domenica 28 ottobre 2018

La dinamica di Signa

In questa terribile vicenda di delitti feroci e indagini dissennate si finisce per tornare sempre là, a Signa, nella notte a cavallo tra il 21 e il 22 agosto 1968, dove tutto sembra aver avuto origine. Sull’uccisione di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco si è discusso miriadi di volte, nella vana speranza di chiarire il mistero del passaggio della pistola, se vi fu o non vi fu, e se sì da chi a chi e in quale modo. Le ipotesi e le domande sono sempre le stesse. Già in quel lontano delitto esordì il futuro Mostro di Firenze, quindi la pistola è sempre rimasta in mano a lui? Oppure a uccidere furono i familiari, tra cui il marito, e gli amanti della donna? In questo caso uno di loro avrebbe tenuto la pistola diventando il Mostro oppure, dopo il delitto, subito o anche a distanza di anni, ne entrò in possesso un misterioso personaggio esterno, a loro insaputa e a loro sconosciuto? Infine, non sarà magari che il Mostro riuscì a depistare le indagini creando un falso legame dei propri delitti con quello di Signa?
Molte altre domande sui fatti del 1968 e su quelli da essi derivati attendono risposta, che naturalmente chi scrive non si illude certo di poter dare, almeno non in questo articolo, i cui confini sono limitati a un tentativo di ricostruzione della pura dinamica del delitto. Ma il lettore si renderà conto che proprio dallo studio della dinamica, a dire il vero sempre molto trascurato, potrà arrivare un grande aiuto per escludere – o quantomeno rendere poco plausibili – alcune ipotesi privilegiandone altre.
Solo qualche parola per sintetizzare una vicenda ormai conosciutissima. Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, entrambi sposati e amanti da pochissimo tempo, forse addirittura da quella stessa sera, vennero uccisi a pistolettate mentre erano appartati nell’auto di lui, dopo essere appena usciti da un cinema di Signa. Sul sedile posteriore dormiva Natalino, di sei anni e mezzo, figlio della donna, che alle due di notte suonò il campanello di un’abitazione posta a più di due chilometri dal luogo del delitto, raccontando agli attoniti padroni di casa di essersi svegliato trovando la mamma e lo “zio” morti, e di aver camminato a lungo da solo nel buio della notte. Ai piedi, che non erano feriti, portava soltanto i calzini. Dopo l’intervento di un carabiniere, di piantone in una vicina caserma, il bambino fece da guida e consentì di rintracciare l’auto, al cui interno giacevano davvero i cadaveri dei due amanti.
Prima di proseguire, un ringraziamento all’avvocato Vieri Adriani per i documenti che mi ha messo a disposizione, tratti dal proprio archivio.

Scena del crimine. L’Alfa Romeo Giulietta di Antonio Lo Bianco era ferma lungo una sterrata che, costeggiando il torrente Vingone, portava da Signa a Sant’Angelo a Lecore. L’immagine sottostante rende bene l’idea del percorso effettuato dall’auto, circa 150 metri, dopo aver imboccato la via del delitto provenendo dalla strada asfaltata a destra.


Delle quattro portiere tre furono trovate chiuse, ma non a chiave, e una, la destra posteriore, socchiusa; il finestrino anteriore sinistro era aperto per tre centimetri, quello posteriore per metà e i due a destra chiusi. Questo secondo il verbale di sopralluogo – peraltro redatto qualche giorno dopo, il 25 – ma le foto di quella notte ci restituiscono l’immagine di una portiera posteriore destra quasi spalancata e del corrispondente finestrino aperto per metà. E se prima delle foto la portiera potrebbe essere stata aperta dai carabinieri per un controllo all’interno dell’abitacolo, pare poco plausibile che analoga operazione fosse stata compiuta sul finestrino.



Vediamo adesso la posizione dei cadaveri. Quello di Lo Bianco era steso sul sedile del passeggero reclinato, i pantaloni sbottonati ed entrambe le mani atteggiate a ricomporsi.


L’immagine ci consente di intravedere tra il sedile anteriore destro e la relativa portiera il borsello della Locci, del tipo a scatto e aperto, nel quale furono rinvenute quasi 25 mila lire, e sul pianale posteriore una ciabatta, forse della donna, i cui piedi erano infatti scalzi, oppure del bambino (ma si legge nella sentenza Rotella: “Tra il sedile anteriore e quello posteriore sono anche scarpe infantili, attribuite a Natalino”).
Il cadavere di Barbara Locci giaceva sul sedile di guida, in una posizione che non era quella originaria, come dimostravano le ferite di proiettile alla schiena appoggiata allo schienale normalmente rialzato. Una catenina trovata in due pezzi, uno a terra e l’altro ancora attaccato al collo della poveretta, costituiva ulteriore prova dell’avvenuto spostamento (interrogatorio di Stefano Mele del 23 agosto 1968: “Afferrai mia moglie per le vesti e la feci ritornare in posizione seduta”).


Nella foto sottostante è possibile apprezzare l’intreccio tra la gamba sinistra dell’uomo e la gamba destra della donna – della quale s’intravede la punta del piede nudo in basso a destra. Si tratta di uno dei particolari che Stefano Mele riferì agli inquirenti e che quindi avvalora l’ipotesi della sua presenza sulla scena del crimine, in questo caso durante l’azione di aggiustamento dei cadaveri.


Bossoli e proiettili. In tutto vennero recuperati cinque bossoli, tre sul lato sinistro dell’autovettura, due all’interno, tra seduta e schienale del divanetto posteriore. Nell’immagine sottostante, tratta da una ripresa televisiva del fascicolo fotografico, vediamo i tre esterni.


Anche se non di buona qualità, le quattro immagini successive fanno apprezzare meglio la posizione dei tre bossoli, situati a circa un metro dalla fiancata, tra la fine della portiera anteriore e la fine della ruota posteriore.


Ecco invece i due bossoli sul divanetto. Vedremo che è importante la loro reciproca posizione uno vicino all’altro.


Riguardo i proiettili, ne venne recuperato uno dal pavimento dell’auto, nello spazio tra sedile anteriore destro e divanetto, uno dai vestiti della donna, caduto a terra al momento della deposizione del corpo sulla barella. Nella foto sottostante è visibile quello sul pavimento.


Altri tre proiettili furono estratti dai corpi delle vittime, due da quello della donna e uno da quello dell’uomo; con i due non estratti dal corpo di Lo Bianco – che evidentemente l’anatomopatologo non ritenne opportuno cercare troppo – arriviamo a sette (quindi almeno due bossoli andarono perduti, ma vedremo che furono tre).

Le ferite. È opportuno premettere che sui due poveretti furono riscontrate soltanto ferite da arma da fuoco – niente coltello, insomma. Barbara Locci venne colpita da quattro proiettili, tutti entrati da tergo: tre con traiettoria molto simile, da sinistra verso destra, tra dorso (1 e 2) e fianco sinistri (3), uno (7) con traiettoria da destra verso sinistra alla spalla sinistra.


Con quasi certezza i proiettili 1, 2 e 3 vennero sparati in rapida sequenza, ma non possiamo sapere con quale progressione, qui assegnata a caso. Quello indicato con il numero 1, immediatamente mortale, attraversò il cuore e i polmoni poi fuoriuscì non lontano dalla mammella destra, gli altri due, più bassi, lesero fegato e pancreas arrivando fino in zona ombelicale, uno uscendo, uno rimanendo sotto pelle da dove venne estratto in sede di autopsia. Senz’altro i due proiettili fuoriusciti furono quelli ritrovati uno sul pavimento, uno tra le vesti della donna. Probabilmente anche quello sul pavimento in origine si trovava tra le vesti, da dove era caduto durante l’operazione di spostamento del corpo successiva al delitto.
La traiettoria del proiettile che colpì Barbara Locci alla spalla sinistra, opposta a quelle degli altri tre, può significare molte cose, che più avanti vedremo. Intanto è il caso di sgomberare il campo da un dubbio suscitato da un articolo comparso di recente sul blog dell’amico Omar Quatar (vedi), teso a dimostrare che i colpi sparati furono sette, e non gli otto da sempre ipotizzati in parziale accordo con le dichiarazioni di Stefano Mele, che quindi andrebbero a perdere uno dei loro punti di forza. Nell’articolo un professore universitario di cose mediche, Claudio Ferri, sulla base delle sparse e scarse informazioni a lui disponibili – essenzialmente la perizia De Fazio, la deposizione di Biagio Montalto che aveva eseguito l’autopsia (vedi) e la perizia balistica Arcese-Iadevito – afferma di ritenere molto probabile che tale proiettile avesse incontrato qualche ostacolo prima di entrare nella spalla della donna, poiché ivi avrebbe compiuto un percorso di pochi centimetri senza incontrare strutture ossee, con il che non se ne spiega la forte deformazione riscontrata dalla perizia balistica. In effetti i due proiettili fuoriusciti e quello estratto dalla zona ombelicale erano più o meno completi, con un peso all’incirca di 2,5 grammi, mentre quello estratto dalla spalla, con un peso di 1,9 grammi, no.
Chi scrive ha la disponibilità della relazione autoptica redatta da Montalto (scaricabile qui, ma purtroppo mancante di una pagina), dove si legge:

[...] si osserva che alla soluzione predetta [il foro] fa seguito un tramite nel sottocute che si prolunga con semicanale a doccia sulla faccia posteriore della testa dell'omero, con successiva perforazione imbutiforme svasata verso il basso della cavità glenoidea e ritrovamento di un proiettile di revolver molto deformato situato in prossimità dell'apofisi coracoide.

Nonostante il linguaggio un po’ criptico per i non addetti ai lavori, si comprende che il proiettile qualche struttura ossea dovette averla incontrata – o la testa dell’omero o la scapola – arrivando poi nella zona dell’apofisi coracoide che si trova oltre, come mostra l’immagine sottostante.


Quindi la deformazione del proiettile sembra giustificarsi anche per il solo percorso nella spalla della donna; del resto – ma ciò di per sé non dimostra nulla, beninteso – di quella deformazione Montalto nel proprio scritto non pare stupirsi.
Nelle immagini sottostanti sono apprezzabili i sei fori di proiettile sul corpo di Barbara Locci, quattro di entrata sul lato dorsale, due di uscita sul lato ventrale.


Veniamo adesso alle ferite riscontrate sul corpo dell’uomo, il cui esame autoptico venne eseguito da Massimo Graziuso (vedi deposizione).


Antonio Lo Bianco venne colpito sul lato sinistro da tre proiettili (4,5,6), tutti con analoga traiettoria leggermente dall’alto verso il basso e dal davanti al dietro (perizia De Fazio: “La traiettoria è teoricamente dall'alto verso il basso, da sx. verso dx. e in senso lievemente anteroposteriore”), che trapassarono il braccio sinistro e poi entrarono nel fianco senza fuoriuscire, ferendo polmone sinistro, stomaco e milza. Non venne colpito il cuore, quindi le ferite, comunque mortali, non determinarono una morte istantanea (relazione di Graziuso, scaricabile qui: “La morte è sicuramente avvenuta entro breve tempo dal ferimento”).
Un quarto proiettile colpì Lo Bianco in modo superficiale all’avambraccio sinistro, trapassandolo. Nell’articolo già citato il professor Ferri formula l’ipotesi che fosse stato questo l’ostacolo che aveva deformato il proiettile prima del suo ingresso nella spalla di Barbara Locci. Ma ciò non è possibile, poiché il tramite nell’avambraccio dell’uomo fu minimo, e interessò soltanto tessuti molli. Infatti, a proposito della relativa ferita, si legge nella relazione Graziuso (della quale Ferri, è bene ribadirlo, non disponeva): “[...] all'unione fra il 3° superiore e il 3° medio si osservano due soluzioni di continuo della cute, strettamente ravvicinate tra loro e con un intervallo di cute libera di circa un centimetro [...] tra loro riunite da un tramite a sede sottocutanea [...]”.
Nell’immagine successiva si possono apprezzare alcuni dei fori di proiettile riscontrati sul corpo di Antonio Lo Bianco.


Precedenti ricostruzioni. Chi scrive non è in possesso della mitica perizia balistica di Innocenzo Zuntini, nella quale dovrebbe essere contenuta una sommaria ricostruzione del delitto. A essa comunque si rifanno i sintetici cenni alla dinamica contenuti nei due documenti che è possibile scaricare qui e qui. Il primo è la richiesta di rinvio a giudizio di Stefano Mele avanzata il 30 settembre 1969 dal giudice istruttore Antonio Spremolla. Vi si legge, in una strana prosa dal sapore molto arcaico:

Secondo le resultanze della generica per primo venne colpito il Lo Bianco Antonio nell'atto di sollevarsi dal sedile della macchina, il primo colpo lo avrebbe ferito mentre i tre successivi gli avrebbero provocato lesioni mortali che il perito settore individuò per lesioni polmonari e spleniche con emorragia pleurica peritoneale provocate da colpi d'arma da fuoco esplosi a distanza non vicinissima con traiettoria dall'alto al basso e da sinistra verso destra.
Seguì il ferimento della Locci Barbara a mezzo del primo colpo di pistola che la raggiunse alla spalla fermandosi in cavità scapolare, esso immobilizzò la donna che si rovesciò sul fianco destro esponendo all’arma la faccia posteriore dell'emitorace sinistro raggiunto da un secondo colpo con traiettoria dal basso verso l'alto [che] lese delicati visceri godendosi di effetto mortale per la vittima che venne in analoga regione raggiunta da altri due colpi.
Queste resultanze consentono di ritenere come gli otto colpi siano stati esplosi (tutti per traccia dei bossoli esplosi dalla stessa arma) filando alla sinistra dell'auto attraverso prima lo spiraglio offerto dal vetro abbassato della portiera posteriore e poi eventualmente dalla portiera anteriore aperta dall'autore degli spari.
Il meccanismo di esecuzione degli spari rimane quindi attribuibile all’opera di una sola persona; acquistando incidenza l'eventuale cooperazione di un compartecipe solo al fine di coadiuvare ed assistere l'azione materiale del singolo esecutore.


Il secondo documento è il vero e proprio rinvio a giudizio formulato dal consigliere istruttore Gian Gualberto Alessandri il successivo 6 novembre. Vi si legge:

Veniva successivamente disposta perizia balistica, la quale, sulla base della particolare conformazione dei fori di entrata delle pallottole, accertava: 1) che i cinque bossoli rinvenuti e gli altrettanti proiettili repertati erano stati esplosi da una unica pistola calibro 22 non ancora rintracciata, vecchia, arrugginito ed usurata: 2) che i colpi che avevano raggiunto il Lo Bianco era[no] stati sparati da una distanza di 1,50 m. circa attraverso i vetri della parte sinistra dell'auto mentre la vittima si trovava sdraiata supina sul sedile anteriore destro, la cui spalliera era stata abbassata: 3) che la Locci inizialmente in parte sopra il Lo Bianco, aveva tentato di uscire dallo sportello anteriore sinistro ed in tale manovra era stata colpita, con proiettili esplosi alla distanza di circa un metro, prima alla spalla sinistra indi, ritrattasi verso destra, alla schiena sempre sul lato sinistro.

Il recente libro di Valerio Scrivo, Il Mostro di Firenze esiste ancora, riprende la dinamica deducibile dalle due citazioni precedenti. Ecco la sua sintetica ricostruzione:

Le vittime si accingevano all’atto amoroso quando sono state assalite. L’uomo era sdraiato sul sedile del passeggero e la donna su quello del guidatore. La ghiaia deve aver provocato rumore poiché Lo Bianco stava per rialzarsi i pantaloni quando viene letteralmente freddato dai colpi che l’SI spara con il braccio all’interno dell’abitacolo. A quel punto la donna tenta una disperata fuga ma l’SI gli si para davanti, lei si gira verso lo sportello del passeggero offrendo le spalle al tiratore che spara tutti i colpi sul dorso della donna.


La figura allegata, che qui sopra si riporta, aiuta a capire meglio il limite più grosso di tale ricostruzione: Antonio Lo Bianco venne colpito sul fianco sinistro da tre proiettili tutti con traiettoria da sinistra a destra secondo l’asse longitudinale del corpo, quindi da uno sparatore che si trovava nella posizione 2, davanti al finestrino anteriore. Diventa quindi inutile andare a cercare altre pecche, che in ogni caso ci sono, soprattutto nella dinamica del ferimento della donna.
Anche Francesco De Fazio, coadiuvato da Ivan Galliani e Salvatore Luberto, si cimentò con la dinamica del delitto. Nella sua nota perizia del 1984, scaricabile qui, si legge:

L'insieme dei colpi e delle traiettorie suggerisce l'ipotesi di un unico polo d'azione dell'omicida (posto fuori dell'auto presso la fiancata sx.) e per la vittima l'ipotesi di una reazione da fuga o da riparo.
La portiera anteriore dx. chiusa farebbe però escludere un tentativo di fuga realizzato fin fuori dall'auto; la donna potrebbe comunque aver ruotato il busto verso l'uscita, donde il colpo alla spalla sx. (con traiettoria opposta agli altri). In ogni caso il dorso non poteva essere appoggiato al sedile, sebbene reclinato in avanti o in parte nascosto sotto al cruscotto. Ovvero, all'inizio dell'azione omicidaria, la donna poteva essere in qualche modo protesa dal sedile sx. a quello dx., col busto ed il capo, verso il corpo dell'uomo.
Può darsi che dopo il colpo mortale la donna si sia accasciata supina sul sedile. Sembra improbabile che il colpo alla spalla con traiettoria opposta possa imputarsi ad un movimento dell'omicida a tergo dell'auto. Dal punto di vista necroscopico i colpi esplosi sui corpi delle vittime sarebbero quindi complessivamente otto (4+4) con cinque proiettili ritenuti. In sopralluogo sono stati reperiti cinque bossoli ed un proiettile (due bossoli ed un proiettile dentro l'auto), onde è da pensare che l'omicida si sia progressivamente avvicinato al mezzo entrandovi poi con la mano per esplodere gli ultimi colpi.


È evidente che, una volta rifiutata la dinamica proposta da Zuntini – probabilmente per lo stesso motivo indicato anche qui: i tramiti delle ferite su Lo Bianco incompatibili – i peraltro ottimi periti furono incapaci di proporne una differente, limitandosi a esternare la loro convinzione che lo sparatore non si fosse spostato.
Ecco il parere di Rotella sui due diversi punti di vista, contenuto nella sua nota sentenza del 1989 (qui e qui):

I fori d'ingresso sono abbastanza prossimi su ciascuna delle vittime. Uno solo è eccentrico, sulla Locci, alla spalla sinistra.
Sarebbe stato il primo, cosicché la donna si sarebbe rovesciata sul sedile, costringendo un mutamento di traiettoria di quelli seguenti. Il luogo di provenienza degli spari sembra il medesimo, ma la direzione dal basso verso l'alto (rispetto all'asse verticale del corpo che si presume in posizione pressoché orizzontale) di un colpo passante dal fondo schiena alla zona superiore dell'addome, lascia supporre al p.m. in requisitoria del 30.9.69 che lo sparatore abbia prima esploso i colpi dal finestrino posteriore sinistro e poi dalla portiera anteriore destra. [Rotella sbaglia: anteriore sinistra]
Si tratta di valutazioni opinabili. I periti di Modena, incaricati nel 1984 stimano viceversa che lo sparatore non si sarebbe spostato rispetto al bersaglio femminile, e che non sarebbe neppure possibile essere certi circa quale delle due vittime sia stata attinta per prima dagli spari, laddove nel 1969 si pensa che si tratti dell'uomo.
La differenza non è irrilevante. Una duplice posizione dello sparatore può far pensare anche a diversi esecutori, cosa che invece i periti del 1984 sono propensi ad escludere.


Senza pronunciarsi su quale delle due ricostruzioni fosse da preferire, Rotella colse la conseguenza fondamentale che sarebbe discesa dall’ipotesi del cambiamento di posizione dello sparatore: il possibile passaggio della pistola da una persona a un’altra, così come tante volte aveva raccontato Stefano Mele, pur cambiando i soggetti coinvolti e lo scenario.
Vediamo adesso la proposta di chi scrive, che, come il lettore abituale di queste pagine già s’immagina, è molto differente da ogni altra venuta prima.

La dinamica. Non ne possediamo prova, possiamo però dare per certo che la luce interna della Giulietta fosse spenta, poiché sul sedile posteriore c’era il bambino, che pur essendosi addormentato dopo aver visto la madre e Lo Bianco scambiarsi di posto, avrebbe sempre potuto svegliarsi. La notte era molto buia, quindi l’aggressore, o un complice accanto a lui, illuminò l’abitacolo con una torcia. Sporgendosi dal sedile del guidatore, Barbara Locci stava praticando una fellatio su Lo Bianco – supino sul sedile ribaltato del passeggero – che le teneva il braccio sinistro sulla schiena.
Non ci fu nessuna apertura di portiera, ma un repentino inserimento della canna della pistola – secondo Stefano Mele lunga, il che avrebbe facilitato l’operazione – nel piccolo spazio in alto lasciato libero dal vetro del finestrino.


Seguì una rapida sequenza di tre spari diretti verso la donna, il vero bersaglio dell’aggressore. Tre bossoli caddero a terra.


Il primo colpo fu probabilmente quello che trapassò l’avambraccio di Lo Bianco, colto di sorpresa (in foto il braccio dell’attore è troppo in alto, forse Lo Bianco stava accarezzando il seno della Locci). Mentre venivano sparati gli altri due colpi e la donna si accasciava morente sul suo grembo, l’uomo ebbe il tempo di tentare una reazione, portando le mani ai pantaloni e alzando il busto. Ma subito lo sparatore inquadrò anche lui, ripetendo una sequenza di tre colpi che lo presero al braccio sinistro e poi al fianco. Altri tre bossoli caddero a terra.


Fermiamoci un momento, come si fermò chi stava sparando. Perché venne scelto il finestrino anteriore e non il posteriore, dentro il quale si poteva infilare l’arma mirando magari alla testa dei due poveretti? Molto probabilmente perché si rendevano minori sia il pericolo di nuocere al bambino, sia la possibilità di sue interferenze. E sempre per lo stesso motivo si evitò di aprire la portiera anteriore. Vari indizi ci consentono di supporre che la portiera non venne aperta. I tre bossoli trovati all’esterno, le ferite tutte al bersaglio grosso e la mancanza di affumicature su pelle e vestiti ci raccontano di un’arma tenuta lontano dalle vittime, quindi fuori dall’auto, mentre con una portiera aperta sarebbe stato naturale per lo sparatore avvicinarsi di più. Ma è soprattutto la traiettoria dall’alto in basso dei tre colpi al braccio e al fianco sinistri di Lo Bianco a farci vedere una pistola che spara proprio dal pertugio di tre centimetri lasciato libero dal vetro del finestrino, pertugio che era più in alto del bersaglio.
Torniamo però allo sparatore dopo che aveva appena ucciso entrambe le vittime. Rimangono da giustificare la ferita alla spalla sinistra di Barbara Locci e i due bossoli ritrovati all’interno dell’auto. La traiettoria del proiettile che colpì la donna alla spalla era contraria a quella degli altri tre, da destra verso sinistra, lo abbiamo visto, il che ha da sempre costituito un problema per una sua collocazione nel flusso globale degli spari. Ma anche quei due soli bossoli trovati all’interno appaiono difficili da giustificare. Adesso, abbinando i due elementi, cerchiamo di trovare una logica spiegazione per entrambi. Con una mano infilata dentro il finestrino posteriore sinistro mezzo aperto, vennero esplosi due colpi in rapida successione – quindi con l’arma che si mosse poco tra l’uno e l’altro – i cui bossoli non a caso finirono vicini tra loro sul divanetto, evidentemente dopo aver rimbalzato in modo analogo sulle strutture interne del veicolo.


Un proiettile colpì alla spalla il cadavere della donna accasciato sul grembo di Lo Bianco, con una traiettoria da destra verso sinistra, l’altro andò fuori bersaglio. Del fatto che questo secondo proiettile fosse poi andato disperso non c’è da stupirsi troppo. Potrebbe anche essersi infilato in qualche anfratto della carrozzeria, ma più probabilmente il piombo di cui era costituito, impattando contro una struttura metallica molto più dura, si schiacciò e frammentò a tal punto da perdere del tutto la propria forma, finendo per sfuggire a ricerche che non c’era ragione dovessero essere troppo approfondite (al contrario di quelle all’esterno, volte a rintracciare la pistola). Del resto anche a Scandicci sarebbe accaduto qualcosa di simile con uno dei due proiettili finiti contro la portiera destra del passeggero.

Un secondo sparatore? La ricostruzione appena ipotizzata è indubbio che faccia tornare tutti i conti. Soprattutto offre una spiegazione convincente alle varie traiettorie dei proiettili, compresa quella del colpo alla spalla della Locci di oggettiva difficile interpretazione. Però non si comprende il senso di quei due colpi finali. Lo sparatore non cercava il colpo di grazia sulla donna, altrimenti avrebbe aperto la portiera anteriore destra ponendo l’arma a contatto della sua testa. Del resto di quel colpo di grazia né c’era né si poteva pensare ce ne fosse stato bisogno, con Barbara Locci morta subito per la ferita al cuore. Poteva forse essersi trattato di colpi esplosi in uno stato di rabbia, magari da parte di un amante geloso oppure di un Mostro che, al suo primo omicidio, era ancora incapace di gestire la propria emotività. Ma allora non si spiega come sia stato possibile che uno stesso sparatore in grado di freddare con sei colpi precisi entrambe le vittime dal pertugio del finestrino anteriore avesse del tutto perso la propria abilità nell’esplodere quei due altri colpi grossolani da posizione ben più favorevole e contro un corpo immobile.
Tenendo fede a quanto è stato dichiarato all’inizio, nel presente articolo non ci si addentrerà nelle questioni riguardanti i personaggi che all’epoca vennero indagati, marito, parenti del marito e amanti della donna. Tuttavia, allo scopo di suggerire una plausibile spiegazione ai due colpi sparati contro Barbara Locci già morta, si ritiene comunque opportuno invitare il lettore a riflettere sull’interrogatorio di Stefano Mele del 24 gennaio 1984, condotto appena dopo la scoperta nel suo portafoglio del curioso e noto biglietto dello “zio Pieto”. Nell’occasione l’uomo, ormai anziano e stanco, raccontò di un delitto maturato ed eseguito in famiglia, come in altri casi con dichiarazioni non del tutto lineari, ma che forse contenevano molta più verità delle precedenti. Dalla sentenza Rotella:

A me la paraffina risultò positiva, dunque ho sparato io. La S.V. mi fa rilevare che secondo la legge è indifferente ai fini della responsabilità chi abbia sparato. È vero, ma a distanza di tanti anni non potreste trovare tracce sulle mani degli altri due. Tuttavia è stato Mucciarini. NO, NON È VERO. La verità è che è stato mio fratello a sparare. Poi mi fu messa in mano la pistola. Qualche colpo ho sparato anch'io, ma non ricordo quanti colpi ho sparato se prima o dopo. Sono passati 15 anni. Gli restituii subito l'arma.

Nell’ipotesi che il delitto fosse stato davvero eseguito in famiglia, appare plausibile l’intento dei partecipanti di offrire alla legge un colpevole che pagasse per tutti e tenesse fuori gli altri; e chi, se non il marito, incapace di uccidere ma buono per farsi la galera, quindi indotto a sparare sul corpo morto della moglie proprio per sentirsi coinvolto fino in fondo? Ecco spiegato il senso di quei due inutili colpi, e dell’imperizia o quanto meno della poca convinzione di chi li aveva esplosi.

208 commenti:

  1. Segnini, ho una domanda sulla posizione della Locci. Nel suo articolo parla di un corpo spostato e della catenina spezzata come prova dello spostamento. Io non credo che un soccorritore avrebbe cercato di controllare lo stato della donna tirandola per la catenina, fino a spezzarla. Mi pare più credibile che sia stato l'assassino a spostare il corpo per strappare con forza la catenina, arrivando a romperla in due punti, forse perché irritato dal pendente a forma di croce, che una signora sposata e traditrice non sarebbe degna di indossare. Nel caso in cui l'assassino sia il futuro mostro, potrebbe essere un accenno a quelle dinamiche che poi lo portarono a sottrarre oggetti delle vittime e a escindere parti del corpo.

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    1. Nessun soccorritore, a spostare la donna fu il marito prendendola per i vestiti da dietro. Ecco perché la catenina si spezzò. Questo naturalmente nella mia personalissima visione degli eventi, dove il futuro Mostro al delitto non aveva preso parte alcuna.

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    2. Complimenti per l'articolo, mi sembra una ricostruzione impeccabile da ogni punto di vista.
      Vorrei fare due osservazioni su Stefano Mele, sulla cui presenza a Castelletti non ho mai avuto dubbi. Al di là dei tanti indizi cui si accenna nel presente articolo e già esposti in "Una strana malattia", c'è un elemento che taglia la testa al toro, cioè lo spostamento dei corpi dei due amanti. Chi avrebbe potuto ricomporre i corpi se non Stefano Mele? Chi ritiene che a Signa fosse in azione il futuro mostro dovrebbe darne una spiegazione.
      Sulla rottura della catenina di Barbara, ritengo improbabile una spiegazione alternativa a quella qui proposta, ad esempio che possa essersi spezzata nella concitazione della sparatoria.
      Lei come spiega il fatto che Mele (che io sappia) non abbia parlato agli inquirenti della catenina spezzata?

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    3. E' possibile che non se ne fosse neppure accorto, nel buio e nella concitazione del momento. Anch'io ritengo del tutto fuori luogo immaginare il Mostro all'opera anche in questo primo delitto, al di là di chi potesse essere stato e di come fosse entrato in possesso della pistola. Sono del tutto insuperabili gli indizi contro Mele e compagni, ma anche il tipo di delitto nulla ha a che fare con i successivi, se non per l'elemento esteriore della coppia. Naturalmente c'è la pistola, ma qui cadiamo nel mistero da qualsiasi parte si voglia vedere.

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    4. Kozincev, scusa ma non è chiaro: la spiegazione in cui credi, quella "qui proposta", è quella dell'articolo o il mio commento (a cui rispondi)?
      Dai dati che ho potuto recuperare, la catenina si è spezzata in un modo particolare: un frammento è rimasto incastrato nel collo ferendolo, mentre il resto è finito per terra. Questo fa presumere un violento strappo, difficilmente compatibile con la trazione esercitabile prendendo la donna per i vestiti (anche se rimaniamo nel puro campo delle ipotesi).
      Un piccolo accenno al pendaglio: una croce. Mi risulta che non sia mai stato trovato (chi ha informazioni diverse mi contraddica). Chi l'ha preso? Il marito, se l'avesse preso lui, avrebbe potuto tirarlo fuori come prova della sua ricostruzione, ma non lo fece. Anche qui, la sottrazione di un oggetto della vittima femminile ricorda da vicino le future azioni del mostro.

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    6. Ribadisco che a mio avviso Stefano Mele era presente e fu lui a spostare il corpo della moglie e a ricomporlo. Un assassino ignaro dell'identità delle vittime non avrebbe compiuto un'operazione del genere, avrebbe semmai trascinato fuori il corpo della donna per poi strapparle eventualmente la catenina e portar via altri oggetti di valore.
      Le osservazioni di Hap Dale mi suggeriscono al più un'ipotesi alternativa: uno degli assassini potrebbe aver strappato la catenina dopo che Mele aveva spostato e adagiato il corpo della Locci. Se vogliamo credere che la croce fu strappata perché la donna fedifraga non meritava di indossarla (e quindi a un gesto punitivo), a maggior ragione è logico sospettare del clan familiare di Stefano Mele.

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    7. Bisogna ricordarsi che pure Pia Rontini indossava una catenina con un crocefisso, e anche in questo caso l'assassino la strappò via, rubando il pendaglio che, appunto, era una croce. L'ennesima casualità o la mano è la stessa?

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    8. Prima di tirare delle conclusioni su dei fatti bisogna accertare i fatti. La Locci aveva una croce al collo che non venne ritrovata? Chi l'ha detto? E Pia Rontini? Non ricordo di questa croce, però naturalmente può essere un vuoto di memoria.

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    10. Come ho premesso, sono il primo a ricercare altre fonti sulla questione dei pendagli sottratti alla Locci e alla Rontini. Ho trovato informazioni a riguardo in vari siti e libri, ma chiaramente non sono fonti da prendere come oro colato. Il crocifisso che la Rontini avrebbe portato al collo viene citato molto più spesso di quello della Locci: tra l'altro, ne fa cenno anche il tuo blog, nella parte sui dossier di Bruno.
      Riguardo alla catenina che, durante un semplice spostamento, si sarebbe spezzata con tale forza da lasciare un frammento nel collo della vittima, che dire: è possibile, ma lo strappo brusco e volontario mi pare molto più credibile.

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    11. In questa vicenda di sciocchezze se ne sono dette tante, e Bruno ha fatto la sua parte.
      Si metta nella situazione di Mele che deve tirar su la moglie che giace bocconi, incastrata con Lo Bianco. Non le pare possibile che l'avesse presa da dietro per i vestiti, con catenina annessa, e avesse potuto dare uno strattone per disincastrarla?

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  2. Che la catenina si sia spezzata durante le manovre di spostamento del cadavere, magari per qualche strattone, non mi pare si possa escludere, come non si può escludere che l'uomo non se ne fosse accorto. Riguardo la croce, a memoria non mi pare di averne mai letto niente, se qualcuno mi segnalasse qualche documento sarei ben lieto di rifletterci su (naturalmente di caratura un po' superiore alle ipotesi di Filastò).

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  3. Ciao Antonio, prendo atto che la frammentazione del proiettile alla spalla della Locci non è da attribuire al fatto che lo stesso abbia prima colpito l'avambraccio del Lo Bianco; purtuttavia, continuo a ritenere probabile che si tratti del medesimo proiettile. Non entro qui nel merito della tua ricostruzione, ben fatta come al solito; magari risponderò in seguito sul mio blog. Piuttosto, mi rimane la curiosità di poter finalmente leggere la perizia Zuntini. Ora, poiché l'avvocato Adriani ha recentemente scritto di averne acquisito il testo (da un vero giornalista :-) )e poiché l'avvocato ti ha già fornito del materiale, potrebbe essere interessante ribussare a quella porta... Perché vorrei capire come il perito giustifica il mancato rinvenimento dell'ottavo proiettile; avrà detto anche lui che si è disperso nella carrozzeria e non è stato reperito? e in tal caso, quale sarebbe la prova che sia stato effettivamente esploso?
    ciao

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    1. Per il momento la perizia Zuntini è inaccessibile anche per me. Sul fatto che ci potresti trovare delle risposte dubito molto, poichè, a giudicare dalla perizia su Borgo, Zuntini era un gran pasticcione.

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    3. La ringrazio, anche se poi me l'ero procurata anch'io.

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  4. Buonasera dove è possibile acquistare il suo libro? Grazie!

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    1. Il mio vecchio ebook non è più in vendita, troppo superato da mille nuove scoperte, che comunque hanno confermato le brillantissime intuizioni iniziali (alla faccia della modestia...). Spero prima o poi di uscire con qualcosa di mooolto meglio. Saluti.

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  5. Grazie intanto continuerò a seguirla sul suo interessantissimo blog!

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  6. Interessante ricostruzione e molto molto verosimile. A sostegno di questa vorrei aggiungere che gli ultimi due colpi sparati dal finestrino posteriore, secondo la ricostruzione dal Mele stesso e successivi agli altri, acquistano ulteriore senso dal fatto che Natalino, dopo i primi mortali, era sicuramente desto. Potrebbe essere stato più facilmente controllato o addirittura fatto scendere dallo sportello destro trovato semiaperto, e poi si sarebbe proceduto agli ultimi due colpi, più "vaghi" perchè nel frattempo ci si era già accertati della morte dei due poveretti.

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    1. Personalmente tendo a dare molto valore alle parole di Natalino bambino, sia a quelle dette sia a quelle non dette. Non disse mai di colpi di pistola uditi mentre era all'esterno, ma soltanto mentre era dentro. Nelle dichiarazioni del 16 maggio 1969 si legge

      - Ma come fai a dire che Pietro sparava se dormivi?
      - Quando mi sono svegliato.
      - Ma ha sparato dei colpi quando eri sveglio?
      - Si. Tutti i colpi non li aveva ancora sparati.
      - E come sparava? Cosa aveva in mano?
      - La rivoltella.
      - E dove la teneva? Tu eri in macchina? Ha rotto il vetro?
      - (All’ultima domanda) No.
      - Come ha fatto? La rivoltella la teneva in mano?
      - La teneva in su e sparava di fuori. Il finestrino era aperto.

      Mi pare abbastanza evidente che Natalino si riferiva ai due colpi sparati con l'arma dentro il finestrino posteriore, mentre lui era ancora dentro.

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    2. Quei colpi però, in teoria, non avrebbe dovuti spararli il Mele? Il bambino parla di Pietro, che in realtà era, come sappiamo, Piero, almeno all'inizio.

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    3. Natalino non potè vedere chi effettivamente sparò, mettiti nella sua condizione dentro l'auto. Che fosse stato lo zio Piero lo desunse dal colloquio con il padre avvenuto appena dopo,quando entrò in auto e gli chiese se aveva visto chi avesse sparato. Dalla sentenza Rotella, che commenta l'interrogatorio del 23 aprile 1969:

      Natalino prosegue il racconto affermando che "Il babbo allora aprì lo sportello della macchina e
      dopo che fu sparato si sedette vicino a lui e gli chiese chi avesse sparato. Egli rispose 'Pietro', ed il
      padre disse ed allora lo vado a cercare".

      Il bambino si era accorto della presenza di Mucciarini, e quando il padre gli domandò chi avesse sparato, non aveva altre persone cui pensare.
      Perché Mele gli aveva fatto quella domanda? Semplicemente per sincerarsi che non lo avesse visto sparare su sua madre.
      Tieni conto poi che Natalino vide Mucciarini con la pistola in mano mentre la gettava via, il che era una conferma.

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    4. In questa ricostruzione appare quindi probabile che il Mele, dopo aver sparato, riconsegnò subito la pistola al congiunto per poter parlare col bambino senza spaventarlo magari.

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    5. Credo proprio di sì. Poi, mentre Mele metteva a posto i cadaveri, Mucciarini prese in consegna Natalino allontanandosi un po', e fu in quel frangente che gettò via la pistola, scena che Natalino raccontò.

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  7. Gentile Antonio, grazie per il lavoro che porta avanti con tanto metodo e passione (mi sono permesso di citarla anche nel mio ultimo articolo su Vice dell'estate scorsa...), la sua tra le mille teorie e ricostruzioni che si sono susseguite negli anni mi pare ad oggi la la più credibile, e "laica". C'è però un punto che davvero non riesco a mettere a fuoco: come passò di mano quell'arma? Se Lotti la trovò significa che il ritrovamento avvenne immediatamente, suo posto... Ma è difficile credere che gli inquirenti non perlustrarono attentamente il luogo del crimine. Grazie e ancora buon lavoro ! Riccardo Conti

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    1. Mi consenta di prescindere da chi raccolse quella pistola, che fosse stato Lotti oppure no. Rimane il fatto che davvero qualcuno la raccolse, la notte stessa del delitto, prima dell'arrivo delle forze dell'ordine, e poi molto probabilmente iniziò a usarla sei anni dopo per uccidere Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore.
      Due prove logiche ci dicono che la pistola venne lasciata sul posto. La prima e più importante è la testimonianza di Natalino, davanti alla quale i denigratori di questa ipotesi fanno finta di niente, ma che invece è un macigno inamovibile, poiché non si vede ragione per la quale un bambino di neppure sette anni avrebbe dovuto inventarsi lo zio Piero che la gettava via. La seconda, che completa la prima, è la dichiarazione di Mele al momento in cui stava accusando Salvatore Vinci. Disse che la pistola che questi gli aveva consegnato, dopo gli spari la buttò sul posto. Perché? Che motivo aveva di introdurre nel proprio racconto questo particolare se non perché sapeva che la pistola era lì, e contava sul suo ritrovamento per irrobustire il proprio falso racconto?
      La pistola era lì perché avrebbe dovuto portare a chi effettivamente l'aveva data a Mele, ma che quella sera non c'era. Ma i piani della famiglia Mele furono sconvolti da qualcuno che se l'era portata via.
      Ci sono tracce di quel qualcuno, quella sera e prima. Il prima è il misterioso tizio in motorino che seguiva la Locci. La sera del delitto il gestore vide un uomo entrare per ultimo al cinema, dopo la coppia, a spettacolo forse già iniziato. Natalino disse che all'uscita "videro" (quindi riportò un interesse degli adulti) un uomo, con il quale però la madre e lo zio non parlarono. Era il tizio che seguiva la Locci in motorino e che lei indicò a Lo Bianco? Quel tizio si accorse di quanto stava accadendo, rimase in attesa a sufficiente distanza della fine degli eventi poi si recò sulla scena del crimine e raccolse per un'insana curiosità la pistola da terra?
      Io penso che le cose andarono proprio così. E che quel qualcuno era Lotti lo dicono gli eventi di quasi trent'anni dopo.

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    3. La vera coincidenza è quella di Pacciani che andò ad abitare nella zona del futuro Mostro. D'altra parte non è che il circondario di Firenze fosse vastissimo. Il resto è venuto da sé. Che un assassino frustrato avesse voluto conoscere un assassino chiacchierato per sentirsi, in cuor suo, a lui superiore,non mi pare davvero un fatto difficile da comprendere. Chiudere gli occhi di fronte al mare di indizi contro Lotti per una considerazione come la sua mi pare, mi perdoni, un atteggiamento molto superficiale.

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    4. Però mi rendo conto solo adesso che forse lei non esclude Lotti, ma lo mette assieme a Pacciani, o mi sbaglio?

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    6. A rendere possibile un incontro tra Lotti e Pacciani credo sia stata la comune conoscenza di Vanni. Si trattava di emarginati, ognuno a suo modo ma pur sempre emarginati, che non mi pare così strano si fossero accompagnati tra di loro. Poi, ripeto, a mio parere è facile che fosse stato proprio Lotti, ammesso che fosse lui il Mostro, a voler conoscere Pacciani, un assassino come lui. Non crede che una tentazione del genere sia plausibile? Non vedo davvero che cosa ci sia di difficile da credere.

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    8. Perché, secondo lei i due morti del '74 non contavano?
      Riguardo Pacciani, lei dimentica che è un basilare principio di giustizia quello di dover dimostrare la colpevolezza, non l'innocenza. Quindi non sono io a doverle dare gli elementi che lo scagionano, me le a dovermi dare quelli che lo rendono colpevole.

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    10. Non siamo in tribunale ma il principio di giustizia non cambia. Se lei per strada sente una donna gridare che le hanno rubato la borsetta e dietro l'angolo vede un extracomunitario intento nelle proprie faccende, che fa, gli chiede di dimostrare che non c'entra niente? Semmai è lei che deve dimostrare che c'entra qualcosa.
      Invece con Pacciani è stato fatto proprio così, in tribunale, e lei, come tanti altri, senza neppure rendersene conto si mette sulla medesima strada. La sentenza di condanna in primo grado è un vero e proprio obbrobrio giuridico, che parte dal "tipo d'autore" anche se a parole ne rifugge. Che poi pasticcia anche su quello, poiché come "tipo d'autore" Pacciani neppure era azzeccato, tanto differenti parevano le sue caratteristiche da quelle ipotizzate per il Mostro da tutti gli esperti.
      Si legga bene il mio articolo sull'asta guidamolla per concludere che gli ipotizzati complotti erano improbabili... Mi pare che le sue convinzioni le impediscano un esame sereno dello scenario. Mi dica lei per quale motivo Pacciani avrebbe dovuto nascondere quel particolare della pistola... non si rende conto che l'indizio puzza di falso lontano un miglio?
      Riguardo il delitto del '74, in questo contesto non c'entra nulla che avesse sotteso motivazioni differenti dai successivi. Qui si discuteva del fatto di Lotti che era stato invogliato a conoscere Pacciani dalla comune esperienza di aver ucciso. Ripeto, si metta nei panni di un tizio frustrato per la poca considerazione degli altri e che nel proprio intimo gode di essere un assassino ignoto a tutti; questo tizio ha l'occasione di conoscere un altro assassino invece molto chiacchierato e anche temuto. Non crede che potrebbe avere la tentazione di conoscerlo, se non altro per curiosità, ma anche e soprattutto per sentirsi, nel proprio intimo, superiore a lui? Attenzione, stiamo parlando di un soggetto che non aveva tutte le rotelle a posto, non applichiamogli i nostri standard... In ogni caso le mie supposizioni non pretendono di indovinare quel che accadde davvero, ma dimostrare che l'incredibile coincidenza di cui tutti si fanno scudo per escludere la cosiddetta "ipotesi Lotti" non ha basi molto solide.
      Infine, riguardo i complici. Come fa a liquidare la questione con "se avesse trovato"? Non stiamo parlando di ladri, che magari mettendosi assieme rubano meglio e di più. Qui stiamo parlando di delitti seriali, che chi li fa, li fa da solo. Due serial killer che si mettono assieme non si sono mai visti, se non in coppie dove il vero serial killer ha plagiato un altro per farsi aiutare.

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    12. Se lei mi dice che Pacciani si sarebbe messo a sculacciare gli alberi, non può pretendere che io prenda in esame la possibilità soltanto perché ritengo non si possa mettersi troppo nei panni degli altri. Ci sono delle azioni comprensibili e delle azioni non comprensibili. Tornare sul luogo del delitto è un'azione per la quale si possono trovare adeguate motivazioni, andare in giro a seminare i pezzi della pistola no. Me lo dica lei quale sarebbe stato l'intento di Pacciani.
      L'asta guidamolla non venne nascosta in casa Pacciani semplicemente perché era appena avvenuta la maxi perquisizione, quindi era da escludere trovarle un posto plausibile.

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    14. Di gente strana è pieno il mondo, senza che per forza siano tutti degli assassini.

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    15. Signor Marletti, lei scrive: "Ma è anche possibile che un serial killer abbia plagiato degli emarginati frustrati e perversi, per farsi aiutare a commettere degli omicidi".

      Ebbene, io le rispondo che no, nella letteratura criminologica a noi nota, non esiste traccia di un serial killer che inizi la propria attività in solitaria per poi coinvolgere più persone nella propria follia omicida.

      Quelli commessi dal Mostro di Firenze sono atti perversamente intimi, che devono necessariamente essere compiuti in modalità solitaria.
      L'eventuale coinvolgimento di terze persone, peraltro, oltre che inutile sul piano logistico, avrebbe comportato rischi enormi per l'assassino. In pratica, egli avrebbe portato con sé dei testimoni oculari, i quali, presto o tardi, avrebbero potuto parlare (come poi effettivamente accadde, se prendiamo per buone le presunte confessioni di Lotti, cosa che credo nessuno, nel 2018, possa più ragionevolmente fare, dopo la retrodatazione certa del delitto di Scopeti e l'assenza testimonialmente accertata di auto accanto a quella del Mainardi nei minuti immediatamente precedenti e successivi a quelli in cui venne commesso il delitto).

      Se si fosse trattato di delitti di gruppo, avremmo trovato scene del crimine del tutto diverse, che avrebbero palesato l'intervento di più soggetti su luogo del delitto.

      Inoltre, i delitti seriali di gruppo avvengono in un arco temporale molto limitato, pochi mesi, al limite un paio di anni, e riguardano generalmente persone molte giovani, che fanno uso di sostanze stupefacenti e che agiscono in modo palesemente disorganizzato.

      Discorso un po' diverse per i serial killer di coppia. Ma, in quel caso, la coppia avrebbe dovuto condividere la medesima patologia, per un arco temporale molto ampio (11 anni come minimo), e avrebbe dovuto essere unita da un vincolo personale oppure politico o religioso molto forte (vedi il caso Lucas e Toole, uniti da una relazione omosessuale, o il caso Ludwig, nel quale i due soggetti condividevano una ideologia politica molto radicata).

      E insomma, io non conosco il nome dell'assassino, ma di una cosa sono certo: ad agire, fu sempre una sola mano, guidata una sola mente (almeno dal 1974 in poi, il 1968 resta avvolto nella foschia per me).

      Del resto, mi fido molto più di De Fazio, Galliani, Pierini, Beduschi, Luberto e degli esperti dell'FBI che non di coloro che svolsero le indagini e poi giunsero a una verità giudiziaria assolutamente implausibile.

      E, da questo punto di vista, ne approfitto per ringraziare Antonio Segnini per il suo lodevole lavoro, davvero molto acuto e brillante nell'evidenziare tutte le incongruenze ravvisabili nelle indagini e nelle sentenze che hanno caratterizzato questa misteriosa e intricata vicenda.

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    16. Lei dice cose che possiamo tutti condividere, ma le faccio notare che la letteratura criminologica non sempre può soccorrerci. Si è mai dato il caso di un uomo che abbia assistito ad un delitto compiuto nei confronti di una coppia di amanti chiusi in un'auto, si sia impossessato dell'arma e l'abbia poi utilizzata per uccidere coppie nella stessa situazione? Eppure nulla ci vieta di pensare che in questo caso sia accaduto.
      I criminologi che si sono occupati del caso ipotizzavano un tipo d'autore molto diverso da Pacciani, ma non somigliante neppure a Lotti. Gli esperti dell'FBI spiegavano le pause tra i primi delitti con periodi di detenzione in carcere o in manicomio.
      L'analisi della scena del crimine non può dire granché sul tipo d'autore: le ipotesi sulla professione, l'età, se sia sposato o celibe sono avanzate sulla base delle statistiche e dei precedenti (solitamente un assassino seriale ha queste caratteristiche, e sarà così anche in questo caso).
      L'unica cosa certa in questa vicenda è l'unicità dell'arma: che l'abbia impugnata (dal '74 in poi) sempre la stessa mano è più che probabile, lo stesso possiamo dire del coltello, ma la presenza di un complice non si può del tutto escludere.

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    17. Certo, però tenga conto di un fatto: gli omicidi di coppie appartate in auto sono un fenomeno piuttosto raro nella storia del crimine (per quanto noto).

      Traendo spunto dal libro di Mastronardi, De Luca e Fiori intitolato "Sette Sataniche", in particolare dal capitolo dedicato al Mostro di Firenze, una vittimologia analoga a quella dei delitti avvenuti nelle campagne fiorentine viene riportata per i seguenti casi:

      Roy Mitchell, afroamericano del Texas che aggredì tre coppie in auto tra il 1922 e il 1923, sparando prima all'uomo, poi stuprando la donna e, infine, eliminandola (cosa peraltro riuscita solo in un caso su tre, due donne sopravvissero ai suoi assalti).

      Clarence Hill, altro afroamericano del New Jersey, che uccide tre coppie appartate in auto tra il 1938 e il 1940. Anche in questo caso, il serial killer spara prima all'uomo, poi prova a stuprare la donna e la uccide in seguito, oppure, in un caso, le spara direttamente, perché lei prova a fuggire.
      Dopo una pausa di due anni, prova altri tre assalti, non riusciti. Lascia sul luogo del delitto un pezzo della pistola e, dunque, viene identificato, processato e condannato.

      L'Assassino della Luna Piena (noto anche come "Il Fantasma di Texarcana"), che commette quattro duplici delitti nel 1946, durante le notti di luna piena, contro vittime appartate in auto.

      Werner Boost, che agì nella Germania degli anni Cinquanta, spiando le coppiette per poi aggredirle ed ucciderle sia tramite pistola che tramite percosse (in un caso, addirittura tramite iniezione di cianuro).
      Questo caso è interessante, perché Boost, come si scoprì in seguito, aveva un complice, tale Lorbach, una personalità fragile e succube, che a un certo punto denunciò il proprio sodale alla polizia.
      Tuttavia, questo sodalizio criminale durò poco, meno di un anno, e questo dato mi pare molto significativo in merito al discorso della impossibilità di tenere in vita un gruppo criminale dedito agli omicidi seriali per un arco temporale lungo quanto quello del caso che ci interessa.

      Poi ci sarebbe un serial killer messicano, tale Jose Solano Marcelino, che aggredì e uccise, con pistola e coltello, più di una dozzina di uomini, risparmiando la vita alle donne delle coppia, che si divertiva a torturare.

      Seguono poi i nomi di Berkowitz, il noto figlio di Sam, di El Psicopata e di altri quattro soggetti che evito di citare per non essere troppo prolisso.

      In sostanza, undici casi di serial killer di coppie appartate in auto sembrerebbero essere gli unici noti della storia della crimonologia, stando alla fonte sopra citata.

      Quindi, il fenomeno è piuttosto raro, ed è per questo che, ipotesi Lotti a parte, non ci sono precedenti di persone che, assistendo a quel determinato tipo di delitto, abbiano poi compiuto la medesima tipologia di delitto.

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    18. Vorrei aggiungere che, quanto ai profili stilati da De Fazio e colleghi e poi dall'Fbi, sicuramente Pacciani appare molto distante dai medesimi, mentre Lotti avrebbe alcune (e sottolineo alcune) caratteristiche dei profili delineati dai criminologi.

      Ma il mio intervento non si propone lo scopo di dimostrare che Lotti fosse l'autore dei delitti, è una ipotesi che rispetto ma che non coincide con la mia.
      Più che altro, nelle disamine delle scene del crimine delle perizie citate sopra, in quelle svolte dai diversi criminologi che ho letto e nelle stesse ricostruzioni molto acute di Antonio Segnini, io trovo sempre e soltanto la presenza di un singolo soggetto. Quindi, l'idea dei complici muti e inattivi mi pare una idea priva di fondamento, che nasce solo ed esclusivamente dalla direzione che presero le indagini.

      Non mi sono mai imbattuto in una analisi criminalistica e criminologica che andasse nel versante opposto, ad eccezione di quella di Mastronardi e De Luca, che però devono davvero forzare molto la mano per giungere alla conclusione della presenza di "più individui con tendenze necrofile-feticistiche, aventi gravi problemi di relazione con l'altro sesso e dediti a pratiche di tipo esoterico".

      E per "forzare la mano", intendo dire che gli autori notano l'anomalia del cosiddetto periodo di raffreddamento, troppo atipico per un serial killer.
      Peccato però che, quando poi gli autori descrivono una serie di omicidi di gruppo, non tengano conto del fatto che nessuno dei gruppi citati abbia mai operato per un arco temporale superiore a uno o due anni e, soprattutto, abbia mai agito in modo così schematico, rigoroso e organizzato come il Mostro di Firenze.

      In sostanza, l'unica argomentazione che portano a supporto della tesi dei delitti di gruppo è che il "cooling off period" del Mostro è troppo anomalo per un lust murderer, in quanto gli omicidi degli anni Ottanta seguono modalità temporali "atipiche e troppo regolari".
      Però poi specificano che alcuni serial killer potrebbero avere un certo controllo delle proprie pulsioni delittuose.
      Sicché, l'analisi di Mastronardi e De Luca non mi pare particolarmente persuasiva.

      In sintesi, a mio avviso, delle due l'una: o il Mostro era un serial killer, oppure trattavasi di una organizzazione di persone dotate di grandi competenze e grandi mezzi, ha commesso una serie di delitti simulando l'azione di un serial killer unico a scopo di libidine (ipotesi ai limiti del fantascientifico).


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  8. Che in questa vicenda ci siano non pochi fatti strani, è senz'altro vero. Pur nutrendo da sempre molti dubbi sull'innocenza di Pacciani, devo ammettere che un argomento che potrebbe scagionarlo forse esiste, ed è l'incredibile quantità di errori che ha commesso: difficile immaginare un colpevole capace di darsi la zappa sui piedi con tanta ostinazione.
    Pensavo alla perizia di Fornari e Lagazzi e ai motivi di contrasto tra Pacciani e Lotti: se davvero Lotti era il mostro, allora si potrebbe pensare che il risentimento nei confronti di Pacciani, che negava addirittura di conoscerlo, fosse proprio dovuto all'intima convinzione di Lotti di essere superiore come assassino. Doveva essere davvero un mostro fuori dal comune, però, per accettare di essere raccontato "ai posteri" come un complice coartato con uno squallido e fantomatico ricatto sessuale.
    Su una cosa mi pare che molti concordiamo: la condizione di emarginazione ed esclusione sociale è un humus propizio allo scatenarsi di una patologia che portò una persona apparentemente normale a uccidere come una belva feroce.
    Liberarsi di alcuni luoghi comuni duri a morire, come quello del mostro poliziotto o medico o chissà cos'altro, è un primo passo che prima o poi tutti dovranno compiere.

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    2. Si fosse preso una rivincita alla luce del sole, con qualche impresa di cui potersi vantare, capirei questo ragionamento, ma il personaggio era vile e meschino, la sua rivincita era quella di uccidere delle persone inermi e godere della paura che suscitava nella gente. Quindi, se per cercare di evitare o minimizzare la galera giunse anche a inventarsi di essere stato sodomizzato da Pacciani, mi domando che cosa ci sia da stupirsi.
      Certe volte mi pare di essere nella stessa situazione in cui mi trovai con un mio amico, quando avevamo 14 anni. Non credeva al fatto che gli oggetti neri si riscaldassero al sole più di quelli bianchi. Eravamo in strada a fare l'autostop d'estate, c'era una protezione in ferro per un ponte dipinta a tratti neri e bianchi, gli faccio mettere una mano sulla parte nera e una sulla parte bianca per convincerlo. La sua risposta? "Io non ci credo lo stesso". Se un domani dovesse uscire una prova evidente, oltre quelle che già ci sono e che a mio parere sarebberoo già evidenti abbastanza, qualcuno ancora direbbe che non è possibile perchè Lotti è troppo scemo. Oppure che avrebbe fatto questo e avrebbe fatto quello, illudendosi di potersi mettere nei suoi panni senza neppure rifletterci il necessario.

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    3. Dunque, prenda quello che sto per dirle come una sorta di suggestione, o giù di lì.
      Ho di recente ascoltato tutti gli interventi di Lotti nel corso del Processo di Apello ai Compagni di Merende, quando venne chiamato a rispondere alle domande di Filastò, Mazzeo e degli altri avvocati di parte civile.

      Ho avuto una strana sensazione, invero alquanto irrazionale. Quella che Lotti ricostruisse i delitti come quando ci si sforza di ricostruire un sogno, del quale si sono persi i dettagli.

      Ha mai pensato che Lotti, nella sua ipotesi autore unico dei delitti, possa aver in qualche modo creato, nella sua mente ormai alla deriva, una sorta di realtà parallela in cui egli era semplice spettatore dei delitti e non autore degli stessi?
      Una sorta di parziale dissociazione mentale, un modo per deresponsabilizzarsi, perché non era più in grado di reggere la pressione psicologica degli orrendi misfatti compiuti.

      Ipotesi vagamente letteraria e cinematografica, ne convengo. Ma non so, in alcuni momenti, le sue faticose ricostruzioni, quasi oniriche, mi hanno suggerito questo tipo di scenario.

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    4. Fornari e Lagazzi ebbero invece l'impressione di una persona molto lucida

      Pur essendo una persona di limitatissima cultura e di non brillante intelligenza, il Sig. Lotti ha saputo costantemente far fronte alla situazione peritale, eludendo ogni tentativo di “entrare in profondità” rispetto ai suoi vissuti, omettendo ogni risposta potenzialmente rilevante a fini giudiziari,
      mantenendo inalterata la propria tesi, ed addirittura ponendo – anche se in modo inevitabilmente ingenuo – attenzione, alle stesse risposte che forniva ai reattivi mentali. Non ci siamo quindi trovati ad un soggetto dipendente, passivo facilmente spaventabile o suggestionabile, che nel caso avrebbe
      immediatamente adottato un atteggiamento di altrettanta
      dipendenza verso gli inquirenti ed i consulenti, ma, al
      contrario, abbiamo incontrato un uomo determinato,
      sfuggente o francamente sleale quando gli era utile, del tutto privo di empatia e di rincrescimento, ed attentamente impegnato nella gestione di una sua “strategia” difensiva.

      Le faticose ricostruzioni, a mio parere, erano soltanto un modo per dire quanto bastava, per paura di dire troppo.

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  9. Però Lotti si sarebbe vantato con Pucci delle sue imprese, o sbaglio?
    Per quanto riguarda la coincidenza dei due mostri, in effetti l'incontro avvenne, tramite Vanni, in un'epoca compatibile con la cronologia dei delitti. Pacciani si trasferì nella Val di Pesa nel '73, nel '74 il mostro esordì nel Mugello (ma i due ancora non si conoscevano), negli anni '80 i delitti ripresero con cadenza annuale.
    L'altra coincidenza è la frequentazione di Vicchio: Pacciani vi era nato e vi aveva accoppato un uomo; Lotti conosceva la piazzola del delitto già da alcuni anni, e per quel che sappiamo, autonomamente.
    Bastano questi elementi a tutta apparenza casuali per escludere che Lotti fosse il mostro? Onestamente, non credo.

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    1. Sono io il primo ad ammettere che calarsi nei panni degli altri, soprattutto di personaggi fuori standard come i serial killer, è difficilissimo, è però vero che, arrivato nei sessanta, un minimo di conoscenza dell'animo umano nelle sue pur infinite varianti credo di averla acquisita. E' chiaro che il Mostro ambiva a vantarsi, lo faceva in modo anonimo con le proprie imprese vili, godendo poi degli articoli dei giornali e dei discorsi uditi in modo diretto, ma certo gli sarebbe piaciuto farlo anche a viso aperto, se non avesse avuto paura delle conseguenze. Lotti lo faceva con Pucci, e in parte minore anche con la Nicoletti, tra il serio e lo scherzoso. Con Pucci andò anche piuttosto avanti, fino a portarlo a spiare la coppia di Vicchio e a vedere i cadaveri a Scopeti.

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    3. Naturalmente non intendo polemizzare, ma solo scambiare delle opinionim, come mi pare stia facendo anche lei, quindi la discussione può andare avanti.
      Lei non dice che Lotti è un cretino, dice però che la coincidenza del mostro vero e del mostro falso che si conoscevano le impedisce di vedere in Lotti il colpevole. Ora, se questo non è un pregiudizio che cosa dovrebbe essere?
      Riguardo Pacciani, ho scritto ponderose dimostrazioni di come sia la cartuccia sia il blocco siano delle prove inesistenti, quindi al massimo mi può dimostrare che quei miei ragionamento sono sbagliati, ma non mi può accusare di pregiudizio.

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  10. Pacciani venne puntato perchè aveva commesso un delitto con il coltello anni prima, perchè abusava delle figlie, e perchè "qualcuno" mandò una lettera anonima contro di lui, non certo per altro. E come leader di una banda scalcagnata di assassini non ce lo vedo proprio, non capisco come possa esserci arrivato. Vivaidduce un assassino? ma dai. Io trovo le conclusioni del signor Segnini come le più fondate e credibili. Così come penso che messo alle strette il Lotti raccontasse quello che gli inquirenti volevano sentirsi dire. Dopotutto Pacciani era il capro espiatorio ideale, per le ragioni dette prima. Che vanni e pucci fossero dei minus habens è stato ampiamente dimostrato, anche i parenti di vanni lo dicono. Ho idea che lei prosegua su questa folle idea del branco di assassini per partito preso.

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  12. che un tizio a cui cade un vibratore sul pullmann e uno che parla come pucci nei video su youtube che si possono visionare non siano dei poveri minorati o perlomeno, come dicevano ai miei tempi, dei "semplici", per me è molto chiaro. Mai detto che penso che lotti vedesse gli ufo, anzi, sposando in pieno la teoria di Segnini come lotti=mdf unico e solo non capisco da dove l'abbia dedotto. Mi limito ad affermare che NON esistono nella storia esempi di serial killer che abbiano operato in gruppo, mai.. sempre serial killer singoli che al limite plagiavano e coartavano altri individui per farsi aiutare. Le dinamiche di tutti i delitti vedono sempre un uomo solo all'opera. Lotti. Nel delitto degli scopeti Lotti porta il pucci a vedere cosa aveva fatto . Lotti. Nel processo uno e uno solo si autoaccusa e mette nei guai altre persone che evidentemente altrimenti non sarebbero mai saltate fuori, a parte Pacciani, messo in mezzo perchè con dei precedenti e perchè già indagato e sulla bocca di tutti. Lotti.
    Lei poi continui a pensare alle sette di serial killer, liberissimo.

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  14. Mi perdoni se si è sentito offeso, non era mia intenzione.
    La sua tesi, e quella di molti altri, fa totalmente a pugni con le dinamiche degli scopeti, secondo me punto cardine e punto totalmente accusatorio nei confronti di Lotti. Lotti e Pucci, 1 o 2 giorni dopo l'omicidio, passano li il pomeriggio. Vengono notati, inquisiti, e qui tirano in ballo vanni e pacciani per discolparsi, come farebbero due bambini trovati con le mani nella marmellata. Gli unici che si autoaccusano, quando vanni e pacciani mai mai mai ammisero alcunchè. Gli unici che tirano fuori argomenti inverosimili, date sbagliate, episodi assolutamente falsi e a cui non crederebbe nessuno. Pacciani che si presenta a casa di un tizio e lo utilizza per fare il palo ? ma dai. La tenda squarciata da vanni ? ma dai.
    Lei mi accusa di non aver letto bene, a me pare che sia lei a non avere le idee ben chiare e a non aver letto bene. poi.... come crede. Non volevo offenderla, ma i fatti sono fatti. Le teorie sono un'altra cosa. E i fatti dicono che due tizi si sono autoaccusati cercando in qualche modo di tirarsi fuori, gli altri due hanno sempre affermato di non c'entrarci per nulla.

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  15. Pucci era oligofrenico, stabilito da dei medici e non dai conoscenti... ritardo mentale che sicuramente lo rendeva facilmente manovrabile da uno, Lotti, che invece , pur con dei problemi, scemo non era, visto che cambia versione e la adatta alle sue esigenze a seconda di come tira il vento.
    Vanni e Pacciani sicuramente erano dei mezzi maniaci sessuali, ma sicurezza che Pacciani avesse violentato le figlie , non vedo dove lei la evinca, visto che il mondo è pieno di casi in cui per liberarsi di un padre violento o oppressivo le figlie inventano violenze sessuali, anche perchè di solito dire " è violento e ci picchia" non basta, nella giurisdizione. Tantomeno nell'ambiente di quegli anni. Io vedo di reale solo una cosa: Lotti e pucci agli scopeti , confermato da vari testimoni e dalla presenza della sua inconfondibile macchina, il giorno o due giorni dopo l'omicidio della coppia francese. Questo è un fatto reale o no ? Invece le spiegazioni di Lotti su questo episodio non sembrano che favole. Comunque la smetto di discutere con Lei, mi sembra che ragioni comunque , anche se non lo ammette, per partito preso : Pacciani è colpevole perchè è colpevole. Non ci sono evidenze. Lei ragiona come gli inquirenti dell'epoca, che datarono alla domenica l'omicidio perchè per le altre sere Pacciani aveva un alibi.

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    1. Alcune precisazioni su ciò che io penso di Lotti e Pucci. Pucci non era oligofrenico, come avevano rilevato anche Fornari e Lagazzi. Era però un sempliciotto, di sicuro non all'altezza di Lotti, che invece sempliciotto non era per nulla. Era invece un furbacchione, privo di cultura quanto si vuole ma scaltro.
      In tutta questa vicenda gli indizi veri sono soltanto a carico di Lotti, non certo di Pacciani né di Vanni. La domenica pomeriggio sotto Scopeti c'erano Lotti e Pucci, non Vanni e Pacciani. E la sera l'auto vista dalla Ghiribelli era quella di Lotti, nonostante i disperati tentativi della difesa di Vanni di dimostrare che non era possibile. Vogliamo confrontare questi due avvistamenti con quello di Nesi dell'auto con due persone a bordo? Le modalità con cui tale testimonianza venne acquisita agli atti fanno inorridire. Era falsissima, costruita assieme agli inquirenti dopo la denuncia di Rontini che aveva creduto di aver visto Vanni a Vicchio.
      Poi la piazzola di Vicchio. Qualcuno sapeva dov'era e c'era stato prima del delitto. Chi? Vanni? Pacciani? No, sempre lui, Lotti.

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    3. Pensare che le figlie di Pacciani abbiano inventato le violenze sessuali per emanciparsi dal padre è un'offesa all'intelligenza e al buon senso. Mi sembra incredibile che qualcuno possa davvero crederlo...
      Lotti è un personaggio indecifrabile, e qualunque ipotesi resta azzardata. Era scaltro sicuramente, ma non tutti i furbacchioni sono serial killer.
      Il delitto degli Scopeti con tutta probabilità non avvenne la domenica, e non risulta che nessuno abbia visto l'auto di Lotti il sabato o il venerdì. Questo è bene non dimenticarlo.
      Come immaginavo, la lettura della preziosa trascrizione dell'incidente probatorio di Lotti, che non ho ancora terminato, lascia aperte tutte le ipotesi e non chiarisce il mistero.
      Lotti conosceva la piazzola di Vicchio, ma non si può essere certi che gli altri non la conoscessero solo perché non lo hanno mai ammesso come ha fatto invece Lotti, secondo il quale comunque sarebbe stata la Nicoletti a condurvelo la prima volta.

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    5. Il miglior cuoco è quello cha sa cavarsela con gli ingredienti a sua disposizione.

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  16. Ancora dobbiamo sentire questa storia degli alibi di Pacciani... eppure i documenti sono noti da tempo.
    Quanto a Lotti, è stato incastrato grazie alla Ghiribelli (teste che fa impallidire il Nesi) e l'oligofrenico (certificato anche da F. & L.) Pucci e messo di fronte all'alternativa: o parli o vai dentro.
    Lo dice lui stesso e più volte. Non volendo finire dentro, ha detto più di quello che è, sono parole sue.

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    1. Trovo davvero fuori luogo l'importanza che dai a questa telefonata tra Lotti e Nicoletti.
      Prima di tutto la frase di Lotti "m'hanno imbrogliato" è tutto da dimostrare che avesse rivestito il significato che gli attribuisci tu. Secondo me lui si riferiva invece al tranello sulla sua auto vista a Vicchio, che lo aveva costretto a scoprirsi inventando l'inseguimento di Vanni e Pacciani senza che loro se ne fossero accorti. Proprio quello fu il motivo del passaggio della sua posizione da testimone a indagato. Tra questo evento e la telefonata erano trascorse soltanto un paio di settimane.
      In secondo luogo i due erano perfettamente consapevoli di essere ascoltati. Addirittura già nella telefonata del 16 dicembre 1995 la Nicoletti aveva avvertito Lotti:

      Lotti: “Ti ho telefonato per dirti queste cose, però che rimanga tra noi”
      Nicoletti: “Il fatto… già noi siamo stati sentiti… perché il telefono mio me l'hanno messo sotto controllo”
      Lotti: “E allora tu non potevi telefonare?”
      Nicoletti: “Io per quello non ho telefonato più!”.

      Non vedo quindi che cosa si possa arguire dai discorsi di uno che sapeva di essere ascoltato. Ma poi, in tutto il lungo percorso di Lotti fino alla condanna definitiva in Cassazione, se davvero fosse stato "imbrogliato" lo avrebbe accennato, per di più in modo così sibillino, soltanto in quella telefonata lì? Possibile, ad esempio, che in quella con don Frabrizio Poli, tre settimane dopo, nulla disse di questo imbroglio? Si era rassegnato, anzi, aveva capito che stando dove stava era meglio di prima?

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    2. Sto tentando una ricostruzione complessiva. Quindi semmai ne riparliamo in privato quando sarà il momento.

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  17. Lotti nella telefonata con don Poli diceva di essere stato costretto a dire qualcosa altrimenti finiva dentro.
    Sul significato della frase "mi hanno imbrogliato" si incentra buona parte dell'interrogatorio di Pepi nell'incidente probatorio.
    Lotti arriva addirittura a dire che con imbrogliato intendeva "messo nel mezzo", insieme agli altri due cioè, Pacciani e Vanni. Poi chiede la parola per chiarire il senso della frase incriminata, ma non ci riesce. Anche il tentativo di Bertini di tornarci sopra non sortisce nessun effetto, ed è costretto a rinunciare.
    Cosa intendesse Lotti è difficile capirlo: si lamentava con l'amica per essere stato costretto ad ammettere quello che sapeva? oppure di aver ceduto di fronte alle insistenze e alle contestazioni? si riferiva solo alla storia di Vicchio? La trascrizione completa di questa intercettazione è disponibile, o se ne conoscono solo alcuni stralci?
    Credo che un'analisi linguistica delle parole di Lotti sia un azzardo: come diceva Ionesco, la filologia porta al peggio...

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    1. E' indubbio che l'invenzione di aver seguito Vanni e Pacciani non visto mentre si recavano a Vicchio fu il giro di boa del viaggio di Lotti nella vicenda. Fino a quel momento era formalmente un semplice testimone, di lì a poco sarebbe passato dall'altra parte. Quando gli fu riferita la testimonianza sulle due auto di cui una poteva essere la sua cadde nel tranello come una pera matura. Secondo me fu proprio lì che si sentì imbrogliato, probabilmente perché l'auto vista dai coniugi gli fu detto che era proprio la sua. Era il 6 marzo. Dopo aver capito che non avrebbe potuto farla franca, cinque giorni dopo, l'11, calò le braghe, ammettendo di aver partecipato anche lui. Passò quindi dalla parte degli indagati. La telefonata con la Nicoletti è del 24, neppure due settimane dopo, immaginare che Lotti si riferisse a quell'argomento mi pare legittimo.
      D'altra parte trovo veramente assurdo che si possa inserire questa vicenda così articolata e grottesca (mi riferisco alle dichiarazione a rate di Lotti) nell'ambito di un plagio da parte degli inquirenti. Nel caso contingente, questi avrebbero messo Lotti nelle condizioni d'inventarsi l'inseguimento alla zittina, lasciandogli l'illusione di avergli creduto, poi sarebbero tornati all'attacco costringendolo a raccontarla ben diversa.
      Attendo con ansia il libro di Frank Powerful per vedere come la spiega. Spero soltanto che sia ben deciso nella sua ricostruzione, mostrando magari la stesse certezza che ha nell'escludere Lotti da ogni coinvolgimento, senza proporre troppi scenari che alla fine confondono soltanto.

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    3. Bisogna vedere cosa s'intende per furbizia. Ripeto per l'ennesima volta che mettersi nei panni degli altri per prevedere le loro mosse porta poco lontano. Una volta esclusi i comportamenti chiaramente illogici, tutto il resto può assumere mille sfumature che non si riuscirà mai a comprendere appieno.
      Premesso questo, posso ipotizzare che Lotti, quando tirò fuori l'improbabile inseguimento di Vanni e Pacciani, fosse stato preso alla sprovvista, e avesse deciso istintivamente di non contrapporsi ai propri interlocutori, ma di proseguire sulla strada della collaborazione, per lui assai più conveniente. Forse lei, Marlettti, se la sarebbe cavata meglio, o forse peggio, chi lo sa? Rimane il fatto che Lotti, se era chi penso io, se la cavò piuttosto bene, alla fine. Se non ci pensava il padreterno, sarebbe stato fuori chissà da quanto tempo...

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  18. Lei dice che la pistola fu gettata via, e raccolta poi dal futuro mostro. E le scatole dei proiettili? No..secondo me la pistola o è stata ceduta, od è rimasta sempre nel giro dei sardi. Per quanto lotti presunto mostro.. No era solo un oligofrenico e gran bevitore. Ottime comunque le sue analisi sui delitti.

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    1. Si legga questo articolo https://quattrocosesulmostro.blogspot.com/2016/02/la-scatola-di-cartucce-1.html

      Non c'è alcuna prova che la scatola di proiettili di Signa fosse stata la stessa di quelli di Borgo. Si tratta di una delle tante leggende presenti in questa vicenda. Prendo poi atto della sua opinione su Lotti, non so quanto suffragata da riflessioni sugli eventi, io mi tengo la mia, sulla quale di riflessioni ne ho fatte in abbondanza.
      Grazie per il giudizio sulle mie analisi dei delitti.

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    2. Sono anni che seguo questa storia e i dubbi rimangono tutti. Adesso mi sono imbattuto in questo filmato, realizzato ad agosto a Castelletti di Signa, nel luogo dove tutto è nato. Come il futuro MdF, in questo buio pesto, abbia ritrovato una pistola gettata via mi rimane un mistero.
      https://www.youtube.com/watch?v=B6eSOVAh0rI&t=274s

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    3. Certo, se avesse dovuto cercarla per i due chilometri e passa della sterrata qualche problema potrebbe averlo avuto, ma limitandosi a guardare nei pressi dell'auto con una torcia in mano non mi pare fosse stata un'impresa poi così improba da diventare addirittura un mistero.

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  19. Nella sentenza mele , prima disse di aver gettato la pistola in in fosso, poi disse di averla consegnata al legittimo proprietario, il vinci. Vinci fu poi ucciso brutalmente nel 1993, perché forse il vero mostro aveva paura del vinci stesso. Vinci sapeva a chi aveva ceduto l'arma?.. La chiave di tutto questo dramma , è il passaggio della maledetta pistola. Il resto rimangono solo mere considerazioni. Difficile poi pensare che nel delitto del 68, sia stata gettata via in arma, e che qualcuno poi l'abbia raccolta a diventando in seguito il mostro..

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    1. Mele disse di aver buttato via la pistola durante la prima confessione con Salvatore Vinci suo complice, e di avergliela restituita quando, probabilmente, gli fu detto che non fu trovata. Questo forse potrebbe indurla a fare qualche riflessione. Anche perchè Natalino avrebbe detto qualche mese dopo che la pistola lo zio Piero l'aveva buttata nel fosso. Sarà anche difficile accettare le conseguenze di tali indizi, ma visto il buio totale da cui ancor oggi è avvolto il caso, credo che un pensierino ci si possa fare.

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  20. Come si spiega le atroci morti di vinci e della Malatesta e del suo piccolo figlio Mirko ? Furono uccisi perché sapevano qualcosa sul mostro? Fu ( secondo lei) il lotti? Non era neanche mentalmente idoneo a fare tutto questo...

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    1. Dove sta scritto che la morte dei due poveretti sia da collegarsi alla vicenda del Mostro? Se si va a vedere tutto quello che è stato inserito nel minestrone dei mandanti stiamo freschi...

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  21. Lo disse calamosca, il boss dei sardi( anche lui morto in circostanze strane) che vinci fu ucciso perché sapeva cose sul mostro. Lei è bravissimo a fare le ricostruzioni dei delitti, nma secondo me erra nel pensare il lotti mostro...

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    1. E secondo lei perché lo disse Calamosca sarebbe per forza vero? Prendo comunque atto della sua opinione su Lotti Mostro.

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  22. Scusi se insisto..ma l'ipotesi lotti mostro mi sembra poco attendibile. Non credo neanche a gruppi di assassini e sette varie. Io mi sono fatto una mia personale convinzione : il mostro è uno solo, e si doveva approfondire di più la pista sarda, ed insistere sul vinci del presunto o no passaggio di mano della Beretta. È solo li la chiave, e si potevano forse evitare altre morti. Le consiglio (se vuole) di approfondire anche lei, sulla pista sarda.ovviamente se possiede la giusta documentazione. Dimenticato...buone feste.

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    1. Ho già approfondito abbastanza, mi creda, ormai sono molti anni che sto ricostruendo la vicenda, e sono giunto a conclusioni differenti dalle sue. Ricambio le buone feste.

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  23. Il delitto del 68( delitto passionale e non maniacale) fu commesso dai vinci,presente pure il mele. Fu però l'apripista, sei anni dopo, dell'inizio dei delitti maniacali del mostro. Quindi ritengo logica la tesi, che qualcuno nel gruppo dei sardi che uccisero la locci, ci fosse anche il futuro mostro, che in qualche modo si impossessò dell'arma (o gli fu data dal legittimo proprietario). Assistendo all omicidio locci, probabilmente nella sua mente disturbata, le fece scattare una molla. Sarebbe interessante sapere realmente chi ci fosse insieme ai vinci ed al mele, quella maledetta notte..

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    1. L'unico testimone oculare raccontò però un'altra storia. Secondo Natalino non c'era alcun Vinci quella notte, ma suo padre e suo zio, Piero Mucciarini. I quali, anzi, rispettivamente volevano che lui dicesse che c'erano Francesco Vinci e Salvatore Vinci. Provi a pensarci bene, cercando di liberarsi, almeno per un momento, dalle sue convinzioni attuali.

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  24. La pista sarda fu invece troppo presto abbondanata,facendo iniziare la ridicola tesi dei "compagni di merende", che purtroppo ha condotto ad altre ridicolaggini del tipo mandanti e sette sataniche varie...

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    1. La pista sarda fu abbandonata quando non c'era più nessuno di cui poter sospettare. Chi oggi continua a proporre Salvatore Vinci come Mostro dimentica che le fantasiose ipotesi di Torrisi si sono tutte infrante contro la mancanza di ogni prova.
      La pista sarda si basava soltanto sulla speranza che la pistola fosse rimasta nel giro degli stessi sardi, ma si trattava appunto di una speranza, a mio parere anche poco giustificata. Sarebbe stato infatti assurdo per uno dei sospettati di allora tornare a uccidere con la medesima pistola. Se poi si va a vedere come avvenne il collegamento, tramite un anonimo, a questo punto non ci sono più dubbi, perseverare sulla pista sarda è folle.
      La pistola andò in mano a qualcuno di cui i sardi nulla sapevano, al di là di chi potesse essere stato questo qualcuno.

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    2. La pista sarda è un abbaglio su cui si continuerà a perseverare in eterno, temo. Addirittura secondo qualcuno (Cannella) la segnalazione anonima che collegò Signa ai delitti maniacali sarebbe la prova che il mostro era nel gruppo dei sardi: l'anonimo, sapendo chi aveva ucciso nel '68, voleva vendicarsi portando gli inquirenti a scoprire chi era il mostro di Firenze. Un'assurdità che fa a pugni con la logica.
      Il teorema Torrisi è basato su un assunto che fa impallidire i pregiudizi di Perugini nei confronti di Pacciani: una persona con perversioni sessuali (Salvatore Vinci) non può che essere il mostro.
      La pervivace ostinazione nel cercare un mostro sardo ha fatto di peggio, come sappiamo: il killer era niente di meno che un ragazzino (nel '74), il cui impulso omicida si scatenava solo a Firenze. Come se in Sardegna o in qualunque altro posto non potesse trovare coppiette.
      Nessuna delle tante teorie che i seguaci della pista sarda ci hanno propinato ha alcun senso, sarebbe ora di ammetterlo.

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    3. I pregiudizi di Perugini su Pacciani sono un concentrato di ipocrisia e malafede insuperabili. Non c'è paragone con Torrisi, il quale partiva dal delitto del 68 e dalle dichiarazioni di Mele. Molto, ma molto di più di quello che aveva a disposizione Perugini, all'inizio, su Pacciani. Disegni e lettere anonime. I pregiudizi di Perugini contribuirono pesantemente ad una condanna vergognosa a 7 ergastoli senza uno straccio di prova. Non bisogna dimenticarlo questo.

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    5. Erano le sue spiegazioni ad essere irrazionali. E francamente anche ridicole. Come le grottesche allussioni ai disegni e ai quadri. Poi il collocare Pacciani a Signa solo perché la Bugli abitava più o meno vicino alla Locci è una forzatura talmente grande da sembrare quasi una presa in giro. Poi non si capisce perché un serial killer debba per forza essere un pregiudicato. Che fosse qualcuno che conosceva le zone non lo ha certamente detto Perugini per primo, anzi. Già nel profilo fbi venne ipotizzato. Perugini non ha razionalizzato proprio nulla. Era fin dall'81 che si cercava un serial killer, il profilo De Fazio parlava chiaro. Condivisibile o meno che sia. Le dichiarazioni del Mele erano importantissime, e analizzarle tutte fu un lavoraccio per chi dovette farlo. Gli inquirenti degli anni '90 per risolvere il problema del '68 si sono inventati sciocchezze terribili, come il Mele innocente che istruisce il bambino per costituirsi un alibi di cui non aveva nemmeno bisogno. Forzature evidenti, anche un po' ridicole e meschine, che servivano a far tornare dei conti che non tornano assolutamente.

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    7. E siccome uno firma e modifica un quadro e se lo appende in casa questo sarebbe un elemento a suo carico? Una cosa cosi meschina e vergognosa non penso si sia mai vista nemmeno nei totalitarismi. La teoria di Segnini è diversissima, visto che ha il buon senso e la decenza di non ridicolizzare gli avvenimenti, come fecero il pm e il triste giudice di primo grado nel processo Pacciani, con l'assurda storia di Mele innocente che arriva sul posto per caso e istruisce il bambino per un'alibi di cui non aveva bisogno. Perugini nel suo libro scrive che considera imoossibile un passaggio di mano dell'arma e che l'assassino ha ucciso anche a Signa. A questo punto lei cosi convinto della colpevolezza di Pacciani, benché non ci sia uno straccio di prova, ci dica perché un assassino di vecchia data avrebbe risparmiato un potenziale testimone con cui non aveva nessun legame. Poi che Pacciani abbia ucciso la Locci perché vicina di casa della Bugli per curarsi il "mal d'amore" è qualcosa che francamente mi lascia disgustato, quando penso che queste idiozie hanno avuto credito nelle aule di giustizia di questo paese. Nel caso di Pacciani l'onore della prova era ribaltato. Lo ha confermato lo stesso giudice in una recente e tristissima intervista in cui ha avuto il barbaro coraggio di affermare che :" Pacciani è colpevole fino a prova contraria". Piano piano il muro di gomma sta crollando, come con i documenti che attestano l'inutilità dell'incidente probatorio di Lotti. E tutte le forzature fatte da chi avrebbe dovuto darci giustizia, a fatica, stanno venendo fuori.

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    9. Di fronte a certi personaggi, e a certe azioni, le parole dure, da parte di una persona istruita, sono un dovere. Ognibene dimentica che dopo di lui un giudice, di gran lunga più razionale e giusto, assolse Pacciani. Dimentica che Pacciani non era imputato nel procedimento di Vanni e Lotti e che non è stato condannano definitivamente per alcunchè inerente a questa vicenda. Quindi le sue parole sono fuori luogo, e giuridicamente inesatte. E confermano quello che tutti sanno, forse tranne lei, ovvero la sua faziosità, e il fatto che l'onere della prova, in questa vicenda, era ribaltato. L'imputato doveva dimostrare l'innocenza, il PM poteva cavarsela alimentando sospetti, e portando a testimoniare un numero incredibile di persone che nulla sapevano di questa storia. Per quanto riguarda il delitto di Signa, non è colpa mia se giudice e PM pensavano che il responsabile ne fosse Pacciani, arrivando a dire che Mele arrivò sul posto per caso e si costruì un alibi di cui non aveva bisogno. Si vada a riascoltare la requisitoria di Canessa sul delitto del '68. Parola per parola. Non è colpa mia se si è arrivati ad un livello tale di meschinità e irragionevolezza.

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  25. Non ho proposto il salvatore vinci come presunto mostro.. Ho detto ben altro. Ho detto che qualcuno quella notte del delitto locci(oltre a quelli già citati) era presente ed ha visto uccidere i due amanti, e secondo me era uno (forse mai menzionato) che faceva parte del gruppo che era li quella notte. Ripeto: la chiave di tutto è la Beretta! Fantasiosa l'ipotesi (pure assurda) che la pistola sia stata gettata via come cartaccia,dopo il duplice omicidio dei due amanti. Chi poi l'avrebbe raccolta? Il lotti ?..ma via su...un po di logica.

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    1. Guardi, la logica è la medesima di tutto il resto dei miei scritti, quindi è meglio che non legga neppure quelli.

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  26. Non mi fraintenda...il suo lavoro è certo apprezzabile. Le nostre sono solo teorie. Purtroppo la verità nessuno la conosce. Vorrei solo essere utile alla discussione. Vorrei aggiungere pure un altra mia ipotesi (sempre sui sardi vinci) salvatore , uomo molto più colto di quanto si pensasse, può essere entrato in un qualche mondo sommerso di personaggi atti a perversioni sessuali ? Vennero fatti accertamenti al riguardo? Chiudo con queste mie domande, i miei commenti. Continuando ovviamente a seguirvi.

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  27. Mi scusi se critico l'impostazione vinciana (Salvatore), ma guardi che la ricostruzione del 1968 più logica, ormai è dato acquisito (non vuol dire che è la verità, ovvio). Voglio dire che occorre criticare i seguenti argomenti in punto indiziario per poterla bocciare o scalfire. Eccoli, e mi permetto di trascriverli in modo sintetico e schematico, dicendo chiaro e tondo che è merito di Antonio Segnini aver ricostruito questi snodi:
    a. Dopo il delitto del 1968 la pistola è gettata nei pressi dell'auto del Lo Bianco (fatto corroborato da dichiarazioni del piccolo Mele e del reo confesso, di cui è provata quantomeno la presenza sul luogo del delitto. Peraltro, è cosa logica per un gruppo o un singolo che compie un delitto premeditato, se la pistola non è la sua/loro).
    b. La raccoglie un guardone che assiste al fatto, forse particolarmente interessato alla Locci, o forse non necessariamente legato a Lei, ma al luogo di Lastra a Signa.
    c. Questo guardone apre la serie, dopo un periodo di incubazione, forse facilitato da un contatto avuto con la vittima femminile di Borgo, nel 1974.
    d. A dare fondamento a questo impianto è la soffiata dell'estate 1982, in cui il "cittadino amico" induce a tornare sulla pista del 1968 perché ne conosce e ne immagina (senza neanche troppa ricchezza di intelletto), le conseguenze depistanti. Solo così si spiega il vantaggio di far confluire l'attenzione sui Sardi, senza che questi possano far nulla per chiarire a chi avessero ceduto l'arma. E ciò perché l'arma non l'avevano mai ceduta (come invece sostiene la tesi originaria di Vigna, indubbiamente intelligente, ma che non può più spiegare il senso dell'intervento del cittadino amico).

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    1. Mi fa piacere che qualcuno abbia capito la semplicità e la linearità di tale ipotesi. Correggerei soltanto la denominazione di "guardone". Chi raccolse la pistola non era un vero e proprio guardone, a mio parere, ma qualcuno che seguiva la Locci perché ne era interessato. Quella non era zona di guardoni. Poi si hanno vari indizi della presenza di un oscuro personaggio quella sera al cinema, e non dimentichiamo il tizio del motorino.

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  28. Mia personale tesi: chi sparò alla coppia di amanti, quella maledetta notte del 1968,fece da apripista successivamente, ai cosiddetti omicidi maniacali del mostro. Chi potrebbe essere l'Oscuro personaggio? Secondo me chi sparò quella sera a signa. Probabilmente quel omicidio fece scattare una molla nel suo già disturbato cervello. Che lo condusse poi , a commettere gli atroci delitti successivi. Ovviamente nulla di nuovo in questa mia tesi. Fu già pensata dal magistrato Izzo, e con la tesi del (ottimo) tenente colonnello torrisi. Con questo, quale messaggio voglio portare in questo interessantissimo blog? Che forse la verità era più semplice di quanto si pensi. Ma si volle nel tempo, indirizzare le indagini, in vicolo non solo cieco, ma pure assurdo e ridicolo.quello che portò ai cosidetti"compagni di merende", e mandanti occulti,legati a pseudo sette. Permettetimi di dire...che buffonata !!! Si doveva indagare di più, non tanto la pista sarda in se stessa, ma chi sparò quella notte a signa ( e sapete a chi mi riferisco) il resto sono state tutte assurdità! E si potevano risparmiare altre vite umane..

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  29. Aggiungo : rileggetevi la storia del tizio che sparò quella notte a signa. Ha le caratteristiche attribuite al mostro. Altro che Pacciani e compagnia cantante ! Approfitto poi, di ricordare quante vittime innocenti ha fatto la pista dei compagni merenderi. Uno in particolare, che fu il farmacista del mio paese, quando ero bambino, il dottor calamandrei...

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    1. Purtroppo, quando si parla di Signa, si mettono da parte le parole di Natalino, e si evita di contestualizzare quelle di Mele. A questo modo è facile immaginare gli scenari più vari, quelli che tornano meglio con le proprie convonzioni, ma non si rende un buon servizio alla ricostruzione storica.

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  30. Condivido anche la precisazione circa il termine "guardone".
    Trovo pure determinante il rilievo sul motorino e spiego anche perché. Il motorino riemerge a Borgo in quanto spiega perfettamente il getto della borsa e le sue ragioni pratiche. Il motorino è il mezzo che il Mostro può impiegare facilmente e che è il più comodo nei primi anni (cioè in occasione dei primi delitti). Non è un caso che i mezzi a due ruote la facciano da padroni quasi per ogni ricostruzione (pur assurda che sia): si va dal motorino celeste di Pacciani a Scopeti, nel presunto sopralluogo con testimonianza oculare diretta (ammessa che sia vera e fedele), fino alla moto di Narducci, al mezzo a due ruote del Lotti dei primi tempi, di cui tanto si discusse, fino al Gilera del Vinci con il presunto foro portapistola. Se si riflette attentamente, si comprende come il mezzo a due ruote fosse assai comodo ed agile per perlustrazioni, sopralluoghi ed appostamenti. Naturalmente, lo era meno per l'esecuzione dei delitti, poiché allontanarsi con il motorino presenta qualche inconveniente. Cito questi esempi per mostrare come occorra riflettere senza pregiudizi anche sul modo di condurre le investigazioni che, secondo me, almeno nei primi tempi, sui mezzi di locomozione avrebbero dovuto concentrarsi di più e meglio. Poi, invece, vi fu persino una bulimia di ricostruzioni incentrate su auto, loro colori, portiere e passaggi di mano e di proprietà.

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  31. La spiegazione del 1968 che ho riportato sopra, scusate se insisto, mi pare insuperabile anche in punto di logica. Basta riflettere brevemente su un dato: perché mai tenersi una pistola che ha ucciso se si è individuato un assassino di comodo che la pagherà in solitudine (Il Mele). Anche se si fosse voluto incastrare F. Vinci, peraltro, la pistola non la si poteva tenere, ma la si doveva lasciare sul luogo del delitto Locci - Lo Bianco.
    Comunque si legga la notte di Lastra a Sigma, non si possono negare due rilievi logici: a. seppure l'omicida fosse il Mostro agli esordi (ma non già maniacale, cioè uno proveniente dell'ambiente dei Sardi), non avrebbe mai tenuto la pistola fino al 1974, con rischi abnormi di mandare all'aria tutto quello che gli aveva garantito impunità. b. la soffiata del 1982 sarebbe stata suicida, controproducente o impossibile, se non per chi detenesse la pistola senza che i Sardi potessero identificarlo in alcun modo. L'unica alternativa credibile è che la soffiata del cittadino amico fosse una tappa di quel gioco del gatto col topo che, a tratti, il Mostro condusse con gli inquirenti. Ma anche qui la tesi continuistica per cui l'omicidio Locci - Lo Bianco fu compiuto da uno che poi ha elaborato l'atto, sublimandolo in un rituale orrorifico non spiega perché accollarsi i rischi di mettere la magistratura sui binari giusti della genesi della vicenda.

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    1. Pare evidente anche a me che vedere l'assassino nascere dal gruppo di coloro che uccisero Barbara Locci e Antonio Lo Bianco è poco ragionevole. Spargere bossoli collegabili a quelli del '68 era un comportamento folle per uno dei sospettati di allora. Salvatore Vinci, ad esempio, avrebbe potuto certamente procurarsi una diversa pistola per uccidere dal '74 in poi, tantopiù che gli stessi che lo indagarono, Torrisi e Rotella, lo descrissero come una persona assai scaltra.
      Introducendo poi la segnalazione anonima, ogni residuo dubbio scompare. Quindi, preso atto che nel '68 a uccidere furono i parenti o amanti della Locci, assieme al marito che c'era, per forza la pistola andò in mano a un personaggio a loro sconosciuto. E infatti, nonostante incarceramenti e interrogatori continui, nessuno di loro seppe mai dare indicazioni di dove fosse finita. Alla fine Rotella, che aveva ottenuto da Mele una confessione quasi completa, con i due cognati in carcere e un nuovo duplice omicidio perse la testa e, con lo spauracchio della galera, costrinse l'ometto a mettere dentro anche Salvatore Vinci, per un'assurda staffetta di tre sparatori e due auto.

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  32. Vinci era sempre stato fuori,quando avvennero gli omicidi. Fu arrestato dopo il delitto degli scoperti. Nelle perquisizioni, venne rinvenuto uno straccio con macchie ematiche, e da sparo. Perché non furono paragonate col sangue delle vittime? Troppe lacune furono fatte in quella indagine.

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    1. Su quello straccio provi a ragionarci un po', e forse le verrà l'idea su chi potrebbe avercelo messo affinché fosse ritrovato. Le do un indizio: nella sentenza Rotella ci furono due rinvii a giudizio per calunnia, uno dei quali di una donna contro Salvatore Vinci, che l'aveva abbandonata. Guarda caso una borsa di paglia del tipo di quella dov'era lo straccio ce l'aveva proprio lei. Uno dei due gruppi sanguigni era proprio il suo, l'altro era di Vinci. Faccia due conti.

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  33. Complimenti davvero per il suo ottimo lavoro. Mi permetto di farle una domanda e mi scuso anticipatamente se la risposta è già stata data nel maremagnum dei documenti postati in rete... che Lei sappia, è stato svolto l'esame del DNA su Natale Mele in modo da poter risalire alla paternità?

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    1. Che io sappia no, ma direi anche di poterlo escludere. Non credo che l'esito di tale esame avrebbe potuto fornire elementi utili alle indagini, e in ogni caso Natale Mele avrebbe dovuto essere d'accordo, ma per quale motivo? In genere queste cose si fanno per ottenere vantaggi economici.
      Grazie per l'apprezzamento del mio lavoro.

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  34. Ciao a tutti, vorrei fare un'osservazione che non mi pare sia stata ancora fatta. A mio parere leggendo la perizia di autopsia del Lo Bianco, ci sarebbero tre proiettili documentati all'esterno del corpo delle vittime e non solo due come di solito si riporta. Infatti, nel documento si legge testualmente, in aggiunta ai classici quattro colpi: "Sulla manica sn della camicia si osservano, raggruppate quasi esclusivamente sulla faccia anter-esterna, circa una ventina di lacerazioni, prevalentemente rotondeggianti, e delle dimensioni variabili da 3 a 4 mm. Queste lacerazioni si presentano spesso raggruppate fra loro in serie lineari. Non si apprezza l'esistenza di tracce di affumicatura in corrispondenza delle lacerazioni descritte". Quest'ultima frase da sola è illuminante circa l'interpretazione data dal perito a quella "ventina" di fori sulla manica. Anche la morfologia "lineare" descrive sufficientemente l'azione di una serie di corpuscoli ravvicinati fra loro che investono il braccio della vittima maschile. Più fori possono essere ricondotti anche all'azione di un singolo corpuscolo (la manica era staccata e poteva essere arricciata), ma sicuramente siamo in presenza di una "rosa" di corpuscoli. Non essendoci un finestrino frantumato da prendere in considerazione, i corpuscoli in questione derivano verosimilmente da un proiettile che si è frammentato. Questo, non potendo essere uno dei quattro che attinsero Antonio Lo Bianco, può derivare o da uno dei due che hanno attraversato il corpo di Barbara, oppure da un ulteriore colpo andato a vuoto che si è frantumato su una delle strutture del veicolo. Se si ipotizza che il colpo sull'avambraccio della VM sia poi finito nelle spalla della VF, allora questo colpo frammentato riporta il computo balistico dei colpi da sette a otto, se invece ciascuna vittima avesse ricevuto quattro proiettili indipendenti fra loro, allora questo colpo porta il bilancio definitivo da otto a nove colpi: otto nel caricatore e uno in canna. Dejà vù?...

    Un saluto a tutti

    Luca Scuffio Diprato.

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    1. Devo ammettere di non avere idee valide in grado di spiegare la ventina di fori sulla manica sinistra della camicia di Lo Bianco. Certo, l'idea di un proiettile frammentatosi contro la lamiera dell'auto i cui frammenti di rimbalzo colpirono poi la zona è suggestiva e in sintonia con la dinamica qui descritta, ma non mi sentirei di scommetterci. Forse si trattava semplicemente di tessuto "liso", anche se dalla descrizione sembrerebbe un po' troppo anche per una famiglia poco danarosa come doveva essere quella di Lo Bianco, che quella sera pare non avesse neppure una lira in tasca.

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    2. Luca, non credo affatto che le lacerazioni di cui parli abbiano a che fare con frammenti di proiettili, per due motivi. Condividendo, almeno in questo, la ricostruzione di Antonio, trovo molto probabile che Lo Bianco avesse il braccio sulla schiena-spalla della Locci, più o meno come nelle foto che ha inserito in articolo. A quel punto, non si vede dove potrebbe aver impattato l'ipotetico proiettile prima di polverizzarsi e forare la camicia della VM. Inoltre, giacché i forellini erano sulla faccia anteriore esterna della camicia, i frammenti avrebbero per forza di cose colpito poi il braccio o avambraccio di Lo Bianco lasciando qualche segno, che però il perito non descrive. La cosa importante della descrizione a me sembra, invece, "la manica completamente staccata". Qualcuno vi si è aggrappato con violenza.
      Comunque è stato un bel tentativo di riportare in esistenza un ottavo proiettile che assolutamente non c'è :-)
      Anticipo qui un'osservazione di carattere temporale: le autopsie furono condotte la mattina del 23 agosto dalle 9 alle 13. Gli investigatori furono informati degli esiti, nell'interesse delle indagini in corso. Quando Mele confessa (tardo pomeriggio-sera di quel giorno) i CC sanno già (erroneamente, a mio parere) che sono stati esplosi 8 colpi. Tecnicamente quindi non è vero che Mele lo rivela a investigatori ancora ignari, che solo dopo ne avranno conferma. Per avere un'idea migliore ci mancano, come sappiamo, gli allegati al rapporto Matassino.

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    3. Omar, a differenza di te e di me il perito c'era e aveva il cadavere sul tavolo. Scrivendo "Non si apprezza l'esistenza di tracce di affumicatura in corrispondenza delle lacerazioni decritte." dichiara di aver riconosciuto in quelle lacerazioni l'effetto di un qualcosa che potrebbe essere uscito dal vivo di volata di un'arma. Se avesse avuto il dubbio che hai tu lo avrebbe espresso, non credi? E in che altro modo potresti spiegare quelle lacerazioni molto ben descritte e molto verosimili? Un frammento che attraversi una serie di pieghe (come una plissettatura, ricordiamo che la manica è arricciata verso il basso e presumibilmente rigonfia) lascerebbero proprio quelle tracce. Il fatto stesso che abbiano lasciato quella tracce su una piega vuol dire che i frammenti sfiorano il braccio attraversando la stoffa in senso tangenziale all'arto. La faccia anter-esterna è un punto che è compatibile con questa traiettoria non lesiva. Diverso sarebbe stato, per esempio, se avesse colpito la faccia laterale sinistra, ma lì si avrebbero formazioni di lesioni a rosa e non certo lineare; in questo caso sì che ci si aspetterebbe una corrispondente lesione almeno a livello cutaneo.

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    4. Una serie di frammenti che fora in una ventina di punti la manica della camicia senza in alcun modo lasciare segni su braccio o avambraccio non riesco a immaginare quale traiettoria possa aver compiuto. Peraltro sappiamo che Lo Bianco fu colpito da tre colpi trapassanti al braccio, quindi dovrebbe avere almeno 6 fori nella manica, ma il perito non ne fa cenno. Dalle foto che ho visto (peraltro solo lato destro del corpo) non mi pare si capisca se la manica è rimboccata o se la vittima indossa una casacca a maniche corte. In quella perizia vi sono cose ben più strane, di cui scriverò a breve. Comunque, se tu vuoi vederci il segno di un proiettile liberissimo, il perito autoptico non lo dice.

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  35. Ciao Antonio
    solo recentemente ho trovato voglia e tempo di confrontarmi con la tua ricostruzione di Signa e con i nuovi documenti che hai pubblicato. Hai ragione, all'epoca del mio articolo con il Prof. Ferri non avevamo a disposizione i verbali di autopsia Locci Lo Bianco e, forse, il nostro articolo sarebbe uscito un po' diverso, più nella forma che nella sostanza.
    Avendo però ora letto la perizia autoptica di Montalto sono vieppiù perplesso. Infatti a pag. 3 si legge che il famoso colpo alla spalla avrebbe anch'esso direzione sx-dx. Forse ti era sfuggita questa frase.
    Aggiungo che un uccellino bene informato ma purtroppo molto geloso mi riferisce che, nella leggendaria perizia Zuntini 68, si scrive che il colpo alla spalla aveva direzione sx-dx con angolo di circa 30°; e che tutti i colpi sulla Locci avevano la stessa direzionalità , appunto sx-dex, con angoli che vanno dai 25° ai 35°, quindi molto vicini. Come saprai Zuntini assistette alle autopsie, quindi la sua fonte è in questo caso primaria (de visu + verbali autoptici).
    A questo punto non capisco da dove De Fazio & C abbiano tratto la loro descrizione di un colpo proveniente da destra...
    Per ora non ho tratto alcuna conclusione (sono sempre alla ricerca dell'ottavo proiettile volatilizzatosi nell'abitacolo)e mi sono fermato su questo punto, che sembra quanto meno controverso. Ho anche notato che, salvo errore, nell'esame di Montalto al processo Pacciani non si parla di colpi da più direzioni, ma univocamente di direzione da sinistra; non vorrei sbagliare. Prima di andare avanti a ipotizzare (sai che procedo sempre con i piedi di piombo evitando voli di fantasia) vorrei sentire se hai considerazioni in merito o se mi sfugge qualcosa.

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    1. Nella faccia posteriore della spalla sinistra, a distanza di 8 cm. 9 cm e mezzo dal limite posteriere del cave ascellare corrispondente, si presenta una soluzione di continuo della cute di forma lievemente ovalare delle dimensioni di 7x6 mm., con maggiore asse lievemente obliquo dal basso verso l'alto e, da sinistra verso destra, con margini frastagliati e lievemente introflessi e pareti lievemente svasate verso l'alto sul lato inferiore, a contatto del quale l‘alone escoriativo che circonda la ferita è più marcato e raggiunge lo spessore di 1 mm. e mezzo.

      Dovrebbe essere questo il passo della perizia Montalto cui ti riferisci. A me sembra di capire che il "da sinistra verso destra" si riferisce al "maggior asse lievemente obliquo" del foro d'ingresso, non alla direzione del tramite del proiettile nei tessuti. D'altra parte la posizione del foro d'ingresso a 8-9 cm dal cavo ascellare e quella del ritrovamento del proiettile in prossimità dell'apofisi coracoide depongono per una direzione destra-sinistra.
      Riguardo la misteriosa perizia Zuntini non so cosa dirti. Di sicuro in quella del '74 aggiustò le cose, come credo di aver dimostrato nel mio articolo,

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    2. purtroppo manca anche la pag. 7 del verbale di autopsia di Montalto, non solo la pag. 9.

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  36. So io chi e' il MdF! Esiste un tizio su YouTube nel quale mi sono imbattuto. Si e' letto il libro di Segnini e lo ha sciorinato paro paro (benche per ben 2 volte nell'arco del monologo lo abbia menzionato ma con alcune "riserve" sulle idee lette) come se fosse una sua geniale intuizione quella del Lotti. Un monologo di circa 5 ORE senza interruzione dove attraverso parlando "freneticamente" e attraverso numerosi pluralia maiestatis appunto sciorina la colpevolezza del Lotti, voltandosi continuamente nel vuoto sulla sua destra (probabilmente buttando rapide occhiate al libro stesso) con un aria da investigatore pulcinelliano. E' LUI, il mostro. E ce ne sono una sfilza in tutta questa storia. E' meraviglioso cosa non accada sula pelle di 16 poveri giovani in quel vostro paese di giuttari. Sto naturalmente un po scherzando.

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  37. La ringrazio, le sue ricostruzioni dei delitti sono un faro di lucidita', nonche' chiaramente comprensibili anche a noi profani.
    Il colpo numero 8, potrebbe essere fuoriuscito dal finestrino anteriore destro, se questo si trovava semiaperto? Questo conforterebbe a mio avviso la sua ipotesi di uno Stefano Mele costretto a sparare un paio di colpi, uno verso Barbara, che la colpisce alla spalla, ed uno verso Antonio,che lo manca ed esce dal finestrino aperto, lasciando il bossolo all'interno.
    La ricerca esterna al veicolo, finalizzata al reperimento di un oggetto macroscopico come la pistola, potrebbe aver trascurato un proiettile finito magari lontano?

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    1. Dal verbale di sopralluogo il finestrino anteriore destro pare fosse chiuso. Non saprei dove possa essere finito l'ottavo proiettile, secondo me si polverizzò colpendo del metallo duro, in ogni caso sulla sua esistenza mi sento di essere abbastanza sicuro, poiché i due bossoli all'interno indicano una fase del tutto differente da quella dei sei colpi che uccisero in rapida sequenza i due poveretti. Quei due colpi furono sparati inserendo una mano dentro il finestrino semiaperto posteriore sinistro, dopo i primi sei sparati dal pertugio del finestrino anteriore sinistro.
      Anche a lei come a tutti gli Unknown chiedo di mettere una sigla di riconoscimento.

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  38. Ma perché i due si sarebbero scambiati di posto in auto?

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    1. Credo sia dipeso dalla presenza del volante al posto di guida, che avrebbe intralciato la fellatio. Non credo che i due sarebbero giunti a una congiunzione canonica, con il bimbo in macchina. In questo caso lei sarebbe potuta rimanere al suo posto e lui sopra.

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  39. A me risulta strana una cosa nella ricostruzione: se il MdF avesse sparato i primi 6 colpi dal finestrino anteriore sinistro e gli ultimi due da quello posteriore sempre sinistro, in quel frangente Natalino Mele si sarebbe già dovuto svegliare (avendo udito sei colpi!). Mi sembra strano che si siano sparati gli altri 2 in prossimità del bambino già sveglio ormai.

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    1. Vari indizi nelle parole del bambino indicano la pausa, secondo la mia interpretazione. Legga questo articolo:

      https://quattrocosesulmostro.blogspot.com/2019/03/natalino-fanciullo-intelligente-e.html

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  40. Scusa Antonio, ma non sarebbe possibile che si fosse sparato solo dal posteriore sinistro? Lei stava facendo un fellatio e quindi era chinata, esattamente come dalla tua ricostruzione fotografica. Arriva l'assassino che spara dal finestrino posteriore sinistro, il primo colpo la prende sulla spalla, mentre i successivi tre sono quelli diretti a Lo Bianco, in rapida successione. Nel frattempo lei si alza istintivamente e cerca di tornare nella posizione del sedile destro. Lo sparatore, vedendo il movimento spare i tre colpi in successione al fianco sinistro, che e' la parte esposta durante questo movimento.

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    1. Di sicuro la ricostruzione che ho proposto non è l'unica possibile, quindi anche una simile alla tua potrebbe in linea teorica risultare valida. Personalmente le trovo questi difetti:

      # All'interno dell'abitacolo vennero ritrovati soltanto due bossoli, indice di due colpi esplosi con la mano dentro l'abitacolo. Se il punto di sparo era il finestrino posteriore, perché all'inizio la pistola venne tenuta fuori?

      # La posizione dei tre bossoli all'esterno, tra la fine della portiera anteriore e la fine della ruota posteriore, è poco compatibile con il punto di sparo dal finestrino posteriore. In questo caso, infatti, avrebbero dovuto essere più indietro, tantopiù se si considera l'inclinazione dell'arma, favorevole a un'espulsione ancora più verso il dietro.

      # I tramiti delle ferite al braccio e al fianco sinistri di Lo Bianco privilegiano un punto di sparo dal finestrino anteriore. Secondo De Fazio vanno "in senso lievemente anteroposteriore", il che vuol dire dal davanti al dietro.

      # Andrebbero fatte delle prove con la Giulietta, però ho l'impressione che se la Locci si fosse alzata dopo il primo colpo alla spalla, avendo il sedere sul sedile di guida la relativa spalliera in piedi l'avrebbe protetta nelle parti che invece risultarono colpite.

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  41. Antonio secondo lei le persone che avrebbero accompagnato Natalino quanto tempo ci avrebbero messo a tornare sul luogo del delitto? Si parla sempre del viaggio d'andata ma bisogna pensare anche al ritorno...

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    1. Natalino fu accompagnato con tutta calma dal padre, che aveva appuntamento con l'auto dei suoi complici per le due vicino casa De Felice. Non fu un caso se Natalino suonò alle due esatte, ci pensi. Poi loro lo accompagnarono a casa.

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  42. Devo dire, nonostante L’ indubbia precisione della ricostruzione, che man mano mi avvicino a questa incredibile vicenda, più mi risulta difficile credere veramente a una pista sarda. Non riesco a rintracciare un vero movente, culturalmente plausibile del delitto, in mancanza dell’unico grande movente della criminalità sarda: il denaro. È veramente plausibile un movente passionale o d’onore? Non credo. Stefano Mele era realmente interessato a vendicarsi della moglie, proprio quel giorno che era con il figlio e che l’avrebbe messo in pericolo? Non credo proprio. Naturalmente non è semplice pensare a un bimbo che si incammina tutto solo per due chilometri al buio...bambini sardi di altre generazioni lo facevano costantemente, ma un bambino degli anni Sessanta? Diciamo che se il delitto è frutto del giro dei sardi rimane molto inspiegabile il passaggio di proprietà della Beretta. L’unico personaggio che potesse avere i caratteri adatti a sviluppare una criminalità maniacale, tra i sardi, pare Salvatore Vinci, ma ci sono tante, troppe incongruenze nella storia successiva.
    Allora, ad oggi, reputo più verosimile l’idea di un personaggio che ha cominciato ad agire nel delitto del 1968 e poi ha sviluppato le sue caratteristiche criminali in un triste e inquietante crescendo.

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    1. Naturalmente rispetto le sue opinioni, che sono anche quelle di illustri mostrologhi di ieri e di oggi (e di grezzi neoscrittori), ma non le condivido. Mi pare evidente che in questo modo non si faccia che applicare un metodo del tipo: "non capisco quindi metto da parte".
      Non si possono chiudere gli occhi di fronte a evidenze macroscopiche che fanno del delitto di Signa un delitto comune nel quale è coinvolto il marito. Non si possono ignorare il fatto che Mele la mattina si prepari un ingenuo alibi, la sua positività pur debole al guanto di paraffina, le tracce di grasso sulle sue mani. E neppure i particolareggiati racconti di Natalino durante i tre interrogatori dell'aprile-maggio 1969. Senza dimenticare che di fronte ai giudici del processo continuò a sostenere la presenza del padre. Era già più grande e sapeva bene quello che sarebbe successo.
      Vede, credo che lei sappia quale sia per me il Mostro, se non lo sa glielo scrivo qui: Giancarlo Lotti. Ora, quanto sarebbe stato più facile per me sostenere che fu lui a uccidere anche a Signa? Magari con una pistola trovata tra i fanghi dell'Arno. Ma non posso, perché quel delitto fu commesso dai sardi, quindi sono obbligato a fronteggiare la questione del passaggio della pistola.
      Ma se si trova la strada giusta magicamente tutti i pezzi vanno al loro posto, e anche tanti dettagli assumono un significato. Faccio l'esempio di uno secondario, che personalmente mi balzò subito agli occhi: Natalino suonò alle 2:00 esatte, né un minuto di più né un minuto di meno. Strano orario tondo tondo... Avrebbe potuto suonare all' 1:51, 1:52... 2:01. 2:02... Ora, le 2:00 non le sembra un tipico orario da appuntamento rispettato al minuto? Appuntamento tra chi? Ecco quello che bisogna capire, non ignorare.

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    2. E sarebbe anche interessante capire perchè Natalino non vuole parlare con i carabinieri. E per quale motivo non dice il suo cognome. Non permettendo agli inquirenti di risalire immediatamente a suo padre. Prima dovranno andare a cercare le due vittime, per trovare i documenti. In quel lasso di tempo, chi di dovere, teoricamente, poteva tranquillamente tornare a casa, per recitare fino in fondo il proprio alibi. Per quanto ingenuo fosse. Al netto del fatto che di certezze, in senso lato del termine, non ci sono.

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    3. A questo punto però, se si vuole arrivare a una plausibile ricostruzione della vicenda, si devono prendere decisioni coraggiose. Il rischio è la caduta senza ritorno nelle fantasiose sciocchezze degli investigatori incapaci di ieri e dei superficiali appassionati di oggi, dove il Mostro è diventato una brodaglia indigesta di sette sataniche, medici perugini, legionari e killer americani. Vedi la schifezza di documentario trasmesso recentemente da Sky. Una decisione coraggiosa è quella di abbandonare la pretesa delle certezze in nome del buonsenso e della legge delle probabilità. Su Signa l'esempio eclatante è quello della malattia di Mele. Basta soltanto quel dettaglio a impedire qualsiasi sua esclusione dalla vicenda. Non esiste alcuna altra spiegazione alternativa, non è possibile che un evento così anomalo sia avvenuto proprio il giorno del delitto senza che con lo stesso delitto esista una correlazione. Mettere da parte questa semplice verità vuol dire truccare le carte.
      Faccio un altro esempio. Le impronte di ginocchia sulla Panda di Claudio Stefanacci ci dicono che il Mostro era alto. Dire che quelle impronte potevano appartenere a chiunque è dire una sciocchezza. Chi lo afferma dovrebbe prendersi la briga di andare in giro e controllare quante portiere di auto ne presentano di analoghe. Quante ne trovera? Neppure una. Neppure una perché nessuno si accosta con le ginocchia alla portiera di un'auto, non ne ha alcun motivo. Ora, se si considera che quelle impronte erano proprio sulla portiera dalla quale il Mostro aveva fatto fuoco (e non sull'altra) si raggiunge la certezza che fossero le sue.
      Da entrambi i casi discendono delle logiche conseguenze, delle quali il ricercatore onesto deve prendere atto, al di là delle proprie convinzioni personali.

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    4. Sono d'accordo Antonio che ci voglia coraggio per arrivare alle conclusioni che sembrano più probabili in base a quello che abbiamo in mano. Pur non potendo pretendere di avere la verità in tasca. Su Signa le coincidenze sono a tratti clamorose. Senza dubbio. A volte ho delle remore , perché so per certo che le coincidenze, anche le più strane possono accadere. Io, ad esempio, sono stato aggredito due volte per cosiddetto "scambio di persona". Aggressioni per fortuna solo verbali, ma comunque fastidiose. Una volta per somiglianza fisica, una volta per caso di omonimia. Pensa che sfiga se Mele si sia sentito male davvero quel giorno , casualmente. Ma il problema più grande, che chiunque voglia annullare la pista sarda per Signa deve affrontare, a mio avviso , sono le parole di Natalino. Nell'aprile del '69. Da lì non si scappa. Se ha detto la verità, e secondo me è altamente probabile, la storia del nostro è tutta un'altra storia che inizia sei anni dopo. Se ha mentito non siamo punto e a capo, ma il quadro generale cambierebbe. Il problema per me è lì. Poi c'è tutto il resto. Il suo comportamento stranissimo col De Felice, e le palesi bugie degli adulti.

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    5. Davvero dai per possibile una coincidenza per la malattia di Mele? Una malattia sparita il giorno dopo? Non si può essere possibilisti su questo punto, altrimenti il metodo del buonsenso e delle probabilità non può funzionare. Se anche dovesse esistere un uno per mille (ma credo sia molto, molto minore) di probabilità, questa va messa da parte.
      Insomma, quel che voglio dire è che qualsiasi possa essere la soluzione del caso, in virtù di quella malattia non si può prescindere in alcun modo dal coinvolgimento di Stefano Mele. Del resto non mi pare che questo indizio cada in un deserto disabitato, anzi, si accompagna a mille altri. Come logica vuole.

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    6. La posso ritenere possibile seppure estremamente improbabile. Il problema è che non ne è solo una di coincidenza ma molte, troppe, che avvengono in quel periodo. Anche se penso, e credo sarai d'accordo, che il movente della gelosia non può reggere. Caso mai poteva servire ai complici per apparire meno sospetti su di lui. Anche il movente dei soldi dell'assicurazione mi sembra un po' poco. La somma era invitante certamente, ma poteva essere recuperata senza fare una strage. È chiaro che , se sono stati loro, e , ad oggi, mi sembra l'ipotesi più concreta, la motivazione alla base doveva essere una somma di tanti fattori, accumulati nel tempo. Magari con una proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Bisogna anche ragionare sul perché uccidere anche il Lo Bianco, e non solo , La Locci. Non sono un esperto di diritto penale post-fascista, ma uccidere la moglie colta in flagranza di adulterio, poteva servire ad evitare l'ergastolo grazie al delitto d'onore? Se non ricordo male Ricci (chissà bperché scelsero proprio lui? Precedente della Tassinaia?) ci provò, ma l'episodio non venne giudicato come delitto d'onore, anche se forse la speranza era quella. Certo è che Mele se la cavò con poco, visto che si trattava di un duplice delitto. Non mi ricordo sinceramente se gli diedero la seminfermità. Visto che venne giudicato oligofrenico. Ma se lo fosse davvero ovviamente è tutto un'altro paio di maniche. In conclusione penso ancora che il coinvolgimento di Mele, ma necessariamente assistito dai parenti, sia l'ipotesi più probabile. Poi in futuro se dovesse uscire fuori qualcosa di nuovo ovviamente ben venga.

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    7. I miei studi, ormai più che decennali, mi hanno portato alle tue stesse conclusioni. Sono comunque alla costante ricerca di sbavature nel quadro generale, che però ormai mi appare consolidato. Ho dovuto accettare alcune audacie, un paio almeno, però è chiaro che una vicenda del genere non può certo essere spiegata in modo del tutto ordinario, altrimenti non saremmo ancora qui a discuterne dopo tanti anni. Qualche evento fuori dai canoni deve essere accaduto, e anzi, proprio quelli sono in grado di spiegare le tante anomalie nei delitti del Mostro rispetto a quelli di un tradizionale lustmurderer.
      In ogni caso, a ben vedere, le mie audacie non sono neppure lontanamente paragonabili alle sette sataniche e ai doppi cadaveri!

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    8. Più che audacie quelle le chiamerei sfrontatezze. Ma è un'altro discorso. Già affrontato. Spero di vedere presto presto nuovi articoli, quando potrai.

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  43. Purtroppo nel 1968 ancora non si usava il termine che tanto va di attualità oggi: 'femminicidio'. In quest'ottica, il delitto di Signa è un delitto di trasparente valutazione (e anche ricostruzione).
    (PS: purtroppo, si usava anche molto poco il corretto termine: 'stupro', per le costrizioni a far sesso con altri ed in gruppo).
    .
    E se 'moventemente' non bastasse, si può sempre ricordare che per quel delitto oltre un reo confesso...
    * c'è pure 'uno', amante anche del reo-confesso, assolutamente carico di moventi che -pur avendola sfangata- è accertato da fonti plurime ufficiali e documentate, che abbia fornito un alibi non solo falso ma pure artefatto per quella notte.
    * E quel 'uno, non stupisca, era pure uno che caratterialmente e comportamentalmente aveva (cosa accertata e documentata anche in questi casi da fonti plurime documentate) un approccio verso le donne e le sue compagne, diciamo: un pochino-ino-ino sopra le righe in quanto a dominazione/sottomissione.
    * Lo stesso 'uno' cui la Locci aveva da poco negato di dare ancora le sue grazie (sostituendolo con un di lui detestato parente stretto).
    * Lo stesso 'uno' che faceva sesso anche con il reo-confesso nonchè marito della Locci (e che fino alla fine, da buon amante che gli regala pure l'anello di fidanzamento, lo difese a spada tratta... eccetto che appena crollato e il 30 maggio 1985 ovviamente).
    * Lo stesso 'uno' che conosceva e frequentava la Meoni.
    * Lo stesso 'uno' che fornì un alibi accertatamente falso, come documentato nell'Allegato 18 del R.311 -intercettazioni telefoniche-) per la notte del Venerdì su Sabato per il delitto degli Scopeti.
    * Ops!, pure lo stesso 'uno', che appena finisce dietro le sbarre (preventivamente e per altre imputazioni): oplà! i delitti cessano immediatamente.
    * E anche: lo stesso 'uno' di cui la recente perizia grafologica della dr.ssa Sara Cordella, grafologa forense senior, perito e consulente del Tribunale di Venezia, specializzata in grafologia criminologa e in grafologia dell’età evoluta, ha attestato la stessa mano di quella che scrisse la be nota lettera 'anonima'(non più): "in me la notte non finsce mai..."

    Hazet

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  44. Hazet, “vorrei“ darle ragione, tanta è l’avversione per il personaggio che lei adombra. Semplicemente, però, non mi sembra che per caratteristiche fisiche, circostanze, testimonianze e orari possa coincidere con l’identikit del mostro. Ciò detto, mi appassiono alla vicenda da troppo poco tempo, rispetto ad altri più informati.

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  45. @dietta71
    eh beh...
    Se a Lei "sembra"[cit.], allora siamo finalmente tutti autorizzati a scartare quel'uno'.

    PS:
    ci pensa Lei, vero, ad avvisare gli investigatori di tutto il mondo di smetterla d fare la figura dei pirla facendo indagini o addirittura coprendosi di ridicolo chiedendo alibi ai possibili sospettati!?

    PPSS:
    se invece elencasse nel dettaglio (con tanto di fonti ufficiali a conferma) le "caratteristiche fisiche", "circostanze", "testimonianze" e "orari" che stano alla base del suo "sembra"[cit], le posso garantire che io o chiunque altro (che sul mdf c'ha speso anni e anni di vita quotidiana in letture, approfondimenti, confronti[-e-scontri], interviste, reperimento ed analisi documentazioni ufficiali e non, etc etc: sarà in grado di fornire esaurienti risposte dettagliate in merito (a prescindere che quell' 'uno' fosse o meno il mdf... e ancor meno in relazione al fatto che qui si stava parlando di Signa 1968: un delitto privo di qualsiasi riferimento e riscontro maniacale a prescindere.

    RispondiElimina
  46. @Dietta71,
    in attesa di tuoi specifici dettagli (verificati e verificabili), iniziamo da soli con una (pre)valutazione delle possibili motivazioni ai tuoi "mi sembra"[cit]:

    - CARATTERISTICHE FISICHE:
    Q1) non era alto 1,80cm
    * tenendo conto che non c'è alcuna prova che il MdF fosse alto 1,80 cm: che importa?
    * Tenendo conto che gli stessi periti per Giogoli hanno ammesso -come rintracciabile nelle documentazioni- che calcolarono l'ipotesi di detta altezza posizionando le vittime in una posizione errata più bassa: che ci importa?
    * tenendo conto che quel valore venne ottenuto (erroneamente) anche decidendo a priori per un braccio teso, senza minimamente prendere in considerazione anche la possibilità di aprire il braccio a lato inclinando il gomito verso verso l'alto e ripiegare l'avambraccio verso sè, per avere calibrazione di mira e ben maggiore inclinazione): che ci importa?

    Q2) il piede di quel 'uno' sarebbe più piccolo di quello dell'impronta di scarpone del delitto del 1981bis [taglia 44]
    * peccato che quella serie di impronte non sia attribuita la mdf in modo univoco (nè sia possibile farlo, anzi!)
    * peccato che quella serie di impronte non combaci con le posizioni in cui i corpi vennero trovati fuori dall'auto (o si vuole sostenere che il mdf si svilò gli anfibi una volta raggiunta l'auto e che dopo il delitto se li rimise per lasciare le successive impronte dall'altra parte dell'auto?)
    * uno scarpone taglia n°44, in che cosa, a prescindere, non sarebbe coincidente coi piedi di quel 'uno', ex-muratore e quindi
    serramentista?
    * in quale documento ufficiale è possibile rintracciare il numero della taglia di scarpe ce solitamente calzava quel 'uno'?
    * un piede più grande non può entrare in una scarpa più piccola, non viceversa.

    Q3) le impronte di ginocchio del 1984 sulla carrozzeria dell'auto sarebbero di una persona alta
    * peccato che non sia in alcun modo dimostrabile che ce le abbia lasciate il mdf
    * peccato che non sia in alcun modo dimostrabile che proprio siano state lasciate durante le fasi del delitto e non, ad esempio, precedentemente

    - CIRCOSTANZE:
    * allo scrivente non risulta dalle documentazioni ufficiali esistenti nessuna "circostanza" (che si intende per 'circostanza'???) di impedimento fisico (malattia, ricovero, prigione, infortunio, presenza in altro luogo, alibi comfermato, etc) che possa dimostrare che per anche solo uno dei delitto, quel 'uno' fosse fisicamente impossibilitato a commetterlo.

    - TESTIMONIANZE
    * allo scrivente non risulta dalle documentazioni ufficiali esistenti nessuna "testimonianza", accertata come veritiera, che collochi quel 'uno' come fisicamente da un'altra parte durante anche solo un delitto

    - ORARI
    * allo scrivente non risulta nulla di riferimento alla genericissima dizione "orari"[cit] (che comunque già ricadrebbe nei due precedenti punti, 'circostanze' specialmente)
    * se parliamo di 'orario' per Signa, poi, tanto vale ricordare che la Rosina Massa, sotto giuramento in tribunale [14 luglio 1991], ha dichiarato che quella notte quel 'uno' non è nemmeno rincasato

    Hazet

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    1. Certezze non ce ne sono, ma tutto porta verso un mostro alto e robusto. Le impronte di ginocchia sulla Panda mi domando chi potrebbe averle lasciate. Quando mai uno si accosta alla portiera di un'auto con le ginocchia? E guarda caso era proprio quella del passaggero, dalla quale aveva sparato il mostro.
      Riguardo il calcolo con i fori di Giogoli, quello di De Fazio era sbagliato di principio, come ho indicato sulla mia ricostruzione. Se ne possono fare altri due basandosi sul foro del primo sparo, a 150 cm di altezza. Uno è in quella ricostruzione, e prevede occhi vicino al finestrino e conseguentemente braccio addotto. In questo caso la canna della pistola non può trovarsi più in alto della spalla, provare per credere. Quindi se il mostro sparò così era alto alla spalla almeno 150 cm, quindi statura=180
      Un secondo metodo prevede occhi e tacca di mira allineati. In questo caso tutto dipende dalla posizione del punto di arrivo del proiettile (costato destro di Meyer), sia in verticale sia in orizzontale, e dalla distanza occhi-pistola-vetro. Mi riprometto di proporre delle misure approssimative e i relativi calcoli, quando avrò un po' di tempo. Purtroppo si dovranno prevedere dei range. Vediamo quello che verrà fuori.

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    2. Per Hazet:
      Come ho già scritto, non possiedo le competenze necessarie per rispondere punto su punto a quanto da lei scritto. Vede, sono da vent'anni ricercatrice di pedagogia, non ho mai sentito nessuno esimersi dal dirmi le proprie opinioni, anche le più strampalate, sull'educazione. Siamo umani e tutto ci riguarda.
      Come dice il Sig. Segnini, il mostro, per le tracce che ha lasciato, è alto e robusto, non è il fisico di Salvatore Vinci, che l'Avv. Dedola definisce minuto; ho letto, mi corregga se sbaglio, l'alibi di Vinci per il 1984: è vero che la compagna D'Onofrio e il figlio non confermano alla lettera l'alibi, ma Vinci, quel pomeriggio, era, anche se non per tutta la durata del tempo a casa a Firenze. E' possibile che sia stato un po' a casa a lavorare, sia andato a Vicchio a uccidere e mutilare i due ragazzi, sia tornato a casa a Firenze a guardare le Olimpiadi? E' difficoltoso anche per un mostro. Magari quando avrò tempo di leggere il suo libro sulla Pista Sarda mi ricrederò.
      C. Secci

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    3. @dietta71,
      non capisco come essere una "ricercatrice di pedagogia -> ricevere opinioni anche strampalate sull'educazione" abbia attinenza parlando di riscontri oggettivi (o assenza degli stessi) scientifici peritali ed investigativi.
      Deve essere un limite mio non capirlo.

      Come un limite di certo mio, è quello di valutare il fornire reiteratamente alibi accertatamente falsi [Signa e Scopeti, ad esempio], sia un elemento a carico e non una boutade cancellabile con delle impressioni personali che però non portano elementi concreti documentati al loro arco.

      Vicchio da Firenze dista meno di un'ora di macchina o giù di lì [e rispettando sempre i limiti di velocità e a traffico medio standard. Qui parliamo di sera&notte, di certo meno trafficate].
      Nessuna incompatibilità di possibilità oraria.
      Compagna e figlio nemmeno confermano l'alibi che resta pieno di buchi.
      Che abbia guardato la TV, prova ne manca e bisogna ricorrere alla fiducia nella bontà del 'credere'... solo che è ben più difficile credere ad uno che è provato che abbia mentito in altre occasioni, piuttosto che ad uno che abbia sempre detto la verità.

      Se guardare la tv dopo essere rincasato da un delitto "è difficoltoso"[cit] per un mostro, che aggettivo dovremmo usare allora per l'uccidere a sangue freddo ed escindere parti umane?
      E dopo un delitto, notturno, il mostro, per non fare qualcosa di "difficoltoso" come (dire di) guardare la tv: cosa avrebbe dovuto fare se non rientrare a casa propria? andare in discoteca? al ristorante? tirare fuori i feticci sul tavolo di cucina?

      Sulla statura, continua a mancare qualsiasi elemento di riscontro oggettivamente accettabile o altrimenti inspiegabile; restando quindi un non-dato privo di alcuna discriminante.
      E sulla 'robustezza', diciamo che aver fatto per anni il muratore, fare il serramentista e allenarsi a scalate in corda libera: non depone certo a sfavore della prestanza fisica.

      Nel caso non fosse sufficientemente chiaro:
      tutto questo (e moltissimi altri elementi) non significano che quel 'uno' sia probatamente colpevole. Le rotelliane 'cose concrete' non ci sono nè per lui nè per nessun altro.
      Significa però che quel 'uno'risulta pienamente essere in possibilità sia fisica, sia motivazionale, sia comportamentale, sia di (non )credibilità, sia di etc etc etc per essere e restare ben al centro delle attenzioni investigative (ufficiali e/o amatoriali).

      PS: la mia 'Pista sarda 2.0' che può -ahimè e contro il mio esplicito volere- reperire online, è copia datata e in alcune parti superata [e su Scribd pure uploadata priva degli addendum e dei QdA all'epoca rilasciati ad integrazione!!!].

      La versione attuale [2020_4.5/ppr e 2020_4.3/opr] e quelle intermedie: non sono a disposizione del pubblico generico.
      Mi spiace.
      Solo pochi e di mia accertata fiducia personale hanno accesso e voce in capitolo alle versioni aggiornate [fregato una volta: basta e avanza. tenchiù!]

      HzT

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  47. Antonio,
    Possiamo concordare che il mdf fosse sufficientemente robusto da sollevare una persona per spostarla per una manciata di metri (cosa che non è che richieda una 'robustezza' poi così tanto particolare), e possiamo farlo perchè è comprovato che il mdf lo fece.
    Non possiamo invece concordare sull'altezza (nemmeno in plausibilità) per il semplice fatto che non ci sono riscontri da nessuna parte che garantiscano in tal senso. ma proprio nessnuno.

    Un paio di aloni di ginocchia sulla lamiera impolverata: può averli lasciati il mdf? Si.
    Ma altrettato può averli lasciati lo stesso Stefanacci o chiunque altra persona possa essersi appoggiato alla sua macchina parcheggiata durante il giorno (o pure giorni prima, visto che non si sa con quale frequenza lavasse la macchina, ad esempio, nè quando l'avesse fatto l'ultima volta).

    Tu scrivi "Quando mai uno si accosta alla portiera di un'auto con le ginocchia?": Ad esempio quando ti ci appoggi, con lo sguardo verso il lato macchina, magari i gomiti appoggiati sul tettuccio, aspettando qualcuno che sai arrivare dal lato da cui stai guardando: un classico del mentre si aspetta un amico o una fidanzata). Magari non andò così, ma è una possibilità, tra le tante, assolutamente plausibile e possibile.

    In più, quelle impronte di ginocchi non ci raccontano la posizione dei piedi: chi le lasciò aveva la pianta a terra o stava sulle punte? Lo so che ti può sembrare una 'banalità' o una cosa meno probabile di un'altra: però la verità e che nè tu nè io nè gli investigatori nè lo sanno nè lo possono sapere.
    Quindi, correttezza investigativa ed intellettuale vuole che non valga come riscontro, nè per il 'chi', nè per il 'quando', il 'dove' e pure per i 'cm'.

    Per Giogoli è palese che qualsiasi ricostruzione vivrà sempre all'interno di un range; nulla di male in questo.
    Però, anche in questo caso quella che in ogni caso viene a mancare è la certezza. Viene in aiuto il buon senso, certamente, ma... non basta.
    Esempio: Sai con esattezza [io non ne trovo traccia nei docs ufficiali] come era il terreno lì? Un dossetto o un avvallamento di anche solo 5 cm, ad occhio dalle foto della Scientifica manco lo vedi, ma... 1,80 meno 5 cm, fa già solo più 1,75, etc etc ...a questo sommaci quanto erano gonfi gli pneumatici? ci guadagni o ci perdi un cm senza troppi problemi. E il Mdf si mise in punta di piedi o no per sparare? quanti cm perdi o aggiungi adesso? etc etc etc ...e aggiungici poi tutte le varie dinamiche di come era effettivamente posizionato il braccio.... hai voglia a determinare quanto era alto il mdf!

    E se poi a tutto ciò aggiungiamo che della posizione esatta in cui erano i due ragazzi, abbiamo solo una idea approssimata e non millimetrica? Anche quello fa.
    Non è una boutade, non è uno scassare la mi***a per scassare la mi***a. Non è un quantizzare pro domo (es: nel mio caso pro chi io penso il mdf sia; per altri un altro o altri).

    Io, e faccio pure prima: non quantizzo affatto. Prendo atto dell'aleatorietà. Stop.

    Faccio quindi notare che quei dati di 'statura' del mdf: sono dati inutilizzabili, non validi ad includere nè ad escludere nessuno.

    Poi, il mdf potrà pure essere stato alto 1,80: ma di certo NON per via di quegli aloni nè per i fori di Giogoli (e meno che meno per lo scarpone taglia 44 che lascia le impronte in arrivo ed in allontanamento [tra l'altro in direzione opposta a quelle di arrivo], ma magicamente non lascia impronte quando sposta i due corpi [e si che il peso e quindi la pressione a terra, avrebbe addirittura dovuto essere maggiore]. Eppure su ste impronte ultimamente ce lo stanno triturando con la suola militar-francese [come se il vecchio e famosissimo mercatino dell'usato militare di LIVORNO fosse distante milioni di anni luce]

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  48. [segue]
    Info sparse per una migliore inquadratura del calcolo del range.

    * io sono alto 1.73 e porto il 42 di scarpe. Se mi metto in punta di piedi, in posizione non forzata, il tallone stacca di oltre 10 cm da terra.

    * tra linea della spalla e fine testa, ci passano mediamente una 50ina di cm, però quello che in prima battuta interessa al calcolo, è la distanza tra linea della spalla e linea degli occhi (per il problema di un minimo di mira); nel mio caso e con la mia statura: appena un 20ina di cm

    * spalla-braccio, avambraccio e polso: tutti e tre possono fornire significativi scostamenti di inclinazione (che nel rapporto direzionale cinetico A canna-> B punto impatto, vanno a sommarsi)

    * stato pressione pneumatici

    * avvallamenti o sporgenze del terreno [sia per il pulmino sia per lo sparatore: quindi valore a somma dei due]

    * posizionamento il più possibile corretto (ma mai certo comunque) delle vittime al momento degli spari che hanno attraversato il finestrino [e conseguentemente: il problema della corretta sequenzialità corretta dei colpi]

    * distanza della bocca della canna dal vetro

    * e da buon ultimo: varie possibilità di posizionamento il più possibile plausibili (ma mai certe nè sicure comunque) di come erano posizionati in rapporto tra loro spalla/braccio/avambraccio/polso [e occhi], del mdf

    E per concludere, una domanda di buon senso:
    ma se il mdf fosse stato davvero così alto come i min. 1,80cm vogliono ventilare:
    - vista l'altezza (bassa) dei finestrini
    - vista l'altezza (alta) del mdf

    PERCHE' il mdf avrebbe dovuto sparare anche attraverso la non-trasparente lamiera, quando poteva benissimo e senza sforzo sparare anche quei colpi da attraverso il -per lui comodo- e trasparente finestrino?

    Attendo con fiducia e pazienza i tuoi calcoli [che però per quanto pur saranno ottimi e precisissimi, non potranno -non per colpa loro- trasformare una aleatorietà ignota in una comprovata certezza]

    hzt

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    1. la perizia sulla caligrafia è una bufala l'ha spiegato piu volte Cochi .... perchè Sv non è il mostro .. caratteristiche fisiche , psicologiche , alibi del 1984 confermato piu volte dalla compagna e pure ultimamente , non era cosi coglione di portarsi le indagini in casa nel luglio 82 , telefonata del Farini con accento Toscano , mi domando se l'orma dello scarpone n 44 di Calenzano non era del mostro , dove erano perchè da quel che so c'erano solo quelle ...

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    2. anche a Scopeti orma di scarpone n44 , vicino vicino a dove è stato trascinato il cadavere del francese , e non sono dei cc , c'erano già prima ... sommato a quello di Calenzano , ginocchiata lasciata sulla panda , mi pare evidente che tutto porta ad un mostro alto , non può essere tt una coincidenza

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  49. Signor Segnini ho letto la dinamica di Signa e anche le deposizioni di Natalino e mi sembra chiaro che la pistola che poi avrebbe colpito ancora, fosse all'inizio in mano ad uno zio "vero" del bambino. Per il resto ho più incertezze di prima:chi avrebbe portato i due sul posto del delitto? Una volta che S.M. se n'era andato col bambino, come è tornato a casa l'altro complice? E lo stesso Mele, ammesso che si sia fatto un percorso di 2 km con un bimbo in braccio, come si è allontanato dall'abitazione dei De Felice? Non conosco la distanza fra le due abitazioni, ma penso che anche per una persona sprovveduta fosse stato chiara l'importanza di essere a casa nel suo letto di ammalato il prima possibile. Non c'era il rischio che il delitto fosse stato scoperto prima che a dare l'allarme fosse la famiglia che aveva accolto Natalino? A mio parere c'era questo rischio anche durante la camminata che l'uomo ha fatto di notte col bambino...

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    1. Innanzitutto la prego, lei come tutti, di inserire almeno una sigla in fondo al testo per farsi riconoscere, visto che interviene come "Unknown".
      Passiamo alle sue osservazioni. I colpevoli di Signa non erano delinquenti abituali, quindi andare a far loro le pulci su come affrontarono sia l'organizzazione del delitto sia le contingenze anche impreviste (la più grossa fu quella della presenza del bambino) ha poco senso.
      I complici di Stefano Mele (il fratello Giovanni, Piero Mucciarini e Marcello Chiaramonti che guidava) si fecero trovare alle 2 esatte (guarda caso Natalino suonò proprio alle 2 esatte) vicino casa dei De Felice, passando per altre strade.
      La prego di accontentarsi, la mia ricostruzione comprende ben altri dettagli, ma me li lasci svelare nella sede opportuna.

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    2. Le chiedo perdono, io e scrivo attraverso la mia mail, ma non compare. Mi chiamo Stefania Baroni ed ho già avuto modo di contattarla. Se posso utilizzare ancora il suo blog per porre delle domande, la ringrazio, altrimenti me ne astengo da qui in avanti.
      Grazie cmq per l'attenzione prestate finora

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    3. Ma cosa dice Stefania, sono ben contento che lei intervenga, come tutti gli altri, rendendo ancora più vivo e interessante il blog. Solo che chi scrive come "Unknown" deve mettere almeno una sigla per poter distinguere i suoi interventi da quelli di altri "Unknown" e dare modo anche di collegarli uno all'altro.
      Saluti.

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    4. La ringrazio e non le nascondo che ci speravo.
      A presto
      Stefania Baroni

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  50. Buongiorno Antonio, sto ascoltando varie trasmissioni radiofoniche sempre riguardanti il delitto di Signa, in una di queste del febbraio 2020, si dice che SV avrebbe riferito agli inquirenti di essere stato più volte seguito dal fratello Francesco mentre si appartava con BL. Siccome mi fido delle sue conoscenze le chiedo se le risulta questa dichiarazione di SV. E se fosse vera, dove erano soliti appartarsi i due? Quel posto lungo il torrente era il luogo dove andava la donna quando non riceveva i suoi amanti in casa?
    La ringrazio come sempre se mi vorrà rispondere.
    Stefania

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    1. Ho un vago ricordo anch'io, vediamo se Hazet ci rinfresca la memoria, poi magari posso dire anch'io la mia.

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    2. Trovato!


      24 agosto 1968 ore 16 davanti a Antonino Caponnetto

      D.R. La Barbara mi ha più volte riferito di essersi accorta che mio fratello Francesco ci seguiva in occasione di qualche appuntamento che la Barbara e io ci davamo qui in Firenze.
      La Barbara mi ha anche riferito di essere stata sottoposta a scenate e minacce da parte di Francesco tutte le volte che egli veniva a sapere di questi nostri incontri.

      D.R. Che mio fratello Francesco possedesse un’arma non l’ho mai saputo per esperienza personale, ma l’ho appreso invece da mia cognata, cioè dalla moglie di Francesco. Essa, nel giorno in cui l’accompagnai a Firenze per far visita a mio fratello in carcere, alle mie parole d’incoraggiamento mi rispose scoraggiata. Io la invitai a non dare molto peso a queste minacce, ma ella mi rispose che aveva di che preoccuparsi veramente in quanto, così mi disse, Francesco aveva una pistola e l’aveva minacciata di usarla contro di lei. Mi sembra di ricordare che mia cognata precisasse il luogo in cui Francesco era solito tenere l’arma, ricordo bene anzi che mia cognata mi parlò della lambretta come del luogo in cui di solito mio fratello teneva l’arma.

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    3. Stefano Mele aveva appena ritirato le accuse a Salvatore trasferendole su Francesco. La pistola non era stata ritrovata, Salvatore doveva avere le idee un po' confuse su chi l'avesse usata, e le allusioni sul fratello, a mio parere, indicano il sospetto che fosse stato proprio lui.
      Parere personale, s'intende, sul quale il buon Hazet certamente interverrà dicendo la sua.

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  51. Grazie Antonio, ma io vorrei sapere se è mai stato accertato se il luogo dove è stato compiuto il delitto fosse quello dove era solita appartarsi B.L. quando non poteva usare casa sua, che fosse con S.V. o con altri.
    Grazie come sempre Antonio.
    Stefania

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  52. Però a rileggere quanto riportato S.V. parla di Firenze.

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    1. Guardi, a mio parere il luogo dove Barbara Locci venne uccisa non era da incontri di quel tipo. Lo scrisse anche Rotella:

      Le indagini successive non dimostrano che […] il posto fosse in genere frequentato da coppie clandestine, più che ogni altro viottolo di quella zona, in cui la cosa, e a quell'epoca, e per giunta in ora così tarda, si verificava di rado.

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    2. Le Cascin sono sia quelle del famoso parco fiorentino, sia un area, fondamentalmente adibita a parcheggio, in quel di Signa.
      Omar in un suo articolo di anni fa ha scritto e documentato correttamente questo punto.
      [facendo correttamente cambiare idea anche a e in merito a Le Cascine... come del resto onestamente si poteva evincere anche dalla lettura di alcune deposizioni ed escussioni, ma che a lato pratico, prima della visita in loco di Omar, potevano essere fraintese]

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    3. Grazie Hazet, sai dove posso trovare l'articolo in questione?

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    4. L'ho trovato! Risale al 2014, lo sto leggendo, grazie Hazet.
      Stefania

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    5. de nada.
      quando si si può. per quel che si può: sempre disponibile.

      hZt

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    6. Se Antonio lo consente avrei qualche domanda per te hzt.
      Premetto che è da poco che mi sto interessando al caso.
      Torniamo naturalmente a Signa 68.
      1) SM e il suo complice ( li chiamerò così) seguono la coppia col bambino fuori dal cinema. Immagino che in una tarda sera di agosto del 68, non siano tante le auto che circolano a Signa, ma diamo per scontato che BL e ALB non si accorgono di essere seguiti.SM dirà anche di aver visto la testa del bambino dal lunotto posteriore. Però quando la macchina del Lo Bianco gira per la strada da dove poi svolterà sulla destra, a quel punto chi li seguiva deve essersi fermato per forza, perché lì davvero la coppia si sarebbe accorta di essere seguita.Sempre prendendo per buone le dichiarazioni del Mele(sic), lui e non si capisce bene chi, fanno una sosta vicino ad una casa colonica.
      Da questo momento come si sono svolte le cose? Escluderei che siano piombati sul viottolo con la macchina, perché BL e ALB sembrano colti di sorpresa, a parte un tentativo di ricomporsi dell'uomo. Quindi? SM e il suo complice hanno lasciato l'auto molto più indietro ed a piedi hanno raggiunto la stradina?
      2) perché, a differenza del padre, NM riesce a portare subito i CC sul luogo del delitto? Dalla stessa strada che ha percorso "a piedi" non può averceli portati, perché non era percorribile in auto (c'erano le montagne).
      E quindi come poteva sapere il luogo quasi esatto (fu aiutato in parte dalla freccia, penso), se dormiva durante il tragitto?
      Può anche darsi che qualcuno abbia già scritto qualcosa in materia, ma io non l'ho trovato.
      Grazie per la risposta
      Stefania

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    7. Naturalmente NM non viene condotto sul posto, ma cmq sono le sue indicazioni che porteranno i CC sul luogo del delitto.
      Stefania

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    8. Se Antonio permette l'intromissione, nel mio blog Stefania può trovare molto materiale e mie consideraizoni su Signa, proprio nei post più recenti

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    9. Ah ecco grazie Omar, io lo sto leggendo ma sono ancora al 2014, sono un po in ritardo, lo so. Tra l'altro proprio nel tuo blog ho trovato cose interessanti sulle Cascine di Signa e ti ringrazio. Vado a leggermi i post più recenti.
      E grazie ad Antonio per la disponibilità
      Stefania

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  53. Grazie Antonio, la risposta mi ha un po deluso, ma era proprio quello che volevo sapere.
    Stefania

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  54. A chi mi aveva chiesto della pistola trovata a gennaio 2020 vicino allo svincolo di Tavarnelle della Firenze-Siena, col numero di serie illeggibile...
    (sorry ma non ritrovo il post. lo metto qua)

    come avevo premesso (e specificato le due possibilità), in effetti mi ricordavo male io quando dicevo c'era la possibilità che fosse stata esclusa, ma che non mi ritrovavo il link di riferimento e quindi no lo garantivo.

    In effetti, al momento non è stata esclusa, e gli accertamenti vanno avanti.

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  55. Buongiorno Antonio, sto ascoltando su "insufficienza di prove" l'arringa dell'avvocato Santoni nel processo Pacciani. Lui parla di due pistole che hanno sparato in ogni delitto, quindi logicamente, di due mostri e lascia abbastanza capire a chi si sta riferendo. Ma questo potrebbe essere possibile? È la prima volta che sento parlare di due armi. Scopro, e mi vergogno per la mia ignoranza, che le pistole a tamburo non espellono i bossoli e così l'avvocato spiega perché non vengono mai ritrovati tutti.
    Parla anche del delitto di Giogoli, dove cita Ridolini per descrivere le azioni del mostro intorno al furgone, dimenticando che all'epoca uno dei due "mostri" era in carcere e quindi sarebbe stato necessario l'intervento di un terzo.
    Questa ipotesi delle due pistole di cui una a tamburo, è totalmente da escludere?
    In una perizia che hai pubblicato si legge che sia i proiettili che i bossoli provengono tutti da una stessa arma calibro 22 e addirittura si arriva a descriverla come vecchia e arrugginita. Ma se ha sparato sempre la stessa arma lo si capisce dai proiettili o dai bossoli espulsi?
    Grazie come sempre se e quando mi vorrai rispondere
    Stefa5

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  56. Se questo argomento fosse già stato abbondantemente trattato in passato puoi non pubblicare, magari indicandomi dove posso trovare qualcosa sull'argomento
    Grazie
    Stefania

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    1. Mi dispiace per il coraggioso avvocato Santoni Franchetti, dal cui archivio provengono diversi dei documenti che i miei lettori possono consultare (attraverso suo cognato Vieri Adriani) ma la sua teoria delle due pistole non regge. Teoria che poi è la stessa ripresa da Giuttari. Si basa essenzialmente sul fatto che diversi bossoli non vennero ritrovati, dunque l'idea è quella che sarebbero rimasti dentro il tamburo di un revolver. Ma su tutti i proiettili sui quali fu possibile rilevarle le impronte lasciate dalla rigatura della canna portavano a una sola pistola. Vero è che in molti casi i proiettili erano troppo rovinati, ma guarda caso di tutti quelli in buono stato non ce n'era neppure uno della seconda pistola! Poi lei pensi ai casi in cui vennero sparati più colpi (Borgo, Baccaiano, Scopeti). Combinazione erano proprio i nove contenuti in una semiautomatica con caricatore da otto colpi, nella quale è possibile metterne uno in canna che si aggiunge a quelli nel caricatore. Eppure almeno a Scopeti altri colpi sarebbero venuti comodi per uccidere il ragazzo in fuga.
      Quindi, a meno di necessità dimostrabili, e non ce ne sono, come dimostrano le mie ricostruzioni, una doppia pistola va esclusa.

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    2. Dimenticavo. Sui bossoli mancanti la spiegazione più ovvia è che siano stati portati via da qualche curioso oppure siano rimasti infossati nel terreno per il pesticcio della folla, come a Borgo e a Giogoli.
      I tre di Signa invece, dove folla non vi fu, è molto probabile che fossero stati raccolti dal personaggio che andò a curiosare sulla scena del crimine deserta, e che si prese anche la pistola.

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  57. Ma quella benedetta freccia l'ha veramente azionata involontariamente S.Mele nella fase di ricomposizione di sua moglie?

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    1. Visto che sembra l'abbia detto ai carabinieri senza che glielo dicessero prima loro, perché no?

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  58. Complimenti per la ricostruzione di questo delitto. Al 99,9% la posizione di partenza della coppia è quella da lei descritta. D'altronde con un bambino in auto un rapporto sessuale più "articolato" sarebbe stato poco agevole e ancor meno opportuno...
    A questo punto però una domanda sorge spontanea sulla scelta del luogo: perchè imboscarsi in un posto così scomodo, ad un orario in cui c'è pochissimo passaggio, per un banale rapporto orale?
    La prudenza non è mai troppa... però questa relazione non era nemmeno molto segreta... insomma questa cauta condotta della coppia non le sembra una sproporzione?
    Grazie.

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    1. E chi può saperlo? Magari le intenzioni erano anche altre, e quello era un preliminare. In fin dei conti per un semplice rapporto orale sul solo maschio poteva andar bene anche rimanere ognuno ai loro posti, non crede? Il volante non avrebbe dato così tanto fastidio. Poi è sempre pericoloso sindacare sui comportamenti della gente, a meno che non si evidenzi la loro illogicità.

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    2. Certamente. La logica è l'unica arma che abbiamo. Proprio seguendo la logica, probabilmente, come dice lei, le intenzioni erano anche altre. Ma se le intenzioni fossero state di una attività sessuale completa questo avrebbe comportato di uscire dall'auto oppure di far uscire il bambino (assist ad hazet). Perchè io faccio veramente fatica ad immaginare, anche solo per mere questioni di spazio, un rapporto sessuale completo nell'auto con il bambino presente sul sedile posteriore. Forse è solo un mio limite.

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    3. Farlo uscire per mandarlo dove? In fin dei conti a mezzanotte e più era abbastanza plausibile che Natalino non si svegliasse se la mamma saliva a cavalcioni dello zio senza mugolare troppo. E poi la gente fa di tutto, c'è chi sgozza i figli per dispetto, di cosa si stupisce?

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  59. Ciao a tutti sono Misteryman,ho cominciato a seguire questo caso da qualche tempo e mi ha preso sempre più,oltre al fatto che lavoro in quella zona da anni e passo dai luoghi dei delitti almeno una volta al giorno.
    Questa vicenda è come un calderone con dentro di tutto e di più!!maghi prostitute, orgie,dottori,ville,cdm,farmacisti,poliziotti,api regine,sette,guardoni,taverne,e chi più ne ha ne metta!!dimenticavo i feticci....che fine hanno fatto??mah...qualcuno li ha in casa sotto formalina magari un giorno li mette all all'asta chissà...o magari sono stati bruciati in via faltignano come diceva GG...quando la domenica mattina andava a fare le pulizie a casa di SI e sentiva odore di ciccia bruciata e trovava sangue in qualche letto....e i fratelli Vinci??tutti bravi ragazzi....le prove e le testimonianze tutte cazzate....anni di indagini e appostamenti solo tempo perso...da Signa agli Scopeti non c'è nessun colpevole,o meglio c era una banda di balordi vecchi segaioli e un marito cornuto che a caro prezzo ha pagato da innocente cio che non ha fatto...a quanto pare neanche il figlio fosse suo...che storia....da brividi!!!ma per favore....Signor A.Segnini Lei ha fatto un esempio citando un suo amico che davanti all evidenza "toccando con mano"che il nero attira più calore del bianco si è sentito dire che non era possibile...
    Come questa storia....la verità secondo me e talmente semplice che non la si vuol vedere per quello che è le prove e i fatti sono fesserie da circo...
    Ho letto da qualche parte che in uno degli omicidi del mugello non a caso nella vagina di quella povera ragazza il mostro o chiunque altro infilò un tralcio di vite...forse era un indizio...o forse no...perche proprio un tralcio di vite poi...con tutti gli alberi e piante che ci sono...
    Forse perché tante viti fanno una V....
    Chissà...e anche la lettera alla dottoressa Della Monaca perche è stata spedita dal mugello con tanti altri posti...mah....

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  60. Ciao Antonio
    Vai a leggerti l intervista che Mucciarini fece alla Città il 12 settembre 1985
    E vedi se noti una parola....molto molto strana
    A presto

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    1. Sarà perché sono stanco, ma non ho notato la parola che dici. Qual'è?

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  61. Giornalista: "Gli inquirenti sono venuti da lei per controllare dov'era?"

    Piero Mucciarini: "No. I carabinieri di Scandicci mi hanno telefonato per farmi andare in caserma a dire se avevo un alibi".

    Giornalista: "E ce l’aveva?"

    Piero Mucciarini: "Si, sabato e domenica sono stato in casa, fra domenica e lunedi ho lavorato al forno e sono stato visto da due persone in due ore diverse."

    Giornalista: "Si sente braccato, perseguitato?"

    Piero Mucciarini: "No, ora no. Mi sono sentito perseguitato all’epoca del nostro delitto, quando ho visto come si parlava di me e di mio cognato. La mia foto è stata dappertutto per giorni, e giorni. Ero distrutto. Questa volta non è successo".

    Dice all "epoca del "NOSTRO" delitto
    Si riferiva al 68
    Perché dice nostro??

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  62. Lui dice "nostro" perché pensa che la domanda sia sul 68....poi rigira la cosa riferendosi a lui e Giovanni Mele perseguitati nell 83 quando vennero arrestati
    Ma nell 83 mica commisero un delitto che giustificasse l arresto..

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    1. Sei un mago!!!! Dai, fatti riconoscere, metti almeno una sigla.

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  63. Chi lo sa se c è una registrazione vocale...dell intervista
    Qualcuno potrebbe anche insinuare ad una trascrizione non corretta da parte del giornalista.
    La prima cosa che si potrebbe fare (se esiste) è trovare la copia di quel quotidiano...12 settembre 1985 non so se è la data dell intervista o dell uscita del quotidiano

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  64. Inoltre la parola "epoca"si riferisce ad un avvenimento lontano
    68-85 17 anni
    Improbabile usasse epoca x un fatto di un anno prima(fu scarcerato nell 84 come tu sai)

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    1. La pagina originale la trovi qui

      https://photos.google.com/share/AF1QipO7RDK0JGYkX_UK-Xpf2hJumGdbeiGk5JpbtVN2LNCAugpn--aj5hHsmocLW6dTdw/photo/AF1QipNsAOzsrZ5qqtR2jGvs7H-7avBZUUgkwAwdJpn9?key=aXgtVVNMZ3BkU3A5Z240bFRTcldNVEZDV3pMNUpB

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    2. "Nostro" delitto può voler dire due cose: o delitto che riguarda noi o delitto commesso da noi. Alla fine non si può concludere nulla. Rimane comunque un'espressione equivoca.

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  65. Nel '68 la foto di Mucciarini non era su tutti i giornali. Lo era nel 1984, quando fu arrestato insieme con il cognato per il delitto del '68. Quindi sta parlando dell'anno prima, ma con riferimento al delitto del 1968, nel quale era stata coinvolta la sua famiglia e anche personalmente lui, in qualità di "zio Piero".

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