L’ipotesi di un Mostro in divisa
che induceva le proprie vittime a presentare i documenti, chiedendoli oppure
anche soltanto dietro lo stimolo di una luce lampeggiante, viene confermata,
secondo Filastò, da due importanti indizi. Lasciamo la parola al suo libro “Storia delle merende infami”.
Come spiegare in altro modo il libretto di
circolazione trovato sul tappetino della macchina di Stefania Pettini?
Normalmente lo si tiene nel cassettino del cruscotto. Che ci faceva sul
pavimento dell'auto, se non era finito lì dopo essere stato estratto per
mostrarlo a qualcuno? Il portafogli di Claudio Stefanacci, il compagno di Pia
Rontini, è stato forato da parte a parte da un proiettile. Il portafogli
avrebbe dovuto trovarsi nella tasca posteriore dei pantaloni, dove invece non
era. I pantaloni di Stefanacci stavano sotto il sedile. Il ragazzo ha dovuto
prelevarlo da là sotto. A che scopo se non per mostrare i documenti, contenuti
al suo interno, a qualcuno autorizzato a richiederne l'esibizione? Con tutta
probabilità, quando l'uomo ha cominciato a sparare, il ragazzo, col portafogli
in mano, ha tentato invano di farsi schermo con esso, per questo il foro. Non
c'è una lesione da sparo nel gluteo in corrispondenza della tasca dei
pantaloni, quell'oggetto era nella mano della vittima al momento del colpo di
arma da fuoco. L'ipotesi alternativa potrebbe essere la rapina, ma nel
portafogli i soldi c'erano tutti. Non resta quindi che l'esibizione dei
documenti.
Ma si tratta di indizi del tutto
inconsistenti. Cominciamo dal libretto di circolazione dell’auto di Borgo San
Lorenzo. Innanzitutto, e ancora una volta, dobbiamo fidarci delle affermazioni
dell’avvocato, poiché dalla documentazione nota, almeno a memoria di chi
scrive, la circostanza non risulta. Al processo Pacciani l’ex maresciallo dei
carabinieri Domenico Trigliozzi, intervenuto sulla scena del crimine (vedi),
aveva parlato del ritrovamento del libretto, senza però precisare che era sul
tappetino. D’altra parte lo stesso Filastò, nella propria arringa al processo
Vanni (vedi),
non aveva dato l’impressione di esserne particolarmente sicuro (“mi sembra che nel
1974 si trova nella macchina, a giro e non nel cruscotto dove sta sempre, il
libretto di circolazione”). In ogni caso, quand’anche il libretto di
circolazione fosse stato rinvenuto sul pavimento dell’auto, la confusione di oggetti che era stata rilevata
all’interno suggeriva l’ipotesi che l’assassino avesse frugato in giro, quindi
anche nel cruscotto. E poi la patente, di solito esibita insieme al libretto, perché
non sarebbe finita anch’essa sul tappetino?
Veniamo adesso al delitto di
Vicchio. In questo caso si può senz’altro affermare che Filastò riporta
circostanze non vere, poiché il portafoglio di Claudio Stefanacci era stato
trovato nella tasca dei suoi pantaloni – riposti sul pianale posteriore –
forata dal proiettile che li aveva colpiti. Risulta dalla deposizione al
processo Pacciani di Giovanni Libertino (vedi),
un poliziotto della Scientifica intervenuto sulla scena del crimine:
PM: Bene, ecco,
benissimo. No, è per evitare dubbi. E questo portafoglio e questi pantaloni
presentavano qualche rilievo interessante dal punto di vista del sopralluogo
della Scientifica, o erano del tutto indifferenti?
Libertino: No, no, questo
pantalone verde, sulla tasca posteriore destra c'era un foro da colpo da arma
da fuoco di sicuro. Perché poi il proiettile era ritenuto all'interno, diciamo
si era fermato nella parte interna della tasca. […] Cioè, aveva oltrepassato il
portafoglio e si era fermato vicino alla fodera della tasca dei pantaloni,
all'interno.
Dunque anche questo secondo
indizio sul Mostro in divisa va a farsi benedire, ancor più del primo, già
debolissimo. Ma l’inventiva di Filastò, il quale, non va dimenticato, è anche
uno scrittore di gialli, ha creduto di scovare altri elementi a suffragio
della sua teoria. Come la testimonianza di Luciano Calonaci, il quale avrebbe visto
un’auto della Polizia dirigersi verso Baccaiano poco prima del delitto del 1982.
Da “Storia delle merende infami”:
Anche il teste Luciano Calonaci, sentito per
iniziativa della difesa a proposito dell'omicidio di Baccaiano, è stato arduo
tentare di smontarlo. Al dibattimento del processo ai compagni di merende ha
resistito impavido alle obiezioni del pubblico ministero, solo un po' stupito
di essere trattato come un mentitore.
Il 6 giugno 1982 era appena uscito di casa,
verso le 23, per andare in chiesa, dove era in corso la messa prima della
processione che si sarebbe snodata lungo le vie del paese di Cerbaia. La casa
di Calonaci è sulla via principale del paese, dalla porta d'ingresso s'accede
subito sul marciapiede. […] Dalla direzione di Firenze arriva un'auto. Marcia
con lentezza, quasi a passo d'uomo. "Pareva in perlustrazione", dice
Calonaci. Un solo uomo a bordo, il guidatore. Una persona massiccia, con una
camicia azzurrina. Quest'uomo pare sorpreso appena imbocca la strada
illuminata, sorpreso dalla gran luce. S'accorge che Calonaci lo osserva. Allora
s'ingobbisce, la testa fra le spalle, nasconde il volto. "Pareva fosse
stato scoperto a rubare in chiesa", dice il testimone. Procede in
direzione di Baccaiano. Tre quarti d'ora al massimo prima del duplice delitto,
e la direzione è quella. La macchina, dice Calonaci, era della polizia.
"Ci ho fatto caso", dice, "perché mi ha meravigliato che ci
fosse una sola persona a bordo. In genere viaggiano sempre in due".
È vero che Calonaci, durante la
propria deposizione (vedi),
fu contestato dal pm Canessa, però ce n’erano i motivi. Il teste si era
presentato alla SAM tre anni dopo i fatti, il 10 settembre 1985, lo stesso
giorno in cui i giornali avevano riportato a tutta pagina la notizia
dell’ennesimo delitto del Mostro, e, contrariamente a quanto da lui affermato
durante l’interrogatorio di Filastò, dall’appunto redatto nell’occasione
risultava che l’avvistamento era avvenuto il giorno precedente a quello del
delitto. Altro motivo di perplessità era dato dalle incertezze sull’attribuzione
dell’auto alla Polizia. Il teste non aveva individuato il modello, e neppure aveva
notato delle scritte identificative, in sostanza lo aveva colpito soltanto il
colore compatibile. Ma la presenza a bordo di un solo individuo, per di più non
in divisa – indossava una camicia bianca o azzurrina a mezze maniche – lasciava
notevoli dubbi sulla possibilità che si fosse trattato di un’auto della
Polizia. C’è da dire piuttosto che quell’avvistamento doveva aver indotto
Calonaci a lavorare a lungo con la propria mente quando sui giornali si
ventilava, tra molte altre, l’ipotesi del Mostro nascosto tra le forze
dell’ordine. Lo affermò lui stesso in aula, a domanda sul perché si fosse
presentato alla SAM con tre anni di ritardo: “[…] io stavo dicendo come mai, ecco, perché
ogni tanto leggevo sul giornale che questo tizio, detto "il mostro",
che... forse gl'era un tizio che era vicino alla Polizia”. Diventa quindi
lecito sospettare che un ricordo sempre più lontano nel tempo si fosse via via
adattato alla voglia di fornire un contributo alle indagini. Tanto più dopo
l’incontro con Bevacqua e Filastò, avvenuto il 27 aprile 1994, e la successiva
pubblicazione di “Pacciani innocente”,
dove anche Calonaci aveva trovato un proprio piccolo spazio.
In ogni caso l’episodio appare
irrilevante rispetto all’omicidio di Baccaiano, nel quale la scena del crimine era
sicuramente quella che meno si adattava all’approccio di un assassino
poliziotto a bordo di un mezzo di servizio, poiché la piccolissima piazzola
dove si erano appartati Antonella Migliorini e Paolo Mainardi non consentiva
l’avvicinamento di altre auto. E poi i vari testimoni che vi transitarono
davanti proprio nell’imminenza del delitto e subito dopo non videro alcuna auto
della Polizia lungo una strada dove non avrebbe potuto nascondersi, vista la
totale mancanza di aree di sosta.
Passiamo adesso a un altro
indizio, ancora meno significativo, e, se possibile, ancora più artificioso. Il
21 gennaio 1984 era stata uccisa, a colpi di pistola semiautomatica calibro 22,
una coppia di fidanzati che si intratteneva in auto sulle rive del Serchio, nei
pressi di Lucca. Lui era stato colpito alla gola da un unico proiettile, lei
alla testa da due. A caldo, sui giornali, si era ventilata anche l’ipotesi di
un duplice omicidio compiuto dal serial killer fiorentino, pur fuori stagione e
fuori zona, se non altro per la tipologia delle vittime. In realtà tutto
lasciava pensare che si fosse trattato di una rapina finita male, poiché
l’assassino aveva preso il portafoglio del ragazzo e la borsetta della ragazza,
abbandonandoli poco lontano dopo aver svuotato il primo. Inoltre non era stato
usato il coltello, né per uccidere né per mutilare. Altro particolare
differente la marca delle munizioni, non le tristemente note Winchester LR con
la lettera “H” stampigliata sul fondo del bossolo, ma delle inusuali Lapua
finlandesi. In ogni caso i successivi esami balistici avevano eliminato ogni
residuo dubbio, stabilendo che la pistola non era quella del Mostro.
Ma per Nino Filastò “l'implacabile
determinazione dell'omicida, le caratteristiche del luogo, il modo in cui venne
usata l'arma da sparo, la borsetta della ragazza rovistata” (vedi)
facevano comunque pensare all’opera del serial killer fiorentino, che non
avrebbe ucciso per le solite ragioni maniacali, ma per lanciare un
contortissimo messaggio che soltanto Filastò aveva capito. Da “Storia delle merende infami”:
Quanto alla diversità dell'arma, c'è da dire
che secondo l'opinione di alcuni investigatori, opinione amplificata da alcuni quotidiani,
Francesco Vinci, ancora in carcere con l'accusa di essere quantomeno l'assassino
di Locci e di Lo Bianco, avrebbe fatto disseppellire da un barattolo, nascosto
sottoterra secondo il metodo dei sequestratori sardi, la famosa Beretta, e
commissionato l'omicidio dei due giovani tedeschi (settembre 1983) allo scopo
di procurarsi un alibi.
Poiché gli inquirenti accreditavano questa
ipotesi, lo sfortunatissimo Vinci restava in prigione, nonostante il duplice
omicidio di Giogoli. Ammettiamo che il mostro, nel suo gioco al gatto col topo
instaurato con gli investigatori,volesse fare intendere che anche stavolta si
stava commettendo un errore, che Vinci doveva essere scagionato, e che i sardi
non avevano niente a che fare con gli omicidi delle coppie. Quale altro sistema
migliore di quello di commettere un duplice delitto sovrapponibile ai
precedenti, ma con l'uso di un'arma diversa?
C’è innanzitutto da dire che si
fa davvero una gran fatica a comprendere l’incredibile ragionamento
dell’avvocato. Secondo lui il Mostro avrebbe ucciso a Lucca per dimostrare che
Francesco Vinci era innocente, dopo il precedente e per certi aspetti inutile tentativo
con i ragazzi tedeschi. Perché in quel caso gli inquirenti non avevano capito?
Perché avevano avuto il dubbio che l’arma fosse stata usata da un complice allo
scopo di scagionare il sospettato in galera. Ed ecco allora l’astuta soluzione:
un nuovo delitto con un’arma differente! Non risulta però molto chiaro che cosa
sarebbe potuto cambiare nel giudizio degli inquirenti per tale novità; in ogni
caso, se davvero il delitto era un messaggio del Mostro, quantomeno questi
avrebbe dovuto renderlo riconoscibile, con un’escissione, ad esempio. È vero
che quella sera pioveva a dirotto, ma le vittime avevano un’auto grande (una
Fiat 132), quindi la macabra operazione poteva anche essere compiuta al riparo dell’abitacolo.
E poi, perché cambiare la marca delle munizioni tornando alle solite Winchester al delitto successivo? Si trattava di una componente del messaggio?
Ma vediamo come il fatto si
collega all’ipotesi del Mostro in divisa. Ancora da “Storia delle merende infami”:
Resta poi la coincidenza cronologica con la
svolta prossima dell'inchiesta, e l'incarcerazione di Mele e Mucciarini che
avverrà dopo soli due giorni. Se esiste il collegamento fra quest'ultima
circostanza e l'omicidio dei fidanzati lucchesi – del resto mai risolto, il
caso è stato archiviato fra gli insolubili – risulta una persona che può
accedere a informazioni riservatissime. Difatti i giornalisti più accreditati
avevano avuto, fino a quel momento, nient'altro che il vago sentore di un
prossimo risultato investigativo determinante.
Secondo quest’altro incredibile
ragionamento il Mostro, in quanto appartenente alle forze dell'ordine, sarebbe venuto a conoscenza
dell’imminente arresto di Mele e Mucciarini, che avrebbe deciso di anticipare dimostrando con il delitto di Lucca che i due erano innocenti. Ma
perché non attendere l’arresto? Il fatto di averlo anticipato – in realtà di
cinque giorni, non di due, visto che Mele e Mucciarini furono condotti in
carcere il 26 gennaio e il delitto era del 21 – poteva rischiare di vanificare il messaggio, poiché
gli assassini avrebbero potuto ben essere i due cognati essendo quel giorno ancora
liberi.
Nino Filastò invoca altri
elementi minori a supporto della sua personale teoria, ma non è davvero il caso
di perderci altro tempo. Vale piuttosto la pena riflettere sulla difficoltà che
avrebbe incontrato un Mostro poliziotto a usare un’auto di servizio, della
quale certamente non avrebbe potuto disporre a suo piacimento, e a indossare una
divisa d’ordinanza durante le aggressioni, per i comprensibili problemi dovuti
all'imbrattamento di sangue. Quindi al massimo il soggetto poteva essere un
poliziotto finto a bordo di una normale auto dotata di lampeggiante blu sul
tettuccio (che si poteva comprare) e con indosso una divisa fuori ordinanza.
Addendum. La lettura dell'articolo La dinamica di Calenzano dovrebbe fornire anche ai più restii una valida ragione per abbandonare la fascinosa ipotesi dell'avvocato. L'attacco avvenne dal lato passeggero, il destro, quindi è al passeggero che il finto o vero poliziotto avrebbe chiesto i documenti. Ma non c'è alcuna ragione valida per un simile comportamento, che appare invece del tutto illogico. Per di più la presenza di piante subito a ridosso della fiancata gli avrebbero lasciato pochissimo spazio, mentre dall'altra parte ne avrebbe avuto in abbondanza.
Addendum. La lettura dell'articolo La dinamica di Calenzano dovrebbe fornire anche ai più restii una valida ragione per abbandonare la fascinosa ipotesi dell'avvocato. L'attacco avvenne dal lato passeggero, il destro, quindi è al passeggero che il finto o vero poliziotto avrebbe chiesto i documenti. Ma non c'è alcuna ragione valida per un simile comportamento, che appare invece del tutto illogico. Per di più la presenza di piante subito a ridosso della fiancata gli avrebbero lasciato pochissimo spazio, mentre dall'altra parte ne avrebbe avuto in abbondanza.