici, rielaborando in sentenza, a loro piacimento, il contenuto delle relative deposizioni.

Non appaiono invece credibili i testi Allegranti Lorenzo, Gargalini Silvano, Martini Marco e Ciampi Paolo, che intervennero sul posto quale personale dell’ambulanza della “Croce d’Oro” di Montespertoli, e che, sentiti all’udienza del 19.12.97, hanno riferito che il Mainardi si trovava al contrario sul sedile posteriore accanto alla ragazza.
Infatti, se fosse vera questa circostanza, sul sedile di guida non ci sarebbe stata non solo quell’abbondanza di sangue di cui si è già riferito, ma nemmeno alcuna macchia di sangue, posto che, a detta degli stessi testi, il sedile anteriore di guida venne alzato e ribaltato contro lo sterzo, per estrarre appunto il corpo del Mainardi dal sedile posteriore.
Inoltre, quanto al Martini e al Ciampi, tale loro affermazione mal si concilia col fatto che all’epoca essi ebbero a dichiarare al PM il 22.6.82 che non avevano visto la posizione del Mainardi (Martini), come è stato loro contestato anche in udienza: eppure allora il ricordo doveva essere ben vivo, essendo state le loro dichiarazioni rese appena tre giorni dopo il delitto. È evidente, quindi, che i predetti due testi, a forza di riparlare dell’episodio e di “commentare” l’accaduto, come ha riconosciuto lo stesso Ciampi nella sua deposizione dibattimentale, hanno finito col far propria l’opinione di altri, senza tuttavia ricordare personalmente la posizione del ragazzo.

Nel contrapporre il verbale dell’epoca alla deposizione resa in aula, nel caso di Marco Martini la faziosità della sentenza raggiunge vertici assoluti (vedi). Alla iniziale domanda diretta del PM il testimone aveva dichiarato perentorio: “Erano dietro i sedili, accasciati. Insomma, con la testa reclinata all'indietro. Tutti e due”. Era poi seguito questo interessante scambio:

PM: Senta una cosa, a domanda, la stessa che le ha fatto il Presidente, lei dice: "Non sono in grado, invece, di precisare l'esatta posizione del corpo del Mainardi in origine in quanto, al momento del mio intervento il corpo stesso era già stato spostato dal mio collega." E oggi dice invece che lei... che l'ha visto sul sedile di dietro. Allora? Come mai oggi se lo ricorda così bene, se a 24 ore dice: “era già stato spostato dal suo collega”?
Martini: Ora glielo spiego. Dopo circa tre ore, tre ore e mezzo di interrogatorio, alla fine, a Montespertoli, dissi: “fatemi firmare... scrivete quello che vi pare e fatemi firmare quello che vi pare”. Cioè, non era possibile, era un tartassamento continuo, eh, sennò.
PM: Cioè, lei per dire queste... dunque, sono... cinquanta parole, c'è stato tre ore e mezzo?
Martini: Sì. Ma tanto, ma guardi, le dico tanto ci sono stato.
PM: Mi scusi, a aspettare o...
Martini: No, no, no, interrogato.
PM: Ora, tre ore e mezzo interrogato e alla fine lei gli dice: “fatemi firmare quel che volete”? Ma lei dice: "Non sono in grado..."
Martini: No, allora, è successo così, che loro...
PM: Loro, mi scusi, di chi sta parlando?
Martini: Non lo so, un magistrato... una signora, un mi ricordo chi era, e altra gente che ora non mi ricordo.
PM: Va be', un magistrato c'era, no? Donna.
Martini: Penso di sì, un so se era... alla fine di tartassarmi con tante domande, alla fine...
PM: Ma che domande... tartassava...
Martini: Tutto. Praticamente, tutto quello che era successo, che non era successo. Gli dissi quello che era successo, dice: “non è possibile”. “Come non è possibile”, gli dissi, “vedrà che c'ero io un c'era lei”. Giusto?
PM: E certo.
Martini: Allora, mi ricordo mi fecero anche provare... “ci faccia vedere come ha fatto”. Mi portarono addirittura a una macchina simile, una 127... ora, insomma... E io gli feci vedere come feci. Niente, dice: “un è possibile, qui lei sta facendo falsa testimonianza”. Gli dissi: “ragazzi…”
PM: Lei si stufò...
Martini: Io mi stufai e gli dissi... mi ricordo batteva a macchina, scriveva, un so chi, alla fine dissi: “sì, va bene tutto quello che tu scrivi”. Io firmai e venni via. Vedrai, che tu voi fare.
PM: Perbacco, signor Martini, noi ne prendiamo atto ... lei se si assume che dice le cose come stanno.
Martini: Quando ero lì all'interrogatorio, cioè, era un continuo contestare, a diritto, a diritto... Cioè, mi portarono a bere fuori. Insomma, fu un continuo… veramente, sennò, un è che... Poi...
PM: Ho capito. Ma lei non ebbe modo di dire: “guardate, ma insomma io non ho...”. Lei dice: "non sono in grado, invece, di precisare l'esatta posizione..."
Martini: Questo l'hanno scritto loro.

All’epoca Martini non aveva ancora compiuto diciotto anni, ed è quindi ammirevole come avesse resistito per ben tre ore e mezza di fronte a una squadra di inquirenti che voleva una verità di loro comodo, addirittura minacciandolo con accuse di falsa testimonianza. Il ragazzo era entrato dentro la 147 dietro Silvano Gargalini, insieme avevano basculato in avanti i sedili anteriori e insieme avevano spostato Mainardi passandolo faticosamente alle persone fuori, tra le quali il loro collega Ciampi. Come poteva essersi confuso? E per quale motivo, quindici anni dopo, l’ormai persona adulta avrebbe dovuto tornare a sostenere, sotto giuramento e quindi senza esserne più che certa, una versione dei fatti contrapposta a quella ufficiale?
La spontaneità e l’efficacia del racconto di Marco Martini non avevano concesso alcuna replica all’altrimenti agguerrito PM, sempre pronto a strapazzare i testimoni avversi. In questo caso Canessa si era messo la coda tra le gambe, e aveva badato bene di non insistere a soffiare sul fuoco poiché sarebbe stato peggio. E infatti l’ipocrita sentenza ignora del tutto l’accaduto. Eppure, senza per questo affossare il racconto di Giancarlo Lotti, si sarebbe anche potuta trovare una spiegazione alla sorprendente testimonianza dei paramedici. Ne avrebbe tentata una la sentenza d’appello, lo vedremo in un prossimo articolo, mentre in passato chi scrive ne ha proposto un’altra. In ogni caso Lotti aveva dichiarato di essere andato via lasciando Vanni e Pacciani sul posto, e quindi l’accusa avrebbe potuto sostenere che all’ultima parte dei fatti, quando il corpo di Paolo Mainardi poteva aver cambiato posto, non aveva assistito.
Infine qualche osservazione su Silvano Gargalini, il primo dei paramedici a entrare in auto. Ecco che cosa ne scrive la sentenza:

Quanto al Gargalini, egli è sicuramente in buona fede, non avendo alcun motivo per mentire. Va tuttavia tenuto presente che, nella concitazione del momento, la sua unica preoccupazione è stata quella di soccorrere il povero Mainardi nel più breve tempo possibile, essendo peraltro arrivato sul posto con la consapevolezza dell’urgenza del soccorso, dato che il giovane era stato segnalato in fin di vita, con un labile respiro. Sicché, in tale situazione gli è chiaramente sfuggita l’esatta posizione del Mainardi all’interno dell’auto, essendo stato lo stesso Gargalini, in quel momento, tutto teso a ben altro. La “concitazione” del momento ha quindi impedito al Gargalini di notare e memorizzare l’esatta posizione del ragazzo, concitazione che invece è mancata ai testi Marini, Bartalesi, Poggiarelli e Calamandrei, che si avvicinarono per primi all’auto dopo il delitto, senza ansie e senza patemi d’animo.

Incredibile. In dibattimento i quattro ragazzi intervenuti per primi avevano tutti dichiarato di essersi spaventati a morte, e di aver visto bene soltanto Antonella Migliorini, e non Paolo Mainardi, quindi sulla loro deposizione la sentenza afferma il falso. Riguardo Gargalini, invece, va innanzitutto osservato che i giudici si sentirono in dovere di fare un passo indietro rispetto ai sospetti di mendacio espressi in aula dal Presidente, ma la loro spiegazione alternativa (la “concitazione del momento”) fa piangere. Per arrivare al collo di Mainardi, seduto dietro, Gargalini aveva prima abbassato in parte lo schienale del sedile di guida, poi aveva basculato in avanti lo stesso sedile per sollevare il corpo mentre altri da fuori lo tiravano dalle gambe: come avrebbe potuto effettuare quelle manovre con il poveretto seduto davanti?

Nessun testimone. I giudici non se ne resero conto, o più probabilmente fecero finta di nulla, ma la ricostruzione del delitto così come risulta dalle dichiarazioni di Giancarlo Lotti era minata da un gravissimo problema, talmente grave da minacciare di renderla del tutto insostenibile. Secondo il racconto del presunto pentito, arrivando da sud, quindi con la 147 di Mainardi ferma sulla loro sinistra, Pacciani l’aveva superata parcheggiando sul lato sinistro, mentre lui si era fermato prima, rimanendo su quello destro. Per entrambi i mezzi le distanze dalla piazzola dovevano essere dell’ordine della decina di metri (“io rimango indietro... mettiamo dieci metri... loro un s'enno fermati proprio vicino alla macchina, sono andati un po' più avanti”). In quel tratto non esisteva alcuno spiazzo dove poter parcheggiare, se non quello occupato dall’auto delle vittime; ancora oggi è così, e comunque le foto dell’epoca ci restituiscono l’immagine di un lungo rettilineo con banchine erbose quasi inesistenti sulle quali un’auto non ci poteva stare, tanto meno dalla parte di Lotti dove era stato ricavato un canaletto di scolo, il medesimo in cui sarebbero finite le ruote posteriori della 147. Quindi, per quanto fossero state posizionate di lato, le auto degli assassini dovevano occupare una buona parte della stretta carreggiata, come del resto aveva ammesso lo stesso Lotti riferendosi a quella di Pacciani (“La mette un pochino rasente, ma... un pochino dentro nella strada bisogna che ci sia”), e in quelle condizioni, qualsiasi automobilista in transito non avrebbe potuto non vederle. Ma nessuno le aveva viste. E nessuno aveva visto Lotti, il quale, secondo il ruolo assegnatogli dai giudici, avrebbe dovuto rimanere bene in evidenza lungo la strada. Si potrebbe ipotizzare che nei minuti trascorsi dall'arrivo del gruppetto alla sua ripartenza non fossero passate macchine, dato il traffico a quell’ora non continuo, oppure che gli occupanti avessero preferito non presentarsi alle forze dell’ordine. Ma non è così, poiché esistono almeno cinque testimoni transitati davanti alla scena del crimine pochi minuti prima e pochi minuti dopo il delitto.
Attorno alle 23.30-23.35 era passato un conoscente delle vittime, Francesco Carletti, il quale aveva visto la Fiat 147 ancora ferma dentro la piazzola con la luce interna accesa, senza notare alcun’altra auto parcheggiata nei pressi. Attorno alle 23.45 Alessandra Bartalesi e Graziano Marini stavano percorrendo lentamente via Virginio Nuova con provenienza da Baccaiano, quando, qualche centinaio di metri prima di vedere la 147 già fuoristrada, avevano sentito degli strani schiocchi, attribuiti poi a colpi di pistola. Più o meno nel medesimo momento, Stefano Calamandrei e Marco Martini erano transitati davanti alla 147 proveniendo dalla direzione opposta. Nessuno dei quattro aveva notato mezzi parcheggiati nelle vicinanze della piazzola. Ora, se davvero gli schiocchi uditi da Bartalesi e Marini erano dovuti ai colpi della pistola dell’assassino (e a cos’altro se no? per quale coincidenza quei rumori proprio in quei momenti?), è chiaro che il racconto di Lotti cade inesorabilmente: né lui né Pacciani avrebbero fatto in tempo a eclissarsi in quei due o tre minuti.
Ma se anche gli schiocchi avessero avuto un’altra origine, causa il passaggio di Carletti prima di quello dei fidanzati e dei due amici, gli assassini, non ancora sul posto, avrebbero potuto disporre di troppo poco tempo, appena dieci, quindici minuti per arrivo, sparatoria e ripartenza. Per di più Lotti aveva sostenuto di essersene andato via da solo, con i complici ancora attorno all’auto delle vittime, e quindi in ulteriore ritardo.
È chiaro che lo scenario appena descritto rende del tutto insostenibile il racconto di Giancarlo Lotti, nonostante la descrizione piuttosto convincente della sparatoria. Peraltro sul presunto pentito si potrebbe aggiungere un ulteriore e inquietante elemento di perplessità, desunto dalle testimonianze dell’epoca su auto più o meno sospette viste nella zona attorno all’ora del delitto. Senz’altro qualcuno doveva aver incrociato quella del Mostro in fuga, gli inquirenti ne erano convinti, e per questo avevano lanciato un appello sui giornali, dove poi era comparso un elenco degli avvistamenti ritenuti più significativi. Vi si leggono i seguenti modelli: Fiat 126 rossa, Fiat Ritmo chiara, Renault Simca Ranch, Fiat 127, Alfa Romeo Giulia grigia, Fiat 127 bianca, Fiat 124 verde. Pacciani al tempo possedeva una Fiat 500 bianca (la Ford Fiesta sarebbe stata acquistata nel dicembre di quell’anno) e Lotti una Fiat 124 secondo lui “gialla”, e con questa aveva detto di essere andato. Di Fiat 500 non ne erano state viste, mentre fa pensare la Fiat 124 definita “verde”. Nella gamma colori del modello, un’auto da famiglia, non erano presenti né un verde acceso né un giallo acceso, ma sfumature molto meno nette, tipo “beige sabbia” o “acquamarina”, le quali, tanto più nel buio, potevano essere facilmente confuse tra di loro.


Su “La Città” del 24 giugno si legge: “una 124 verde, con un solo conducente e con una targa del tipo nuovo è stata vista salire verso Montespertoli tra le 23,45 e le 24 di sabato scorso”. La considerazione è inevitabile e suggestiva: un’auto che dalla Volterrana, il posto più logico dove il Mostro avrebbe potuto parcheggiare, si fosse diretta verso la casa di Giancarlo Lotti, per il primo tratto avrebbe viaggiato in direzione di Montespertoli.


Considerazioni finali. Il lettore converrà che sul delitto di Baccaiano non soltanto mancano validi riscontri allo scenario ritenuto valido dalla sentenza, ma alla luce delle testimonianze raccolte questo si rivela del tutto non credibile. Ciò nonostante, con ineffabile faccia tosta la sentenza recita: “i riscontri sono stati […] tutti chiari, precisi e concordanti, per cui si può ora tranquillamente affermare che lo stesso Lotti ha detto la verità anche per il presente duplice omicidio di Baccaiano”!
In verità, se d’indizi si può parlare, ancora una volta essi riguardano soltanto Giancarlo Lotti, per la sua conoscenza della scena del crimine e della dinamica omicidaria, soprattutto, e, se vogliamo, anche per l’avvistamento in zona, tra appena sette segnalazioni, di un’auto assai simile alla sua in un orario compatibile con la fuga dell’assassino. Tra l'altro una vecchia auto (produzione 1966-1974) “con una targa del tipo nuovo”, che quindi aveva subito un passaggio di proprietà dopo il 1976, anno in cui le targhe cambiarono di stile. Come si sa Lotti acquistava soltanto esemplari molto usati. Infine, anche la vicinanza della sua dimora al luogo dell'omicidio, appena 5 km in linea d'aria, lascia pensare.

14 commenti:

  1. Interessante l'avvistamento del 124 , dopo quanto l' ha cambiata con il 128 ? Sembra che nel periodo degli omicidi ne ha cambiate di macchine forse xé non andavano piú o forse x non essere rintracciato da qualche avvistamento

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    1. La macchina successiva è stata la Fiat 128 rossa, nella primavera, mi pare aprile, dell'anno dopo, 1983. Lotti comprava macchine strausate, per questo le cambiava spesso.
      Questa storia del 124 visto a Baccaiano non sarà niente, però guarda caso, con quelle poche informazioni che si riescono a trovare, qualcosa che riguarda Lotti c'è spesso. D'altra parte non è possibile che il Mostro non avesse lasciato tracce, no? Ciao.

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    2. poi siamo noi quelli del "partito preso"...cmq mi era venuta in mente un ipotesi un po' strampalata..e se Lotti ci fosse arrivato a piedi sul luogo del delitto? in fondo tagliando per i campi la distanza si riduce di molto...

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    3. Sicuro, probabilmente aveva parcheggiato sulla Volterrana, e attraversato a piedi i campi fino a sbucare proprio sulla piazzola. Erano appena 300 metri, con un torrentello in mezzo che in estate era quasi del tutto in secca, se non del tutto. Mi pare che qualcuno da qualche parte aveva scritto di averlo guadato senza neppure bagnarsi saltando di sasso in sasso.

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  2. Ottimo blog e ottimi articoli,complimenti!

    Per questo delitto e per gli altri su cui testimonia Lotti, così come per tante sue testimonianze processuali (esemplare quella sul cambio auto nel 1985) a me viene sempre in mente il personaggio interpretato da Kevin Spacey nel bellissimo film "I soliti sospetti", quello del fantomatico Kaiser Soze: mi chiedo cioè se sia più grullo lui nel farsi imbeccare dagli inquirenti e PM o se siano più grulli loro nel farsi prendere per i fondelli da lui!
    Leggendo le trascrizioni e soprattutto ascoltando e vedendo audio e video dei processi sembra di assistere, da parte sua,ad una esilarante recita comica ma fatta in modo tale che gli interlocutori, sia pure scafatissimi come avvocati, PM, giudici ecc. non riescono affatto a sopraffarlo dialetticamente, anzi...
    C'è sicuramente del metodo nella sua follia, questo mi pare certo!

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    1. Ottima osservazione. Neanche a farlo apposta il film l'ho visto proprio qualche giorno fa. Tra l'altro mi sono preso un fotogramma di Soze che spara con la sinistra e la pistola ruotata di 90 gradi in senso orario (minuto 4.10). Esattamente come fece Lotti accucciato di fronte alla tenda dei francesi, facendo così finire i primi quattro bossoli, espulsi quasi in verticale verso il basso, proprio sotto i fori dei proiettili sulla zanzariera.

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    2. Tu dunque sei proprio sicuro che il MdF sia lui?

      Io non ho le conoscenze tue e di molti altri che studiano da anni la vicenda per cui posso fare solo riflessioni generali e dare un giudizio approssimato alle ipotesi che via via leggo: tra queste, alternative alla versione ufficiale uscita dai processi, la migliore mi sembra quella di Filastò e,in second'ordine, quelle di coloro che indicano SV come MdF.

      Non conosco nei particolari la tua ipotesi e su quali riscontri si regga, anche se in generale è piuttosto plausibile: so che hai scritto anche un libro in merito ma non riesco a trovarlo... Lo leggerei molto volentieri!

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    3. Sono sicuro che il Mostro fosse Lotti. Ogni nuovo particolare di cui sono venuto a conoscenza dopo la fulminazione di cinque o sei anni fa dovuta a questo video https://www.youtube.com/watch?v=q0qKoawntqY mi ha fornito soltanto conferme.
      Vedi MP sul forum di Ale

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    4. Lotti: comincia da Ignoto 0, finisce con 26 anni di galera.
      (Keyser Soze gli fa un baffo).
      Dai frutti si riconosce l'albero.

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    5. Intanto ho visto il video che citi... Impressionante la concordanza col profilo FBI!
      E poi quella che è la tagline di questo sito "quando sei con me il mostro non c'è"!
      Inoltre ci sarebbe anche la frase che gli è scappata (o forse no) durante il processo del '98: "io sono 30 anni che aspetto"... Non dice "tanti" o "cento" o "mille", no, proprio "trenta"!

      Una cosa che mi è rimasta in testa del libro di Giuttari "Il mostro" è quando racconto di Lotti che se ne va via con dei poliziotti in una casa di protezione dopo l'ennesima e "migliore" confessione, Giuttari descrive un sorriso di Lotti nei suoi confronti e che Giuttari interpreta come una sorta di rilassamento e di intesa; a me invece è venuto subito da pensare ad un sorriso ironico/sarcastico proprio nei riguardi di Giuttari. Guardando poi come sorride in alcuni video delle udienze direi che probabilmente ci avevo azzeccato.

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    6. @ Omar Q.

      L'osservazione che fai è abbastanza realistica resta però il fatto che GL entra nel mirino di Giuttari che trova testimoni che lo collocano la domenica nei pressi della piazzola a Scopeti, a questo punto, se ammettiamo fosse lui il mostro, può darsi che abbia assecondato Giuttari come meglio poteva per stornare da sé le accuse peggiori. Può darsi abbia anche gongolato nell'inguaiare Pacciani e Vanni... Inoltre, nella sua condizione di miseria non credo che la prigione lo spaventasse tanto e comunque la situazione lo rendeva protagonista, forse gli procurava grossa soddisfazione far pendere gli inquirenti dalle sue labbra.

      È ovvie che le mie sono illazioni ma se escludiamo che il MdF non sia mai entrato nelle indagini l'ipotesi GL sembra avere molte frecce al suo arco -- e non ho ancora letto il libro di Segnini... :-)

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    7. il primo avvocato di Vanni , Giangualberto Pepi , in qualche modo lo aveva capito e fatto notare quando disse : "non vi sembra strano che Lotti e Pucci hanno sempre a che fare con i luoghi dei delitti? "...purtroppo chi intraprende questo cammino portando avanti l'ipotesi Lotti deve avere tanta pazienza e le spalle larghe perché i pesi da sopportare sono tanti...vorra' dire che un giorno la soddisfazione di essere arrivati alla verita' sara' doppia...chissa'?

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  3. Ma visto che la strada era a doppio senso, i magistrati si saranno domandati, almeno nella loro mente, come poteva Lotti fare il palo in una strada avente due sensi di marcia? Se fossero arrivate auto dal senso di marcia opposto non avrebbero visto prima l'aggressione, visto che lotti era non si sa quanti metri dietro? Ma poi,come fece ben notare Mazzeo nella sua arringa, Vanni, a Baccaiano, cosa faceva? Visto che lotti, non si sa come, fa il palo, e Pacciani spara, Vanni, che era il principale imputato del processo, che cosa faceva??

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    1. Neanche a farlo apposta, sto proprio rimettendo assieme queste varie parti di critica alla sentenza per un articolo unico di approfondimento a un altro lavoro. Si stenta a credere che dei giudici di un tribunale italiano del 2000 abbiano scritto tali nefandezze.

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