Dopo il
feroce assassinio dei due turisti francesi nel settembre 1985 a Scopeti, il
Mostro di Firenze tornò nell’ombra da dove era venuto. Estate dopo estate la
tragica vicenda sembrava sempre più destinata a concludersi da sola, senza
colpevoli e senza ulteriori vittime; ma non andò così. “Dopo tanti anni qualcun altro forse avrebbe
lasciato perdere, io non ci riesco. Non mi stanco di cercarlo. Mi sembra impossibile
che riesca a farla franca”, avrebbe dichiarato Piero Luigi Vigna in
un’intervista (“L’Espresso”, 14 gennaio 1990). Ma quella che nei propositi era
una legittima aspirazione a punire il colpevole di tanti efferati delitti, finì
per diventare il motore di una forsennata caccia avara di regole, dove si cercò
d’inseguire non tanto il Mostro vero, quanto il male che esso rappresentava,
cui si volle dare un’identità a ogni costo.
Piero Luigi Vigna e Ruggero
Perugini. Con il
deposito di una sentenza priva di rinvii a giudizio, se non per fatti marginali
(13 dicembre 1989), Mario Rotella aveva eliminato i maggiori indiziati nel caso
del Mostro, almeno quelli ufficiali, che poi erano anche gli ultimi. Già dal
marzo precedente, infatti, risultavano archiviate le posizioni di tutti i
personaggi minori incappati a vario titolo nelle indagini, compreso lo
sfortunato guardone Enzo Spalletti. D’altra parte l’assassino non si faceva
vivo ormai da quattro estati, ma se la gente sperava soltanto di potersene
dimenticare, per la Procura il caso irrisolto costituiva una dolorosa spina nel
fianco, una macchia indelebile che da sola non sarebbe mai scomparsa. Quindi
l’intenzione dei magistrati fiorentini non era affatto quella di rinunciare
alla cattura del feroce assassino, anzi, la stessa archiviazione definitiva
delle indagini di Rotella sulla pista sarda, da essi fortemente voluta in tempi
brevi – se non addirittura imposta – era parte di un piano d’azione con il
quale si stava già percorrendo una strada del tutto nuova. D’altra parte
l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (24 ottobre 1989) dava
proprio a un magistrato della Procura, nel ruolo di Pubblico Ministero, la
completa responsabilità della conduzione di altre indagini, al posto della
scomparsa figura del Giudice Istruttore.
Al di là
delle assegnazioni formali (pubblico ministero era stato Adolfo Izzo, in
seguito lo sarebbe diventato il giovane e brillante Paolo Canessa), è noto che in Procura
il ruolo guida nell’inchiesta sul Mostro era ricoperto dalla prestigiosa e
carismatica figura di Piero Luigi Vigna. Pur semplice sostituto procuratore,
dal 1984 era stato lui la mente delle numerose iniziative della Procura, tra le
quali la costituzione della SAM, la richiesta di una perizia criminologica a
Francesco De Fazio, e, dopo il delitto degli Scopeti, l’istituzione di una
ricompensa di 500 milioni di lire per chi avesse denunciato il misterioso assassino. Di
quest’ultima iniziativa Vigna si sarebbe però pentito:
Era un esperimento. Il
risultato fu che da allora non si è mai più fatto ricorso ad una taglia. Le
segnalazioni che arrivarono dopo l’annuncio del premio, infatti, furono
talmente numerose e stravaganti da rendere ancora più complesso il già faticoso
lavoro investigativo.
A centinaia si misero a
denunciare il vicino dagli orari insoliti, il chirurgo che non si era ancora
fatto una famiglia, il macellaio a cui piacevano troppo le donne. Centinaia di
presunti mostri finirono sotto la lente delle indagini, a volte con un semplice
controllo sui precedenti, altre con accertamenti approfonditi e persino
intercettazioni e pedinamenti. Si trattava, evidentemente, di segnalazioni del
tutto infondate e dopo qualche tempo la taglia fu revocata.
Quasi un
anno dopo Vigna decise che era arrivato il momento di dare una scrollata alla
SAM, nei cui archivi elettronici era custodita una gran massa di preziose
informazioni. C’era soprattutto bisogno di una guida più convinta rispetto a
quella di Sandro Federico, bravo poliziotto ma della vecchia scuola, più uomo
d’azione che di ricerche nei database, mai troppo entusiasta dell’anomalo
incarico. A occuparsi quasi a tempo pieno della squadra fu dunque chiamato nel
1986 il vicequestore Ruggero Perugini, un ex carabiniere quarantenne laureato
in legge e dotato di una specializzazione in criminologia clinica conseguita a
Modena alla facoltà guidata da Francesco De Fazio. Affascinato dai famosi serial killer d’oltreoceano, a titolo
del tutto personale Perugini si era interessato da sempre ai delitti del
Mostro, coltivando la segreta speranza di potersene un giorno occupare
ufficialmente. Secondo le sue stesse parole, nella SAM non trovò nient’altro
che “una
sgradita e inevitabile appendice della Omicidi. Un monumento, cartaceo e
informatico, alle perversioni e alle speranze deluse”. In effetti,
dopo gli iniziali entusiasmi per le nuove tecnologie e metodologie molto yankee, il controllo delle migliaia di posizioni sospette memorizzate in due anni di lavoro
era risultato senza speranza. Tra segnalazioni anonime e non, numeri di targa di
auto transitate da zone a rischio, personaggi dalle abitudini sospette e altro,
vi era entrato di tutto, e in quella enorme mole di informazioni risultava
impossibile districarsi. Ma per il nuovo capo della SAM, Vigna aveva in serbo
uno spunto molto interessante da cui partire, un personaggio che niente legava
in apparenza alle vicende del Mostro, ma sul quale presto si sarebbero
concentrate tutte le indagini: Pietro Pacciani.
Il Vampa. Pietro Pacciani nacque il 7 gennaio
1925 in una famiglia di contadini ad Ampinana, minuscola frazione di Vicchio
poco distante dai luoghi di due dei futuri delitti del Mostro (Borgo San Lorenzo e
Vicchio, 12 e 5 km). Era il primo di due figli, una sorella arrivò undici anni dopo.
Appena conseguita la licenza elementare, il piccolo Pietro fu portato con sé
dal padre a lavorare nei campi, come era prassi nelle famiglie povere del
tempo, abituandosi così alla dura vita del contadino, alla quale sarebbe
rimasto legato per tutta la vita (“lavoratore della terra agricola”, così amava
definirsi). Complice qualche bicchiere di troppo, diventato grande il problema
principale di Pietro si rivelò il brutto carattere, rissoso, impetuoso, forse
all’origine del soprannome “Vampa” (per la facilità con cui diventava rosso di
collera, “avvampava”, ma esistono altre versioni), che lo faceva temere e
scansare da tutti, anche perché, a onta della statura modesta e della
corporatura normale, sembra fosse dotato di particolare forza. Nel 1944 si unì
a una formazione partigiana, dove ebbe modo di entrare in contatto con le armi –
alla fine della guerra si ritrovò in possesso di due revolver – e di
guadagnarsi la stima dei compagni per alcune azioni coraggiose, come quando ne
portò in salvo uno ferito caricandoselo in spalla sotto il fuoco tedesco. Si
trattava di Dante Ricci, avvocato penalista destinato a una luminosa carriera
nel foro di Firenze, di lì a poco difensore dello stesso Pacciani, e nel 1970,
per uno strano destino, anche di Stefano Mele. Svolto poi con profitto il
servizio militare, dal quale si congedò con l’attestato di mitragliere scelto,
Pacciani tornò a Vicchio al solito lavoro di contadino. Nel 1950 conobbe
Miranda Bugli, una sedicenne già provata dalla vita, con la quale si fidanzò e
per la quale l’anno dopo si sarebbe messo nei guai.
Severino
Bonini era un cenciaiolo quarantenne, alto e robusto, sempre in giro nella zona
di Vicchio alla ricerca di materiale da comprare e rivendere. Secondo le
risultanze del successivo processo, nel primo pomeriggio dell’11 aprile 1951
Pacciani lo avrebbe sorpreso in campagna, località Tassinaia, in atteggiamento
amoroso assieme a Miranda, avventandoglisi contro e uccidendolo a coltellate.
Avrebbe poi costretto la fidanzata a fare l’amore poco lontano, minacciando di
ucciderla se avesse raccontato l’accaduto, e promettendole metà della non
disprezzabile somma trovata addosso al malcapitato cenciaiolo.
La
stessa notte Pacciani tornò sul posto per spostare e nascondere il cadavere,
che però era troppo pesante, e quindi il tentativo di gettarlo in un vicino
laghetto non andò a buon fine. Tenendo fede alla sua promessa, il giorno dopo
divise il contenuto del portafoglio del morto con la fidanzata (dodicimila lire
ciascuno). Intanto i fratelli di Bonini, chiedendo in giro notizie del
congiunto, giunsero a Miranda, che fu incalzata da una serie di domande di
fronte alle quali non seppe tacere e raccontò dell’omicidio. Arrestato la
mattina successiva, Pacciani non negò, addossando però parte della responsabilità
alla fidanzata, che lo avrebbe istigato a uccidere fingendo di essere stata
aggredita, e così fece arrestare anche lei.
Il breve processo si svolse a Firenze nel dicembre di quell’anno. Pietro Pacciani fu difeso con passione dall’avvocato Dante Ricci, il compagno partigiano cui aveva salvato la vita, che si preoccupò con successo di far prevalere il movente della gelosia su quello ben più grave della rapina premeditata contestato dall’accusa. I due fidanzati dettero versioni diverse dell’accaduto, con Pacciani che cercò attenuanti nel comportamento disinvolto di lei, e lei che cercò di accreditarsi come vittima del carattere violento e possessivo di lui. Emessa il 5 gennaio 1952, la sentenza fu rivista in appello il 18 dicembre, con una condanna senz’altro mite per Pacciani – circa 18 anni e mezzo, quattro in meno che in primo grado – riconosciuto colpevole di omicidio volontario e furto aggravato, e una fin troppo severa per l’appena diciassettenne Miranda Bugli, alla quale fu addebitato il concorso in omicidio per una pena di 10 anni e un mese (erano 6 anni e 8 mesi in primo grado).
Grazie ai condoni e alla buona condotta, Pietro Pacciani uscì dal carcere con cinque anni di anticipo, il 4 luglio del 1964. La sua antica fidanzata aveva scontato sei anni, e nel frattempo si era fatta una famiglia, mentre lui, con il padre morto e la sorella sposata, si trovò a vivere assieme alla madre anziana, adattandosi a svolgere vari lavori. Ormai quarantenne, il suo desiderio però era quello di trovare una moglie e coltivare la terra. Il 26 giugno 1965 si sposò con Angiolina Manni, una donna con qualche problema di testa, andando a vivere con lei, la madre e il suocero a Badia a Bovino, frazione di Vicchio, in un podere ricevuto in gestione, distante neppure un chilometro dal luogo del futuro duplice omicidio del 1984. Nel 1966 e nel 1967 nacquero le figlie Rosanna e Graziella. Il parto della prima fu difficile, e la moglie, rimasta per qualche giorno in coma, vide aggravarsi i propri problemi mentali.
Dopo un
paio d’anni la famigliola si trasferì in un altro podere, a Rufina, frazione
Casini, dove di lì a poco morì la madre di Pietro, mentre il padre di Angiolina
andò a vivere assieme a un fratello. Nel 1973 ancora un trasferimento, questa
volta in una casa colonica di Montefiridolfi, frazione di San Casciano, dove
Pacciani doveva occuparsi del bestiame del marchese Pierfrancesco Rosselli Del
Turco, secondo il suo racconto un lavoro molto duro che non prevedeva giorni di
riposo. Nel 1978 trascorse un mese in ospedale per un infarto, e tre anni dopo
abbandonò la sistemazione di Montefiridolfi per trasferirsi a Mercatale, altra
frazione di San Casciano, dove aveva comperato e ristrutturato una casa in
Piazza del Popolo. Pur disponendo di una pensione minima, come la moglie, nella
nuova residenza Pacciani non rinunciò a lavorare, accettando incarichi di ogni
tipo, dall’imbianchino al giardiniere, oltre ai soliti di contadino e
allevatore. Nel 1984 riuscì ad acquistare una seconda casa con orto annesso,
ancora a Mercatale, in via Sonnino, ricavandone due appartamenti, uno per uso
personale, l’altro da dare in affitto.
Il
rapporto di Pacciani con la propria famiglia appariva all’esterno come quello
tipico di un padre padrone. La moglie ne era totalmente succube, non usciva mai
se non con lui e, peggio, doveva subire spesso botte e rimproveri, senza
trovare mai il coraggio di denunciarlo. Le figlie crebbero manifestando
problemi di fragilità, il padre maltrattava anche loro, tantoché per un certo
periodo furono mandate dal Comune in un istituto gestito da suore; ma c’era ben
di peggio. Nell’ottobre 1985 la più grande, Rosanna, andò a lavorare come
domestica nella famiglia di un avvocato fiorentino, dove trovò nella padrona di
casa una persona pronta ad ascoltarla e aiutarla, e alla quale un giorno
confidò la propria preoccupazione che la sorella potesse essere incinta.
Ottenuto con una scusa di poter vedere anche quest’ultima, la donna si sentì
dire che né l’una né l’altra avevano avuto rapporti con coetanei, ma erano
state molestate sessualmente dal padre fin dalla primissima pubertà. La
conseguente denuncia portò Pacciani in carcere per la seconda volta, il 30
maggio 1987. Riconosciuto colpevole nonostante i suoi tenaci tentativi di
negare, l’uomo fu condannato a una pena di otto anni di reclusione,
integralmente confermata in secondo grado.
Vale la
pena accennare alla convinzione di qualcuno che le due ragazze non
l’avessero raccontata del tutto giusta, nel peraltro legittimo desiderio di
affrancarsi dal controllo del padre e vivere in libertà le loro esperienze
amorose. In ogni caso per l’ormai anziano contadino del Mugello si stavano
preparando ulteriori e più gravi guai.
La lettera anonima. I motivi per i quali Pietro Pacciani
divenne il principale sospettato per i delitti del Mostro sono avvolti da una
densa nebbia. Ufficialmente il suo ingresso nei computer della SAM risale ai
giorni successivi al delitto degli Scopeti, dopo l’arrivo alla caserma dei
carabinieri di San Casciano di una lettera anonima, il 16 settembre 1985, che
così recitava:
Mercatale, 11 settembre
1985.
Alla caserma dei
carabinieri di S.Casciano e per conoscenza alla questura di Firenze.
Vogliate al più presto
interrogare il nostro concittadino Pacciani Pietro nato a Vicchio e residente
nel nostro paese in Piazza del Popolo a Mercatale V.P. Questo individuo a detta
di molta gente è stato in carcere per 15 anni per avere ammazzato la propria
fidanzata; conosce 1000 mestieri, un uomo scaltro, furbo, un contadino “con le
scarpe grosse e il cervello fino”. Tiene sotto sequestro tutta la famiglia, la
moglie grulla, le figliole non le fa mai uscire di casa, non hanno amicizie.
Vogliate intervenire ed interrogare l'individuo e le figlie. È un tiratore
scelto.
L'immagine è tratta da "Insufficienza di prove".
L’anonimo non faceva riferimento diretto al caso del Mostro, però la vicinanza di tempo e di luogo al delitto degli Scopeti lasciava pochi dubbi sul fatto che fosse stata proprio quella la sua intenzione. In ogni modo così intesero i carabinieri di San Casciano, i quali naturalmente erano a conoscenza dei trascorsi criminali di Pacciani, invero un po’ differenti da quelli riportati nella lettera, e alle ore 13 del 19 settembre si presentarono nella sua casa di Piazza del Popolo. L’uomo stava pranzando assieme alla moglie e alle figlie, con le quali disse di aver trascorso il pomeriggio e la serata della domenica in cui si riteneva fossero stati uccisi i francesi. La blanda perquisizione eseguita subito dopo non produsse alcun risultato interessante, né d’altra parte fu controllata la casa di via Sonnino.
All’inizio
del 1996 l’anonimo sarebbe stato individuato, in virtù di una sua ulteriore
segnalazione, questa volta a viso scoperto, secondo la quale, nel 1981, Pietro
Pacciani avrebbe messo a essiccare al sole di fronte alla propria abitazione
delle “cose schifose”, in apparenza pezzi di pelle con filamenti scuri. Si
trattava di un impiegato fiorentino in pensione, locatario di una casa
prospiciente quella di Pacciani, dove si recava saltuariamente assieme a degli
amici. A raccoglierne il racconto fu Michele Giuttari, che notò delle somiglianze
tra la firma apposta in calce al verbale e la grafia della lettera anonima,
intuizione confermata da una successiva perizia.
Messo
alle strette l’uomo ammise, ma interrogato sugli elementi che lo avevano
portato a inviare la segnalazione di dieci anni prima, non ne seppe fornire
alcuno. Si deve quindi ritenere che le sue fossero state semplici sensazioni e sospetti di
un vicino di casa, colpito negativamente dalla personalità particolare del
soggetto. Ma forse fu proprio la sua iniziativa a mettere nei guai
Pacciani, addossandogli un decisivo elemento di sospetto in più, non tanto per
la lettera in sé stessa, quanto per la conseguente visita dei carabinieri, che in
seguito sarebbe stata ritenuta il (debolissimo) motivo per il quale l’estate
successiva il presunto Mostro non avrebbe colpito.
Lo screening. Ufficialmente si è sempre
sostenuto che a far emergere il nome di Pacciani nelle indagini sul Mostro fu
una ricerca incrociata condotta a partire dal giugno 1989 sui dati presenti nel
computer della SAM e su quelli memorizzati nel sistema informatico del ministero
di Grazia e Giustizia, per la quale, a dire il vero, c’è una certa confusione
nelle fonti riguardo i criteri adottati. Secondo le dichiarazioni di Ruggero
Perugini in dibattimento, tra le migliaia di personaggi finiti sotto
l’attenzione della SAM ne sarebbero stati selezionati 82 che in qualche modo
potevano aver avuto un motivo per smettere di uccidere dopo Scopeti. Pacciani
ne faceva parte per l’episodio della lettera anonima, dal quale poteva essere
stato allarmato. Dagli archivi del ministero fu poi estratto un altro elenco
comprendente “i detenuti nati o residenti in
Toscana, a qualsiasi titolo, di un’età compresa fra i trenta e i sessant’anni,
arrestati immediatamente dopo l’omicidio di Scopeti“. I 60 nominativi ottenuti furono
ulteriormente ridotti a 26 scegliendo soltanto chi aveva potuto disporre della
propria libertà almeno nella settimana precedente e in quella successiva a ogni
delitto del Mostro. Pacciani era l’unico del primo elenco presente anche nel
secondo.
Nella foto sovrastante si vedono due schermate prese dal PC della SAM.
Appare evidente come queste due ricerche risultassero viziate da criteri arbitrari che le rendevano del tutto inefficaci, a meno di non aver fatto prima una grande offerta alla dea Fortuna. Riguardo il primo elenco, chi poteva assicurare che il Mostro fosse tra le migliaia di nominativi entrati nel computer della SAM? Riguardo il secondo, come si poteva esser sicuri che il Mostro fosse un pregiudicato? E poi, per quale motivo i delitti sarebbero dovuti cessare soltanto in seguito a una carcerazione o per paura di un arresto?
Lascia
perplessi anche l’intervallo delle età utilizzato nella seconda estrazione:
sessant’anni appaiono troppi, sembrando piuttosto un limite appositamente
scelto per farvi rientrare Pacciani, e per il rotto della cuffia, visto che
l’uomo, il giorno del delitto degli Scopeti, aveva sessant’anni e otto mesi. Ma
in verità tutta la questione dello screening
appare nient’altro che fumo negli occhi, il cui scopo fu soltanto quello di
giustificare a posteriori una scelta avvenuta ben prima e con criteri del tutto
differenti, per niente legati a metodologie informatiche. Con inevitabile
sorpresa dalla sentenza Micheli si viene a sapere che i dati sui quali aveva
lavorato la SAM sono andati persi: “questa Banca Dati non si può più consultare a causa
dell’intervenuta formattazione e della conseguente perdita e distruzione di
tutta la memoria dell’inchiesta”. Possibile che di dati così importanti non esistessero copie messe al sicuro? Pensando male, si deve per forza sospettare che forse si temeva la scoperta di qualche
verità scomoda nascosta tra gli archivi. Come quella, ad esempio, che si deduce
da un’intervista a
Ruggero Perugini, pubblicata come riassunto su “Il Messaggero” del 17 gennaio
1993 e in forma di domanda e risposta sullo stesso quotidiano il 19 aprile 1994,
articoli entrambi riprodotti nel libro di Bevacqua Diario
di una difesa:
Arrivò una lettera
anonima che accusava Pacciani. Nessuno aveva mai indagato a fondo su di lui, ma
il suo nome era inserito nel computer della SAM fra le migliaia di possibili
“mostri”. Lessi più attentamente le sue caratteristiche e mi convinsi che il
personaggio meritasse più attenzione. Era il
1986. Ho cominciato a dedicarmi a tempo pieno al “Vampa”.
Dunque
già tre anni prima del fantomatico screening
Perugini indagava a tempo pieno su Pacciani, e l’impressione è che l’iniziativa
neppure fosse stata sua ma piuttosto della Procura che gli aveva affidato le
indagini, e che già si era preoccupata di esaminare con attenzione i fascicoli
dei pregiudicati per reati sessuali. Avrebbe scritto Piero Luigi Vigna molti anni dopo (In difesa della giustizia, 2011):
Chiesi al dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria di redigere un elenco di tutti i detenuti
per reati sessuali che non si trovavano in carcere, vuoi per scadenza della
pena, vuoi per permessi, quando erano stati commessi i delitti. In procura
arrivarono centinaia di nomi. Di ognuno feci prelevare dalla cancelleria del
tribunale il corrispondente fascicolo processuale. Con alcuni colleghi
spulciammo migliaia di verbali di casi vecchi di anni. Nelle nostre stanze non
c’era più spazio, i faldoni di processi ormai dimenticati venivano appoggiati
alle pareti e si alzavano in pile traballanti e minacciose che progressivamente
arrivarono a invadere anche i corridoi. […]
In quel caos, però, il
destino volle che il fascicolo giusto toccasse proprio a me.
Quando rilessi i verbali
ingialliti, sottili, quasi bucati dalle spesse lettere della macchina da
scrivere, di un processo del 1952 a carico di un certo Pietro Pacciani provai
una scossa lungo tutto il corpo.
Pacciani era stato
condannato a tredici anni di carcere perché l’anno prima, accecato dalla
gelosia, aveva ucciso con diciannove coltellate Severino Bonini, un
rappresentante di commercio da lui sorpreso ad amoreggiare con la sua
fidanzata, Miranda Bugli. Non ricordo cosa mi colpì di quella sentenza ma
sentii l’impulso di studiare bene il fascicolo.
Mi imbattei nella
descrizione del delitto, nella quale si diceva che Pacciani, dopo aver scoperto
l’amata con l’amante, rimase nascosto per un po’. Fino a quando vide che la
ragazza scostava la camicetta e mostrava il seno sinistro, preso nella mano del
rivale.
Quel particolare mi fece
sobbalzare: in due delitti del Mostro, oltre al pube, era stato strappato
proprio il seno sinistro, e in altri due casi vi aveva infierito col coltello.
Concentrammo tutte le
indagini su Pietro Pacciani […]
L’episodio
non viene collocato in una data precisa, e fa parte di una ricostruzione
piuttosto libera degli eventi, ma in ogni caso sembra non aver nulla a che fare
con lo screening, anche perché è
ambientato nei locali della Procura e non in quelli della SAM, dislocata in
altra zona di Firenze. In più si parla di centinaia di nomi arrivati dall’amministrazione
penitenziaria, e non dei 60 forniti alla SAM dal ministero di Grazia e Giustizia.
L’impressione è che si svolse ben prima, e non ci sarebbe da stupirsi se avesse
addirittura preceduto la lettera anonima, della quale il personaggio Pacciani non aveva
certo bisogno per balzare all’attenzione degli inquirenti. Potrebbe quindi
assumere un significato inquietante la pervicace ostinazione con la quale
il contadino affermò di essere stato perquisito anche il giorno stesso del
ritrovamento dei cadaveri dei francesi, il 9 settembre 1985, quindi ben prima
dell’arrivo della lettera anonima, circostanza sempre smentita dalle forze
dell’ordine. Così ne avrebbe scritto “Il Corriere della Sera” il 27 marzo 1996:
[…] durante il processo
di primo grado, conclusosi con la sua condanna, l'imputato ha dichiarato che le
perquisizioni a casa sua erano state due, quella del 19 settembre e una
precedente che risaliva al pomeriggio del 9, a poche ore, cioè, dalla scoperta
della coppia di francesi trucidati dal mostro. I giudici non gli hanno creduto
liquidando quella dichiarazione nella motivazione della sentenza come una delle
tante "menzogne diffuse a piene mani per alzare una cortina fumogena
intesa a nascondere la realtà". Invece sembra che Pacciani avesse ragione.
Dall'interrogatorio dell'appuntato dei carabinieri in pensione Filippo Toscano,
anche lui indagato per i delitti del mostro e il presunto omicidio di Renato
Malatesta, risulta infatti che il sottufficiale avesse partecipato alle due
perquisizioni, pur rimanendo fuori della casa. Le dichiarazioni del Toscano
sarebbero state confermate anche da alcuni riscontri.
In ogni
modo, tenendo conto dell’ammissione di Perugini di essersi interessato a
Pacciani fin dal 1986, anno del suo ingresso alla SAM, è facile dedurre che in
quel frangente, assieme al nuovo incarico, avesse anche trovato l’intuizione di
Vigna bell’e pronta ad aspettarlo. E la carcerazione dell'individuo un anno dopo per la
violenza sulle figlie probabilmente fu la conferma definitiva che la pista era
buona, tanto più se di lì in avanti il Mostro avesse continuato a non uccidere.
Per muoversi quindi c’era soltanto da lasciar passare ancora qualche estate
priva di ulteriori duplici omicidi.
È bene
che il lettore a questo punto rifletta in modo approfondito sul madornale
errore commesso dagli inquirenti quando misero gli occhi su Pacciani: invece di
partire da indizi o prove in grado di indicar loro un possibile colpevole,
fecero esattamente il contrario, prima convincendosi che il colpevole era lui,
poi andando a cercare le prove. Si tratta di un percorso irto di pericoli,
lungo il quale gli effetti distorcenti della presunzione di colpevolezza sono
sempre in agguato, con valutazioni parziali, semplici abbagli e ovvie e
irresistibili tentazioni di aiutare una sorte ritenuta troppo avara di indizi.
Da tutta la storia delle indagini sul contadino mugellano trasuda questa impostazione perversa, la quale purtroppo avrebbe continuato a sortire malevoli suggestioni anche dopo l’assoluzione dell’individuo in appello, quando nuovi e inaspettati indizi sarebbero stati interpretati comunque in chiave colpevolista, escludendo altre strade che forse avrebbero potuto portare lontano da lui e vicino al vero Mostro.
Il vero motivo di sospetto. Nel deserto di veri indizi contro
un assassino quanto mai sfuggente, su Pacciani era senz’altro doveroso
approfondire, poiché elementi che lo rendevano sospetto ce n’erano, ma non
parevano oltremodo significativi. Il fatto che non fosse mai stato
impossibilitato a uccidere una delle coppie da una permanenza in carcere lo
accomunava a centinaia di migliaia di altri individui. Che potesse non aver
ucciso nel 1986 per essere stato controllato un anno prima era soltanto una
debole possibilità, tenuto conto che sia l’interrogatorio sia la perquisizione
erano stati molto blandi. Che abitasse nella zona di San Casciano, ritenuta,
dopo l’uccisione dei francesi, la residenza più probabile del Mostro, e per di
più fosse nato e avesse vissuto nel Mugello, teatro di due delitti e luogo di
spedizione della nota lettera, certamente dava da pensare, ma anche in questo
caso gli elementi erano di nessun valore probatorio. Anzi, a badar bene la
scelta di recarsi apposta nel Mugello a imbucare la lettera subito dopo gli
omicidi, accettando i rischi del viaggio, sarebbe stata assurda per uno che vi era
nato e vi aveva vissuto a lungo.
Il vero
motivo di sospetto che allertò la Procura andava considerato il precedente del
1951, come si evince dal frammento del libro di Vigna sopra riportato e
soprattutto come affermò con chiarezza Ruggero Perugini durante la deposizione
del 23 maggio 1994: a sua conoscenza quello di Tassinaia era stato l’unico
altro caso di omicidio, a memoria d’uomo, compiuto nella zona nell’ambito di
un’aggressione a una coppia intenta ad amoreggiare. D’altra parte quella di
mettere gli occhi addosso a soggetti con precedenti specifici era la classica
tecnica d’investigazione da sempre adottata in mancanza d’indizi migliori.
Piuttosto c’è da chiedersi se davvero l’uccisione di Severino Bonini potesse in
qualche modo richiamare i delitti del Mostro. Non sembrerebbe affatto, l’unica
tenue somiglianza è l’aggressione a una coppia, ma Pacciani uccise per gelosia
– e forse anche per rapina – ma soltanto il rivale, risparmiando la fidanzata,
con la quale ebbe un rapporto intimo poco dopo: modalità completamente diverse
da quelle riscontrabili nei delitti del Mostro.
Ulteriori
affinità elencate da Perugini in dibattimento appaiono poi forzate. Ad esempio,
che sia nell’uno che negli altri casi il teatro del misfatto fosse stato la
campagna sembra poco significativo: dove altro potrebbero amoreggiare delle
coppie fuori casa? Anche il presunto over
killing compiuto su Bonini in un evidente residuo furore omicida – già
morto, gli sarebbe stato frantumato il cranio, con fuoriuscita di materia
cerebrale, forse a calcagnate, forse con un corpo contundente – poco sembra
aver a che fare con le fredde coltellate inferte post mortem dal Mostro, il cui unico scopo era quello di accertarsi
del decesso dei malcapitati prima delle escissioni. Che dire poi della doppia
arma in un caso e nell’altro, pistola e coltello per il Mostro, coltello e
forse bastone per Pacciani? Si arriva addirittura all’assurdo di trovare un
collegamento significativo nella forma di una ferita da fendente, “lunga e arcuata”,
presente sulla tempia sia del cenciaiolo Bonini sia della ragazza nel delitto
di Borgo San Lorenzo, entrambe prodottesi durante una sequenza concitata di
colpi durante i quali l’assassino certamente non stava cercando di ottenere
quel risultato di proposito.
È poi
opportuno riflettere su una possibilità non troppo remota: il delitto di
Tassinaia potrebbe aver avuto come movente la rapina, ed essere stato frutto di
un accordo tra Pacciani e la fidanzata. In effetti la Corte di primo grado fu
insospettita dalle molte bugie dette da entrambi, delle quali sono ben
spiegabili quelle dell’uomo, alla ricerca di attenuanti, assai meno quelle
della ragazza, nel cui racconto fu rilevata ad esempio una sensibile incongruenza
di orari. Scrissero i giudici in sentenza:
Appare già evidente da
quanto sin ora rilevato come dalle versioni dei prevenuti non possa trarsi una
conoscenza sicura della realtà dei fatti, né dei moventi del delitto; anzi su
circostanze di indubbio valore sono stati entrambi sorpresi in palese mendacio.
Ma quale la ragione di questo contegno processuale? L’uccisione del Bonini fu
effettivamente attuazione immediata di una risoluzione criminosa improvvisa,
come essi sostengono, e l’alterazione della verità da parte loro è dovuta al
tentativo dell’uno di attenuare al massimo la propria responsabilità, alla
volontà dell’altra di non risultare complice di quell’efferato delitto? Ovvero
costoro – senza aver saputo peraltro adottare o mantenere una identica linea di
difesa – cercano di nascondere una realtà ben più grave, qual è sinteticamente
riprodotta dalle due aggravanti contestate al dibattimento (l’aver cioè agito
con premeditazione ed a scopo di rapina)?
I dubbi
furono infine risolti secondo il principio del diritto, che nell’incertezza
impone la scelta della pena minore:
Sebbene permangano
ragioni per sospettare che l’aggressione contro il Bonini sia stata premeditata
dai due fidanzati, avidi di entrare in possesso del denaro che costui aveva
seco, non presenta affatto minori probabilità di aderenza al vero l’ipotesi che
il Pacciani ed il Bonini si siano trovati contemporaneamente presso la Fossetta
di Tassinaia per un mero caso, per una tragica fatalità, e che nell’animo del
primo il proposito criminoso sia sorto d’improvviso – rafforzato poi dal comportamento
della ragazza – alla vista di quest’ultima in compagnia dello straccivendolo.
Onde, nel dubbio, è questa seconda ipotesi, come più favorevole agli imputati,
che la Corte deve accogliere.
Quindi
non è impossibile che il delitto compiuto da Pacciani nel 1951 potesse non aver
avuto un movente sessuale ma di rapina, e in questo caso verrebbe meno ogni
analogia, già tenuissima, con i delitti del Mostro. C’è purtroppo da domandarsi
se davvero la documentazione di quel lontano episodio avesse fatto sorgere dei
sospetti sull’uomo, oppure avesse contribuito a individuare il soggetto più
idoneo alla costruzione di un colpevole a ogni costo. Il dubbio è difficile da
sciogliere, forse la verità sta in mezzo, e tra gli inquirenti ci fu chi
sempre ritenne Pacciani un personaggio sul quale si doveva indagare a fondo, chi non
lo credette mai, chi partì credendoci e poi non ci credette più ma andò avanti
lo stesso.
Il profilo FBI. Due estati con Pacciani in carcere
(1987 e 1988) e nessun nuovo duplice omicidio dovettero convincere la Procura
che la nuova pista poteva essere quella giusta, e che quindi fosse arrivato il
momento di muoversi. Considerata l’assoluta mancanza di qualsiasi indizio che
legasse il contadino ai delitti del Mostro, ci si preoccupò di lavorare innanzitutto
sulla compatibilità. L’iniziativa dello screening
servì proprio a quello, a dimostrare a sé stessi, e a futuri interlocutori, che
tra le migliaia di persone sulle quali era stato posato lo sguardo, di
possibili Mostri c’era soltanto lui.
Ma si
tentò di spingersi ancora più avanti. Durante la seconda metà degli anni ’80,
negli Stati Uniti si era diffusa la tecnica del profiling, mediante la quale si cercava di ottenere il ritratto di un
assassino sconosciuto attraverso lo studio della scena del crimine e di
quant’altro poteva essere noto o dedotto su di lui. La Procura di Firenze,
commissionando già nel 1984 agli esperti di Modena la nota perizia, aveva quasi
anticipato gli americani. Ma quel lavoro era servito a poco, e di fronte alla
successiva scelta di concentrare tutte le indagini su Pietro Pacciani,
risultava persino imbarazzante. Pur caratterizzata da ampi margini di
possibilismo, la perizia infatti aveva disegnato un ritratto di assassino che
in molti punti poco si attagliava alla figura del contadino mugellano. Da una
parte c’era un soggetto freddo e calcolatore, con probabili problemi
d’impotenza, dall’altra una specie di bestia ferina pronta a esplodere per un
nonnulla e dotata di una sessualità primordiale. Gli esperti di Modena
propendevano per uno scapolo che a Borgo San Lorenzo, davanti al corpo nudo
della ragazza, aveva dato l’impressione di un adolescente alle prime armi.
Pacciani si era sposato nel 1965, e anche prima di finire in carcere aveva già
sperimentato il sesso, almeno con l’antica fidanzata. C’era poi l’altezza
dell’aggressore di Giogoli e Vicchio, dai periti calcolata in uno e ottanta,
una quindicina di centimetri in più di Pacciani.
Evidentemente
insoddisfatta del lavoro nostrano, all’inizio del 1989 la Procura commissionò la
redazione di un nuovo profilo agli esperti americani dell’FBI, inviando loro la
necessaria documentazione. Probabilmente la segreta speranza era quella di
ottenere un “tipo d’autore” un po’
più aderente alle caratteristiche del sospettato, non si spiegherebbe
altrimenti l’iniziativa, oramai fuori tempo massimo e tutto sommato inutile, di
facciata. E in effetti le ricadute sul fronte delle indagini furono nulle: da
molto tempo si era puntato su Pacciani, e su Pacciani si rimase.
Eppure
lo smilzo documento, datato 30 giugno 1989, pur nella sua inevitabile
genericità, conteneva numerose considerazioni di buon senso. Va premesso che
gli estensori non furono messi nelle condizioni di poter interpretare
correttamente il delitto del 1968, da loro considerato senza alcuna incertezza
il primo del Mostro. In effetti tra le righe del profilo la pista sarda non
appare, e l’unica spiegazione per tale significativa trascuratezza non può che
essere l’omissione dei relativi dati tra quelli forniti dalla Procura, per la quale
anche il delitto del 1968 era da imputarsi a Pacciani, lo vedremo, ipotesi
mediante la quale si eliminava ogni mistero su come la pistola avrebbe potuto
giungere a lui dagli assassini di Signa.
In ogni
caso la figura individuata dagli specialisti FBI risultava molto difforme da
quella di Pacciani, in modo ancor più marcato rispetto alla perizia De Fazio,
sicuramente più elastica. Le caratteristiche di sesso, razza e territorialità
coincidevano (maschio bianco, profondo conoscitore delle zone attorno a Firenze,
delle quali doveva essere nativo), ma erano anche ovvie. Con il grado
d’istruzione e il tipo di lavoro c’era qualche differenza, ma non grave. Dove
le due figure apparivano incompatibili era nel rapporto con il genere umano, in
particolare di sesso femminile, come del resto già risultava dalla perizia De
Fazio:
L’aggressore deve aver vissuto
solo durante gli anni in cui sono avvenuti questi assalti in un quartiere di
bassa borghesia. Se non visse da solo avrà risieduto con qualche membro della
sua famiglia dal quale egli è, in parte almeno, dipendente finanziariamente,
come per esempio sua madre, una zia, una nonna o una sorella più grande. Non
dovrebbe essere sposato poiché non è in grado di sostenere relazioni di
successo con donne della stessa età.
L'aggressore è una persona
inadeguata ed immatura sessualmente, che ha avuto pochi contatti sessuali con
donne della stessa età. Potrebbe soffrire di una disfunzione sessuale.
Riguardo le due
lunghe pause di sei e sette anni, gli esperti FBI così le spiegavano:
Gli aggressori di questo tipo
difficilmente restano inattivi per lunghi periodi di tempo senza una ragione
specifica. È noto che questo aggressore non fu attivo nell’area fiorentina tra
il 1968-1974 e il 1974-1981. È molto probabile che non vivesse nell’area
fiorentina in questo periodo oppure non fosse in grado di agire. Se avesse
risieduto in altri luoghi durante questi periodi, è molto probabile che simili
aggressioni sarebbero accadute in quelle aree. Le legittime assenze
dell'aggressore da Firenze avrebbero potuto dipendere da un cambiamento di
lavoro, frequenze di scuole, viaggi di lavoro all'estero, o servizio militare. È
anche possibile che l'aggressore fosse stato in carcere per tutt'altri motivi
durante questo periodo, o che sia stato ricoverato in qualche clinica per
malattie mentali.
Niente a
che vedere dunque con Pacciani, che era sempre rimasto nella zona. Infine vale
la pena segnalare la totale difformità dei pareri rispetto ai precedenti
penali, proprio quelli che avevano convinto i magistrati fiorentini. Per gli
esperti dell’FBI “Se l’aggressore è stato arrestato
in passato, è il risultato di piccole violazioni, come voyeurismo, contravvenzioni,
vandalismo, incendio e furto. Non dovrebbe aver commesso reati come aggressioni
o reati contro la persona”.
La
delusione per i nostri magistrati e investigatori dovette essere grande, ma
lungi dal rivedere le proprie convinzioni, semplicemente ignorarono il
documento, evitando sia di diffonderlo, sia di utilizzarlo nel futuro processo.
“Si
trattava del mostro di Firenze, mica di quello dell’Illinois”,
sostenne poi Ruggero Perugini, con disarmante candore e faccia tosta,
accennandovi nel suo libro, mentre anni dopo Vigna avrebbe scritto che “quel tentativo si
rivelò inutile, perché il contesto ambientale e sociale nel quale si verificano
i delitti negli Stati Uniti è completamente diverso da quello italiano”.
Se oggi il documento è pubblico si deve a Mario Spezi, che ne ottenne una copia
da un amico della Questura e ne pubblicò un sunto sul quotidiano “La Nazione”
del 27 gennaio 1996.
buongiorno, complimenti per il suo blog. Molto significativi i dubbi dei giudici relativamente al movente dell'(unico) omicidio commesso dal Pacciani. Anzi, data l'indole molto grezza e "pratica" dell'imputato, che sembra incapace di trasporti romantici che lo inducano ad uccidere, sia pure d'impeto, per gelosia, nonché considerando la sua notoria avidità per il vil denaro, mi pare che il movente più probabile dell'omicidio (premeditato, a questo punto) sia la rapina... un altro mondo rispetto al mostro di firenze
RispondiEliminamah, non mi pare proprio ci sia alcun valido indizio che indichi un omicidio per rapina. peraltro, un delitto commesso per passione/gelosia/onore è comunque del tutto diverso da quelli seriali, con possibile eccezione di Signa.
EliminaSi deve comunque prendere atto dei sospetti dei giudici di allora, ben espressi nella loro sentenza. In più va tenuto presente l'atteggiamento di Pacciani davanti ai tradimenti di Angiolina, che sappiamo essere stati vari e almeno con due uomini differenti, Gino Bruni e Nello Petroni. Il primo Pacciani lo picchiò, al secondo propose come risarcimento di cedergli la moglie. Nessuna tragedia, quindi, nessun onore.
EliminaLa mia impressione è che Pacciani fosse essenzialmente un uomo pratico, e non mi stupirebbe affatto se davvero nel 1951 avesse ucciso per intascare i soldi del cenciaiolo.
Anche a Scopeti i periti hanno stabilito che l'altezza del mostro era di almeno 1.80 o ti sei confuso con Giogoli ? 2 cose mi hanno colpito di Pacciani , il ritrovamento dell'articolo nell'agosto 68 ( prima dell'omicidio di Signa) " le inquietudini dei fidanzati " o qualcosa del genere e delle immagini di nudo femminile con il pube e il seno sinistro cerchiato oltre agli articoli di Serial Killer se non sbaglio David Berkgowitz e Jeffrey Dahmer... secondo me il mostro era un ibrido tra Lotti e Pacciani ...profilo psicologico , statura del Lotti , manualità e conoscenza del territorio a 360 gradi del Vampa ... siccome a Scopeti ci sono testimonianze che vedono i 2 gironzolare intorno alla piazzola anche se separatamente ( sempre se erano loro ) a Giogoli la macchina rossa e il motorino , a Vicchio videro ( anche se in modo confuso ) 2 macchine sospette con a bordo 2 uomini vicino al luogo del delitto ( anche se non in orario logico )... Non è che i 2 erano i mostri e il Lotti quando si è visto alle strette ha messo il Vanni al suo posto e lui si è profilato un ruolo secondario ? X l'amor di Dio è solo una mia suggestione tra le tante
RispondiEliminaHai ragione, ho scritto Scopeti intendendo Giogoli, speriamo non sia un segno dell'età che avanza di gran carriera.
EliminaRiguardo l'accoppiata Lotti-Pacciani, la ritengo davvero poco credibile. Fosse chi fosse, il Mostro era comunque uno, tutte le scene del crimine e le conseguenti dinamiche ricostruibili portano a questa conclusione.
In effetti le immagini di nudo femminile con il pube e il seno sinistro evidenziati sono un fatto inquietante, come anche il triangolo tracciato sul pube di un soggetto femminile nudo nel servizio fotografico intitolato "L'eros catastrofico" (la rivista era del 1978). Che Pacciani in una specie di delirio onirico o psico-sessuale si immedesimasse nel mostro? Tutto è possibile, ma sembra difficile crederlo. Lasciando perdere queste suggestioni, è bene ricordare che non è sufficiente la convinzione di uno o più investigatori per portare un indagato fino al processo: in questa vicenda fu notificato un avviso di garanzia, autorizzate perquisizioni, disposto un rinvio a giudizio, ribadito il provvedimento cautelare dal Tribunale della Libertà, la cui motivazione fu confermata dalla Corte di Cassazione presso la quale la decisione era stata impugnata dai difensori di Pacciani. Per arrivare ad un processo l'iter è già piuttosto complesso. In qualunque modo Vigna e Perugini siano arrivati a Pacciani, resta il fatto che giudici diversi hanno confermato l'attendibilità dell'indagine. Sulla storia dei tradimenti di Angiolina, che poco ci interessa, io ho molti dubbi: il Bruni in tribunale disse di non averla mai neppure incontrata, e all'epoca dei fatti (fine anni Sessanta) era già in età avanzata. Che Pacciani abbia detto la verità o inventato tutto per screditare un teste, non possiamo saperlo
RispondiEliminaIl Corriere della Sera del 2 giugno 1994 riporta parte di un verbale di dichirazioni di Angiolina di fronte ai carabinieri, dove si legge: "Più volte tentata, ho avuto rapporti intimi con un certo Bruni di Dicomano, per varie volte nella capanna delle bestie. A mio marito dopo confessai di essere stata posseduta anche da...".
EliminaA quanto mi risulta, i difensori di Pacciani produssero lo stesso verbale in dibattimento, da cui si seppe il nome del secondo amante, appunto Nello Petroni.
Riguardo l'indagine, converrà con me che la strada della scelta preventiva di un colpevole sulla sola base di un'intuizione è molto pericolosa. Lasciando perdere lo screaning, da considerarsi alla stessa stregua delle telefonate a Dora su Narducci, cioè un puro espediente, è assai credibile che tutti i sospetti su Pacciani fossero nati proprio dal suo antico omicidio. A me pare una partenza debolissima, che si portava dietro il pericolo di interpretare in modo partigiano elementi che potevano avere tutt'altro significato.
Faccio un solo esempio, sul quale ho già scritto l'articolo "Pacciani era un guardone?". Un numero di targa di un'auto che abitualmente sostava sotto casa sua come si può pensare che fosse stato preso durante una perlustrazione per boschi? E a che cosa sarebbe servito prenderlo, a mirare meglio con la pistola?
Angiolina però in tribunale negò di aver avuto rapporti col Bruni. Ad ogni modo, le sue dichiarazioni erano poco attendibili, perché poteva temere le reazioni del marito: pare anzi che in una circostanza Pacciani l'avesse picchiata in presenza del Bruni e che la donna avesse ammesso il tradimento solo per far terminare le percosse. La partenza dell'inchiesta su Pacciani potrebbe essere stata debole, ma Perugini in una delle deposizioni al processo disse di aver considerato degli elementi, nella fase iniziale delle indagini, che potevano escludere Pacciani dalla rosa degli indiziati: il fatto che fosse sposato, l'infarto ecc. Un approfondimento della personalità dell'indagato e soprattutto le testimonianze di persone che lo conoscevano e riferirono della sua particolare forza fisica, spinsero invece gli investigatori ad approfondire l'indagine. Sul numero di targa, ha ragione lei: anche per me non significa nulla. Ma che Pacciani fosse un guardone, era una voce di paese abbastanza diffusa e anche Ferri lo riteneva probabile.
EliminaFerri lo ritenne probabile per il biglietto, con la scritta "coppia", e su cui era appuntata la targa. Non certo per le testimonianze. Alcune incredibili, come quella di "pico della mirandola", altre palesemente false, come quella che vorrebbe pacciani in macchina con una seconda persona proprio la domenica sera vicino agli scopeti, o quella del custode americano che disse di aver visto pacciani la domenica mattina agli scopeti "con una divisa simile a quella dell'anas".
EliminaDi testimonianze ce ne furono diverse però: per esempio quella di Romano Pierini, che depose nell'udienza del 25 maggio 1994, e disse di aver riconosciuto Pacciani con una pila (o un oggetto che emanava una forte luce) in mano a una distanza di pochi metri, mentre era in auto con la sua fidanzata, nella piazzola degli Scopeti
RispondiEliminasu pierini ancora oggi mi chiedo come sia possibile riconoscere al 100% qualcuno che ti acceca con un fascio di luce nel buio totale.
EliminaUna volta che Pacciani fu messo all'attenzione di tutti, i soliti boccaloni (dei quali è pieno il mondo) fecero a gara a dimostrare di saperla lunga, alcuni andando dalle forze dell'ordine, la maggior parte raccontando storie agli amici. Pierini fu uno di questi ultimi, ingigantendo un episodio effettivamente accaduto. Le sue chiacchiere furono poi riportate alle forze dell'ordine, e quindi, suo malgrado, fu costretto a testimoniare. Ne parlerò più avanti.
EliminaAntonio, complimenti, con questa serie di articoli stai praticamente scrivendo un nuovo libro.
RispondiEliminaSull'argomento specifico, non concordo nel ritenere probante l'affermazione di Perugini nell'intervista al Messaggero. Ritengo probabile che Pacciani entrasse effettivamente nell'orbita delle indagini nel 1989, anche sul fresco ricordo del processo che aveva appena subito, con sentenza in primo grado del febbraio 1988, per le violenze alle figlie (purtroppo non conosco i nominativi del G.I e del P.M.) Poi, trovandosi il nome nei due screening (e in quello del 1987 sui soggetti segnalati anonimamente)e con due precedenti alla lontana, il resto viene da sé. Dico questo perché la prima notizia che ho di atti di indagine formale nei suoi confronti risale al maggio '90 (non ho i verbali, ma so che ci furono), il che si accorda bene con un "puntamento" del soggetto a fine 1989. Naturalmente non posso escludere che ci siano state iniziative investigative precedenti non formalizzate. Tra l'altro la recente visione della puntata di telefono Giallo del 1987 ci fa capire che Vigna dà ancora importanza al dato dell'altezza dello sparatore a Giogoli, sul quale poi De Fazio a processo farà (penosamente, come su altre cose) marcia indietro.
Può darsi. Però l'intervista di Perugini, pubblicata due volte, non mi pare che ricevette una smentita, e anche il racconto di Vigna su come individuò Pacciani non mi pare si accordi con le notizie dello screening. Che tra l'altro è una bufala, fatto per giustificara a posteriori una scelta già fatta, recente o lontana che fosse stata.
EliminaTra l'altro, rivedendo del tutto casualmente vecchi giornali mi sono accorto che in un articolo sul Corriere del 12 novembre 1991 si parla di una seconda lettera anonima contro Pacciani in data indeterminata; è un particolare che avevo rimosso e non mi sembra che nei processi se ne sia mai parlato.
RispondiEliminaPacciani non aveva niente a che vedere col profilo dell'FBI, ma anche Lotti non combaciava affatto: era sempre vissuto nei dintorni di Firenze (che io sappia) e non era né in galera né in manicomio e quindi tranquillamente libero di agire nei lunghi anni di intervallo tra i primi delitti del mostro. E siamo in molti a ritenere il mostro estraneo al delitto del 68 (ma non gli esperti dell'FBI evidentemente). In questa vicenda dovremmo attenerci solo ai dati di fatto e alle valutazioni pratiche: lei lo ha correttamente dimostrato a proposito delle farneticazioni di Bruno. Le valutazioni di criminologi statunitensi, che si basavano sulle statistiche, i precedenti e i serial killer prevalentemente di matrice americana non sono anch'esse considerazioni fredde, fatte a tavolino e perciò di scarso valore? Concordo sul suo giudizio sulle considerazioni di Perugini, che in effetti teneva molto alla sua formazione negli Stati Uniti...
RispondiEliminaSul profilo FBI la pensiamo più o meno allo stesso modo. Si tratta di un profilo sintetico di poco ausilio. Francamente credo però che la mancata diversificazione del delitto di Signa fosse dovuta agli elementi che furono forniti agli americani. Come ben lei sa, in quel momento la Procura vedeva la pista sarda come fumo negli occhi, quindi credo proprio che non fece nulla per indurre gli esperti FBI a ragionare sul tema.
EliminaDi tutt'altro valore la perizia De Fazio, dove si tocca quello che, secondo me ma con tante prove logiche che mi confortano, costituisce l'origine dell'eccezionalità di tutta la vicenda: un delitto comune che costituì, attraverso il possesso della pistola, lo stimolo a uccidere per un individuo che, senza quello, probabilmente non avrebbe mai ucciso.
Il movente del primo omicidio di pacciani fu senz' altro la rapina, in accordo con la fidanzata. Il che si accorda perfettamente con la teoria dei mandanti con pacciani killer prezzolato o comunque collaboratore negli omicidi, dato che per i soldi avrebbe fatto qualsiasi cosa
RispondiEliminaE i mandanti avrebbero scelto un pregiudicato stranoto alle forze dell'ordine, odiato da tutti i paesani, col vizio dell'alcool e delle violenze sui famigliari, chiassoso e vistoso? non proprio il massimo della discrezione, per dei crimini cosi gravi.
EliminaIn base a quali argomentazioni psichiatriche Pacciani avrebbe subito una sorta di imprinting omicidiario dal delitto del 1951? di che natura era quella sua ossessione?
RispondiEliminaCome mai P. non ha ripetuto la scena del primo delitto negli altri 8 uccidendo con accanito disprezzo i maschi, anziché le donne?
Se sei davvero interessato a catturare il reale colpevole di omicidi tanto orrendi da essere inconcepibili da mente umana, non ti accontenti di prove indiziarie; non anteponi gli onori professionali, la carriera, la fama, alla volontà di giustizia. C'è qualcosa sotto nella condotta giudiziaria della Procura di Firenze poiché le ricostruzioni omicidiarie e le motivazioni intrapsichiche su cui si sono basate le accuse, sono risibili. Basta sentire l'enfasi con cui Vigna mette in relazione la presunta visione del seno di Miranda, come se l'avesse vista personalmente, e le escissioni macabre del Mostro. La stessa enfasi che pose nella descrizione psichiatrica del dipinto di Pacciani che, poi, si rivelò fuffa. Stessa cosa vale per le teorie fanta-sataniste di Giuttari. E' tutto sopra le righe con l'intento di suggestionare l'opinione pubblica più che di determinare la verità dei fatti. Pur di dimostrare i loro assunti pregiudiziali hanno moltiplicato gli indizi e le piste col fine deliberato di confondere le menti.
Purtroppo non si è mai voluta veramente cercare la verità! Ognuno cercava ciò che gli interessava ed escludeva quello che per lui non era importante ai fini della propria carriera etc. vedasi lo stesso Vigna, l'esempio più lampante! Giuttari invece ha messo talmente carne al fuoco e carbonella che è esploso il barbecue! Basta leggere "Il mostro" dove praticamente il mostro di firenze potrebbe essere anche lui, tipo scena dell'ispettore al monastero nello sceneggiato "i Promessi Sposi" del Trio Solenghi Marchesini Lopez! Secondo il mio modesto parere era importante spremere i sardi per sapere dove ca&&o era finita quella pistola! Ma secondo me sono stati fin troppo gentili con loro....
EliminaStefanoB
Addolora e sbalordisce l'incapacità di alcuni inquirenti di considerare circostanze e dati di fatto, che sono e dovrebbero essere un'ancora di salvezza ed insieme un campanello di allarme in qualsivoglia indagine (storica, giudiziaria, investigativa, giornalistica). L'avvocato Marazzita anni fa ha affermato durante una presentazione del libro di Cochi che con i poteri di un pm lui stesso sarebbe stato capace di trasformare in mostro di Firenze chiunque presente nella platea e temo avesse ragione. Non tutti i pm fanno e farebbero questo, anzi, ma purtroppo la possibilità c'è e non si vede solo nella vicenda del mostro di Firenze. Fortunatamente in vari casi la magistratura giudicante riequilibra la situazione (caso Morrone, tanto per fare un esempio emblematico), ma i danni della malagiustizia sono terribili. In quella fase dell'inchiesta penso che ci fosse soprattutto un innamoramento di tesi pregiudiziali ed emotive; a partire dalla fine del processo d'appello a Pacciani temo si cominci ad intravedere ben altro.
RispondiEliminaLe osservazioni di Perugini e di Vigna sono molto discutibili perché la psicopatologia dei serial killer è un dato antropologico,non culturale, anche se certamente ogni assassino seriale è influenzato dall'ambiente e dalla vita vissuta.
Per concludere con una nota di ottimismo questa serie di orrori/errori, ricordiamoci che ci sono pure procuratori come questo, che ha fatto onore alla sua alta funzione
RispondiEliminahttps://www.fondazioneluigieinaudi.it/pacciani-il-vero-mostro-e-quellinchiesta/
Sono d'accordo su tutto. I PM non rendono conto a nessuno di quel che fanno, se non a loro stessi, e, come si sa, difficilmente cane mangia cane.
EliminaGentilissimo Dott. Segnini,
RispondiEliminaLeggo da un po' di tempo e con enorme attenzione il suo blog e apprezzo tantissimo la cura che dedica ad una ricostruzione dei fatti non solo completa e scrupolosa ma anche molto robusta sul piano razionale. Vorrei fare una domanda un po' delicata, probabilmente scomoda, ma che nasce da un personale interesse per i casi (veri o presunti) di errori giudiziari sul tema. Quanto alla questione degli abusi sessuali che il Pacciani avrebbe, secondo la sentenza (che ho letto) commesso ai danni delle figlie, lei accenna nell'articolo al fatto che taluno abbia sostenuto che tali accuse potessero non essere in realtà del tutto fondate. Non avendo mai trovato, ad oggi (ma sono ben lungi dall'aver letto e ascoltato tutto), trovato nessuna opinione in tal senso, perlomeno non espressamente dichiarata, mi permetto di chiederle se saprebbe indicarmi qualche fonte in cui tale opinione sia stata sostenuta e/o argomentata. Oppure se si tratta di semplici opinioni espresse sul Web da qualche appassionato del caso ma non pienamente articolate. Mi rendo conto che la questione sia così delicata da risultare quasi tabù (e sono la prima a provare un profondo dolore ascoltando le deposizioni delle due donne), tuttavia per formazione e deformazione professionale mi interesso da tempo anche a casi di cosiddetti "falsi abusi", e quando viene prospettata una simile possibilità non posso che esserne colpita. La ringrazio tantissimo e le faccio ancora i miei complimenti per il blog, che contribuisce a portare un bel po' di logica e razionalità in una vicenda che temo ne sia stata priva per molto tempo, con risultati purtroppo noti...
Ne ho parlato in questo video
Eliminahttps://youtu.be/fVzMUA0FBIw?si=5TWyRz5jAjjJpqOt
a partire dal minuto 34