Individuare l’origine delle
munizioni usate dal Mostro, armeria, poligono o mercato clandestino che fosse,
risultava impresa impossibile, poiché la stragrande maggioranza delle cartucce
calibro 22 LR vendute all’epoca erano delle Winchester, come quelle che usava
lui. C’era però un elemento dal quale si poteva sperare di estrarre qualche
informazione significativa: la lettera “H” stampata sul fondo del bossolo, che
poteva essere soggetta a piccoli cambiamenti da un esemplare all’altro, per
vari motivi.
Nella prima parte di questo
articolo si è visto che nella sentenza Rotella si parla di “accertamenti
peritali esperiti nel 1983 e 1984”. Quasi di sicuro il giudice si
riferiva alle indagini condotte da Antonio Arcese e Giovanni Iadevito e
raccolte in due perizie, una redatta dopo il delitto di Baccaiano, l’altra dopo
il delitto di Giogoli. Chi scrive è in possesso soltanto della seconda, dove,
riguardo allo studio della lettera “H”, si può leggere: “Null’altro può aggiungersi se non quanto già esposto, in
merito, nel precedente elaborato peritale”. Altre indagini
sull’argomento furono effettuate da Ignazio Spampinato e Pietro Benedetti una
decina d’anni dopo, in occasione del processo Pacciani, quando si cercò di
dimostrare, oltre all’incameramento nella Beretta del Mostro, anche l’eventuale
compatibilità “merceologica” della nota cartuccia ritrovata nell’orto con
quelle usate nei duplici delitti. Anche questa perizia non è nelle disponibilità
di chi scrive, in ogni caso la sentenza Ognibene ne riporta un esaustivo
riassunto. In più Giovanni Iadevito accennò all’argomento nella sua deposizione
del 29 aprile 1994 (vedi).
Proviamo pertanto, sulla base di queste fonti sparse e frammentarie, a tentare
un chiarimento, azzardando anche qualche ragionevole ipotesi per superare i
vuoti informativi.
Con un metodo simile a quello
impiegato nel conio delle monete, l’impronta a forma di “H” veniva impressa da
una macchina che spingeva i suoi 20 punzoni affiancati, dotati ognuno di una
“H” a rilievo, contro altrettanti bossoli (comuni sia alle munizioni ramate che
a quelle in piombo nudo). I punzoni erano soggetti a usura, e dopo qualche
centinaio di migliaia di impronte (cinque o sei giorni di produzione) venivano sostituiti con altri nuovi. Tutti i punzoni erano prodotti per fusione da una matrice avente la lettera “H” incavata, che a sua
volta si consumava e ogni tanto, forse mesi, forse anni, le fonti non lo
specificano, doveva essere cambiata. Essendo prodotte a partire da un’incisione
manuale, e comunque rifinite a mano, le matrici avevano delle piccole
differenze tra di loro, che si trasmettevano ai relativi punzoni e da questi
alle impronte finali. Ecco quindi come lo studio dell'impronta poteva consentire di individuare la matrice di origine,
e quindi il periodo di produzione.
I principali elementi che rendevano
riconoscibile la lettera "H" impressa sui bossoli del Mostro erano due: il segmento orizzontale
che univa i due verticali (le gambe) risultava leggermente inclinato, e uno dei
quattro segmenti orizzontali in cima e in fondo alle gambe era di spessore
minore nella sua parte esterna. Lo si può vedere chiaramente in questa
immagine, dove a sinistra c’è un bossolo espulso dalla Beretta del Mostro.
Al momento della sua prima
perizia del 1983, Giovanni Iadevito riuscì a rintracciare nei magazzini della
Criminalpol una scatola di munizioni “Winchester.22 LR” la cui “H” risultava di
forma identica a quella impressa su tutti i bossoli espulsi dalla pistola del
Mostro fino a quel momento. E anche negli ultimi tre delitti quella forma non
cambiò. La presenza del numero della macchina impacchettatrice impresso sulla
scatola consentì di risalire all’anno di produzione, il 1966. Queste
informazioni sono desumibili dalla deposizione di Iadevito, (vedi),
dove sembra di poter intuire che quella matrice con quei difetti fu presto sostituita.
Quindi tutte le munizioni sparate dalla Beretta del Mostro, sia ramate che a
piombo nudo, farebbero parte di una produzione collocabile attorno al 1966.
Prendiamo per buone le
conclusioni di Iadevito e ragioniamoci su un momento. Se la pistola fosse
passata di mano dopo il 1968, il nuovo detentore avrebbe dovuto acquistare una
scatola di cartucce ramate di produzione 1966 o giù di lì (quelle utilizzate
nel 1974 a Borgo). Il che però non sembra per nulla irrealistico, poiché un
negozio poteva benissimo tenere a magazzino un certo numero di esemplari da smaltire
nel corso di più anni, mentre il nuovo detentore avrebbe anche potuto comprare
le cartucce poco dopo essere entrato in possesso della pistola, quindi quasi
contemporaneamente agli assassini di Barbara Locci. Per di più nel 1966 Firenze
era stata sommersa dall’alluvione, e i registri di molte armerie erano andati
perduti, favorendo la circolazione di armi e munizioni nel mercato clandestino.
Molti dei bossoli repertati sulle scene dei crimini recavano chiare tracce di
ossidazione, una loro permanenza tra i fanghi dell’Arno potrebbe esserne stata
la causa.
Passiamo adesso a un altro
elemento in grado di fornire ulteriori informazioni. Oltre a una forma,
l’impronta possedeva anche una profondità e una nettezza, variabili in rapporto
al grado di usura del punzone che l’aveva impressa, cosicché le impronte
prodotte da punzoni nuovi risultavano ben distinguibili da quelle prodotte da
punzoni consumati. In teoria lo studio di questa caratteristica avrebbe potuto
dare un’indicazione della probabilità che due bossoli aventi un’impronta di
forma identica, dunque derivata da una sola matrice, fossero anche stati
prodotti o no a breve distanza l’uno dall’altro, e magari essere stati
impacchettati all’interno di una stessa scatola. Consideriamo però le centinaia
di migliaia di esemplari che un punzone trattava prima di essere dismesso e l’esigua
profondità dell’impronta: è evidente che per poter distinguere una differenza
di consumo servivano molti più cicli di punzonatura dei 50 necessari a trattare
il contenuto di una scatola. Se poi si considera che i punzoni venivano utilizzati
in serie di 20, si può senz’altro concludere che migliaia di bossoli condividevano
impronte di fatto indistinguibili. Quindi dimostrare l’appartenenza di due
cartucce alla medesima scatola da 50 sulla base di profondità e nettezza della
lettera “H” impressa sui relativi bossoli è del tutto impossibile.
Pur con i limiti appena
evidenziati, la comparazione di due lettere “H” di
identica forma potrebbe comunque restituire informazioni utili, non tanto per
accomunare più bossoli in una medesima scatola a impronte indistinguibili,
quanto per dividerli in scatole differenti a impronte differenti. È probabilmente
quanto fu fatto dopo l’omicidio di Vicchio, quando anche la Procura tentò una
comparazione dei bossoli da un punto di vista merceologico, chiedendo la
collaborazione dei tecnici della Winchester. In questo lavoro fu coinvolta
l’Interpol, e i risultati furono decisamente interessanti, ma non pare
siano stati utilizzati per come avrebbero meritato, visto che non ne è rimasta
traccia, almeno nei documenti emersi. Per fortuna Gianno Bassano, il
responsabile della Winchester per l’Italia, rilasciò alcune interessanti
dichiarazioni sull’argomento, pubblicate su “La Nazione” del 21 ottobre 1985:
All’Interpol
furono esaminati tutti i bossoli raccolti sui luoghi dei delitti, dal 1968 in
poi. Nel corso dei controlli comparati, si scoprì che l'H impressa su parte dei
bossoli espulsi dalla pistola del mostro era uguale a quella che compariva su
proiettili Winchester calibro 22 Long Rifle che facevano parte della
campionatura dell'Interpol. Non ci potevano essere dubbi: dalle gigantografie
si vedeva chiaramente che le due H presentavano un segno identico, una piccola
sbarratura lasciata dal punzone. I campioni dell'Interpol risalivano a prima
del '68. I proiettili del mostro non fanno tutti parte di un unico lotto ma di
tre lotti. Tutti però prodotti prima del '68. Lo si è visto dai segni lasciati
dai vari punzoni: se il mostro infatti avesse comprato le pallottole, o ne
fosse entrato in possesso anche soltanto due anni dopo il '68, le H avrebbero
presentato altri segni. È un errore sostenere che i proiettili sono antecedenti
al '68 solo perché presentano una H sul fondello, munizioni con l'H sono state
prodotte fino a pochi anni fa. È stato solo l'esame all'Interpol a stabilire
con certezza che il mostro ha sempre sparato proiettili che possedeva prima del
delitto del '68.
Come si vede, oltre alla conferma
delle conclusioni di Iadevito sull’anno di produzione, l’articolo contiene un’altra
informazione molto importante: i bossoli potevano essere raggruppati in tre differenti
lotti di produzione, il che vuol dire, con sufficiente certezza, che le varie
cartucce utilizzate nel corso di 17 anni erano state estratte da almeno tre
differenti scatole. Vari indizi, dei quali tratteremo in un futuro articolo, fanno
ritenere che le cartucce in piombo nudo provenissero da una sola scatola, aperta
dall’assassino nel 1981 ed esaurita nel 1985. Quindi le altre due scatole avrebbero
contenuto munizioni ramate, e non è illogico pensare che una fosse stata usata nel
1968 a Signa e l’altra nel 1974 a Borgo, sia che il detentore della pistola fosse
rimasto il medesimo, sia che fosse cambiato.
Alla fine si può senz’altro
concludere che non è affatto dimostrato né dimostrabile che pistola e cartucce ramate
avessero “camminato
assieme”, per usare l’espressione di Lavorino, dal 1968 in poi, e
quindi l’ipotesi dell’estraneo che raccolse l’arma da terra non può affatto
escludersi.
[…] il perito dott. ladevito, nella relazione
che accompagnava la perizia espletata in occasione dei duplice omicidio Rontini-Stefanacci,
poneva in luce come rispetto ai bossoli relativi a tale episodio, uno dei
bossoli relativi all'episodio Locci-Lo Bianco (il bossolo Vl) presentava la
lettera H impressa, a suo giudizio, da un punzone diverso (vedi relazione
citata, pag. 14).
Tutto questo rende naturalmente ancora più difficile poter assegnare due cartucce a un'unica scatola. A meno che le linee di produzione dei semilavorati procedessero in parallelo, senza stoccaggio.
Riguardo invece l'intervista di Bassano, convengo che contiene evidenti approssimazioni, e non è certo possibile in base a essa ipotizzare il numero delle scatole di munizioni ramate. Infatti, se anche nell'insieme della ventina di cartucce di quel tipo fossero stati rilevati due lotti di produzione dei relativi bossoli, ciò non avrebbe implicato anche due lotti di produzione delle cartucce, che invece avrebbero potuto essere tre come uno soltanto. Tuttavia il dato conforta almeno un po' la mia convinzione personale che a Signa e a Borgo fossero state usate due scatole differenti.
Addendum: L'intervento sottostante di Henry62, il cui sito riporta un ottimo studio sul presente argomento (vedi), mi ricorda che i bossoli e le restanti parti della cartuccia (proiettile e carica esplosiva) venivano prodotti in differenti fasi di lavorazione, com'è logico, del resto, e successivamente assemblati. Quindi parlare di lotto di produzione della cartuccia non è la stessa cosa che parlare di lotto di produzione del bossolo. In altre parole, almeno in linea teorica, in dipendenza dei metodi di stoccaggio dei semilavorati, poteva anche capitare che differenti lotti di produzione dei bossoli si mischiassero in un unico lotto di produzione dell'intera cartuccia, e viceversa. Alla luce di queste considerazioni potrebbe forse spiegarsi l'anomalia di uno dei bossoli di Signa che, per Iadevito, sarebbe risultato di un lotto a sé, come riporta la sentenza Ognibene:
Tutto questo rende naturalmente ancora più difficile poter assegnare due cartucce a un'unica scatola. A meno che le linee di produzione dei semilavorati procedessero in parallelo, senza stoccaggio.
Riguardo invece l'intervista di Bassano, convengo che contiene evidenti approssimazioni, e non è certo possibile in base a essa ipotizzare il numero delle scatole di munizioni ramate. Infatti, se anche nell'insieme della ventina di cartucce di quel tipo fossero stati rilevati due lotti di produzione dei relativi bossoli, ciò non avrebbe implicato anche due lotti di produzione delle cartucce, che invece avrebbero potuto essere tre come uno soltanto. Tuttavia il dato conforta almeno un po' la mia convinzione personale che a Signa e a Borgo fossero state usate due scatole differenti.