Forse il mistero più grande
dell’intera vicenda del Mostro di Firenze è legato al rapporto tra il delitto
del 1968 a Signa e i successivi. Appena dopo l’uccisione, nel 1982, di
Antonella Migliorini e Paolo Mainardi a Baccaiano – era il quarto duplice
omicidio attribuito al Mostro – si scoprì che la medesima pistola era stata
usata 14 anni prima per uccidere Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Le indagini di allora, pur lasciando molti dubbi sulla possibile
partecipazione di altri soggetti, avevano individuato il colpevole in Stefano
Mele, il marito tradito. In ogni caso quel delitto era sempre stato considerato
di tipo comune, con i classici moventi dell’interesse o della gelosia. Quindi
si poneva il problema di spiegare come un maniaco fosse entrato in possesso
della pistola e, anni dopo, avesse ripreso a uccidere delle coppie appartate.
La prima ipotesi formulata dagli
inquirenti fu quella di un individuo che avrebbe partecipato al primo duplice
omicidio, si sarebbe tenuto la pistola e poi avrebbe maturato comportamenti maniacali
sfociati in ulteriori duplici omicidi. Alla base c’era da una parte la certezza
che a Signa erano stati i sardi a uccidere, dall’altra l’improbabilità che la
pistola fosse uscita dal gruppo. Come ben si sa, seguita con ostinazione dal
giudice Mario Rotella per sette anni, la cosiddetta “pista sarda” non portò a
nulla di concreto. Da allora sono state formulate altre ipotesi, tra cui le
principali sono queste tre:
- Sardi incolpevoli: il maniaco del 1974-1985 avrebbe ucciso già nel 1968, quindi anche quel delitto sarebbe stato maniacale. Il principale fautore di questa ipotesi è senz’altro Nino Filastò.
- Depistaggio: i bossoli del faldone di Signa sarebbero stati sostituiti con quelli sparati dalla pistola del Mostro, quindi a sparare nel 1968 non sarebbe stata la medesima pistola. Privilegia questa eventualità più che altro chi vede all’opera sette o comunque potenti organizzazioni.
- L’estraneo: dopo che il gruppo dei sardi avrebbe ucciso a Signa, uno sconosciuto, presente non visto all’omicidio, si sarebbe impadronito della pistola gettata a terra dal Mele per poi diventare il Mostro. In realtà si tratta di una possibilità sempre ben presente a tutti i commentatori ma quasi sempre respinta.
Ogni ipotesi ha i suoi pro e i
suoi contro, non è però in questo articolo che ne verrà fatta un’analisi
completa. Qui si vuole esaminare un unico elemento, ristretto ma importantissimo,
del quale sia i fautori della pista sarda sia i fautori del maniaco operante
già dal 1968 si sono sempre avvalsi per escludere l’ipotesi dell’estraneo: l’appartenenza
delle munizioni utilizzate a Signa e sei anni dopo a Borgo San Lorenzo a un'unica scatola da 50. È chiaro che se l’assassino del 1974 avesse attinto
alla medesima scatola del 1968, l’ipotesi del passaggio della pistola a un
estraneo al gruppo dei sardi diverrebbe poco sostenibile, essendo molto
difficile spiegare come questi sarebbe entrato in possesso anche delle
munizioni.
In ognuno degli otto duplici
omicidi vennero sempre usate cartucce “Winchester .22 LR”, dette impropriamente
“serie H” perché sul fondo del bossolo recavano incusa una lettera “H”
maiuscola, come era prassi per molti prodotti Winchester da più di cento anni.
L’azienda intendeva rendere omaggio in questo modo a un suo dipendente,
Benjamin Tyler Henry, che attorno al 1860 aveva inventato un efficiente fucile
a ripetizione. Nei primi anni ’80 il simbolo fu sostituito dalla "W" di Winchester. Nella figura sottostante, tratta dal libro "Rimfire headstamp guide", di George Kass e Ron Merchant, si possono vedere quattro marchi differenti, tra cui i due indicati sopra.
Le cartucce erano vendute in confezioni da 50, e in due tipologie: le “Leader Staynless”, con proiettile in “piombo nudo”, e le “Super Speed”, dette anche “ramate” perché il proiettile, anch’esso di piombo, era ricoperto da un sottile rivestimento di rame. La tipologia ramata, di costo un po’ più elevato ma comunque sempre modesto, aveva il vantaggio di deformarsi di meno all’atto dello sparo, quindi risultava più veloce e penetrante.
Le cartucce erano vendute in confezioni da 50, e in due tipologie: le “Leader Staynless”, con proiettile in “piombo nudo”, e le “Super Speed”, dette anche “ramate” perché il proiettile, anch’esso di piombo, era ricoperto da un sottile rivestimento di rame. La tipologia ramata, di costo un po’ più elevato ma comunque sempre modesto, aveva il vantaggio di deformarsi di meno all’atto dello sparo, quindi risultava più veloce e penetrante.
Nel 1968 a Signa e nel 1974 a
Borgo San Lorenzo furono rinvenuti soltanto proiettili del tipo ramato, mentre
nei sei duplici omicidi successivi soltanto proiettili in piombo nudo, escluso
uno ramato nel 1983 a Giogoli. Considerando che sia il numero totale dei colpi ramati,
meno di 20, sia il numero totale dei colpi in piombo nudo (meno di 50) non
superavano la capienza di una scatola, è opinione diffusa che tutte le munizioni
provenissero da due sole scatole da 50. Molti dei libri dedicati alla vicenda sposano
questo scenario in modo del tutto acritico. Come “Il mostro di Firenze e il caso Pacciani”, scritto nel 1994 da Carmelo
Lavorino, nel quale si prende in esame
la possibilità dell’estraneo bocciandola proprio per il problema delle
munizioni:
Stefano Mele ha ucciso la
moglie e l’amante, poi si è disfatto dell’arma. Un guardone ha visto la scena,
ha raccolto l’arma e nel 1974 ha cominciato a uccidere. È diventato il famoso
serial killer dopo aver colloquiato giorno dopo giorno con l’arma assassina, ed
averne subito l’effetto criminogenetico e criminodinamico. […]
Vediamo cosa non quadra in questo scenario.[…]
I colpi esplosi nel 1968 erano tutti di una
scatola, tutti di tipo ramato. Anche i colpi esplosi nel 1974 erano del tipo
ramato e della scatola del 1968: ciò
significa che pistola assassina e cartucce ramate hanno camminato assieme dal
1968 in poi. Ciò significa che è impossibile che Stefano Mele abbia buttato
contemporaneamente cartucce e pistola […]
Pur da un punto di vista
antitetico, più o meno nello stesso momento anche Ruggero Perugini la pensava
nello stesso modo (“Un uomo abbastanza
normale”, 1994):
Anticipo subito che mi presi la libertà di
considerare l’omicidio del 1968 come commesso dalla medesima mano anche se per
quel fatto era già stato condannato Stefano Mele, marito della donna uccisa. E
questo perché, tutto sommato, non credo alle favole: ivi compresa quella di una
pistola che viene trovata (assieme alle
relative munizioni) da uno sconosciuto di passaggio. Che siccome ha, vedi
caso, qualche piccola mania, se ne serve per ammazzare altre sette coppiette di
innamorati.
Scrivevano nel 1996 Francesco
Bruno e Andrea Tornielli (“Analisi di un
Mostro”):
È nel delitto di Lastra a Signa, primo della
lunga e tragica serie, che fa la sua apparizione per la prima volta la pistola
Beretta calibro 22, modello Long Rifle. Insieme all’arma maledetta compaiono le
cartucce: sono proiettili Winchester, serie H, appartenenti a due scatole
diverse. Il Mostro di Firenze continuerà ad usare, fino all’ottavo duplice
delitto del 1985, la stessa pistola e gli
stessi proiettili provenienti dalle stesse due confezioni.
Così inizia “Il Mostro di Firenze”, scritto nel 2002 da Alessandro Cecioni e
Gianluca Monastra:
Otto duplici omicidi, compiuti nell’arco di 17
anni, dal 1968 al 1985. In comune hanno l’arma, una Beretta calibro 22 Long
Rifle, i proiettili usati, Winchester serie H, in parte ramati, in parte a
piombo nudo, provenienti da due scatole
da 50 proiettili.
Più sfumata la posizione di Nino
Filastò, che nel 2005 così scriveva su “Storia
delle merende infami”:
I bossoli repertati sono tutti della stessa
marca Winchester, tutti con la medesima H impressa sul fondello, tutti appartenenti alla medesima partita,
si dice addirittura emersi dalla medesima scatola.
Infine Mario Spezi, nel 2006 in “Dolci colline di sangue”, riportò
maggiori particolari sull’argomento (e diverse inesattezze, sia sul numero dei
colpi ramati, la più clamorosa, sia sui punzoni, questa la vedremo poi, sia
sulle “fodere di piombo”, che semmai erano “fodere di rame”):
I proiettili, tutti Winchester serie H,
appartengono a una marca e a un tipo che non servono a restringere la ricerca,
perché sono tra i più diffusi nel mondo occidentale. Ma tutte quelle cartucce sono state prese dalle stesse due scatole.
Fu dimostrato da un esame al microscopio elettronico. I segni H incisi nei
fondelli hanno microimperfezioni uguali, indice evidente che furono impressi
dal medesimo punzone. Non solo: il punzone, che viene sostituito quando
comincia ad essere consumato, rivela anche che quelle due scatole erano state
messe in vendita prima del 1968 […]
Ogni confezione, poi, contiene cinquanta
cartucce. Ebbene, arrivato al cinquantesimo colpo esploso, iniziando il conto
dal delitto del 1968, l’assassino aprì una seconda scatola. Questo è
chiaramente indicato dalla circostanza che, se le prime cinque decine erano
proiettili ramati, dal colpo successivo erano foderati di piombo.
Adesso diventa semplice capire
perché la convinzione dell’unica scatola di cartucce per Signa e Borgo sia così
diffusa anche tra gli appassionati di buon livello. Ma gli addetti ai lavori,
in questo caso quattro giornalisti, due criminologi, un avvocato e un
investigatore, da dove l’avevano tratta? Probabilmente l’origine è nel
“Rapporto Torrisi”, un documento del 1986 che doveva essere ben noto in
ambienti giornalistici e, naturalmente, investigativi, dove si può leggere:
− qualora qualcuno, subito dopo il delitto, si
fosse disfatto dell'arma, appare inspiegabile come mai l'attuale possessore
abbia la disponibilità, oltre dell'arma stessa anche delle cartucce
contraddistinte sul fondello dalla medesima lettera "H" ed
appartenenti allo stesso lotto;
− siffatta ipotesi, perché sia realizzabile,
presuppone l'esistenza di due condizioni strettamente interdipendenti fra loro:
• l'omicida del primo delitto, quello di
Signa, del 68, avrebbe dovuto portare appresso, oltre alla pistola, anche il
munizionamento completo, – in tutti gli otto duplici delitti, di colpi ne sono
stati esplosi almeno 66, tra proiettili ramati ed in piombo –;
• l'omicida, subito dopo la consumazione del
delitto si è disfatto dell'arma e di tutte le munizioni, e qui non si
comprendono i motivi per cui egli si porti appresso tutte le cartucce, dal
momento che la previsione del loro impiego è limitata.
Appare francamente incredibile la
superficialità con la quale l’allora tenente colonnello dei carabinieri Nunziato
Torrisi, principale investigatore sul campo nell’ambito della pista sarda, affrontò il tema. Dalle sue parole sembra addirittura che gli assassini di
Signa avrebbero dovuto portarsi dietro non una, ma due scatole di cartucce (“il munizionamento
completo”). C'è da dire che anche in altri casi l'innamoramento per la propria tesi (la colpevolezza di Salvatore Vinci) giocò brutti scherzi all'altrimenti bravo militare.
Tre anni dopo il giudice Rotella
fu più onesto, scrivendo nella nota sentenza:
Quanto alle cartucce adoperate, gli accertamenti peritali
esperiti nel 1983 e 1984 non forniscono certezze. È possibile stimare, con
sufficiente approssimazione, che le cartucce, di piombo nudo o in bagno di rame
(più veloci), tutte Winchester, marcate ‘H’ sui fondelli, provengano da due
partite e relativi inscatolamenti, ovviamente precedenti all’epoca di
consumazione del primo omicidio.
Finalmente si comincia a parlare
di “accertamenti
peritali”, i quali però, e Rotella lo ammette, non avevano fornito
certezze. Così il giudice si affida più modestamente a una stima di “sufficiente
approssimazione” per sentirsi confortato nel percorrere la medesima
strada di Torrisi. Ma Rotella era troppo intelligente per non avvertire
l’imbarazzo di quanto stava scrivendo, e lo dimostra l’errore relativo alla
scatola di cartucce in piombo nudo, la quale poteva anche essere stata comprata
prima del delitto di Signa, come lui scrive accomunandola a quella delle
ramate, ma non “ovviamente”,
risalendo soltanto al 1981 il suo primo utilizzo certo.
A questo punto non resta che
andare a vedere quali furono gli accertamenti peritali con i quali si indagò su
cartucce e relative scatole.
Io, da appassionato di armi e tiro, tutte le volte che sento dire che inequivocabilmente che le cartucce dell'omicidio del 68 sono le stesse di quelli successivi, mi sento male.
RispondiEliminaIl cal. 22 lr è il calibro dilettantistico/amatoriale sicuramente più usato e non solo nelle pistole ma anche in molte carabine, mi pare una cosa ovvia che il munizionamento sia uno dei più reperibili, non si può dire che le munizioni del 68 siano le stesse di quelle usate successivamente solo perchè entrambe a palla ramata, i tipi sono due soltanto, è come lanciare una moneta e scegliere testa o croce, avessero usato palle d'argento da lupo mannaro lo avrei potuto capire.
Il fatto invece che l'assassino abbia usato prima quelle ramate, credendo forse fossero più efficaci, secondo me avvalora l'ipotesi che l'assassino non fosse molto esperto ma si sia fatto guidare dalla bellezza dei proiettili ramati, più luccicanti, perchè per come la a vedo io i proiettili in piombo nudo a distanze molto molto ridotte non hanno maggior precisione e hanno sicuramente maggior potere d'arresto (questo essendo costretti ad usare un cal. 22 come parrebbe il casi in esame) deformandosi di più all'impatto col bersaglio e rilasciando più energia.
Il caso dove uno più avvezzo al tiro avrebbe potuto scegliere la palla ramata sarebbe stato il caso di giogoli (dove doveva attraversare lamiera).