lunedì 24 dicembre 2018

Il perché di un incidente probatorio

Il recente inserimento della scannerizzazione dei tre fascicoli dell’incidente probatorio di Lotti nella pagina di download senz'altro ha fatto felici molti dei miei lettori. Senza entrare nel merito del relativo contenuto, vorrei presentare alcune riflessioni sull’opportunità dell'operazione in sé stessa, che il nuovo codice di procedura penale riservava, e riserva, a casi speciali ben motivati, poiché il suo effetto collaterale è molto grave. Un incidente probatorio, infatti, toglie la possibilità del confronto pubblico in aula, anticipandolo in condizioni per quanto possibile simili – presenza di difensori e parte civile – ma non certo uguali. Ebbene, quello di Lotti era ben motivato?

L’istituto dell’incidente probatorio. È ben noto che il rito accusatorio, istituito dal nuovo codice di procedura penale entrato in vigore il 24 ottobre 1989, prevede che la prova si formi in aula, durante il dibattimento. Ad esempio, il testimone che ha raccontato qualcosa in istruttoria, alla PG o al PM, deve ripeterlo di fronte a giudici e avvocati, che possono chiedergli delucidazioni. E per l’esito del processo conta soltanto quella sua ultima testimonianza, non i verbali firmati nel chiuso di stanze di questura o procura. Ci sarebbe però da discutere su questi verbali, che in dibattimento possono venir usati come pungolo per risvegliare memorie in apparenza assopitesi, ma di cui spesso i PM abusano, come in effetti accadde nei processi a Pacciani e ai compagni di merende. Ma questa è un’altra storia.
La legge prevede che in alcuni casi la formazione della prova possa essere anticipata nel cosiddetto “incidente probatorio”, i cui risultati vengono poi messi agli atti rivestendo il medesimo valore delle prove acquisite in dibattimento. La questione è regolamentata dall’articolo 392 del CPP, del quale sotto sono riportati i punti che qui interessano:
  1. Nel corso delle indagini preliminari [c.p.p. 326, 327, 328, 329, 551] il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono chiedere al giudice che si proceda con incidente probatorio:
    a) all'assunzione della testimonianza [c.p.p. 194] di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento;
    b) all'assunzione di una testimonianza quando, per elementi concreti e specifici, vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinché non deponga o deponga il falso;[…]
  2. Il pubblico ministero e la persona sottoposta alle indagini possono altresì chiedere una perizia che, se fosse disposta nel dibattimento, ne potrebbe determinare una sospensione superiore a sessanta giorni […].
Cominciamo con il mettere da parte il punto 2, che si riferisce alle perizie tecniche, la cui esecuzione viene anticipata per ovvi motivi logistici. D’altra parte sarebbe impossibile eseguire, per esempio, esami di laboratorio su bossoli e proiettili, o addirittura su cadaveri, in un pubblico dibattimento. Anzi, a modestissimo parere di chi scrive, male fece il legislatore a mettere assieme il punto 2 con il punto 1, che affronta tutt’altra materia e conseguenti problemi di tutt’altra natura.
Veniamo quindi al punto 1, dove viene offerta e regolamentata la possibilità di anticipare l’interrogatorio di un testimone. A tale interrogatorio devono essere presenti tutte le parti interessate, pubblico ministero, parti civili, indagati e loro difensori. Al posto del presidente del dibattimento c’è il GIP, il giudice per le indagini preliminari, lo stesso che ha autorizzato l’incidente probatorio sulla base della richiesta o del PM o dell’indagato. Tale richiesta dev’essere motivata da ragioni precise, raggruppabili in più categorie le cui due di gran lunga principali sono indicate ai punti a) e b) sopra riportati.
Il punto a) prende in esame il caso di un testimone che per motivi di forza maggiore potrebbe non essere in grado di partecipare al futuro dibattimento; tali motivi sono essenzialmente gravi problemi di salute. Purtroppo la regola si presta a possibili abusi, poiché la valutazione della gravità della malattia, e quindi del grado di rischio dell’impossibilità di partecipare al futuro dibattimento, è affidata al GIP, il quale, nella propria decisione, potrebbe lasciarsi influenzare da fattori esterni.
Il punto b) prevede la possibilità di incidente probatorio nei casi in cui il testimone sia soggetto a minaccia o ad altra forma di possibile coercizione, tra cui anche eventuali offerte o promesse di danaro. Qui la legge raggiunge il massimo dell’illogicità, come rilevò, ancor prima che il nuovo codice entrasse in vigore, il grande giurisprudenzialista e senatore Agostino Viviani. Nel suo Il nuovo codice di procedura penale: una riforma tradita, Viviani evidenziò con lucidissime argomentazioni i grandi pericoli insiti nelle regole del nuovo codice, in quel momento ancora in attesa di entrare in vigore. Così inizia il libro:

Il nuovo codice di procedura penale è emanato. Entrerà in vigore “un anno dopo” la “pubblicazione nella ‘Gazzetta ufficiale’” (24 ottobre 1988) e, quindi, il 24 ottobre 1989.
Nonostante ciò, non possiamo tacere che il nuovo codice stravolge principi costituzionali, offende elementari diritti della persona, offre facile esca all’errore giudiziario (purtroppo già presente in modo consistente nella prassi giudiziaria). Allora non possiamo e non dobbiamo avere incertezze: l’alt al nuovo codice deve essere posto.


Nonostante l’allarme di Viviani, e non soltanto di lui, il nuovo codice entrò regolarmente in vigore, portandosi dietro tutte le proprie contraddizioni, dovute essenzialmente a due fattori: la nascita in un periodo di emergenza sociale, con la minaccia costante di mafia e terrorismo, e la pesante eredità del precedente codice Rocco, a causa del quale si era ormai radicata nella nostra magistratura una tradizione inquisitoria che non poteva dissolversi di punto in bianco (si legga a questo proposito la raccolta di saggi L’inconscio inquisitorio, curata da Loredana Garlati).
Torniamo però all’incidente probatorio, in particolare al punto b) dell’articolo 392, del quale scrisse Viviani:

[…] detto mezzo istruttorio può, altresì, essere utilizzato quando “vi è fondato motivo di ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di danaro o di altre utilità affinché non deponga o deponga il falso”. E, sebbene si sia cercato di limitare la portata di questa eccezione, stabilendo che il “fondato motivo” deve poggiare su “elementi concreti e specifici”, facile è intendere a quanti e quali abusi può dare luogo questa previsione affidata a concetti estremamente relativi. D’altronde, può rilevarsi come, in questa ipotesi, non sia in gioco la questione della rinviabilità o meno della deposizione in sede dibattimentale: il timore che ha dettato la norma è di altra natura; si teme che la deposizione possa subire un mutamento.
Evidente, quindi, l’intento di cristallizzarla, e ciò indipendentemente dal suo legame con la verità.

Non si è riflettuto che prendere per buona la parola di un testimone che si presume disposto a cambiare versione, anche solo per una promessa di danaro, significa volere porre (anzi, imporre) come verità una circostanza riferita da chi è già ritenuto soggettivamente poco credibile.


Il caso Lotti. L’11 gennaio 1997 il pubblico ministero Paolo Canessa presentò al giudice per le indagini preliminari Valerio Lombardo la richiesta di interrogare Giancarlo Lotti nella forma dell’incidente probatorio. Chi scrive è entrato in possesso del documento successivo (grazie avvocato Adriani!), quello in cui Lombardo accettava tale richiesta (vedi). Proviamo a leggervi le motivazioni:

[…] il P.M. ha chiesto procedersi, con le forme dell'incidente probatorio, all'esame di Lotti Giancarlo su fatti concernenti la responsabilità dei coimputati Vanni Mario, Faggi Giovanni e Corsi Alberto, deducendo, a sostegno della richiesta, in primo luogo il fondato motivo di ritenere che il Lotti non possa essere esaminato nel corso del dibattimento per la grave infermità da cui risulta affetto e che nel corso delle indagini risulta essersi progressivamente aggravata; e, in secondo luogo, chiarendo che vi è fondato motivo di ritenere che il medesimo Lotti, benché sottoposto al regime di protezione da parte del Ministero degli Interni, avendo comunque libertà di comunicare con terzi, possa essere esposto, prima della celebrazione del dibattimento e nel corso dello stesso, a gravi minacce provenienti dal Vanni Mario, il quale, in lettere inviate dal carcere a numerosissime persone, ha espressamente manifestato la volontà di vendicarsi nei confronti del Lotti, per cui quest'ultimo potrebbe essere condizionato, tramite terzi, nella sua determinazione di ripetere al dibattimento quanto ha dichiarato nel corso delle indagini preliminari;

Come si vede il PM aveva invocato entrambe le motivazioni principali ammesse dalla legge, sia i motivi di salute sia quelli di minaccia. Vediamo la risposta del GIP relativa al primo punto, lo stato di salute di Lotti:

[…] ritenuto fondato il timore del P.M. ex art. 392, lettera a) C.p.p., con riferimento alla lettera c) della stessa norma. Risulta invero da varie fonti (cfr. in particolare, perizia eseguita sulla persona del Lotti dai proff. Fornari e Lagazzi – anche se l’hanno esaminato sotto diverso profilo –; certificato medico rilasciato in data 10.1.1997 dalla dott. Rosella Ferrovecchio; nota in data 20.12.1996 della Sq.mobile della Questura Firenze; verbale di ispezione dei luoghi in data 23.12.'96; e verbali di interrogatorio del Lotti, in cui questi lamenta precarie condizioni di salute) che il Lotti e affetto da ipertensione arteriosa, ed è inoltre portatore di spondilartrosi lombo-sacrale con discopatie relative a numerose vertebre lombari (esiti – sembra – di un grave incidente sul lavoro che causò lo schiacciamento di alcune vertebre), le quali hanno dato luogo a periodiche riacutizzazioni del quadro clinico degenerativo che lo costringono sovente a letto in posizione immobile, e che hanno causato il rinvio di un sopralluogo programmato per il 20 dic. '96 nonché difficoltà varie (a mantenere a lungo la posizione eretta o seduta) nel corso della successiva ispezione del 23 dic. ‘96.
Tali precarie condizioni, ove dovessero ulteriormente aggravarsi, com'è probabile – data la natura delle affezioni – prima dell'eventuale dibattimento, potrebbero seriamente condizionarne la partecipazione.


Quindi, almeno per il gip Valerio Lombardo, il quadro clinico di Giancarlo Lotti giustificava abbondantemente la concessione dell’incidente probatorio, poiché comportava fondati rischi di una sua impossibilità a partecipare al dibattimento.
Ma, ad abundantiam, c’era anche altro:

Ritenuto, inoltre, fondato il timore espresso dal P.M. ex art. 392, lettere d) e b), C.p.p., giacché i destinatari (quasi tutti di San Casciano o di località viciniori) delle numerosissime lettere del Vanni, cui si è fatto prima cenno, potrebbero realmente interferire – rendendo note al Lotti i propositi di vendetta di detto coimputato – sulla determinazione di quest'ultimo a confermare nell'eventuale dibattimento le dichiarazioni già rese (cfr. al riguardo, nota riassuntiva in data 8.1.1997 della Sq.mobile di Firenze, nonché le missive – circa 190 – acquisite agli atti).

Quindi, in aggiunta ai gravi problemi di salute, a rendere a rischio la partecipazione di Lotti al dibattimento c’erano le lettere di Vanni, ben 190, spedite dal carcere soprattutto a cittadini di San Casciano, contenenti minacce che qualcuno, al telefono, avrebbe potuto riferire allo stesso Lotti, spaventandolo.

La situazione reale. L’immagine del presunto pentito che, ben nutrito e in perfetta forma non si lasciò scappare nessuna delle udienze che contavano, e che depose ininterrottamente per ben sei udienze consecutive, è la miglior dimostrazione del suo quantomeno normale stato di salute. In qualche mese era guarito da tutti i mali? Proviamo a vedere come lo avevano trovato Fornari e Lagazzi neanche due mesi prima della richiesta d’incidente probatorio:

Ha sempre goduto di buona salute, non ha mai avuto malattie gravi e non è mai stato ricoverato in ospedale. Probabilmente ha riportato sulla schiena un’ustione da colpo di sole nel 1993, durante l’estate. La lesione sarebbe guarita in un mese. […]
Attualmente assume giornalmente un ipotensivo. […] Si sottopone a controllo periodico della pressione arteriosa (che da molti mesi è compresa nella media e nella norma per un uomo della sua età e della sua struttura). Pratica saltuariamente una fiala di Tilcotil (farmaco antiartrosico). Lamenta dolori alla schiena per un principio di ernia del disco (infortunio sul lavoro nel 74-75, mentre lavorava in una cava di pietrisco) ed emorroidi (“che però adesso non sanguinano più”) con emorragia rettale il 31 agosto 1996.[…]
Sintetizzando le risultanze delle indagini attinenti alla condizione somatica del periziando, è quindi possibile delineare l’immagine di un uomo di 56 anni in buone condizioni generali, connotato da un discreto sovrappeso e da patologie di carattere osteo-articolare (note di artrosi) a carico della colonna vertebrale.


Come si vede la perizia, peraltro invocata anche dal GIP in appoggio alla propria decisione positiva, racconta di un uomo in sovrappeso che, per mantenere una pressione arteriosa nella norma, assumeva giornalmente un farmaco apposito: una situazione comune a milioni di altri italiani della medesima fascia d’età. Riguardo invece la spondilartrosi lombo-sacrale, volgarmente detta “mal di schiena”, pare più che altro una comoda scusa che Lotti accampava per tirarsi fuori da situazioni imbarazzanti (perizia: “Ogni qualvolta si sono toccati gli argomenti di cui in atti, Lotti ha preso a divagare, a portare il discorso sui mille disturbi fisici che lo affliggono, sulla necessità di essere curato”).
Riguardo invece le minacce, anche in questo caso la visione del povero Vanni che, seduto sul banco degli imputati, assisteva spaurito all’evolversi degli eventi, dovrebbe essere la dimostrazione migliore di quanto gratuiti fossero i timori che le sue lettere avessero potuto spaventare Lotti. L’individuo non era in grado di spaventare nessuno, neppure se fosse stato fuori dal carcere, tanto meno con le sue patetiche lettere di lamentazione inviate a mezza San Casciano. Chi scrive ha avuto modo di leggere soltanto quella inviata alla farmacia Calamandrei (vedi), che qui si riporta e che si commenta da sola:

Carissimo Farmacia Calandrei gli scrivo questa lettera per farli sapere che stò male in 9 mesi non mi è riuscito di telefonare alla moglie Luisa che schifo cari farmacisti che vergogna è questa non ne posso più di stare in galera non ho fatto nulla è una vergogna questa e chiedo la Nazione e non la portano da 10 giorni che sistema è questo… Mi ha detto il mio avvocato di Firenze che fino al processo non mi mandano a casa il signor giudice Vigna e Canessa insomma siamo a un bel punto ha detto l’avvocato Pepi Gianpiero che stia tranquillo e beato ci vuole pazienza insomma.
Quando tornerò a casa faremo un bel conteggio (???) se lo permette il Maresciallo perché io sono innocente non ho fatto nulla di male e vi faccio tanti saluti a Francesca e signorina farmacista
Arrivederci a presto tanti saluti Vanni Mario


Conclusioni. Non c’era alcun motivo valido per sottoporre Giancarlo Lotti a incidente probatorio. O meglio, un motivo anche assai valido c’era, ma non compariva nell'elenco di quelli previsti dalla legge. L’intera inchiesta sui compagni di merende poggiava soltanto sulle dichiarazioni del presunto pentito, poiché Vanni e Pacciani nessuno li aveva mai visti sulle scene del crimine, e se di punto in bianco l’individuo avesse deciso di ritrattare, o anche di non deporre al processo – come del resto sarebbe stato suo diritto – il castello di carta messo in piedi dall'accusa sarebbe inesorabilmente crollato. Intento della procura era quindi quello di cristallizzare le sue dichiarazioni così come si erano faticosamente configurate al 23 dicembre 1996, quando anche l’ultimo tassello, il ricatto per un rapporto sessuale passivo con Pacciani, era andato al suo posto. Tutto questo rientrava nell’attenta gestione della “gallina d'oro alla quale ogni tanto si vanno a chiedere le uova” – così Lotti era stato definito da Ferri –, ma era lontanissimo sia dallo spirito della legge sia e soprattutto da quello della giustizia, poiché, detto con le parole di Agostino Viviani, “prendere per buona la parola di un testimone che si presume disposto a cambiare versione […] significa volere porre (anzi, imporre) come verità una circostanza riferita da chi è già ritenuto soggettivamente poco credibile”.
Oltre a quello di mettere in cassaforte degli importantissimi elementi a rischio di perdersi, l’incidente probatorio avrebbe dato alla procura un altro indubbio vantaggio: presentarsi al processo con già agli atti una solida base per il proprio impianto accusatorio, in ragione della quale i giudici, soprattutto quelli popolari, avrebbero avuto da leggersi un bel mucchio di carte prima ancora del dibattimento, e tutte a favore dell’accusa. Da Storia delle merende infami, di Nino Filastò:

Il minestrone già cucinato e servito delle dichiarazioni 'collaborative' di Lotti arrivò così sotto gli occhi dei giudici della Corte d'Assise, davanti ai quali – vergini di ogni conoscenza preconfezionata, secondo il principio fondamentale del nuovo codice – avrebbe dovuto formarsi la prova.

106 commenti:

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    1. Lotti è morto, ufficialmente, per un tumore repentino al fegato, nel 2002, quindi cinque e più anni dopo della richiesta d'incidente probatorio. Il suo pervicace partito preso evidentemente le impedisce di vedere una realtà che è davanti agli occhi di tutti. Non sussistevano minimamente le condizioni per la concessione dell'incidente probatorio, Fornari e Lagazzi saranno anche stati medici della mente, ma avevano esaminato le cartelle cliniche del periziando, da cui risultava la sua buona salute. Tantopiù che poi Loti si è fatto processo, controprocesso e di più stando benissimo.
      Riguardo le lettere di Vanni, l'incredibile pervicacia con la quale lei difende il suo partito preso le impedisce di vedere la semplice verità di un povero vecchio recluso in carcere che non poteva far del male a nessuno, tanto meno a un collaboratore di giustizia superprotetto inaccessibile a tutti.
      Appare invece lampante l'alleanza malevola tra vari apparati delle forze dell'ordine che operarono in sincronia per confezionare una soluzione al caso che di per sè non stava in piedi, prendendo per i fondelli i parenti delle vittime e l'Italia intera, compreso me, che non ne sono felice, e lei, che invece pare lo sia.

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  2. Antonio grazie a te e all'avvocato per divulgare queste nuove fonti. Che in gran parte confermano quello in molti già sospettavano. Mi chiedo cosa sarebbe successo se molti dei documenti oggi disponibili,come quelli riguardanti l'anonimo su Signa, fossero stati disponibili prima. Grazie per il tuo lavoro, e buone feste. Confido che il discorso sulla storia delle indagini sui mandanti sia solo in pausa.

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    1. Grazie, buone feste anche a te. Riguardo le indagini sui mandanti, ho ancora i miei vecchi articoli da ripubblicare. Esito a farlo perché ho ancora la speranza di poter ricevere materiale nuovo con il quale arricchirli, come avrai visto è successo per il dottore di Lotti e il patrimonio di Pacciani, dove i miei vecchi sospetti e ragionamenti sono stati confermati ad abundantiam dalla documentazione che mi ha fatto avere Francesca Calamandrei. Il risultato credo sia stato di grande importanza per una ricostruzione storica di quelle sciagurate indagini.
      Speriamo che la situazione si sblocchi presto, altrimenti dovrò arrangiarmi con quello che ho. Posso intanto preannunciarti che ho già pronta una bella coincidenza di date per un colloquio Giuttari-Carlizzi e l'inizio dei controlli sui soldi di Pacciani.

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  3. Sacrosanto quello che hai scritto. Il bello è che dell'incidente probatorio non ci fu poi alcun bisogno, perché Lotti andò a deporre e difese a denti stretti la sua colpevolezza anche in appello e anche quando fu clamorosamente sbugiardato sull'assicurazione dell'auto. Non dico altro...

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  4. in attesa di un post sul contenuto dell'incidente probatorio, vorrei fare un commento molto generale: l'incidente probatorio si è svolto in un solo giorno, dalla mattina al tardo pomeriggio, con due interruzioni di circa un'ora ciascuna. In questo lasso di tempo Lotti è stato interrogato prima dal PM e poi dagli avvocati in maniera abbastanza stringente. Non mi pare abbia dato segni di fragilità psicologica. Anzi, ha ribattuto alle contestazioni degli avvocati fino alla fine con fermezza. Chi propugna l'idea di Lotti come "scemo del villaggio" forse non ha letto questi interrogatori, e farebbe bene a ricredersi. In diversi casi, anzi, mi pare che Lotti abbia messo in difficoltà gli avvocati, piuttosto che il contrario.

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    1. Attenzione però, nessuno (che abbia studiato seriamente la vicenda) ritiene Lotti uno scemo del villaggio. Chi crede a un'estraneità di Lotti si basa sulle sue ricostruzioni dei delitti, piene di contraddizioni e di palesi incongruenze in tutte le fasi, dall'istruttoria al dibattimento, passando per l'incidente probatorio.
      Secondo questa teoria l'atteggiamento prudente e reticente di Lotti e soprattutto l'assenza di empatia nei confronti delle vittime (rilevati da Fornari e Lagazzi) si spiegherebbero in modo molto semplice: non aveva ragione di provare rincrescimento perché ai delitti non aveva preso parte.
      Io credo che su Lotti avessero dei dubbi anche i suoi avvocati: perché, una volta ammesso di aver partecipato ai delitti, non è riuscito a darne una ricostruzione più precisa?
      Cosa intendeva quando diceva: "io so solo quelli che sono stato cosato e basta"? Il curioso termine usato da Lotti con quale potrebbe essere sostituito: fregato, incastrato, coinvolto, scoperto (aveva sulla coscienza anche gli altri omicidi, ma nulla ne sapeva Pucci e quindi non fu costretto a parlarne)?
      La verità è morta con Lotti, e tutte le ipotesi, a mio modesto avviso, hanno dei punti deboli.

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    2. Quali sarebbero secondo lei i punti deboli dell'ipotesi Lotti unico mostro?

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    3. Un elemento disturbante per ogni ricostruzione, anche nell'ipotesi che Lotti fosse l'unico mostro, è Baccaiano: lì si fermano le sue faticose confessioni, e non capisco perché.
      Secondo la sua teoria Lotti non disse nulla dei delitti precedenti perché non ne aveva parlato con Pucci. Questo non toglie che potesse accusare di quegli omicidi Pacciani e Vanni, come fece per Calenzano. Pucci non lo avrebbe smentito e tutti sarebbero stati felici e contenti.
      Noi sappiamo che qualche domanda gli venne rivolta, e possiamo scommettere che anche fuori verbale gli inquirenti abbiano cercato di farlo confessare: ma invano.
      Un altro punto debole è la questione delle macchine. Posto che la carovana di due auto è alquanto improbabile (e nell'incidente probatorio Lotti disse che andava con la sua auto perché gli garbava, ed è incredibile e assai grave che gli inquirenti si siano accontentati di una sciocchezza simile), sempre ammettendo che Lotti fosse il mostro, avrà dovuto parcheggiare l'auto da qualche parte a Baccaiano: perché non dire la verità aggiungendo alla sua macchina quella di Pacciani?
      E anche sulla strada percorsa nella fuga da Vicchio non capisco perché Lotti non avrebbe dovuto raccontare il vero percorso compiuto; per adeguarsi alla testimonianza dei coniugi di cui gli avevano parlato gli inquirenti? Ma non s'incastrano gli orari. A me pare che qualcosa non quadri.

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    4. Il limite inferiore di Baccaiano come partecipazione e di Calenzano come accusa a Vanni e Pacciani costituisce uno dei problemi più grossi per chi vede Lotti del tutto estraneo ai delitti. In questo caso le sue considerazioni sono senz'altro applicabili. Ma se ci mettiamo nell'ottica di Lotti assassino unico i conti tornano benissimo. Le sue "confidenze" a Pucci si fermavano lì, quindi le sue "confessioni" si fermarono lì, in completa coerenza con un comportamento generale che lo vide ammettere soltanto il minimo indispensabile, barcamenandosi (direi molto bene, agli effetti pratici) tra necessità di soddisfare le aspettative degli inquirenti e prudenza nello scoprirsi troppo. Alcuni casi particolari hanno la loro spiegazione, come il più eclatante degli spari a Giogoli.
      Quindi, mi consenta, questo non lo vedo proprio come punto debole dell'ipotesi Lotti assassino unico, anzi, è addirittura un punto forte.

      La macchina a Baccaiano. La prudenza istintiva di Lotti nel dire il minimo per non scoprirsi è, a mio parere, alla base di molte delle sue castronate, che comunque vennero prese per buone dagli inquirenti, che poi era il risultato che a lui premeva. Perché avrebbe dovuto raccontare delle due auto parcheggiate sulla Volterrana, dove probabilmente lui aveva parcheggiato la propria? Avrebbe ottenuto qualche vantaggio nel rapporto con gli inquirenti? Di sicuro avrebbe introdotto un elemento di rischio, poiché il suo racconto si sarebbe dovuto occupare anche del conseguente trasferimento a piedi attraverso il terreno agricolo e il piccolo corso d'acqua che divideva le due strade. Più cose da raccontare più istintiva sensazione di pericolo, meglio limitarsi allo stretto indispensabile.
      Direi che in questo caso la sua osservazione va a confutare la tesi di chi vede Lotti componente della combriccola, poiché il suo racconto, sulla base delle testimonianze di chi transitò sulla strada mentre il delitto si stava compiendo, è falso.

      La fuga a Vicchio. In questo caso Lotti non fece altro che adeguarsi alle aspettative degli inquirenti. L'avvistamento delle due macchine, di cui una rossa come la sua, gli venne presentato come una prova che lo avrebbe incastrato, e lui non lo contestò ma si adeguò. Attenzione, bisogna pensare che i racconti di Lotti non vennero concepiti da un individuo seduto a un tavolino nella calma della propria abitazione, e poi presentati agli inquirenti, ma nacquero dietro la contingenza degli eventi, durante gli interrogatori, costruiti a quattro mani, le sue e quelle degli inquirenti che lo stavano interrogando.
      Quindi direi che anche questa sua osservazione va senz'altro a confutare la teoria dei compagni di merende, poiché un viaggio per strade polverose e buie come quello ipotizzato a Vicchio non sta in piedi, come ho già dimostrato nel mio articolo "In fuga da Vicchio", ma non scalfisce per niente l'ipotesi di Lotti assassino unico.

      Avanti, signor Kozincev, faccia di meglio, per me è un'utile verifica quella di rispondere alle sue osservazioni sull'argomento. Anzi, se qualcun altro si vuole accodare, ad esempio Frank Powerful, ben venga.

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    5. Provo a stuzzicarla di nuovo sul primo punto. Lotti doveva anche accreditare il suo status di collaboratore di giustizia, tanto è vero che raccontò la storia di Francesco Vinci e quella del dottore per compiacere gli inquirenti.
      Proprio per questa ragione dire che Pacciani e Vanni avevano ucciso anche a Borgo e Scandicci non vedo quali noie potesse dargli; semmai i vantaggi derivanti da una collaborazione maggiore.
      I rilievi sulle auto in effetti indeboliscono maggiormente la teoria del gruppo di assassini, alla quale credo poco anche io soprattutto perché non vedo nessun indizio concreto sulla partecipazione di Vanni.
      Frank Powerful ha osservato che, una volta ammesso il ruolo di complice, non c'è alcun valido motivo per cui Lotti non dovesse esporre le dinamiche dei delitti in maniera dettagliata: gli sarebbe bastato mettere Pacciani e Vanni al suo posto. Il riferimento non è ovviamente ai primi interrogatori, quando Lotti pretendeva di accreditarsi come testimone involontario, ma alla fase successiva, fino al dibattimento. A questa osservazione come risponde?

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    6. Sono reduce dall' ascolto dell'interrogatorio del Lotti del 27-11-97, dove per Giogoli racconta dei due tedeschi dalla parte del "volano". Se voleva essere credibile (se fosse stato presente ai due omicidi) poteva benissimo raccontare delle vittime nel retro del furgone e non dalla parte del volano. C'è pure l'avvocato Filastò che va su tutte le furie per le risposte imbeccate al Lotti da parte di Canessa.
      Se Lotti è stato l'unico mostro era anche un ottimo attore per riuscire a passare per seminfermo mentale nell'opinione pubblica.

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    7. Antonio, penso di avere una risposta chiara e precisa al perché Lotti non andò ulteriormente all'indietro, che però non posso esporre compiutamente in questa sede perché spoilererebbe lo scritto cui sto lavorando. Dico solo che, dopo aver già illustrato lo spunto iniziale della collaborazione omicida con Pacciani in due modi diversi (ma anche sostanzialmente simili) in occasione di Baccaiano e Giogoli, come avrebbe potuto Lotti inventarsi un altro terzo motivo per una sua eventuale partecipazione a Calenzano? e più all'indietro un quarto per Scandicci? e infine per Rabatta?

      Ma poiché Pucci aveva detto di non sapere se Lotti era stato presente a Calenzano o no, sia agli inquirenti che al Lotti stesso - che fu peraltro imputato per Calenzano, ma assolto in quanto mancava l'elemento cardine della sua confessione - in funzione di collaboratore sia agli inquirenti quattro duplici omicidi erano più che sufficienti.

      Che poi tre duplici omicidi siano rimasti senza colpevole la trovo solo un'obiezione formale da salotto o da forum, perché è evidente che nella costruzione accusatoria Pacciani era il colpevole di tutti i duplici omicidi escluso il primo, che venne abbandonato dopo la sentenza Ognibene.

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    8. x Kozincev
      Per valutare il comportamento di Lotti nei riguardi dei delitti precedenti Calenzano bisognerebbe entrare nella sua testa. A me pare che evitando di impelagarsi più del necessario dimostrò buonsenso, nell'ottica di un assassino che cercava di cavarsela al meglio. Il suo discorso sarebbe molto più valido nello scenario di un estraneo che vuole rimanere nella situazione di collaboratore di giustizia. In quel caso più collabora più gli va bene, non crede? Invece Lotti non fece così, e i conti con lui assassino unico tornano bene su questo argomento.
      Riguardo le dinamiche dei delitti. Dire che avrebbe fatto meglio a raccontare dinamiche più veritiere, al solito, comporta la pretesa di mettersi nei suoi panni. Ripeto, il rischio di raccontare qualcosa che un semplice palo non avrebbe potuto vedere è innegabile, quindi Lotti non aveva interesse a dire più di tanto. Disse quel che bastava ad accreditarlo complice minimale, e l'ebbe vinta. O no?

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    9. x Emilio Mancini
      Guardi che non mi pare proprio che Lotti collochi le vittime nella cabina di guida. Secondo me facendo riferimento al "volano" voleva intendere sulla fiancata destra o sinistra (il "volano" era a sinistra), o anche più verso il fondo del furgone o più verso la cabina di guida, sempre però all'interno del vano di carico.
      Riguardo invece le doti di attore di Lotti, credo che ne avesse e molte, anche se non del tipo standard; alla fine il grande Filastò rimase sempre scornato.

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    10. x Omar Quatar
      Non ci sarebbe stato alcun bisogno di mettercisi dentro. Avrebbe potuto raccontare la stessa cosa di Calenzano, di aver saputo da Vanni, fosse stato un perfetto estraneo tutto impegnato a guadagnarsi il suo stato di collaboratore di giustizia non vedo perché non avrebbe dovuto farlo. Immagino che gli inquirenti glielo avessero anche chiesto: Lotti, ma di Scandicci, Borgo e Signa, Vanni le aveva mai detto niente? Perché su questa parte non andò incontro alle esigenze degli inquirenti? Che cosa ci avrebbe perso?
      In realtà Lotti non era affatto un estraneo che voleva guadagnarsi gli agi del programma di protezione, uno scenario del tutto assurdo che non fa tornare alcun conto, quindi diceva il minimo che poteva dire.

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    12. Antonio, come fai a dire che Lotti l'ebbe vinta, quando si prese prime 30 e poi 26 anni di galera? Io questo non lo capirò mai :-)

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    13. Premettendo sempre che mettersi nella testa degli altri è pericoloso e difficile, c'è un punto che non mi torna nella ricostruzione che vede Lotti nei panni di Mdf: non capisco perché avrebbe dovuto raccontare certe cose a Pucci, fino a portarlo addirittura a vedere i cadaveri a Scopeti. Era un rischio enorme lasciare in vita un uomo che sapeva o poteva avere intuito la verità. Anche perché, se non sbaglio, al tempo degli interrogatori i due non si frequentavano più da tempo. Un assassino che ha dimostrato di essere freddo e senza scrupoli come il Mostro, si sarebbe fatto dei problemi ad uccidere un ex amico che sapeva troppo? Questo forse è il punto che mi lascia più perplesso.

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    14. X Omar Quatar
      Abbi pazienza, ma 26 anni di galera con la prospettiva di uscire dopo una certa parte alla fine sono da considerarsi un guadagno per il Mostro che credo io, oppure no? Mi sembrano invece una totale catastrofe per l'innocente che credi tu.

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    15. X Lorenzo Franciotti
      Lotti aveva trovato nella sua identità segreta di serial killer una rivalsa a una vita mediocre. Leggere delle proprie imprese sui giornali sarà stato anche gratificante, ma la voglia di dirlo a qualcuno credo sia comprensibile. Ecco perché commise l'errore di raccontare qualcosa a Pucci, e in parte anche alla Nicoletti, probabilmente. Con Pucci dapprima scherzando, poi sempre meno, fino a che a Scopeti gli fece vedere i cadaveri e Pucci capì. Questo naturalmente secondo una mia personale ricostruzione, basata però sull'interpretazione delle notizie note.
      Quando Lotti si rese conto che gli stavano fiatando sul collo, con Pucci si mise d'accordo. Ucciderlo? Il Lotti del 1995 non era più quello di dieci anni prima, poi ti puoi immaginare le reazioni degli inquirenti. Sarebbe stato peggio.

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    16. X Enrico Marketti
      Lei non sarà d'accordo, ma vedere Lotti nei panni del vero Mostro spiega molte cose, anche quelle che ha notato lei. Legga il commento uscito sull'Unità, che ho riportato sotto.

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  5. Dalla Stampa del 20 febbraio 1997:

    Sì, ammette l'avvocato Pepi, Lotti è uno che ci sa fare.

    Dall'Unità dello stesso giorno:

    Alla prova del fuoco, Lotti ha spiazzato tutti: pur nelle mille contraddizioni l’uomo è apparso molto più solido di quanto gli avvocati si aspettassero. Invece di un gigante d’argilla si sono trovati davanti ad un personaggio inquietante e dalle mille sfaccettature, e che ha confermato le sue accuse a Pacciani e Vanni. […]
    Tutti si aspettavano il crollo di Giancarlo Lotti-Katanga. Invece, nonostante le numerose contraddizioni in cui è incorso, Lotti ha dato a tutti quelli che lo hanno visto l’impressione di un personaggio «inquietante», che sa molte cose, che racconta il 50% di quello che sa, che non è stato spremuto a dovere.

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  6. e Enrico Marletti continua pedestremente a credere alla teoria dei compagni di merende. Non so neanche perchè mi sono inserito nella discussione con un tizio talmente prevenuto e ... vorrei dire ottuso, ma mi dispiace insultare in una situazione come questa. Vada avanti così, signor Segnini, la sua è sicuramente la più plausibile delle teorie sul mostro di Firenze. Massima stima e ... Lei mi ha aperto gli occhi di fronte ad un mio "non so chi potesse essere". Adesso ho le idee quasi chiare e ne ho parlato pure a mio figlio quindicenne che un giorno mi ha fatto delle domande sul caso, non so da dove... visto che i quindicenni di oggi non sanno neanche di cosa stiamo parlando, troppo presi a interessarsi di scarpe, "outfit" (.....che pena) e cantanti trap. Grazie di nuovo.

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    1. Il personaggio Lotti purtroppo è schiacciato tra chi ancora crede al grottesco gruppetto dei compagni di merende, collegato oppure no ai fantomatici mandanti, e chi si volta dall'altra parte davanti sia all'indubbio coinvolgimento dell'individuo nella vicenda, sia alle sue specifiche caratteristiche così ben compatibili con i pur pochi indizi lasciati dal Mostro (altezza, grado d'istruzione, territorio, manciniscmo e altri).
      Ogni tanto qualcuno capisce, e io ne sono felicissimo. Quindi grazie a lei.

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  7. buonasera,
    presa per buona l'ipotesi Lotti mostro unico, proprio questa (inattesa) "solidità" del teste Lotti, di cui nelle cronache dell'Unità, rafforzò probabilmente la convinzione negli inquirenti che la pista seguita, quella dei cdm (che aveva condotto al Lotti medesimo), fosse quella giusta. Confermandoli nel loro errore.
    Gli inquirenti forse intuirono che il Lotti, nonostante il
    linguaggio primitivo e reticente, non fosse affatto un mitomane e che in qualche modo fosse davvero coinvolto nei delitti.
    A nessuno però, tra inquirenti, avvocati vari, giudici e giornalisti, è balenata l'ipotesi che il Lotti fosse il vero mostro solitario (Vanni e Pacciani innocenti). Ed, in effetti, non era poi così facile, perché il Lotti era caduto nella rete degli inquirenti diciamo "per caso", in quanto amico / conoscente di Pacciani, cioè di colui che era già accusato di essere il mostro. Se gli inquirenti avessero invece superato l'ostacolo di questa "coincidenza", avrebbero probabilmente torchiato il Lotti con un altro spirito, non accontentandosi di estorcergli mezze verità (perché tornava loro comodo per incolpare Pacciani e Vanni), ma indagando con maggior scrupolo sulla sua vita e rinfacciandogli, a titolo d'accusa, tutte le contraddizioni e castronerie in cui era caduto. E forse giustizia sarebbe stata fatta (o quanto meno molti nodi sarebbero stati sciolti, in una direzione o nell'altra). Le risulta che, all'epoca, qualcuno (tra inquirenti o altri) sospettò di Lotti mostro unico?

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    1. Il primo avvocato di Vanni, Giangualberto Pepi, di sicuro qualche sospetto dovette averlo avuto, se dichiarò, alle prime notizie sui racconti di Pucci e Lotti:

      Vi potrebbe anche essere la possibilità che questi personaggi che si fanno vivi dopo 11 anni vogliano nascondere qualche cosa che forse potrebbe riguardarli anche direttamente.

      La dichiarazione è rintracciabile in questo filmato, ad esempio (minuto 27:40):

      https://www.youtube.com/watch?v=5AJ3E8vHiXE&t=1344s

      Purtroppo Pepi venne sostituito all'inizio del processo da Filastò, che a mio parere ebbe una linea difensiva fallimentare, tutta tesa a dimostrare non l'innocenza del proprio assistito ma quella di Lotti, e i risultati li conosciamo.

      Poi c'è Daniele Propato, il procuratore generale del processo d'appello, che di fronte al personaggio Lotti rimase sconcertato. In lui il sospetto che fosse l'assassino c'era senz'altro, ma non lo dichiarò in modo aperto. Da qui lo si capisce:

      Riguardando la consulenza Lotti, qua il miglior autore per questi reati, secondo me, è Lotti: perversione sessuale, istinti omosessuali. Lotti è mancino ma per certe cose usa ambedue le mani e c'è una cosa che mi allarma: il francese una volta dice che è stato preso col destro e accoltellato col sinistro ma i periti dicono da destra a sinistra che fa proprio pensare ad un mancino. La consulenza dice: guardate che Lotti non è un mitomane, è vigile, lui sa come rispondere persino ai consulenti, valuta le risposte, si regola a seconda dei casi, è cosciente della sua posizione, in qualche momento, dice Lagazzi, rispondeva in modo palesemente e volutamente evasivo alle domande che gli facevamo e riferiva elementi che facevano parte soprattutto della sua storia personale. È una persona che davanti a domande specifiche talvolta eludeva le stesse domande oppure si limitava a ribadire che su determinati argomenti non ha nulla di più da dire. Dice che pur essendo persona di risorse culturali e sociali limitate, era in grado di reggere validamente un colloquio con gli interlocutori, è l'atteggiamento di una persona molto attenta a quello che diceva, molto attenta a quello che non diceva. Tutto quello che anche indirettamente poteva in qualche modo portare nuove discussioni su questo argomento lui lo troncava.
      Si è atteggiato ad uomo mite, che subisce gli altri ma i consulenti non sono d'accordo su questa valutazione e questo è Lotti.

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    2. La posizione di Propato è tra le più trascurate e intellettualmente oneste su tutta la vicenda. Cruciale è proprio il passaggio riportato che peraltro va supportato da alcuni rilievi certi ed oggettivi che qui di seguito riporto.
      a. Bisogna cogliere la solidità del rapporto tra Lotti e la pistola. Pensiamo al nascondiglio ove va a cercarla, in una specie di sopralluogo indiziario svolto con gli inquirenti. Qui è cruciale il passaggio: chi può pensare che sia andato muovendosi alla cieca o di pura fantasia? La spiegazione più realistica è che lì l'arma ci fosse stata (anche se non in quel momento, ovviamente). E questo la dice lunga: perché implica che Lotti dell'arma sapesse molto più di quel che diceva. Inoltre, esclude che lui fosse estraneo e tutto fosse inventato; e certifica che il suo contributo alla vicenda fu come minimo assai maggiore di quello che egli si attribuì.
      b. Poi c'è il passaggio sul Vinci nella piazza di San Casciano. Quello non se lo inventarono gli inquirenti. Non poteva essere così perché: erano allergici alla pista sarda; non credevano al passaggio di mano consapevole; non sapevano di possibili conoscenze (anche solo potenziali)tra FV e il Lotti stesso. Per non dire del fatto che non era conveniente per la Procura riaprire il capitolo dei legami con il 1968, per tante e ovvie ragioni. In sostanza, dunque, o la scena del Vinci a San Casciano è vera (nel senso che Lotti riferisce dell'esigenza di farlo uscire di prigione) e allora Lotti della pistola sapeva anche l'origine; oppure il Lotti aveva inserito l'argomento, mostrandosi molto più intelligente di come lo si vuole dipingere. Si tratterebbe, infatti, di un tipico frammento depistante che, senza essere un genio, consentiva al Lotti di dare qualche argomento a difesa per il più anomalo dei delitti (quello di Giogoli) che, guarda caso, era il più insidioso per la sua posizione processuale. Insomma, io credo che la strada sia questa che mostra Segnini, anche se poi la si trova disseminata di qualche frammento complicante che indica variazioni progressive e non esclude del tutto una cerchia di fiancheggiatori più o meno attivi. Ma il centro di tutto è Lotti, il suo mistero, la sua persona.

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    3. Ritengo che anche l'avvocato Santoni Franchetti forse ebbe qualche dubbio che Lotti potesse essere l'assassino, se è vero che gli chiese notizie sulla sua altezza ed il mancinismo durante l'incidente probatorio. Tanto che ad un certo punto Lotti si insospettisce e chiede: Perchè? C'è un motivo? (pag. 63 del terzo file caricato da Segnini). Purtroppo però l'avvocato non va oltre domande piuttosto generiche, come se all'inizio fosse spinto da una suggestione, ma poi abbia pensato "Ma ti pare che il Lotti..." e abbia lasciato perdere. Magari sono io che sto romanzando troppo il verbale, ma questa impressione l'ho avuta.

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  8. Quindi è vero che il delitto di Giogoli fu commesso per far uscire Francesco? Ma Lotti, nel ruolo di SK unico, che interesse aveva a farlo uscire? L'arma gliela aveva data lui? Ma non era stata abbandonata sul posto dai cognati?
    A mio parere è palese che FV fu tirato fuori in primis dagli inquirenti con il solito metodo:
    "Lei mi chiede a questo punto di dire se conosco particolari motivi per cui fu commesso l'omicidio del 1983. Io quel che sapevo lo ho già detto. Lei mi chiede se ho mai sentito dire da Pacciani o da Vanni se l'omicidio del 1983 ai danni dei due uomini tedeschi era stato fatto perchè all'epoca c'era qualcuno in carcere . Io di questo non ho sentito parlare. Si dà atto che l'Ufficio informa il LOTTI che le indagini hanno fornito elementi in proposito. Dopodichè A.D.R. Io questa cosa non la sò. " (interrogatorio 12.06.96)

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    1. In quello stesso interrogatorio a Lotti viene chiesto della lettera che Pacciani inviò dal carcere a Vanni e Lotti dice di non sapere nulla del contenuto. Poi, come per l'omicidio di Giogoli commesso per scagionare qualcuno, "il P.M. informa il Lotti che anche su tale circostanza le indagini hanno fornito elementi in tal senso".
      In effetti sembra essere questo lo schema: Lotti dice di non sapere, viene informato che ci sono elementi che riscontrano quanto ha appena negato di conoscere (quali poi?) e Lotti ammette. Il verbale ci dice che a seguito di queste contestazioni Lotti ha manifestato segni di apprensione e ha lamentato dolori alla schiena e l'interrogatorio è stato sospeso. Dopo essersi consultato col suo legale, Lotti cede e ammette tutto.
      Forse il motivo per il quale le confessioni dirette di Lotti si fermano a Baccaiano e quelle indirette a Calenzano è proprio questo: le indagini non hanno fornito elementi, Pucci non ha detto nulla e Lotti non è costretto ad ammettere quello che non sa?

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    2. Direi proprio di sì, il che costringe a trasferire almeno parte delle riflessioni sulla figura di Pucci. Va comunque superata la visione semplicistica proposta da tutti, anche dagli autori del peraltro ottimo libro sul delitto degli Scopeti, dove Pucci viene presentato come un oligofrenico grave, cosa del tutto errata. E lo scenario va poi allargato ai suoi fratelli, che dimostrarono di essere tutt'altro che spettatori passivi di quanto stava succedendo.
      E' credibile che Pucci avesse creato dal nulla i propri racconti, o meglio, li avesse elaborati soltanto sulla base degli spunti ricevuti in sede d'interrogatorio, quindi da perfetto estraneo? Che cosa accadde il 2 gennaio 1996, quando per la prima volta venne sentito da Giuttari? Perché il superpoliziotto non gli fece vuotare il sacco subito, lui che faceva parlare anche i sassi?
      Che le dichiarazioni di Pucci devono molto a spunti e suggerimenti di chi lo interrogava è lecito immaginarlo, ma, ripeto, dubito fortemente che la materia da plasmare fosse del tutto grezza, anche perché i suoi combattivi fratelli non lo avrebbero permesso. Pucci venne guidato, e per convincersene basta studiare la sua deposizione, il modo in cui reagiva alle sollecitazioni di Canessa.

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    3. Apprezzo molto le sue serrate critiche logiche all'impianto di passaggio della pistola nel 1968. Le dico quello che ritengo verosimile personalmente. La posizione del Vinci in carcere nel 1983 è secondo me rilevante. Se la pistola viene da Villacidro, e il legame con il 1968 è certo, si può stare sicuri che egli fosse a conoscenza di quel che era capitato (diciamo così in uscita) la sera di Lastra a Signa all'arma. In fondo FV era in carcere solo per quello. Se la pistola passa di mano quella notte e finisce o resta in mano ad uno del clan dei Sardi, lui sa verso chi si è mossa in seguito, o quantomeno sa con chi gli inquirenti devono parlare. Però ha un problema certo: se parla, riapre l'analisi dei fatti di Signa e consente l'inseguimento dell'arma alla fine del cui percorso c'è il Mostro (questo varrebbe persino seguendo la tesi della continuità, e al limite finanche ritenendo che dietro al Mostro ci fossero i Vinci stessi, o uno dei Vinci e altri). Quindi che fa? Aspetta e si fa il carcere. E' logico e conveniente? Non lo so. L'alternativa sarebbe quella di dire tutto quello che sa sull'arma. Generazioni di persone si sono chieste perché non lo abbia fatto. E alla fine ci sono solo due spiegazioni: o lui c'entra con il Mostro a vario titolo, e allora parlare lo esporrebbe oltre modo (non solo per Signa). Oppure, lui ha capito il problema della pistola, però non sa come uscirne perché pur essendo essa sua in partenza, non sa come sia passata di mano ed esattamente a chi. (Adesso torniamo sul come si pone il problema agli occhi del Lotti, quando lo cominciano a pressare negli interrogatori di varia sede, fino all'incidente probatorio e al dibattimento).

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    4. Senz'altro la seconda. I due Vinci la coscienza del tutto pulita non ce l'avevano, la pistola era la loro, ma non sapevano nulla della fine che aveva fatto. Questo scenario è in grado di spiegare tutti i loro comportamenti, anche di quello incomprensibilmente ostile di Salvatore verso Francesco nei giorni del dopo delitto. Salvatore era caduto dalle nuvole, alla notizia dell'omicidio, sapeva che la pistola era la sua, lui l'aveva data a Mele, ma non sapeva chi aveva sparato. Poteva anche essere stato il fratello.

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    5. Ora, si provi per un attimo a considerare la prospettiva del Lotti, al momento in cui gli si va ad evocare il legame con Francesco Vinci rispetto a Giogoli, il che porta alla scena della piazza di San Casciano. Partiamo dall'idea (improbabile) che Lotti della genesi della pistola non sappia nulla, ma che in effetti il Vanni gli avesse detto qualcosa circa Giogoli commesso per far uscire uno di prigione. Questo sarebbe lo scenario emerso dalla sentenza che ha resistito fino al giudicato. Convengo con Kozincev che Giuttari e Canessa possono aver provato ad imbeccare Lotti su FV. Ed è facile capire perché: i due si rendono conto (o pensano) che Lotti e Pucci sono miniere di dichiarazioni e di elementi probatori, ma devono scavare senza troppo ordine; allora tirano fuori la testa, alla caccia della prova regina: la traiettoria della pistola. Va notato che a questo stato dei fatti, gli inquirenti erano reduci dalla terribile mazzata del processo Pacciani, nel corso del quale avevano abbandonato quasi subito il tentativo di addossargli il primo delitto, tanto ciò è vero che la prima condanna di PP escludeva il caso del 1968 dalla serie, evidenziando (ben prima del rovinoso rito di appello) come gli elementi su Lastra a Signa fossero troppo labili, lontani e confusi. E' possibile che a Lotti sia stata presentato un primo cenno al Vinci partendo dal movente di Giogoli. E' più che plausibile che lo avessero stimolato sulla teoria dell'esigenza di "far uscire uno di galera". Accetto persino che gli abbiano nominato direttamente Francesco Vinci. Parliamoci chiaro: chi non avrebbe tentato? Ma attenzione ad un punto: non è affatto vero che confermare questa storia (nei termini in cui lo si è fatto) convenisse a qualcuno. E' vero che il Vinci era morto, ma a Lotti perché sarebbe dovuto convenire mentire ricalcando la suggestione dell'incontro in piazza? A me questo non convince. Infatti, per Lotti la storia non era buona perché aggiungeva un pezzo di conoscenza su Giogoli che per lui era il "più difficile" dei delitti cui aveva riconosciuto di aver partecipato. In primis, perché lì era stato (anche secondo il suo dire confessorio) più attivo. In secondo luogo, perché c'era la storia del colpo di pistola troppo alto per essere di Pacciani. Ora, se Lotti dice il vero e cioè era un marginale conoscitore delle origini (movente) dei fatti di Giogoli, non aveva nulla da guadagnare a confermare una stranezza parziale di cui sapeva un frammento. Anzi. A parte che nessuno può seriamente ritenere credibile che a lui dicano (PP e MV) una cosa del genere e che non capisca null'altro del legame con Francesco Vinci. E poi c' da dire che la storia per cui vedrebbe FV in piazza de visu, riconnettendo l'idea per cui "c'era uno da far uscire", lo mette in cattivissima luce. Gli avvocati di parte, sulla carta, avrebbero avuto buon gioco a sottolineare le sue contraddizioni sull'intero fatto omicidiario. Non va dimenticato che è totalmente avvolto nel mistero il modo in cui si sceglie il pulmino dei Tedeschi come bersaglio, e ciò comunque si legga la storia del 1983. Insomma, anche se Lotti avesse saputo qualcosa sui veri motivi di quell'omicidio, non avrebbe avuto da guadagnarci nulla a dirlo, e avrebbe corso immensi rischi. Per il semplice fatto che la cosa sarebbe suonata incredibile o comunque strana. C'è anche da dire che una volta fatto il tentativo di imbeccare Lotti su FV, gli inquirenti non potevano essere contenti di quel che era emerso. (Segue)

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    6. Da un lato, era un timido tratto di strada per cogliere da dove venisse la pistola. Dall'altro, però, non si sposava affatto con la scelta (errata) del bersaglio dei due uomini. E allora suggestione per suggestione, imbeccata per imbeccata, gli avrebbero di certo fatto aggiungere almeno l'anello mancante che all'incirca è: "dovevamo far uscire uno di prigione, perché quello sapeva chi aveva la pistola". Perché non fargli dire almeno questo, allora? Per loro non avrebbe cambiato nulla in termini di rischi. Ma avrebbe aggiunto coerenza e nettezza all'impianto. Al limite avrebbe persino fruttato l'onere di non dover tornare su Lastra a Signa nel processo ai compagni di merende, sposando direttamente la tesi del passaggio (consapevole) dell'arma. Questo per me fa giustizia almeno di una tesi: quella degli inquirenti che imbeccano e suggeriscono - al limite della manipolazione - e del Lotti che li asseconda ottusamente dicendo tutto quello che sa e non tacendo nulla. Da ultimo questa ipotesi, mi sembra assurda per l'altro legame diretto (per me oltre modo sospetto) del Lotti con l'arma: quello del sopralluogo nella casa colonica ove starebbe la nicchia dove lui stesso fruga.
      E'assurdo che Lotti fosse depositario del luogo di custodia della pistola, ma non sapesse nulla di come la si fosse avuta. (segue)

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  9. Kemperboyd ha osservato che non sarebbe convenuto agli inquirenti riaprire la pista sarda imbeccando Lotti su Francesco Vinci scagionato dal delitto di Giogoli.
    Questa considerazione sarebbe ineccepibile in senso generale, ma non contestualizzando i fatti.
    Nel giugno del 1996, quando Lotti risponde, dopo qualche esitazione e previa consultazione col suo legale, nel senso auspicato da chi lo interroga, la Procura si trovava in una situazione di assoluta incertezza: Pacciani era stato assolto in appello, i testi non erano stati ascoltati dai giudici e non si sapeva se la Cassazione avrebbe riaperto i giochi.
    In questo contesto tornare sulla pista sarda non era così assurdo, tanto più che la collaborazione di Pucci e Lotti non aveva consentito (né sarebbe accaduto in seguito) di sciogliere l'enigma: dei duplici omicidi che avevano preceduto quello di Calenzano nulla sapevano.
    Restava il mistero dell'arma, dell'esordio del mostro (Signa o Rabatta?) e del successivo sviluppo.
    L'avvistamento di Francesco Vinci a San Casciano in compagnia di Vanni poteva consentire di saldare il gruppo sardo con i compagni di merende.
    Quello che lascia perplessi è la motivazione con la quale gli inquirenti riescono a superare il silenzio di Lotti: le indagini avevano fornito elementi sulla funzionalità di Giogoli alla scarcerazione di Vinci. Quali?

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    1. In realtà, i famosi elementi erano nulla più che una tesi. Era l'idea in cui Vigna credette senza sosta e cioè che lo scambio fosse avvenuto nelle campagne toscane, verso Pacciani, da qualcuno dell'ambiente dei Sardi. Evidente che questo qualcuno - secondo tale tesi - potesse essere FV. Non bisogna essere manichei, lo dico apprezzando la sottile critica sia di Omar Quatar che di Kozincev. Dunque, ammetto che questa tesi era di buon senso ed era in grado di spiegare alcune cose. Meno altre, però. Ad esempio, perché il Mostro avrebbe dovuto colpire con quell'arma sapendo del rischio supplementare cui andava incontro (e cioè che lo tradisse il fornitore)? E poi c'è l'argomento tradizionale (quello seguito da Spezi, ma credo anche da Segnini - come punto di partenza del suo ragionamento - e anche da me nel mio piccolo); è questo: perché gli assassini di Signa si sarebbero tenuti l'arma per poi passarla a terzi? La storia criminale insegna la prima regola in fatto di pistole: una volta che un'arma parla, occorre liberarsene in via definitiva. Sempre e senza condizioni. Vi è un'unica eccezione: la serialità simbolica, in cui cioè la pistola ha un ruolo e un significato nell'atto. Ma attenzione, nel caso che ci occupa una spiegazione potrebbe salvare e spiegare tutto: un passaggio cieco. Ovvero un evento - non dicibile dalle parti coinvolte - che porta l'alienante a non sapere nulla di chi sia il prenditore (il termine è volutamente infelice). Ma tornando al Lotti, va tenuto conto che Canessa e Giuttari questa cosa non la hanno mai sostenuta (almeno così mi risulta). Ne discende una alternativa logica, sulla quale chiedo gentilmente di esercitare lo spirito critico ad Omar Quatar e a Kozincev, oltre che al nostro ospite, ovviamente. Quando gli inquirenti imbeccano Lotti sulla storia del Vinci fatto uscire di prigione, la prospettiva di Lotti può essere diversa da quella che tutti hanno immaginato: secondo la tesi di Segnini, lui potrebbe sapere, in cuor suo, che il passaggio logico suggerito è del tutto errato. E allora accredita la tesi, ma non va al di là di questo, perché sa che se si comincia a parlare troppo della pistola, può succedere qualche pasticcio. Quella è la sua vera risorsa logica e intuitiva: ciò che lo separa dal poter essere considerato più di quello che sembra a prima vista. Ma guardate che questa tesi regge anche in un'altra, alternativa ricostruzione: lui (Lotti) della pistola sa tutto, anche se non era presente a Signa e se il passaggio è avvenuto perché vi era un legame di sangue tra uno dei Vinci e parte o tutti dei compagni di merende. Questa seconda linea interpretativa dovrebbe puntare tutto su un luogo di aggregazione (Faltignano da Indovino, verosimilmente) dove l'autore del 1974 ha messo in comune una modalità, una sadica azione criminale, trasformandola in un atto seriale di gruppo o almeno con spettatori. Sia come sia, in entrambe queste linee, si spiegano tante cose che non tornano. Specie una di cui altrimenti non potrei convincermi: come fa Lotti a sapere solo che nel 1983 bisognava "far uscire uno di prigione" (ndr,. perché questo detenuto sapeva della pistola) e poi però a conoscere il nascondiglio dell'arma (o almeno uno dei nascondigli)?

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    2. Sinceramente non vedo perché si debbano complicare anche gli aspetti più semplici e lineari.Pacciani era stato assolto per Signa già in primo grado da un giudice colpevolista come Ognibene, quindi era impensabile tornare a riappioppargli il delitto del '68, per cui era necessario spiegare il passaggio di pistola (argomento che poi a giudizio verrà bellamente saltato limitando il rinvio a giudizio ai delitti post-Scandicci). Elementi non ce n'erano, se non ipotesi investigative formulate nel 1983 nelle prime indagini su Giocoli e mai verificate. Quando Lotti, che per mantenere la protezione deve ammettere qualcosa (parole sue) abbocca all'amo, si approfondirà il collegamento grazie a Calamosca, che certificherà il rapporto tra F. Vinci e la figlia della Sperduto, quindi con il mago vicino di casa e i compagni di merende, i mandanti gaudenti e via andare. Roba da Grand Hotel.

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    3. Mi permetto di dissentire sul liquidare questa faccenda come lineare. Io non muovo dall'idea di inquirenti che plasmano la realtà processuale a piacimento e cercano di indirizzarla. Un merito da attribuire a Giuttari fu quello di arrivare al Lotti che, comunque la si veda, è chiaramente implicato nei delitti. Ora, siccome una delle chiavi dell'intera vicenda risiede nel cogliere i processi di costruzione della versione del Lotti, la storia di FV è particolarmente importante. E'chiaro che gli fu suggerita la via di Giogoli commesso per far uscire qualcuno (direi che è proprio agli atti). Una conferma netta sarebbe valsa praticamente la chiusura del caso. A quel punto, tutto era dimostrato: FV era la fonte della pistola; l'aveva ceduta e minacciava di parlarne dal carcere, allora si doveva uccidere per farlo uscire. Il che spiegava pure la frettolosa scelta dei bersagli errati nel 1983. Detto questo, non mi spiego perchè, dopo che il Lotti diede conferma sommaria alla storia, non si aggiunse il frammento decisivo. Senza quest'ultimo, tutto rimaneva monco. La vicenda ci dice anche un'altra cosa. Se Lotti (e Pucci) erano spregiudicati mentitori e chiamanti in correità, tanto valeva immettere nel circuito pure il Vinci (imbecccata per imbeccata, che problema c'era?). Peraltro il fatto che fosse morto e in circostanze per lo meno ambigue, avrebbe aiutato gli inquirenti in vena di costruzioni da Grand Hotel. Secondo me, siamo di fronte ad un punto dirimente. Sotto la coltre della ricostruzione del Lotti, sta un tappeto di menzogne, mezze verità, ma anche di verità complete. In buona fede, occorre ammettere che sulla pistola ha mentito in modo plateale (sa il nascondiglio; non la sa usare a Giogoli, tanto che Pacciani gliela mette in mano come ad un manichino; ne disconosce l'origine; però, dice che "Pietro la teneva in garage"; e sa pure che FV bisognava farlo uscire di prigione, ma non esattamente perchè. Una domanda: ma davvero si può credere che gli inquirenti fossero ottimisti su un tale giro di incoerenze da far emergere in dibattimento, sottoponendo Lotti al contraddittorio? Non avevano scelta, perchè dovevano confermare che il legame primario con la pistola ce lo doveva avere Pacciani (altrimenti sarebbe crollata la complementarità del processo a PP e a quello ai suoi due complici). Date per buone queste considerazioni, si comprende definitivamente che Lotti ridusse di molto il suo coinvolgimento nei delitti. Quanto, è tutto da capire, ancora oggi.

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    4. La mia era ovviamente una domanda retorica: non c'erano elementi su Giogoli, ma lontane ipotesi smentite già dal secondo duplice omicidio avvenuto quando Francesco Vinci era in carcere, quello di Vicchio.
      Credo che anche Segnini ritenga poco significativo il fatto che Lotti si sia limitato a raccogliere il suggerimento degli inquirenti senza aggiungere che Francesco Vinci era la fonte della pistola. Restare sul generico conveniva a tutti e questo nulla ci dice sull'eventuale legame di Lotti con l'arma.
      La questione più importante è il limite di Baccaiano (e indirettamente di Calenzano) nelle confessioni di Lotti. A mio avviso, è un ostacolo non da poco per chi lo ritiene del tutto estraneo alla vicenda.
      Che invece Lotti non si sia spinto più indietro per prudenza, come pensa Segnini, non è da escludere; tuttavia è innegabile che questo atteggiamento irremovibile è in contrasto con le aperture e i cedimenti continui di Lotti nel suo confronto con gli inquirenti (la storia del dottore è l'esempio più significativo).
      La mia impressione è che Pucci fosse depositario delle confidenze di Lotti, antiche (anni '80) e recenti (fine '95) e che le abbia mescolate in maniera molto confusa. A questa confusione si sono sovrapposte le pressioni degli inquirenti e gli adeguamenti di Lotti, ed è aumentata a dismisura.

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    5. @ Kemperboyd
      Io non muovo da nessuna idea, semmai sono arrivato, con anni di studio, a diverse idee, in parte già esposte, in parte ancora da condividere.
      Una è quella degli inquirenti che gettano l'amo e vedono se qualcuno abbocca; ad abboccare sono sempre i pesciolini meno svegli, quelli che nuotano male o hanno più fame.
      Detto questo, se Lei afferma che "Lotti, comunque la si veda, è chiaramente implicato nei delitti", dice una cosa non vera. Infatti io, e parecchi altri, che magari hanno potuto leggere anche più carte di me, non sono di questa opinione. Quindi quel "comunque la si veda" è improprio.
      A differenza di altri, non credo affatto che Lotti parlasse sotto dettatura, ma piuttosto che cercasse di raccogliere gli spunti che gli venivano offerti, per rendersi utile e garantirsi i benefici della protezione, sperando (e non era affatto escluso!) di goderne per sempre.

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    7. Senz'altro è difficile mettersi nei panni di Lotti, ma ritenere che l'individuo si sarebbe autoaccusato per godere degli agi della condizione di "pentito" non sta in piedi. Certo, a partire dalle ammissioni di aver partecipato faceva di tutto per rimanere alla questura di Arezzo, piuttosto che andare in galera, ma pensare che quello fosse il suo proposito fin dal momento in cui aveva ammesso di fronte a Vigna di essersi fermato a Scopeti a pisciare, non ha senso. La spiegazione deve essere differente, attendo con ansia.

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    1. Una scommessa che vincerebbe facilmente, ma allora mi chiedo come fa a difendere nella sostanza lo scenario uscito fuori dai processi a Lotti e Vanni. Che si creda oppure no al coinvolgimento di Lotti, quello scenario fu in ogni caso costruito.

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    3. Enrico, la sua opinione è ovviamente rispettabilissima, oltre che condivisa da molti, però c'è da ribattere che fu Pucci, e non Lotti, il primo a fare i nomi di Pacciani e Vanni. Lotti confermò solo dopo che i due ebbero un confronto e Pucci nominò PP e MV. E Pucci in seguito (interrogatorio del 18 aprile 96) riferì "Lotti mi diceva che [Pacciani e Vanni] avevano ammazzato anche quelli delle altre coppie degli anni precedenti". I dettagli dei racconti di Lotti si fermarono all'omicidio di Calenzano (dove venne tirato dentro anche il povero Faggi), mentre per qualche ragione Scandicci rimase fuori dai racconti fatti a Pucci. Anche del 74 Lotti non disse mai niente, ma in quel caso posso ipotizzare che quello fu l'omicidio di iniziazione di Lotti, e volle tenerselo per sempre per sè.

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    4. X Marletti
      Dire "lo avrebbe fatto senza problemi" è quantomeno azzardato. Lei ritiene di potersi mettere al suo posto nel prevedere le sue mosse di presunto unico assassino? A me pare invece che nel non lasciarsi trascinare nella necessità di inventarsi altre storie, per un presunto unico assassino sarebbe stato molto meglio, poiché comunque rimaneva sempre il rischio di tradirsi. Come vede la pensiamo in due modi diversi, la qual cosa dimostra che il mondo è vario, e alla fine è meglio così.

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  11. Buonasera Antonio,
    volevo innanzitutto farle i complimenti per il suo blog, davvero ricco di preziose e interessantissime informazioni. Studio già da alcuni anni la vicenda del mostro, ma in tutto ciò che ho letto, a partire dai libri per me "fondamentali" quali "Dolci colline di Sangue" di Spezi e "Il mostro" di Giuttari (e più di recente il libro di Cochi "Al di là di ogni ragionevole dubbio), non ho mai trovato nessuna menzione riguardo eventuali e presunte tracce lasciate dall'assassino nei "dintorni" delle scene dei crimini e rilevate dagli inquirenti. Mi riferisco ad esempio a tracce di pneumatici d'auto o altro mezzo che l'assassino potrebbe avere utilizzato per avvicinarsi al punto di appostamento, nei pressi della scena dei crimini. L'assassino non poteva ovviamente "materializzarsi", colpire e sparire. Ma oltre alla famosa traccia, collegata poi all'anfibio di un carabiniere intervenuto sulla scena di uno dei delitti, non si è mai trovato nulla che potesse essere collegato ai movimenti dell'assassino. Mi chiedo quindi se non mi sia sfuggito qualcosa in merito. Grazie. Saluti. Alessandro

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  12. A quanto ne so le uniche tracce repertate riguardano le impronte di scarponcino a Calenzano e Scopeti, nei due casi di misura circa 44, e le impronte di ginocchia sulla portiera della Panda a Vicchio. Credo che fossero tutte dell'assassino, anche perché coerenti tra loro, portando in tutti i casi a un individuo piuttosto alto, come del resto i fori sul pulmino di Giogoli.
    A Vicchio e forse in qualche altro caso, non ricordo, furono anche repertate delle impronte digitali, mai utili, però.

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    2. Rimane il problema di capire il perché Lotti avrebbe raccontato delle panzane per Giogoli, accusandosi di aver sparato ma in modo del tutto inverosimile.

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  13. Buongiorno Antonio,
    in effetti avevo dimenticato le impronte sulla portiera della Panda nel caso dell'84. Come dice giustamente lei, alcune evidenze, coerenti tra loro, portano a ipotizzare che l'assassino fosse un individuo piuttosto alto. In ogni caso è interessante considerare che le scene dei crimini, da un punto di vista geografico, al di là degli aspetti comuni e delle differenze tra un luogo e l'altro, unitamente alle dinamiche dei singoli omicidi, fanno pensare che quasi certamente l'assassino raggiungeva i luoghi a piedi. Questo significa che lo stesso conosceva molto bene i luoghi ed era in grado di muoversi, con disinvoltura, al buio. Allo stesso tempo, seppur forte di questa confidenza con il territorio, aveva comunque necessità di scegliere delle opportune vie di fuga per potersi allontanare, magari in auto, il più velocemente possibile. Ed è qui che mi chiedo se gli inquirenti, con carta geografica alla mano, hanno mai analizzato e valutato queste possibili vie di fuga e fatto eventuali e approfonditi sopralluoghi e rilievi in loco (relativi per l'appunto a tracce, plausibili, quali quelle lasciate dai pneumatici di un auto, etc.). Grazie

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    1. La materia è stata sviscerata in modo profondo da Valerio Scrivo, nel suo "Il Mostro di Firenze esiste ancora" che le consiglio di leggere.

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    2. La ringrazio. Ho presente il titolo da lei indicato e accetterò con piacere e curiosità il suo consiglio.

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  14. Ciao Antonio,
    sono baba un appassionato del caso della prima ora se ti ricordi. Mi hai incuriosito sul Pucci perché ne ho un'idea piuttosto contorta. Mi fai un'analisi della sua personalità a tuo parere? grazie ciao

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    1. Ciao Baba, mi ricordo benissimo di te, e della tua idea che anche il delitto di Signa fosse stata opera del Mostro (non del giro della Locci). Ricordo anche che all'ultimo ci stavi ripensando, spero che adesso avrai ormai abbandonato questa posizione così stridente con tutto l'insieme di indizi e prove che ci sono rimasti...
      Riguardo Pucci, penso prima di tutto che non fosse affatto un oligofrenico, ma una persona semplice, affetta da un disturbo di personalità non ben identificato ma non gravissimo, che in qualche modo aveva imparato a cavarsela.
      Nella coppia Lotti-Pucci indubbiamente il capo era Lotti, ma Pucci poteva mettere sul piatto della bilancia la sua maggiore "serenità", anche e soprattutto nei rapporti con le prostitute, dove non aveva alcun problema, al contrario di Lotti. Credo insomma che alla fine Lotti soffrisse in questo confronto, che cercava di riequilibrare con i suoi accenni sibillini a saperla lunga sui delitti del Mostro.
      Ci sarebbe da scrivere molto altro, forse in futuro...

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  15. Ammettiamo che Pucci e Lotti fossero davvero estranei alla vicenda e che la domenica famosa si siano fermati agli Scopeti perché uno dei due o entrambi dovevano pisciare.
    Se il delitto non avvenne quella sera, è chiaro che non assistettero a nessun omicidio. Perché non lo dissero semplicemente?
    Il dibattimento ce li ha consegnati in un atteggiamento poco collaborativo e Pucci a dir poco smemorato. Eppure dovevano solo confermare quanto era emerso da interrogatori, sopralluoghi e incidente probatorio. Semmai sarebbe stato più difficile costruire prima quei racconti fantasiosi, non ribadirli. Qui è il mistero della vicenda.
    Un aspetto che colpisce nei verbali degli interrogatori è il richiamo dell'estensore ai segni di turbamento e nervosismo che entrambi mostravano: come si spiegano se dei delitti non sapevano nulla?
    Se Lotti era implicato nei delitti, potrebbe essersi attenuto alla versione degli inquirenti (confermando che i francesi erano stati uccisi la domenica) per passare da testimone involontario.
    Se invece non era implicato, si sarebbe cacciato nei guai con le sue mani (trovando un alleato perverso in Pucci) per ottenere i vantaggi di una collaborazione.
    A mio avviso il secondo scenario è un po' ardito, il primo più logico, tertium non datur.

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    1. Mi pare un'analisi tanto semplice quanto azzeccata dello scenario, contro la quale l'unico modo per battersi è quello del "negazionismo". Dimenticavo il nostro buon Frank Powerful, alias Omar Quatar, sulla cui serietà professionale non si discute, e del quale attendo con ansia il promesso libro.

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    3. Faggi era del tutto estraneo alla vicenda, questo mi sembra di un'evidenza lapalissiana. Lotti e Pucci su di lui dissero quello che i loro interlocutore si aspettavano che dicessero.
      Nello scenario del commercio dei feticci quale ruolo avrebbe ricoperto Faggi, di venditore o di compratore? Nessuna delle due ipotesi starebbe in piedi.
      In uno scenario dove invece commercio non vi è con la sua presenza si configurerebbe addirittura una congrega di quattro maniaci, situazione del tutto incredibile.

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    4. Un saluto a tutti ed un doveroso ringraziamento a lei, sig. Segnini, per l’enorme lavoro che mette a disposizione di tanti, sottoscritto incluso.
      Che Lotti sia implicato e non sia un mitomane sembra piuttosto evidente anche a me. Ne sa troppo, e del resto sembra difficile che un mitomane dia sfogo alla propria mania in modo così prudente e “rateale” (vado di sintesi perchè l’argomento mi pare in questa sede piuttosto condiviso) . Posso capire l’idea di fondo dell’ “ipotesi Segnini”, e cioè che Lotti accusi Pacciani e Vanni per assumere lui un ruolo maggiormente defilato. Ma resta il fatto che i nomi vengono fatti originariamente da Pucci, che li ribadisce a più riprese, prima che Lotti si accodi (gennaio-febbraio ’96). E qui mi risulta davvero ostico capire per quale ragione o tornaconto Pucci avrebbe dovuto coinvolgere due innocenti ed infilarsi in un simile ginepraio, specie per reggere il gioco di una persona con cui aveva rotto i ponti da tempo (se dallo stesso ’85, od in seguito, non è chiaro, ma certamente nel ’96 i due non erano più due inseparabili, anzi). Pensare che abbia mentito spudoratamente in tutto e per tutto, in attesa che Lotti cominciasse con le sue ammissioni, mi pare significhi anche attribuirgli delle capacità recitative ed intellettive che non sembrano in linea con la persona modesta che si immagina fosse stato.
      Alla fine, delle ipotesi possibili (cit. post 3.2.14 di Omar Quatar, Lotti mitomane/Lotti inventa per proprio tornaconto (quale, visto che becca 26 anni?)/Lotti dice il vero/Ipotesi Segnini, Lotti MDF), mi pare che abbiano dignità soltanto le ultime due. Ma vorrei capire come l’ultima si concilii con la riferita posizione del Pucci, cosa che a me sfugge.

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    5. L'ipotesi che Lotti e prima di lui Pucci avessero detto il vero è da scartare per l'oggettività delle prove. Il delitto degli Scopeti non avvenne di domenica, quindi su quello mentirono in ogni caso. Riguardo il solo Lotti il suo racconto su Baccaiano va contro le testimonianze di chi transitò sulla strada antistante la piazzola proprio nei momenti del delitto. La fuga per strade di campagna a Vicchio è del tutto inverosimile, come ho dimostrato nel mio corrispondente articolo. Infine a Giogoli gli spari di Lotti come li raccontò lui non si accordano alla dinamica.
      Per capire il comportamento di Pucci bisognerebbe essere stati nella stanza di questura dove venne interrogato per la prima volta da Giuttari. Però la sua deposizione al processo ci aiuta a immaginare quello che potrebbe essere successo. Di fronte a lui c'era qualcuno che sapeva già dove voleva andare, e Pucci si lasciò condurre. Non bisogna per forza ipotizzare delle vere e proprie frodi, ma magari qualche peccatuccio di presunzione investigativa sì.

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  16. Grazie per la risposta. Sulla certezza della non domenicalità, mi tengo qualche dubbio ("mancato intervento della fauna cadaverica ...se il cadavere fosse rimasto esposto per due notti ed un giorno e mezzo, la fauna sarebbe sicuramente intervenuta"). Per quanto riguarda Pucci, spero che non sia andata come adombra lei. Sarebbe qualcosa di più grave di un peccatuccio, anche perchè riguarderebbe non solo Giuttari, ma anche Canessa, Fleury e Vigna (tra gennaio e febbraio lo interrogarono tutti 4). Tra l'altro, quando avviene il confronto con Lotti, se si presta fede alla verbalizzazione, non sembra proprio che Pucci sia uno che si fa condurre, ma quello che detta la linea al tentennante Lotti. O sono due consumati Lawrence Olivier (escluderei), o dicono il vero con Lotti che minimizza fin che può(spero sia così), o la Procura/PG si è comportata in modo delinquenziale.

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    1. Riguardo la collocazione temporale del delitto degli Scopeti, più che le considerazioni sugli elementi di tipo medico/legale a darmi certezza sul venerdì è la mancanza di ogni motivo per il quale i due poveretti sarebbero rimasti sulla piazzola per più di una notte.
      A mio parere Pucci non si fece condurre in mare aperto, si fece condurre dove andava bene anche a lui.

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  17. Buongiorno Sig. Segnini,
    le scrivo nuovamente riguardo quanto segue:
    1 - Nel libro "Al di là di ogni ragionevole dubbio", dell'ottimo Cochi, c'è un'interessante analisi riguardo la "geografia" del mostro. Da tale analisi risulta evidente che i luoghi dei crimini, esclusi i due casi nel Mugello ('74 e '84), risultano distribuiti sul versante dell'area geografica fiorentina dove passa l'autostrada del sole. L'ipotesi è che l'assassino, conoscendo i posti dove "trovare" le proprie vittime (forse era dell'ambiente dei "guardoni"), utilizzasse l'autostrada come via di fuga rapida per allontanarsi dalla scena dei delitti e rientrare a casa. Considerando inoltre che in molti casi i serial killer iniziano ad uccidere in posti vicino a casa o comunque rispetto ai quali hanno particolare familiarità, abitandoci, si è ipotizzato che il mostro risiedesse (o risieda) proprio nel Mugello. Considerando però l'ultimo delitto, quello degli Scopeti, è altresì evidente che l'assassino possa aver individuato la tenda dei poveri francesi passando proprio per la stessa via, magari nel tardo pomeriggio/prima serata dì venerdì 6 settembre (non ricordo a che ora si ipotizzi siano arrivati i francesi sulla piazzola). A questo punto si potrebbe pensare che l'assassino non passasse lì per caso ma perché residente in quella zona. Lei cosa ne pensa a riguardo?
    2- Nel libro di Spezi si fa l'ipotesi di "Carlo" come probabile mostro. Premesso che io sono fermamente convinto che l'assassino fosse collegato al mondo dei sardi, non mi è chiaro come un serial killer possa smettere tutto ad un tratto di uccidere (mi pare che "Carlo" sia ancora in vita"). Ci sono una serie di spiegazioni, di ordine psicologico a riguardo, ma non mi è chiaro. Lei cosa ne pensa?
    Grazie. Alessandro

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    1. A mio parere il primo delitto del Mostro è quello del '74 da parte di un individuo che si era impadronito della pistola usata dai sardi nel '68. Con quella pistola si gingillò per sei anni, prima di usarla, quindi ebbe tutto il tempo di maturare la decisione di un delitto lontano da casa sua.
      I due delitti di Giogoli e Scopeti sono entrambi ascrivibili con grande probabilità a un residente in zona, quindi tra Scandicci e San Casciano. I francesi furono visti intenti al montaggio della tenda nel primo pomeriggio, verso le 14.30.
      Riguardo al fatto che un serial killer possa smettere di uccidere confesso la mia ignoranza in materia, anche se ho la mia idea. Credo che un vero lustmurderer difficilmente possa smettere se non impedito da cause di forza maggiore, poiché i suoi impulsi interiori non spariscono. Il Mostro di Firenze, secondo me, non era un vero e proprio lustmurderer, ma un imitatore che godeva a uccidere e poi a leggere sui giornali e a raccogliere dalla voce delle persone le reazioni alle proprie imprese. Quindi smise quando volle smettere, quando cioé le condizioni non erano più quelle che gli andavano bene.

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    2. Grazie Sig. Segnini per per la risposta. Trovo assolutamente interessante, e originale, la sua idea riguardo al fatto che il mostro non fosse un vero e proprio lustmurdered. Sono d'accordo anch'io che il primo delitto è stato quello del '74, commesso da un individuo che era entrato in possesso della pistola usata per il delitto del '68. L'ipotesi di "Carlo", unitamente a quanto da lei espresso in merito alle probabili caratteristiche del maniaco, potrebbe quindi risultare a questo punto estremamente interessante. Il personaggio in questione, nel '74, era molto giovane (diciassette anni se non ricordo male) ma non troppo per commettere il suo primo omicidio. A questo punto sarebbe interessante capire dove lo stesso soggetto ha vissuto negli anni successivi e soprattutto in corrispondenza dell'omicidio dell'83 e dell'85. Grazie. Alessandro

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    4. L'ipotesi di Spezi relativa a Carlo può non essere del tutto credibile, forse per la giovane età del soggetto all'epoca del primo delitto ma, allo stesso tempo, non è del tutto inverosimile. Resta tuttavia altamente probabile che il passaggio dell'arma sia avvenuto all'interno della cerchia dei sardi o tra la stessa e qualcuno che, per amicizia o altro, la frequentava da vicino e lo stesso passaggio non può essere avvenuto che tramite un furto. La pista sarda fu definitivamente abbandonata nel 1989 e le successive attività investigative azzerarono tutto e, in un certo senso, fu secondo me l'inizio della fine, a partire dal famoso screening informatico, tecnica FBI, vanto degli inquirenti di allora e che portò all'individuazione di Pacciani come indiziato numero uno. Il resto, purtroppo, da Pacciani ai fantomatici "compagni di merende" è storia.

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    5. In realtà è tutt'altro che insolito che un Lust murderer abbia lunghe pause o addirittura si fermi del tutto seppur libero da galera o impedimenti, pensiamo solo a de angelo o a Rader.
      Sulle motivazioni il discorso si fa più complicato e non univoco, ahimè. Per esempio Ridgway si fermava, anche per anni, quando aveva un rapporto di coppia soddisfacente. De Angelo, vallo a sapere, fatto sta che l'han preso che ormai era un tranquillo nonno 78enne che non uccideva da più di 30 anni. Dice bene Antonio quando afferma che immedesimarsi nei processi mentali altrui, e a maggior ragione di questi individui, è al più pura speculazione.
      So che è passato un anno dal commento ma volevo dire la mia!

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  18. Buongiorno Sig. Segnini,

    volevo chiederle un parere in merito agli ultimi sviluppi delle indagini e, in particolare, un commento in merito ai nuovi personaggi che ne sono emersi e mi riferisco in particolare a Vigilanti e Caccamo. Non ho trovato in rete informazioni a sufficienza per comprendere bene come si è arrivati all'individuazione di queste persone e quanto è probabile, secondo lei, l'apertura di un nuovo processo. Grazie

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  19. Buongiorno Sig. Segnigni. Ho riletto con attenzione e trovo l'ipotesi di G.Lotti unico mostro davvero plausibile. Già da alcuni anni seguo la vicenda del MDF e, sinceramente, ho sempre creduto all'ipotesi dell'assassino solitario e sempre rigettato tutta la questione dei compagni di merende, seppur unica verità giudiziaria. Ovviamente, tale singolo individuo, probabilmente contiguo all'ambiente dei sardi, è entrato in possesso della pistola e lo ha fatto proprio in relazione a tale contiguità. Ora, ciò che non riesco bene a focalizzare, nell'ipotesi di G.Lotti MDF, è come la pistola sia finita a suo tempo nelle sue mani. Secondo lei quale ipotesi potrebbe essere tenuta in considerazione? Grazie!

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    1. La vicenda va affrontata da due parti, da quella di Lotti e da quella dei sardi.
      Dalla parte di Lotti si può arrivare (io lo faccio) alla conclusione che il Mostro era lui attraverso il suo comportamento nell'inchiesta, i suoi legami con alcuni delitti (macchina rossa, conoscenza della piazzola di Vicchio) e delle sue caratteristiche compatibili.
      Dalla parte dei sardi si arriva alla conclusione che il delitto Locci-Lo Bianco è da attribuirsi a loro, con prove in questo caso inequivocabili.
      Il punto d'incontro si trova nella pistola che venne lasciata sulla scena del crimine di Signa e nel tizio che seguiva in motorino la Locci, e che quella sera la raccolse. Tizio che per forza, nelle ipotesi precedenti, non può essere stato che Lotti.
      Prove nessuna, indizi qualcuno. Possiamo essere ragionevolmente certi che nel 1968 Lotti andasse in giro in motorino, e la Locci aveva vissuto per tanti anni non troppo lontano da casa sua. Immaginare che Lotti avesse potuto invaghirsi della donna e seguirla senza trovare il coraggio di farsi avanti non è difficile.

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  20. La ringrazio per la risposta, come sempre chiara ed esauriente (..e mi scusi se nel commento precedente ho involontariamente scritto male il suo cognome!). Al di là della mancanza di prove, lo scenario da lei descritto appare senz'altro logico e plausibile. Anche l'ipotesi che lo stesso Lotti avesse potuto invaghirsi e seguire la Locci, non avendo il coraggio di farsi avanti, andrebbe a collimare bene con la personalità del soggetto, il quale potrebbe aver poi maturato comportamenti maniacali solo in seguito (a partire cioè dal 1974). Se non ricordo male poi, durante il processo ai compagni di merende venne fuori, in relazione alla frequentazione dei soggetti coinvolti con prostitute, che Lotti pare soffrisse d'impotenza, altro elemento caratteristico del profilo del mostro.

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    1. Il Mostro di Firenze era un lustmurderer sui generis, che uccideva e mutilava senza apparente godimento sessuale e senza seguire impulsi incontrollabili. L'ipotesi che fosse nato dalle suggestioni di una pistola recuperata dalla scena di un crimine spiegherebbe bene il perché.

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    3. Certo, anche Pacciani nel 1968 respirava, aveva due braccia e due gambe, però aveva anche una famiglia e Lotti no.

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  21. Sig. Marletti, con il massimo rispetto per la sua risposta, oltre alle sue puntuali e, per carità, sacrosante contestazioni, non credo appaia del tutto chiaramente quale sia, di fatto, il suo reale punto di vista sulla questione. In sostanza mi sembra che le sue risposte siano più mirate, ripeto, a contestare puntualmente le opinioni altrui piuttosto che ad alimentare un dialogo, e quindi un confronto, stimolante e proficuo, con gli altri interlocutori.

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  22. un lustmurder che uccideva solo una volta l'anno a cadenze prestabilite (estate). il delitto di lucca, che a mio avviso non c'entra niente, ci dimostra che le coppie vi erano anche d'inverno, persino in brutte condizioni climatiche. quindi se avesse voluto avrebbe potuto colpire anche al di fuori dell'estate, come ha fatto a calenzano. però chi pensa ancora al maniaco sessuale "classico", secondo me dovrebbe riflettere su tutti questi aspetti, il colpire sempre in provincia di firenze, nei luoghi dove sapevano che lo stavano cercando, a cadenze regolari, prestabilite sicuramente, come se non ci fosse nessun impulso sadico/sessuale da soddisfare a tutti i costi, come i veri lustmurder. tutto questo, insieme alla lettera alla procuratrice, e aggiungo io alle segnalazioni anonime dell'82, fa davvero pensare a qualcuno che più che soddisfare suoi impulsi psicotici, sfidasse l'autorità e gli inquirenti per divertimento, senso di rivalsa e un po' di misantropia. il fatto che fosse un assiduo lettore di ciò che veniva scritto su di lui mi pare fuori di dubbio. potrà anche essere una coincidenza ma nell'83 venne scritto un'articolo in cui veniva scritto che il mostro non colpiva il seno per questioni relative al suo rapporto con la madre, e puntualmente l'anno successivo iniziano le escissioni del seno. lo stesso delitto di baccaiano a mio parere fu un delitto d'impeto, arrivato in un orario diverso dai suoi soliti attacchi, forse mentre si dirigeva verso la sua abitazione dopo una sera di magra. ho sempre pensato che i ragazzi morti a baccaiano siano stati i più sfortunati di tutti, davvero morti per una questione di secondi. mentre negli altri casi è probabile che l'assassino aspettasse in zona l'arrivo delle vittime. per concludere tutto questo mi porta ad essere d'accordo con Antonio e a pensare che l'assassino non fosse un vero e proprio lustmurder, come aveva ipotizzato a suo tempo anche il De Gothia, di cui ricordo un passaggio che mi colpì molto, quando analizzava il fatto che l'assassino colpiva sempre nella stessa macro zona dove sapeva che lo stavano cercando, sarebbe potuto andare, che so, a livorno a siena a pisa a prato, magari erano luoghi che conosceva meno ma in cui l'allarme delle coppiette era sicuramente inferiore e i controlli delle forze dell'ordine meno pericolosi per lui. immagino che compiere delitti sotto il naso degli inquirenti fosse una delle sue massime gratificazioni, e siamo lontani da un impulso sessuale deviato o incontrollato.

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  23. Sono d'accordo con le osservazioni di Lorenzo relative alle caratteristiche del MDF e, in particolare, alla dinamica del delitto dell'82, dove chiaramente il mostro agì d'impeto, trovandosi in difficoltà e rischiando seriamente di essere scoperto. Accennando poi alla possibilità che il MDF potesse aver intercettato le povere vittime dell'82 rientrando verso casa, e al fatto che lo stesso colpiva sempre nella stessa macro-zona, senza voler andare fuori tema è qui interessante aprire nuovamente una piccola parentesi in merito alla possibile zona di residenza del mostro (ho già posto l'argomento in precedenza e ho trovato molto interessanti a riguardo le risposte di Antonio). Nel bellissimo libro di Cochi ("Al di là di ogni ragionevole dubbio") c'è una sezione dedicata all'analisi della geografia del mostro e, di conseguenza, alla possibile individuazione dell'area di residenza dello stesso (Mugello?). Mi piacerebbe a questo punto condividere un attimo l'argomento, raccogliendo un po' di pareri in merito tra i lettori di questo blog. Grazie.

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    1. Il profilo geografico, se ci limitiamo a considerare i personaggi noti, porta dritti a Pacciani (e infatti fu proprio uno degli elementi di sospetto a suo carico): in Mugello aveva abitato praticamente dalla nascita ai primi anni Settanta.
      Si era poi trasferito nella Val di Pesa, dove il mostro concluse le sue tristi imprese un decennio più tardi.
      Direi che la residenza del mostro, all'epoca dell'ultimo duplice omicidio, era con ogni probabilità proprio nella zona di San Casciano. La decisione di spedire in Mugello la busta col reperto anatomico e quella di uccidere a Vicchio l'anno prima furono probabilmente dovute all'intenzione di ingannare gli inquirenti, allontanandoli dal luogo di residenza del mostro e indirizzandoli nella zona sbagliata, il Mugello per l'appunto.
      Sia Pacciani che Lotti (e anche Vanni ovviamente) abitavano nel comune di San Casciano.
      Se è vero quello che Lei ha scritto in un commento più sopra, ovvero che i serial killer iniziano ad uccidere in zone a loro familiari, a rigor di logica i sospetti portano di nuovo a Pacciani, che conosceva perfettamente quella parte del Mugello che si estende tra le campagne di Borgo e Vicchio (Rabatta 1974).

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    2. E però nel caso, davvero remoto e poco probabile, che il mostro fosse Pacciani, la decisione di indirizzare gli inquirenti verso il Mugello sarebbe stata davvero un clamoroso autogol, visto che Pacciani lì aveva già ucciso, era conosciutissimo, e uno dei tanti strampalati elementi che gli venivano contestati era proprio il fatto che fosse originario del Mugello. Paradossalmente avrebbe indirizzato gli inquirenti verso la zona giusta, non quella sbagliata. Mi sembra davvero improbabile come ipotesi, come quella di un mostro sardo implicato nel '68 che indirizza gli inquirenti verso quel delitto con le lettere anonime.

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    3. Sono considerazioni logiche, ma gli assassini agiscono sempre in modo razionale?
      Per Pacciani sarebbe stato un autogol davvero clamoroso uccidere in Mugello come imbucare lì la lettera se avesse subito una perquisizione o un interrogatorio prima del 1985. Sappiamo però che l'anomalo innesco dell'indagine su Pacciani avvenne, tramite la lettera anonima, subito dopo Scopeti. Non sarebbe poi così assurdo se Pacciani, ammesso che fosse lui l'assassino, avesse pensato di portare fuori strada gli inquirenti ritenendosi fuori pericolo, essendo le indagini tutte orientate sulla pista sarda.
      Per altro il comportamento di Pacciani, comunque la si pensi, non sembra esente da maldestrezza o masochismo (per esempio nelle vicende del block notes e della cartuccia).

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    4. Grazie Kozincev. Personalmente non credo nella colpevolezza di Pacciani. In ogni caso ritengo sia molto interessante e coerente la sua analisi. Il fatto che in molti casi i serial killer iniziano ad uccidere in zone a loro familiari, è riportato sul già menzionato libro di Cochi, nella stessa sezione dedicata appunto alla "geografia" del mostro.

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    5. Però c'è sempre questa ambivalenza da parte di chi ritiene Pacciani colpevole. Considerato diabolico, scaltro, intelligente, addirittura abile manipolatore. E poi ci si gira dall'altra parte quando avrebbe commesso degli errori cosi marchiani e stupidi, come indirizzare gli inquirenti nel suo paese natale, dove peraltro aveva già ucciso. E si giudica masochismo il fatto che si sarebbe interrato la cartuccia da solo dentro il proprio giardino, un'azione davvero senza alcun senso apparente, o non avrebbe distrutto il block notes nonostante le prime perquisizioni non lo avessero notato. Non so Kozincev, a me sembra che voi, in base agli avvenimenti ipoteticamente avvenuti, adattiate di volta in volta la personalità dello stesso Pacciani ad essi. Quello da te descritto non è masochismo, è follia. Stupidità, o voglia di andare in galera. A questo punto perchè non teorizzare che l'asta guidamolla l'abbia inviata lui stesso per incastrarsi? Per concludere, noto in voi accusatori di Pacciani un certo giudizio ambivalente nei suoi confronti, diabolico e scaltro criminale, ma anche stupido ingenuo maldestro e masochista. Non sarà che in realtà questi giudizi servono a far tornare dei conti che non tornano? Sarà anche vero che gli assassini non agiscono sempre in modo razionale, ma dopo le perquisizioni dell'85 chiunque avrebbe bruciato il blocco, qualora fosse appartenuto alle vittime, e avrebbe fatto sparire pistola e munizionamento, non certo interrandosi una cartuccia difettosa nell'orticello della propria casa. Inoltre chi ritiene Pacciani colpevole ha sempre sostenuto che i delitti siano finiti nell'85 a causa delle perquisizioni. Questo non mi sembra un comportamento masochista, anzi.

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    6. L'autolesionismo di Pacciani a me appare evidente in molte situazioni. Faccio alcuni esempi:
      - block notes: per quale motivo Pacciani, se l'oggetto lo aveva raccolto in una discarica (cosa che io ritengo possibile), ha trascritto in bella copia degli appunti risalenti al 1980 e 81? Non avrebbe avuto niente da temere se il blocco non lo aveva sottratto ai tedeschi dopo averli uccisi. Non gli conveniva lasciarlo intonso?
      - cartuccia: fu Pacciani ad allertare Perugini sul gingillo. Fatto sta che quando la cartuccia fu poi davvero trovata, Pacciani aveva dimenticato che la visita dei detenuti lo aveva messo in allarme, non facendone più cenno. Non è strano?
      Per non parlare poi delle perquisizioni, in particolare di quella che subì in carcere. Pacciani sapeva che Perugini gli stava addosso da quasi due anni. Al momento di lasciare la cella, lascia in bella vista servizi giornalistici sulla vicenda del mostro, articoli sui serial killer ritagliati e sottolineati tra i quali la bella storia di un uomo che aveva cucinato il seno della moglie...
      Francamente, pur non avendo le certezze di Marletti, ritengo Pacciani molto più credibile come assassino delle coppiette degli altri personaggi noti, compreso Lotti, la cui biografia è avvolta nel mistero. Sull'ambivalenza dei comportamenti di Pacciani, a volte scaltri a volte masochisti, ha ragione Franciotti; questo però non dimostra né la sua innocenza né la sua colpevolezza.

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    7. Riguardo al block notes, sul quale si discute da anni, una spiegazione plausibile è quella data da Antonio nei suoi articoli, cioè che Pacciani non l'ha distrutto perchè non era delle vittime e semplicemente non voleva privarsene. Sul fatto che non avrebbe avuto nulla da temere non sono assolutamente d'accordo, l'atmosfera dell'epoca era quella che era, Pacciani aveva capito benissimo che gli inquirenti avrebbero fatto di tutto pur di incastrarlo, probabilmente era diventato paranoico, ma era una paranoia giustificatissima. Per quanto riguarda il "gingillo" poteva essere qualsiasi cosa, nella mente di Pacciani, sei così sicuro che riguardasse una cartuccia serie h calibro 22 difettosa e inesplosa? Oltre ai detenuti, all'epoca in molti gironzolavano attorno alle indagini e alla vita di Pacciani, strani personaggi, giornalisti, pittori, scrittori, investigatori, faccendieri. La cosa che francamente mi sconvolge è che gli inquirenti non abbiano mai nemmeno preso in considerazione l'ipotesi, altamente probabile, che quella cartuccia fosse un plateale inquinamento delle indagini. Per quanto riguarda le letture di Pacciani non saprei cosa dire, voleva documentarsi per capire di cosa lo accusavano? Voleva capire cosa gli inquirenti credevano che fosse? Tra l'altro bruciare giornali in carcere non credo sia così semplice. A me questo non sembra affatto autolesionismo, ma comportamenti di un uomo che si trova suo malgrado implicato in una situazione enormemente più grande di lui e che cerca di difendersi come può. Sono d'accordo che gli essere umani possono essere ambivalenti, avere dei comportamenti dannosi per loro stessi. Ma i comportamenti vanno rapportati alla posta in gioco. Qui non parliamo di litigi fra ragazzini o tradimenti sentimentali fra adolescenti, non si tratta dell'autolesionismo di chi, comportandosi male, rischia di perdere un amore o un'amicizia e poi quando è troppo tardi se ne pente. Parliamo di 16 omicidi, come diceva Ognibene. Questi comportamenti, se fatti da un colpevole, sarebbero folli. Siamo ben oltre l'autolesionismo. Secondo te Pacciani avrebbe indirizzato le indagini verso il Mugello, addirittura a Vicchio, suo paese natale, e zona dove aveva già ucciso. Avrebbe smesso di uccidere dopo le perquisizioni però si è tenuto cartuccia e quaderno. Avrebbe messo le mani avanti con Perugini prima della scoperta della cartuccia, e invece di bruciare il blocco lo avrebbe inquinato per retrodatarlo all'83. Non è un po' troppo? Specialmente per un personaggio descritto, soprattutto dai suoi accusatori, come scaltro intelligente diabolico manipolatore?

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    9. Quello che intendevo dire è che il comportamento di Pacciani appare in ogni caso anomalo (anche qualora fosse stato innocente) e non se ne può concludere granché.
      Ricopiando gli appunti sul block notes, per esempio, ha fornito un valido sostegno al colpevolismo dei giudici. Ed è vero, come ha ricordato Marletti, che la tesi dei legali di Pacciani era che l'imputato avesse fatto le annotazioni nel 1980 e '81. Questa spiegazione, a mio avviso assurda, fu accolta da Ferri.
      Se è vero che le stoffe che avvolgevano l'asta guidamolla provenivano dalla casa delle figlie, la cartuccia fu trovata nell'orto di via Sonnino, dove Pacciani poteva controllare i movimenti di chi vi accedeva. Se fosse stata nascosta prima della scarcerazione di Pacciani, l'avrebbe trovata lui stesso nei mesi successivi.
      Sul fatto che sarebbe stata una follia per Pacciani uccidere dove era nato e conosciuto, non sono molto d'accordo. I delitti precedenti erano stati commessi nella zona a sud, sud-ovest di Firenze. Probabilmente quelle aree erano molto più presidiate.
      Inquirenti e forze dell'ordine non hanno dato grandi dimostrazioni di intelligenza. Senza l'aiuto degli anonimi, nessuno avrebbe collegato i delitti del mostro con Signa, e Pacciani non sarebbe stato perquisito dopo Scopeti.
      Il profilo geografico, pur non valendo nulla come indizio, rimane a mio avviso un elemento suggestivo e molto più concreto dei profili criminologici.

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    10. A me sembra che voi continuiate a vedere solo quello che volete vedere. L'asta guidamolla non vale nulla, è una frode processuale, riconosciuta dalla stessa procura. Il colpevolismo dei giudici, in realtà si è applicato, nei confronti del solo Pacciani, solamente nella sentenza Ognibene, sul quale non intendo più discutere perchè è noto il mio giudizio in proposito. Le annotazioni effettivamente riguardavano avvenimenti accaduti in quegli anni, al massimo ci si può vedere furbizia, per una volta sono d'accordo con Marletti, non certo masochismo. Il tema era questo, il presunto masochismo di Pacciani, che per quanto mi riguarda non si è mai manifestato. La cartuccia poteva benissimo essere stata messa durante il suo periodo di carcerazione, non mi stupirebbe affatto. Ma potevano tranquillamente metterla anche dopo. Pacciani non poteva controllare h24 chi entrava nell'orto di casa sua, specie nel periodo delle perquisizioni, con decine di persone che gli rivoltavano l'abitazione. A sentire te Kozincev pare che se uno vive in una casa, automaticamente nessuno può penetrarvi, a questo punto non ci sarebbero più rapine. Anche qui, l'ennesima forzatura per far tornare dei conti che non tornano assolutamente. Infine sarebbe stato un clamoroso autogol indirizzare gli inquirenti nel Mugello, non solo commettendo lì 2 duplici omicidi, ma addirittura sfidando la procura con la lettera. Tu hai scritto che Pacciani avrebbe indirizzato gli inquirenti nel Mugello per sviare le indagini da San Casciano. Ovvero li avrebbe condotti nel suo paese natale e in una zona dove aveva già ucciso. Un comportamento folle e francamente stupido. Che non combacia affatto con tutto quello che sappiamo su Pacciani. Le aree del sud-ovest molto più presidiate? Eppure mi sembra che il responsabile, o i responsabili, dei delitti precedenti non avevano avuto molte difficoltà. Ricordiamo che il delitto precedente era avvenuto proprio nel Mugello. E i controlli potevano, anzi sicuramente c'erano, anche li. Il profilo geografico sono d'accordo che non vale nulla come indizio, anche se è stato uno dei capisaldi delle strampalate accuse contro Pacciani. Ma non vedo perchè dovrebbe essere più concreto dei profili criminologici. Anche qui Kozincev, ancora una volta, a mio avviso, c'è da parte vostra la volontà di vedere solo quello che fa più comodo. Eppure Canessa e Ognibene fecero un gran parlare del tipo d'autore...Per come la vedo io, chi uccideva non aveva nessun rapporto biografico con il Mugello, e la lettera imbucata proprio lì, oltre che due delitti fra i più efferati, dimostrano la sicurezza del soggetto di potersi muovere indisturbato evidentemente perchè non aveva paura di essere riconosciuto nella zona. Pur conoscendola per altri motivi. Lotti sappiamo che conosceva Vicchio per le sue attività di guardone. Eppure questo elemento viene sottovalutato. Non si hanno notizie di Pacciani in giro con prostitute per le piazzole dei delitti. Questo non vuol dire che Lotti sia colpevole, ci mancherebbe. Ma è interessante notare come ogni minimo dettaglio nei confronti di Pacciani sia stato enormemente ingigantito dagli inquirenti, e molti altri siano stati tralasciati. Un elemento su tutti. C'è una letteratura sterminata sulle presunte abilità di Pacciani impagliatore, cacciatore, scuoiatore...E poi viene fuori che le escissioni le faceva il postino alcolizzato con il coltello da cucina trovato nel forno...Forse questo Pacciani non era proprio quel personaggio eccezionale che volevano farci credere.

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    11. Io ho fatto una distinzione tra l'asta guidamolla e la cartuccia. Che qualcuno potesse prelevare dei pezzi di stoffa dall'abitazione delle figlie è possibile; mi sembra più difficile che potesse nascondere una cartuccia nell'orto di via Sonnino senza che il padrone di casa, diffidente e ipersospettoso, se ne accorgesse. Prima della scarcerazione a mio avviso non può essere accaduto, perché Pacciani l'avrebbe trovata prima di Perugini.
      Se posso permettermi una critica, a me pare che tu commetta l'errore opposto: l'innocenza di Pacciani è una certezza da cui derivano tutti i tuoi ragionamenti.
      Ovviamente è possibile che quelle geografiche siano solo delle sfortunate coincidenze per Pacciani; ma non capisco perché non potesse recarsi in Mugello, dopo che i delitti erano avvenuti in molte altre zone, con gli inquirenti che agivano nella più totale confusione, tra piste sarde e suggestioni di ogni tipo.
      In realtà la Sperduto sosteneva di essersi appartata molte volte con Pacciani nella piazzola degli Scopeti o comunque in quella zona. Può darsi che sia vero, io non lo so.
      Lotti è un personaggio sospetto anche secondo me, ma purtoppo della sua vita sappiamo pochissimo: per esempio, che all'epoca del delitto del '74 (a mio avviso l'esordio del mostro), non aveva la patente. Non so se frequentasse già il Mugello, ma con la macchina sarebbe stato molto più comodo fare viaggi di 60-70 km, come faceva negli anni Ottanta.
      Personalmente non credo che Vanni praticasse le escissioni, anche se non mi piace dare nulla per scontato.






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    12. Sempre in ritardo, ma ahimè ho cominciato la lettura sistematica del blog solo con la quarantena, torno un attimo sul profilo geografico con due osservazioni.
      La prima è, come è già stato detto, che non solo non è la bibbia, ma è pure meno affidabile di altre forme di profilazione.
      La seconda è che comunque stiamo parlando del niente, perché molti dei profili geografici citati sono raffazzonati e dilettanteschi, addirittura fatti non solo senza applicare ma addirittura senza neanche conoscere l'esistenza di strumenti basilari come l'equazione di Kim Rossmo. E infatti l'unico profilo geografico fatto bene (quello di Emanuele Sant'Andrea) punta a Scandicci e non nel Mugello. Whoops!
      Tanto vi dovevo!
      (E devo anche un ringraziamento cumulativo ad Antonio sia per gli articoli che per i documenti che per, in generale, il suo titanico lavoro).

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  24. Sig. Marletti la ringrazio per la sua cortese risposta e per aver ribadito il suo rispettabilissimo e legittimo punto di vista. Condivido con lei che i profili criminologici, seppur stilati da specialisti, si fondano su ipotesi e per questo potrebbero non essere sempre esatti. Per quanto riguarda invece l'ipotesi di Pacciani MDF, più che l'incompatibilità con i profili criminologici ipotizzati, ciò che nel tempo è parso forse più evidente, sintetizzando al massimo, riguarda l'inconsistenza e la dubbia autenticità di numerose "prove" contro l'imputato, anche di quelle considerate "fondamentali", come ad esempio la famosa pallottola nell'orto, l'asta guida-molla della Beretta, etc. Grazie

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  25. Mi collego a Kozincev in merito al fatto che Lotti, nel '74, non aveva la patente. Mi colpisce come dalla ricostruzione della dinamica dell'omicidio avvenuto nello stesso anno (riportata in questo blog), sembra plausibile ipotizzare la fuga dell'assassino, dalla scena del crimine, a bordo di un ciclomotore (con particolare riferimento al probabile lancio della borsetta della vittima, da parte dell'assassino, compatibile, come traiettoria e modalità, ad un soggetto in movimento su un ciclomotore appunto). Trattasi di un'osservazione priva di qualsiasi valore, ovviamente, ma senz'altro suggestiva. Non mi è poi del tutto chiaro se Lotti abbia sempre abitato a San Casciano, anche durante gli anni '70.

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  26. Il profilo geografico è più concreto dei profili criminologici...
    In effetti sono d’accordo sulla non rilevante consistenza del profilo geografico ove lo si utilizzi per capire il luogo di provenienza /residenza del Mostro.
    Ma c’ è una prospettiva che a me pare più interessante. Il Mostro ha colpito in due distretti fondamentalmente: Val di Pesa e Mugello (Borgo e Vicchio), unica eccezione Calenzano (Prato). In Val di Pesa sembra - dalle evidenze disponibili quantomeno - che ci sia un presidio (una rete direi) più capillare e più dei luoghi , piuttosto che delle coppie da colpire: a Mosciano la coppia uccisa era in auto parcheggiata vicino a una discoteca in zona da sempre frequentata da doppiette e guardoni, l’anno successivo con la mostro-fobia ormai dilagante dopo il duplice delitto di Calenzano (all’epoca ero studente universitario a Siena e ne sono testimone diretto) la strada Cerbaia - Baccaiano era diventata luogo per ”coppiette” amoreggianti in auto proprio perché era trafficata e si pensava che lì il Mostro avrebbe soprasseduto dall’attaccare, poi i successivi due duplici delitti in Val di Pesa sono stati fatti ai danni di stranieri, ignari del pericolo mortale di quella zona del chiantigiano, quindi occasioni per il Mostro (ma che presuppongono con buona probabilità una rete di “guardia” un presidio dell’area, visto che le coppette ovviamente scarseggiavano per il terrore diffuso). Nei duplici delitti commessi al di fuori della Val di Pesa (due in Mugello a distanza di dieci anni l’uno dall’altro, uno a Calenzano) vi invece sono indizi che le vittime (femminili) degli attacchi del Mostro siano state seguite e forse addirittura avvicinate da questi prima dell ‘assalto mortale. Erano in sostanze vittime mirate, programmate.
    L’analisi del profilo geografico in sostanza sembra suggerirci l’esistenza di una sorta di organizzazione, articolata (io credo secondo diversi livelli in base al livello di consapevolezza su ciò che stava accadendo)in Val di Pesa, una max. due persone in Mugello, che segnalavano persone (ragazze) “selezionate”.

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  27. Scusa Antonio ma tecnicamente, parlando di sentenze, cosa significa di preciso "annullata con rinvio"?

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    1. Grazie per la fiducia, ma chiedi a uno che ne sa poco più di te. In ogni caso, a quanto ho capito, la cassazione può annullare una sentenza viziata da errori senza poterla però ridefinire, e allora chiede un nuovo giudizio (rinvio), oppure può già ridefinirla e allora decide direttamente (senza rinvio). Nel primo caso pensa per esempio al non ascolto di un testimone, che la cassazione imporrà di ascoltare senza poter però stabilire il peso della sua testimonianza nel giudizio, e allora rinvia. Oppure potrebbe esserci stato un problema di omonimia, e allora un nuovo giudizio risulta inutile, e la cassazione annulla senza rinvio, dichiarando la persona innocente.

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  28. Mi chiedo un imputato che risulta colpevole ma poi la sentenza viene annullata con rinvio come risulta la sua posizione? Che casino che è la giustizia italiana... comunque grazie. Provo a chiederlo a Omar.

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    1. La sua posizione rimane la stessa di primo grado, finché non viene svolto il nuovo appello.

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