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L’argomento della misteriosa segnalazione anonima che avrebbe consentito agli inquirenti di collegare il delitto di Signa a quelli successivi è stato affrontato numerosissime volte, nei libri e sulla rete. È il caso di segnalare gli ottimi articoli usciti sul blog “Storia del Mostro di Firenze” di Omar Quatar –
qui,
qui e
qui – che illustrano la materia in modo chiaro ed esauriente, senza sbilanciarsi troppo di fronte alle numerose incertezze, come del resto è consuetudine per l’autore, che preferisce più illustrare e commentare la documentazione piuttosto che azzardare interpretazioni personali. Per propria inclinazione naturale, chi scrive è invece più portato a superare le incertezze attraverso un ragionamento di probabilità, contando sul fatto che quando un’ipotesi è molto più probabile delle altre è quasi sempre anche quella vera, soprattutto se si armonizza con uno scenario generale di altre ipotesi anch’esse molto probabili.
In questo articolo la materia
verrà trattata con il taglio appena illustrato, scontando purtroppo inevitabili
ripetizioni nella citazione dei documenti rispetto agli articoli dell'amico Omar.
Vedremo che la segnalazione anonima ci fu, la recente scoperta di un documento
inedito da parte del sempre benemerito lavoro dell’avvocato Vieri Adriani lo
comprova senza dubbio alcuno, ridimensionando il valore di
alcune interviste dove si affermava il contrario e che pretendevano di aver messo la parola fine sull'importante argomento. Il che porta a conseguenze
assai significative per l’intera vicenda.
L’inizio della pista sarda. È ormai noto a tutti che gli inquirenti
si accorsero soltanto dopo il delitto di Baccaiano, il quarto fino ad allora,
che nel 1968 a Signa aveva sparato la medesima pistola usata dal Mostro. Ecco
come il giudice istruttore Mario Rotella, subentrato nell'aprile 1983 a Vincenzo Tricomi, racconta nella sua celebre sentenza (1989) l’inizio di
quella che sarà presto denominata “pista
sarda”:
Venuta meno la pista ‘Spalletti’ […] le
indagini non avevano un filo conduttore. Questo filo sarebbe stato offerto dal
ricordo del m.llo Fiori, in servizio presso il Comando Gruppo Carabinieri di
Firenze, e nel 1968 alle dipendenze della Compagnia di Signa. Egli rammentava
al comandante del Reparto Operativo, T.Col. Dell’Amico, che in quell’anno
dirigeva il Nucleo Investigativo dello stesso Gruppo, che nel 1968, appunto,
era stata uccisa una coppia in Castelletti di Signa a colpi di pistola. L’arma
non era mai stata rinvenuta. Un colpevole era stato trovato in persona del
marito della donna uccisa, per quanto se ne sapeva condannato dalla Corte
d’Assise di Firenze nel 1970.
Effettuati opportuni riscontri, si accertava
che il condannato, Stefano Mele, aveva subito tutti i gradi di giudizio ed uno
di rinvio a Perugia. Il G.I. dell’epoca, avvertito, disponeva il recupero del
fascicolo processuale. Intorno al 20 di luglio del 1982 esso si trovava sul suo
tavolo. Allegati al fascicolo erano, per fortuita e inspiegabile combinazione,
i bossoli e i proiettili rinvenuti dopo il duplice omicidio. Disposta
comparazione, già a livello informale si accertava l’identità dell’arma
adoperata nel 1968 e 1982.
Il giudice avvertiva il p.m.. La notizia
veniva tenuta segreta per necessità imprescindibili delle indagini.
Molti giornalisti sapevano, ma
per tre mesi e mezzo rispettarono la consegna del silenzio, e le forze
dell’ordine ebbero modo di effettuare con tranquillità le loro indagini. Soltanto
ai primi di novembre iniziò a comparire qualche velato accenno a una nuova
pista, favorito da alcune frasi allusive pronunciate in una conferenza stampa
da Tricomi (“La Città”, 5 novembre
1982): “Prima eravamo completamente al buio, davanti a noi c’era un
muro di milioni di persone ciascuna delle quali poteva essere l’assassino.
Adesso invece abbiamo delle facce. Ora abbiamo motivo di essere un pochino più
ottimisti”. Il successivo mandato di cattura spiccato per il delitto
di Signa contro Francesco Vinci, in carcere con un pretesto già da tre mesi, fu
come un “libero tutti”, del quale i primi ad
approfittarne furono Giorgio Sgherri e il suo giornale, “L’Unità”, che il 7
pubblicò la notizia in prima pagina.
E probabilmente proprio questa
partenza nascosta fu la causa principale dei misteri iniziali della vicenda,
che vedono nella semileggendaria figura del maresciallo Francesco Fiori, spesso
erroneamente indicato come Fiore, il loro cardine. Senza giungere
all’esagerazione di Nino Filastò, il quale addirittura arrivò a sospettare che
tale personaggio neppure fosse mai esistito, non comparendo il suo nome in
alcun atto ufficiale delle indagini del 1968, non sembra per nulla sicuro che la
scoperta del clamoroso collegamento possa essere attribuita ai suoi soli
ricordi.
Il ritaglio. Voci sull’esistenza di un messaggio anonimo
circolarono assai presto. Già nell’articolo di Sgherri si parlava di “alcune lettere
anonime” che “facevano riferimento a 5 e non a 4 duplici omicidi”,
per merito delle quali gli inquirenti erano andati “a rispolverare il fascicolo sulla tragica fine
di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco”. Due giorni dopo anche Franca
Selvatici, su “La Città”, scrisse che “un autore anonimo ricordò agli inquirenti di un duplice
omicidio avvenuto sei anni prima di quello di Borgo San Lorenzo”,
ripetendosi sulla stessa testata in almeno due altre occasioni (1983 e 1984).
Negli anni successivi le voci,
ben lontane dallo spegnersi, trovarono il loro propalatore e interprete nel
compianto Mario Spezi. Nel libro del 1983 Il
Mostro di Firenze il giornalista aveva sposato la tesi dei ricordi autonomi
del maresciallo Fiori, ma poi nel 1988 così ne scrisse in Delitti in Toscana:
Per molto tempo, e ancora oggi, è stata
accreditata la tesi che un maresciallo dei carabinieri, il maresciallo Francesco
Fiore, che era di stanza a Signa nel '68, si sarebbe ricordato del vecchio
delitto e che anche allora l'assassino aveva usato una pistola Beretta calibro
22 mai ritrovata. […] Ora, secondo una voce che non ha mai trovato conferma
ufficiale e che fu per la prima volta riportata da chi scrive queste pagine,
arrivò nel giugno 1982 un biglietto anonimo alla caserma dei carabinieri di
Borgo Ognissanti a Firenze. L'autore del messaggio invitava gli inquirenti ad
andare a rivedere le carte del vecchio processo d'appello per i fatti del '68,
celebrato, per complesse ragioni procedurali, a Perugia anziché a Firenze. […]
La storia del biglietto anonimo, come si è
detto, non è stata mai confermata ufficialmente. E tuttavia, per la prima
volta, chi scrive può dire quale fonte gliela rivelò: il giudice istruttore
Vincenzo Tricomi, il magistrato che all'epoca si occupava dell'indagine sul
mostro. Il giudice Tricomi mi aggiunse un particolare grave: quando chiese di
vedere il biglietto, gli fu risposto che era irreperibile. Quel biglietto,
insomma, non esiste più. Imperdonabile distrazione di un carabiniere o ipotesi
molto più preoccupante?
Quale poteva essere l’ipotesi
molto più preoccupante? Forse quella di un carabiniere che aveva scritto il
biglietto e poi lo aveva fatto sparire per paura di essere scoperto? In questo
caso Spezi avrebbe preceduto di molti anni Filastò nel sospettare di un Mostro
appartenente alle forze dell’ordine.
L’anno dopo Mario Rotella si
sentì in dovere di smentire le voci, scrivendo nella sua sentenza:
Nel 1983 tutti coloro che, tra i carabinieri
del gruppo di Firenze, avevano contribuito alla scoperta del precedente sono
stati escussi e taluni, nuovamente, negli anni successivi. Da ultimo, in questo
1989, si è ritornati incidentalmente sull'argomento, in rapporto ad atti
rinvenuti nel fascicolo del Nucleo Operativo della Compagnia di Prato (cfr:
fascicolo 'Parretti' in vol. 7K), ed alla possibilità, smentita in maniera assoluta
dagli accertamenti, che la notizia del precedente del 1968 fosse stata ottenuta
diversamente, per esempio attraverso una confidenza.
Analogamente non ha nessun fondamento che sia
pervenuto al G.I. dell’epoca un [biglietto] anonimo, nel quale fosse menzionato in
relazione agli omicidi delle coppie, il precedente di Signa.
A giudicare dallo scritto, di
gran peso vista la sua collocazione entro un atto ufficiale, sembra proprio che
la notizia della segnalazione anonima fosse fasulla. In ogni caso Mario Spezi,
che conosceva bene la sentenza Rotella avendone tratto ampi
suggerimenti per i propri articoli e libri, continuò a sostenere la propria
versione, arricchendola sempre un po’ di più. Ad esempio, in un articolo de “La
Nazione” del 2 novembre 1994 – senza firma, ma di sicuro da lui scritto o
almeno ispirato – in cui si affrontava l’argomento delle lettere anonime
nell’ambito del processo Pacciani:
L'anonimo più importante è quello del giugno
1982, di cui non resta traccia. Ed è proprio la sua scomparsa, assieme al suo
inquietante contenuto, ciò che lo rende più interessante. Giunse allora ai
carabinieri un biglietto sul quale era scritto: “perchè non andate a vedere il
processo d'appello a Stefano Mele celebrato a Perugia?”. [...]
Si potrà facilmente obiettare che di questo biglietto
non c'è traccia nel processo. Benissimo: eppure ne parlò in maniera
estremamente chiara il giudice istruttore Vincenzo Tricomi. Tricomi disse di
aver letto quel biglietto e aggiunse che quando lo richiese ai carabinieri di
Borgo Ognissanti gli fu risposto: “il biglietto è andato smarrito”. Perché
Tricomi non è mai stato ascoltato nel corso del processo? Così si depistarono
le indagini deviandole sulla cosiddetta pista sarda per ben quattro anni.
Incidentalmente vale la pena
notare come Spezi non avesse ancora maturato la successiva ferrea convinzione
che proprio all’interno della pista sarda fosse da ricercarsi il Mostro, anzi,
vedeva nel biglietto anonimo un riuscito tentativo di depistaggio.
Nel libro Toscana Nera del 1998 il
giornalista ribadì la propria versione aggiungendovi un particolare importante:
la frase di invito a indagare sarebbe stata vergata su un ritaglio di giornale
in cui si parlava del delitto del 1968.
Siamo in grado di rivelare che gli investigatori
furono informati da un biglietto anonimo, probabilmente inviato dal mostro
stesso. In quel biglietto – anzi un ritaglio di giornale in cui si parlava
dell’uccisione di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco era scritto: “Perché non
andate a rivedere il processo d’appello per i fatti del ’68 che si svolse a
Perugia?”
Incredibilmente il messaggio, custodito nella
caserma dei carabinieri di Borgo Ognissanti, si perse. La procura della
Repubblica di Firenze negò che fosse mai esistito.
Ma il giudice Vincenzo Tricomi, tuttora in
servizio, lo ebbe in mano e ci ha autorizzato a confermarne l’esistenza.
Finalmente nel 2006 Spezi scrisse
la sua versione definitiva, riempiendone varie pagine del libro Dolci colline di sangue, dove è anche
riportata la scena nella quale Tricomi gli avrebbe raccontato del ritaglio.
Me lo raccontò lo stesso giudice Vincenzo
Tricomi, il magistrato che aveva visto quel ritaglio. Era il giorno di una
solenne cerimonia, l'inaugurazione dell'anno giudiziario. Nell'aula più grande
di cui la magistratura fiorentina dispone erano riuniti, avvolti nelle loro
severe toghe nere e scarlatte bordate di ermellino, quasi tutti i magistrati
della zona. Durante una pausa, il giudice istruttore Vincenzo Tricomi uscì in
un corridoio per fumare una sigaretta e lì incontrò un altro incallito fumatore
come me. Chiacchierammo per un po' del più e del meno, e poi io, credendo di
poter approfittare della circostanza che il magistrato fino a pochi mesi prima
si era occupato del Mostro, portai lentamente il discorso sul caso. Parlammo
del delitto di Montespertoli, l'ultimo, e a un tratto chiesi al giudice, senza
una vera ragione: “Ma davvero fu solo per la memoria del maresciallo Fiori che
vi accorgeste che le pallottole del 1968 erano le stesse degli altri delitti?”
[…]
“Macché! Può anche essere che quel maresciallo
si sia ricordato del delitto del '68, ma la verità è che ricevemmo
un'informazione precisa”.
“Un'informazione? E da chi? Che tipo
d'informazione?” lo incalzai, annusando una notizia clamorosa.
“Arrivò un biglietto”, riprese Tricomi per
nulla agitato “un biglietto anonimo, scritto in stampatello. Anzi, la scritta
era su un vecchio ritaglio di giornale che parlava dell'omicidio del '68. Si
leggeva: Perché non andate a rivedere il processo di Perugia contro Stefano
Mele?” […]
“E dov'è ora quel biglietto?” balbettai,
troppo eccitato per la notizia appena ricevuta.
“Non c'è. Non c'è più. Scomparso.[…] Lo
richiesi tempo fa ai carabinieri che lo avevano ricevuto, ma dopo un po' mi
risposero che, nonostante le ricerche fatte, il biglietto non si trovava più.”[…]
Di quel messaggio, nessuno tra gli inquirenti
aveva fatto cenno. Come se non ci fosse mai stato. La notizia che pubblicai su
La Nazione a qualcuno sembrò inventata. Tanto che ai giornalisti che domandarono
al giudice Piero Luigi Vigna se fosse davvero esistito, la risposta parve una
smentita.
“Agli atti”, replicò il procuratore, “non
esiste alcun biglietto del genere.”
Io, invece, mi
ero fatto rilasciare una dichiarazione scritta da Tricomi, che ho sempre, con
la quale mi confermava la storia.
La dichiarazione scritta di Tricomi. In virtù di alcuni elementi in
esso contenuti – Montespertoli ultimo delitto, cerimonia di inaugurazione anno
giudiziario sempre svoltasi a gennaio – l’episodio va collocato nel gennaio
1983. Purtroppo al momento non è disponibile in rete e a chi scrive la pagina
de “La Nazione” dove Spezi avrebbe pubblicato la notizia, si presume in quello
stesso mese. Forse nell’articolo potrebbe trovarsi la riprova dell’autenticità
del racconto. Che ne Il Mostro di Firenze
del 1983 Spezi avesse riportato la versione ufficiale dei ricordi del
maresciallo Fiori potrebbe anche spiegarsi con l’esigenza di evitare inopportuni contrasti con la versione ufficiale.
D’altra parte il giornalista sosteneva
di essersi fatto rilasciare una dichiarazione scritta da Tricomi, ostentando
quindi massima sicurezza che ben difficilmente si sarebbe potuto ritenere
fasulla. In effetti il documento fu rintracciato a casa sua, il 7 aprile 2006,
durante una perquisizione domiciliare effettuata nell’ambito delle note vicende
giudiziarie che lo riguardarono. La notizia emerse nel 2010, nella sentenza
Micheli, dove si leggono queste frasi riportate dalla richiesta di rinvio a giudizio
di Mignini:
Vi è da dire che, alla luce di una
dichiarazione del Dr. TRICOMI del 15.01.02, rinvenuta nel corso della
perquisizione domiciliare all’imputato MARIO SPEZI, probabilmente nell’inverno
1982 il Maresciallo FIORI si presentò da lui con un ritaglio di giornale che
riferiva della condanna definitiva del MELE a Perugia e gli chiese se fosse
possibile acquisire il procedimento.
In tempi recenti è venuta alla
luce una scannerizzazione del documento stesso, visibile qui sotto.
15.01.02 In ordine all'episodio di cui mi si
chiede, premesso il notevole lasso di tempo sbiadito ed incerto ogni ricordo,
posso dire di ricordare che presumibilmente nell'inverno 1982, venne il
Maresciallo Fiore con un ritaglio di giornale di cui ignoro di come e con quale
modalità erano venuti in possesso i carabinieri che riferiva della conferma
della condanna in sede definitiva avvenuta a Perugia. Mi chiese se era
possibile acquisire il processo e io lo ritenni del tutto possibile.
Vincenzo Tricomi.
Come si vede c’è qualcosa che non
torna rispetto a quanto si poteva intendere leggendo Dolci colline di sangue. La dichiarazione non è del 1983, ma successiva
di ben diciannove anni (in compenso però è del 15 gennaio, tre giorni dopo la
cerimonia di inaugurazione di quell’anno giudiziario nell’aula bunker di Firenze). Si potrebbe pensare che Spezi, all’atto della
progettazione del suo futuro bestseller,
avesse pensato bene di consolidare quanto il giudice gli aveva svelato oralmente
anni prima, a scanso di equivoci e smentite, senza avvertirne il lettore. Un
peccato veniale, insomma. Di sicuro più grave è il fatto che nel documento non c’è
alcun cenno a una lettera anonima, o comunque a un’imbeccata venuta dall’esterno, mentre
si menziona il ritaglio di giornale, che avrebbe riguardato non la notizia del
delitto, ma quella della condanna definitiva di Stefano Mele pronunciata a
Perugia.
Per venire incontro alle
affermazioni contenute nel libro di Spezi, che rimangono comunque poco rispettose del proprio
lettore, si può notare che il giudice collocava la consegna del ritaglio da
parte di Fiori, del quale peraltro sbagliò il cognome, nell’inverno 1982, circostanza di sicuro errata, visto che il
collegamento con Signa era del luglio. Quindi forse, a distanza di tanto tempo,
i suoi ricordi erano davvero sbiaditi, come del resto lui stesso aveva premesso.
Il cittadino amico. Aggiungiamo un ulteriore tassello alla vicenda.
Sulla sentenza Rotella si legge che il fascicolo di Signa sarebbe giunto sul
tavolo di Tricomi “intorno al 20 di luglio del 1982”. Guarda caso,
proprio quel giorno venne pubblicato su “La Nazione” questo trafiletto dal titolo
“Un appello dei
carabinieri per il mostro”:
Un appello è rivolto dal comando del nucleo
investigativo dei carabinieri di Borgo Ognissanti a una persona che ha dato più
volte il suo contributo anonimo all’indagine sui delitti del maniaco perché si
rimetta in contatto con loro. L’uomo, che nella sua ultima lettera si è firmato
“un cittadino amico” e che ha scritto tre volte affermando di non rivelare la
sua identità per non essere preso per mitomane, dovrebbe fornire di nuovo la
sua collaborazione, magari anche solo telefonando al nucleo investigativo.
A segnalare la grande importanza
del trafiletto fu il mitico forumista
De
Gothia, che lo mise al centro di uno scritto, il noto “La notte del
cittadino amico”, scaricabile
qui, nel quale
si lanciava in un’azzardata interpretazione di depistaggio.
Il lettore converrà che la
coincidenza di date non può essere casuale. Un pubblico appello dei carabinieri
a un mittente anonimo non è certo cosa di tutti i giorni, quindi che esso fosse
stato disposto proprio nel momento in cui si era appena scoperto il clamoroso
collegamento con Signa non può voler dire altro che le tre lettere in questione
proprio di quello avevano trattato. Ci si potrebbe chiedere però come potesse
essere stata possibile una reazione così rapida alla scoperta che l’anonimo
aveva ragione, poiché il testo dell’appello doveva essere stato trasmesso al
giornale almeno il giorno precedente a quello di pubblicazione, il 19 quindi, mentre
il fascicolo di Signa sarebbe pervenuto nelle mani di Tricomi “intorno al 20”.
Di recente è emerso il documento
con il quale il giudice aveva chiesto il fascicolo al tribunale di Perugia, e
la cui lettura consente di trovare la spiegazione.
17 luglio 1982
Oggetto: Omicidi di varie coppie avvenuti nel
circondario di Firenze negli anni 1974/81/82
Per motivi di giustizia attinenti alle
indagini in corso sugli omicidi in oggetto indicati, prego trasmettermi con
massima urgenza e possibilmente tramite sottufficiale del Reparto Operativo CC
di Firenze latore della presente, il fascicolo relativo al duplice omicidio di
Barbara Locci nei Mele e Antonio Lo Bianco avvenuto il 22.8.1968 in agro di
Signa (FI) e per il quale è stato precessato Mele Stefano. Tale giudizio in
sede d'appello è stato celebrato presso codesta Corte d'Assise d'Appello a
seguito di remissione della Corte di Cassazione che aveva annullato la sentenza
emessa nello stesso grado dalla Corte d'Assise di Firenze. Tale giudizio di
remissione è stato celebrato presumibilmente nel 1972-73 in quanto la
Cassazione ha annullato la sentenza di condanna della Corte d'Assise d'Appello
di Firenze, nella prima decade del febbraio 1972. In uno al procedimento mi si
vorrà trasmettere anche il Corpo di Reato onde effettuare le comparazioni
balistiche tra i bossoli repertati in occasione dell'omicidio Locci/Lo Bianco
con quelli repertati nei duplici omicidi commessi in Firenze e in oggetto
indicati.
Se non quello stesso 17, almeno
il 18 una gazzella dei carabinieri doveva essere partita alla volta di Perugia,
con una richiesta di massima urgenza da soddisfare attraverso lo stesso latore.
Quindi al massimo il 19 luglio 1982 i bossoli di Signa dovevano essere entrati
nella disponibilità dell’ufficio istruzione di Firenze. Ci si può immaginare
con quale fretta fosse poi stato chiesto un parere balistico, con cui, scrisse
Rotella, “già a
livello informale si accertava l’identità dell’arma
adoperata nel 1968 e 1982”. A quel punto una telefonata a “La
Nazione” e il trafiletto era pronto per essere pubblicato il giorno dopo, e
cioè il 20.
Va notato che l’appello dei
carabinieri al “cittadino amico” parla di tre lettere, e di “alcune lettere
anonime” aveva scritto Giorgio Sgherri il 7 novembre 1982, come
Franca Selvatici nel 1983. Quindi ci dovette essere stato qualcosa di più, o
almeno di diverso, rispetto al chiacchieratissimo ritaglio di giornale di
Spezi. Qualcosa però che sembra sia stato cancellato, sia dagli atti sia dalla
memoria dei protagonisti.
Le interviste del 2012. Sul portale “
CN-Cronaca-Nera.it” è stata
pubblicata un’intervista a Tricomi, risalente al 2012, nella quale il giudice,
ormai in pensione, ribadisce quanto dichiarato nello scritto in possesso di
Spezi (
vedi).
Devo precisare che dopo quel delitto fui io
personalmente a disporre l’invio di fonogrammi ai vari Comandi dei CC e polizia
di ricerca per eventuali casi di duplice omicidio con modalità simili. Un
giorno venne il Maresciallo Fiori con un vecchio articolo di giornale inerente
il caso del delitto del 1968 chiedendomi se sarebbe stato opportuno
approfondire la questione. Ovviamente disposi il “recupero” del fascicolo che
stava a Perugia ed il Maresciallo se ne occupò assieme al Colonnello Olinto
Dell’Amico.
A successiva specifica domanda
Tricomi afferma di non ricordare il modo in cui il ritaglio era pervenuto nelle
mani di Fiori, come nulla ricorda dell’appello dei carabinieri al “cittadino
amico”. Anzi, con l’accenno all’invio di fonogrammi per la ricerca di altri
casi di duplici omicidi l’ex giudice sembra voler suggerire che la “scoperta” di
Fiori fosse legata proprio alla sua iniziativa.
In un altro articolo del medesimo
portale (
vedi) è stata pubblicata una testimonianza
dello stesso Fiori, che nel 2012 era da tempo deceduto, rilasciata di fronte a
Rotella, Vigna e Canessa in data 28 novembre 1986.
Dal 1960 al 1969 prestavo servizio a Signa,
presso la tenenza dei CC, nel settembre/ottobre del ‘69 sono passato alla
compagnia di Firenze fino al 1974, successivamente tornai a Signa fino al 1979
e poi di nuovo a Firenze sino al congedo avvenuto il 27.5.1986. Avevo seguito
il caso sul delitto di Signa, accompagnando il Maresciallo Ferreri all’Istituto
dove era ospitato il bambino Natalino Mele. Nei giorni dell’omicidio non ero
presente a Signa perché in ferie. Dopo il delitto del 1982, parlando con
l’appuntato Piattelli Ugo, che era in servizio a Signa nel 1968, venne fuori il
ricordo del duplice delitto del 1968. Più precisamente, ricordammo che in
quella località fu compiuto un duplice omicidio ai danni di una coppia di
amanti in atteggiamenti amorosi in auto con un’arma da fuoco.
A seguire viene poi
riportata una dichiarazione di Ugo Piattelli, interpellato sull’argomento.
Confermo l’episodio descritto dal Maresciallo
Fiori e ricordo che avemmo una discussione circa l’anno dell’omicidio, lui
ricordava il 1964, mentre io sostenevo che si trattava del 1968. Assieme ci
recammo dal Colonnello Dell’Amico che seguiva le indagini, il quale rinvenne un
fascicolo personale, non so a quale persona implicata nella vicenda
appartenesse. Dell’Amico informò subito il G.I. Dr. Tricomi, che dapprima
contattò il perito balistico dell’epoca e poi fece richiesta alla Cancelleria
della Corte d’Appello di Perugia e successivamente a quella di Firenze per
l’acquisizione degli atti processuali.
Piattelli aggiunge però altra
confusione, poiché non parla del ritaglio di giornale, anzi, sembra ignorarne
l’esistenza quando racconta la discussione sull’anno del delitto, che non avrebbe avuto
senso di fronte al ritaglio.
Per “CN-Cronaca-Nera.it” le
dichiarazioni di Tricomi e Piattelli, più il documento del 1986 sottoscritto da
Fiori, sarebbero la dimostrazione definitiva che non ci sarebbe stata alcuna
imbeccata dall’esterno nella scoperta del collegamento tra Signa e i duplici
omicidi successivi. Una conclusione un po’ troppo precipitosa, che sorvola
sull’appello al “cittadino amico”, e che viene contraddetta da un documento molto sui generis, ma non per
questo privo di valore.
Il Brigadiere Ricci. Nel noto forum “Il Mostro di Firenze”, durante una discussione sui misteri
dell’inizio della pista sarda, il 2 ottobre 2011 un utente iscritto da tre
giorni con il nick “Ricci”, fece
questo primo clamoroso intervento:
Mi è stata segnalata questa discussione da D.,
un ragazzo che qui dentro credo abbia scritto qualcosa. Mi presento per dirvi
ciò che so sulla segnalazione anonima che ricollegò il delitto di Signa a
quelli del mostro nel 1982. In quel periodo, fino al 1987, ero appuntato a
Borgo Ognissanti e nonostante non mi occupavo in prima linea del mostro ho
avuto la possibilità di seguire da vicino quell’indagine. Non so se sono il
primo carabiniere a dirlo ma il ritaglio di giornale con spillato un biglietto
che diceva di revisionare il processo Mele arrivò veramente all’inizio di
luglio del 1982, credo preceduto da altri due biglietti (questi però io non li
ho visti) arrivati in caserma alcuni giorni prima che accennavano più
genericamente al delitto del 1968. Fu Fiore il primo ad avere fra le mani il
pezzo di giornale mandato da un anonimo perché era lui che smistava le
segnalazioni che arrivavano sul mostro. Fiore lo mostrò anche a me oltre che a
tutti quelli della caserma che non erano in vacanza estiva. L’articolo era del
1968 e parlava del delitto della Locci ma non era (come dicono tanti) del
processo del 1974 a Mele tenutosi a Perugia. Era solo il biglietto allegato
scritto a macchina che parlava del processo Mele (dicendo di andare a
rivederlo), ma l’articolo di giornale era del 1968 e questo me lo ricordo senza
margine di errore.
Oltre alla mia memoria escludo inoltre che la
condanna definitiva al Mele sia mai finita su un qualsiasi giornale. Una
notizia del genere per un delitto d’apparenza così poco importante non finiva
su un giornale 6 anni dopo l’omicidio per la sola notizia della condanna
dell’autore e questo lo dico per l’esperienza professionale che mi ha portato
ad avere sotto mano tanti giornali anche degli anni 60 e 70.
Quello del ritaglio di giornale con il
biglietto anonimo ricordo che diventò il segreto di pulcinella del periodo a
cavallo fra il 1982 e il 1983, se ne parlava fra le righe ma mai ufficialmente
perché la versione da tenere era quella del ricordo di Signa del Maresciallo
Fiore (grande uomo d’Arma e molto spiritoso). Ho letto che qualcuno crede che
invece non ci fu nessun anonimo ma (come dicono tanti vecchi inquirenti) il
collegamento con Signa fu al cento per cento opera dei Carabinieri, ma non è
vero perché le cose andarono come scrivo di seguito. Quando arrivò il giornale
col biglietto si credette probabilmente di avere chiuso il caso perché
l’assassino non poteva altro che essere uno degli amici o parenti del Mele e la
roba dell’anonimo fu buttata via dopo pochi giorni perché si pensò non serviva
più. Dell’Amico e altri decisero (questo probabilmente me lo disse Fiore
stesso) di non rivelare la notizia del collegamento fatto grazie all’anonimo
perché altrimenti i giornali avrebbero scritto di tutto e di più e, soprattutto,
le segnalazioni anonime che facevano perdere tempo (per esempio quelle dei
mitomani) sarebbero aumentate esponenzialmente una volta rivelato che una
dritta anonima si era rivelata utile.
Credo che chi mandò quel messaggio anonimo era
qualcuno che voleva dare un aiuto sincero alle indagini e non il mostro in
persona. Saluti dal Brigadiere Ricci.
È difficile nutrire dubbi
sull’autenticità della testimonianza, tanto il linguaggio appare spontaneo e la
narrazione del tutto plausibile, mentre ha poco senso vedere un individuo qualsiasi
che prepara un intervento così ben congegnato soltanto per prendere in giro i
partecipanti a un forum. Non sfugga poi al lettore l’accenno ad “altri due biglietti
arrivati in caserma alcuni giorni prima che accennavano più genericamente al
delitto del 1968”, in completo accordo con quanto scritto
nell’appello al “cittadino amico”, del quale il sedicente Ricci sembra essere all'oscuro.
Un altro elemento interessante è
l’affermazione che il ritaglio di giornale avrebbe riguardato un articolo del
1968, in contrasto con lo scritto di Tricomi del 2002, dove si legge invece che
l’argomento sarebbe stato quello della “conferma della condanna in sede definitiva avvenuta a
Perugia” di Stefano Mele. Ma il giudice ricordava senz'altro male, poiché nella
sua richiesta del fascicolo Mele inviata al tribunale di Perugia si legge: “Tale giudizio di
remissione è stato celebrato presumibilmente nel 1972-73, in quanto la
Cassazione ha annullato la sentenza di condanna della Corte d’Assise d’Appello
di Firenze nella prima decade del febbraio 1972”. Quindi Tricomi non
conosceva la data esatta della condanna di Stefano Mele, dal che si deduce che
il ritaglio di giornale che gli aveva consegnato Fiori non riguardava quel
processo.
Il sedicente brigadiere Ricci fu
subito aggredito da chi voleva saperne di più, ma le sue repliche furono
soltanto due, dopodiché non scrisse più nulla. Purtroppo la maggior parte dei
forumisti non capì l’importanza dell’intervento, e alcuni non furono
neppure troppo diplomatici nel manifestare il loro scetticismo. Dato il
possibile alto valore della testimonianza vale la pena riportare integralmente
anche le successive domande e risposte, nelle quali Ricci dimostrò un’ottima
conoscenza di alcuni particolari affatto banali della vicenda.
Forumista: Hai mai sentito
parlare di un appello fatto tramite il quotidiano La Nazione ad un certo
"Cittadino Amico" che un forumista che si chiama De Gothia pensa si
riferisse proprio al segnalatore anonimo di Signa? In tal caso, non pensi
invece che questo appello potesse riferirsi a qualcos'altro, tipo a colui il
quale mandò dei messaggi anonimi con la storia della B di Babbo nell'autunno
inverno '81-'82? Eppure anche quelle erano lettere arrivate alla caserma di
Borgo Ognissanti, ne parla anche Spezi nel suo libro dell'83...
Ricci: Ho letto il
documento di De Gothia che sicuramente coglie nel segno riguardo alla prova
dell’esistenza del messaggio anonimo anche se non condivido molte sue
considerazioni personali riferite al possibile tranello che l’anonimo che
portava a Signa aveva in mente. L’appello del 20/07/1982 sulla nazione si
riferiva senza dubbio all’ignoto anonimo di Signa, quello non ci piove perché
come già detto Fiore aveva parlato del giornale e il biglietto a tutta la
caserma e forse a tutti i suoi amici e le voci girano in fretta. A quei tempi
non c’era un coordinamento unico delle indagini, o meglio c’era ma - non so se
mi spiego - ogni carabiniere o poliziotto era abbastanza libero di indagare per
gli affari suoi perché il caso colpiva tutti molto. Fu sicuramente uno fra le
varie decine di forze dell’ordine che sapevano dell’anonimo ad avere l’idea di
individuare il mittente di Signa provando a lanciare quella specie di appello
sulla nazione. Non so dire chi fu (magari non era neanche uno di Borgo
Ognissanti) ma non ci voleva una potenza e un abilità speciale per contattare
un giornalista proponendogli la cosa. Credo anche che questo appello passò
abbastanza inosservato io infatti nel 1982 neanche lo notai. Quello che ricordo
bene fu che da fine luglio 1982 tutti cercarono il più possibile di tenere riservato
il modo con cui si era arrivati a Signa. I motivi li ho già scritti nel mio
intervento precedente e inoltre c’era una nuova fase d’indagine che stava per
partire, cioè la pista sarda che fu indagata e seguita il più possibile in
silenzio almeno fino alla notizia dell’arresto del Francesco Vinci.
Le lettere della b sono una cosa diversa di
qualche mese prima. Erano delle lettere di circa sei mesi prima il collegamento
con Signa dove si diceva che il mostro sceglieva i posti dove uccidere seguendo
la parola babbo, ma quello che mandò quelle lettere era un mitomane perché già
allora la cosa non tornava e non venne presa sul serio dal segnalarla come
appello sul giornale. Se le b di Borgo e Baccaiano potevano starci non ci stava
la a di Arrigo, perché il posto era Mosciano e Arrigo era solo la via, Via
dell’Arrigo appunto. L’arma non è quella che si racconta in certe barzellette e
già allora si capì che mescolando le località, le vie e i comuni si potevano
formare infinite parole. Era un periodo quello dove arrivavano decine di
lettere anonime al giorno credo che un fine settimana ne arrivarono addirittura
57. Molte di quelle lettere erano sicuramente più interessanti di quelle del
babbo, se queste sono rimaste nella memoria è solo per il libro dello Spezi.
Inoltre se l’appello del 20/07/1982 si riferiva all’autore della b di babbo
quell’appello doveva contenere almeno un riferimento temporale di sei mesi
prima, altrimenti quello della b di babbo non poteva capire che si voleva
entrare in contatto con lui. Sicuramente dunque l’appello sul giornale fu un
primo tentativo senza seguito di individuare l’anonimo che segnalò Signa.
In questo primo scambio viene affrontato l'argomento del “cittadino amico”, in certe discussioni in rete intrecciato a quello di un mitomane di qualche mese prima. Come si vede Ricci dimostrò di avere le idee ben chiare sulla questione.
Forumista: Perché sia
Dell'Amico, sia Tricomi, ma anche la Della Monica e Vigna non ammetterebbero
questo episodio della segnalazione anonima dopo più di vent'anni se così fosse?
Ricci: Dopo tanti anni si
tende a dire la versione che si è ripetuto di più ma che non necessariamente è
quella vera soprattutto perché si parla di stimati professionisti che quando
non dicono esattamente come andò la vicenda lo fanno a fin di bene. Comunque
Dell’Amico, Tricomi, Vigna e la Della Monica sono quattro persone che hanno
avuto un ruolo diverso in questa storia e credo sia utile dire le differenze di
ruolo di queste persone. Dell’Amico per il suo ruolo primario nell’Arma che
indagava decise in accordo con il giudice Tricomi di dare un ufficialità al
collegamento con Signa. Una volta distrutta ogni traccia del collegamento
anonimo (forse fu un errore ma con il senno del poi è troppo facile a dirsi) questo
è come se non fosse mai esistito dunque sarebbe poco saggio ad anni di distanza
dire che ci fu l’anonimo quando niente può più provarlo. I giornali che hanno
pubblicato per anni la notizia del messaggio anonimo fin dal 1982 non sono mai
stati smentiti dagli inquirenti come anche i resoconti di Spezi nei suoi libri.
Proprio nel primo libro dello Spezi, quello del 1983, gli fu detto di puntare
su un altra segnalazione anonima meno rilevante come quella di babbo perché
rivelare dell’anonimo di Signa con la pista sarda in pieno corso poteva essere
un azzardo. Insomma a volte il silenzio è un segno di assenzo e chi vuole
capire capisca. Vigna e la Della Monica hanno conoscenza dell’anonimo di Signa
solo per ciò che gli ha riferito l’Arma ed è quindi inevitabile che la loro
versione dei fatti sia quella della scoperta interna all’Arma ad opera di
Fiore. Un pm serio come le persone in questione giudica ciò che sta agli atti e
non deve interessarsi ad altro.
Si può notare che nella risposta
Ricci dà spiegazione plausibili anche sul perché Mario Spezi, nel libro del
1983, sposò la versione ufficiale.
Forumista: Chi sarebbe allora
questo segnalatore anonimo?
Ricci: Penso qualcuno
dell’Arma o della Polizia che non si occupava del mostro ma seguiva lo stesso
la vicenda per passione o per dare un aiuto e poiché aveva scoperto che quello
di Signa ricordava i delitti del mostro voleva aiutare le indagini. Qualcuno
che magari prestava servizio in un altra provincia toscana non di competenza e
voleva dare un aiuto senza mettersi in mostra.
Forumista: Qual'è la tua idea
in generale sul mostro?
Ricci: Il delitto del
1968 è stato commesso da più persone almeno 4 o 5 senza volontà maniacali. Fra
queste persone c’è anche il futuro mostro ma preferisco non aggiungere altro.
Qui arriviamo alle convinzioni
personali, e a parere di chi scrive risulta molto poco convincente quella di un
carabiniere che scrive una lettera anonima ad altri carabinieri! Riguardo il
possibile Mostro, è chiaro che Ricci pensava a Salvatore Vinci, come in genere
tutti i suoi colleghi d’arma.
Forumista: Le sembrerebbe una
prassi normale, come brigadiere dell'Arma, "buttare" una segnalazione
anonima che si è rivelata corretta e veritiera?
Ricci: Non credo si può
parlare di prassi perché trovare una lettera anonima utile su dei delitti in
serie è una situazione che non era mai capitata prima in italia e forse non è
più capitata neanche dopo. Essendo un eccezione i più influenti decisero che
una volta scoperto di Signa il giornale e il messaggio non servivano più a
prescindere dalle future verifiche. So che oggi sembrerà un grave errore ma
bisogna entrare nella mentalità di quel periodo. Bisogna poi tenere presente
che il Francesco Vinci viene incarcerato verso metà agosto 1982 e senza
l'accusa formale di essere il mostro. Quello che voglio dire è che si capì
subito che quella lettera poteva essere decisiva ma non si comprese bene quale
poteva essere il suo valore materiale una volta che l'indagine si concentrò
interamente sui sardi delle famiglie Mele e Vinci o una volta finita l'indagine
sulla pista sarda.
Forumista: Come sarebbe
arrivato il biglietto in caserma? Era in una busta affrancata? Spedita da dove
e indirizzata a chi?
Ricci: Il giornale del
1968 con il biglietto spillato e scritto a macchina da scrivere era dentro una
busta francobollata senza mittente ma con destinatario il nucleo dell'Arma di
Borgo Ognissanti. Non penso si è mai verificato da dove proveniva, credo che
una verifica del genere si fece solo per il pezzo di seno inviato alla Della Monica.
La scoperta di Vieri Adriani. Arriviamo finalmente a quella che al
momento è l’ultima puntata della intricata vicenda. Ce ne riferisce Omar Quatar nel terzo dei suoi tre articoli (
vedi). In un recente convegno (Pistoia, 8
settembre 2017) l’avvocato Vieri Adriani ha riferito dell’esistenza di un documento, datato 20
agosto 1982, con il quale Silvia Della Monica, all’epoca PM titolare delle indagini assieme al collega Adolfo Izzo, rivolgeva la seguente richiesta al Nucleo Operativo Carabinieri di
Firenze:
Il giudice istruttore del tribunale di Firenze dottor
Vincenzo Tricomi segnalava a questo ufficio l’importanza di una lettera anonima.
Questa lettera indirizzata alla scrivente e
trasmessa per indagini a codesto reparto, la quale evidenziava come i duplici
omicidi commessi dal Mostro fossero cinque, non quattro, richiamando
l’attenzione su un episodio analogo avvenuto in passato in altra località della
provincia.
Questo ufficio ritiene indispensabile al fine
delle ulteriori indagini concernenti l’identificazione dell’autore dell’anonimo
rientrare in possesso dello scritto potendosi presupporre che esso
sia attribuibile a persone a conoscenza dell’identità del vero assassino.
Facendo seguito pertanto a passate sollecitazioni verbali, si prega di voler
procedere a pronta trasmissione.
La registrazione video del
convegno su menzionato è disponibile
qui, con l'inizio dell'intervento sulla lettera anonima a 1:10:17. Vieri Adriani ha poi
aggiunto che, a quanto a lui risultava, la lettera sarebbe effettivamente rientrata
nella disponibilità di Procura e Ufficio Istruzione, ma soltanto qualche mese dopo.
Il documento conferma in modo
inequivocabile che, dopo il delitto di Baccaiano, era arrivata nelle mani degli
inquirenti almeno una lettera anonima nella quale si richiamava l’attenzione
sul delitto di Signa. Tale lettera era stata indirizzata alla stessa Silvia
Della Monica, la quale, evidentemente senza darle soverchia importanza, l’aveva affidata ai carabinieri affinché procedessero con le opportune verifiche,
salvo richiederla indietro non appena gli eventi erano precipitati (si tenga
presente che Francesco Vinci era stato arrestato cinque giorni prima della sua richiesta). Non
sfugga al lettore il fatto che Giorgio Sgherri, nel suo futuro articolo, avrebbe scritto di “riferimento a 5 e non a 4 duplici omicidi”,
esattamente come risulta dal documento in questione.
È chiaro che la rivelazione di
Adriani conferma indirettamente anche quanto risultava dall’appello dei
carabinieri al “cittadino amico”, e cioè il fatto che le lettere anonime erano
state tre. Con un pizzico di fantasia si
potrebbe immaginare che l’anonimo mittente ne avesse inviate prima due,
indirizzandone una ai carabinieri di Borgo Ossignanti e l’altra alla Della
Monica, e poi una terza con dentro il ritaglio di giornale ancora ai
carabinieri. Merito del maresciallo Fiori dovrebbe quindi essere soltanto
quello, ma non è poco, di aver intuito l'importanza della segnalazione.
Suggestioni e interpretazioni. Che dietro l’anonimo mittente ci fosse
stato il Mostro è ben più di una fondata ipotesi, è una logica certezza. Chi
altri avrebbe potuto essere? Certamente non si trattava di un cittadino
qualsiasi illuminato da una felice intuizione, il quale avrebbe sì potuto
desiderare di rimanere anonimo, ma non si comprende il perché avrebbe scritto
ben tre lettere al posto di una sola ben argomentata. Poi è poco credibile che
un cittadino qualsiasi fosse arrivato a intuire quanto non avevano intuito né
investigatori né giornalisti. In realtà doveva trattarsi di un individuo a
conoscenza del destino della pistola, e per questo in qualche modo coinvolto
nelle vicende del 1968. Ma al quale non interessava contribuire alla cattura
del Mostro, poiché in questo caso non si sarebbe limitato a un sibillino
suggerimento, per di più dopo aver lasciato che venissero uccise otto persone
prima di farsi vivo.
In realtà l’anonimo mittente non
poteva essere che qualcuno interessato a far partire la pista sarda, e che da
quella partenza aveva tutto da guadagnare e niente da perdere; quindi proprio il Mostro: anni di inutili
indagini durante i quali l'individuo sarebbe rimasto libero di uccidere stanno lì a dimostrarlo. Data per valida questa ipotesi, si aprono vari scenari, alcuni dei quali è bene escludere a
priori.
Va escluso innanzitutto qualsiasi
scenario che non preveda l’uccisione di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco da
parte di Stefano Mele e complici e addebiti al Mostro anche quel delitto.
Nonostante i disperati tentativi di chi ha inteso risolvere in questo modo
l’eterno enigma del passaggio della pistola, rimangono del tutto insuperabili gli
indizi che coinvolgono Mele nel duplice omicidio, e assieme a lui qualcun
altro. D’altra parte in uno scenario del genere tornerebbe poco anche la storia
delle lettere anonime, che dovrebbero essere interpretate come una specie di
rivendicazione da parte del Mostro. Come a dire, se otto vi sembrano pochi
sappiate che ne ho fatti fuori dieci. Ma allora perché non mandare il messaggio
già l'anno prima e direttamente alla stampa?
Va poi escluso qualsiasi scenario
che preveda la sostituzione dei bossoli nel fascicolo di Signa. Con questa
ipotesi si lascerebbe il delitto del 1968 a Mele e compagni, svincolandolo dai
successivi opera invece del Mostro. In sostanza si sarebbe trattato di un
depistaggio effettuato dal Mostro stesso, che avrebbe messo dei bossoli suoi al
posto di quelli originali per poi avvertire gli inquirenti con le lettere
anonime e metterli quindi su una falsa pista. A parte la difficoltà di introdursi
in un ambiente di tribunale e quella di sostituire in modo
plausibile anche i proiettili deformati, torna poco la fortuna del Mostro di
aver avuto sottomano un delitto da taroccare molto simile ai propri, così poco usuali, non troppo lontano né nel tempo né nello spazio.
A proposito di depistaggi, è bene spendere qualche parola sulla mancata distruzione dei bossoli e dei proiettili del 1968, prevista dalla legge a giudizio consolidato, nella quale in molti hanno voluto vedere chissà quali retroscena. Ecco quel che ne pensava Micheli:
Il fatto che quei reperti si trovassero ancora
dopo otto anni non può seriamente sorprendere, ove la realtà delle cose si
valuti non solo con “la mente critica dell’operatore del diritto”, ma
soprattutto con il buon senso di chi ha un minimo di pratica di uffici
giudiziari: siamo veramente convinti che ad ogni provvedimento di confisca di
un bene sequestrato faccia seguito una esecuzione immediata? O non siamo
piuttosto abituati a vedere locali dove i corpi di reato rimangono giacenti e
dimenticati, come pure fascicoli dove un reperto resta tranquillamente spillato
con i punti di una pinzatrice senza che nessuno si faccia carico di
regolarizzarne l’iscrizione?
Per logica va anche escluso
qualsiasi scenario che veda il Mostro far parte dei sospettati del 1968. Già
l’aver continuato a uccidere con la medesima arma di allora appare un
comportamento di un’imprudenza unica, per di più sarebbe stato lui stesso ad
avvertire gli inquirenti che non se ne erano accorti da soli. Assurdo.
Alla fine lo scenario di gran
lunga più plausibile è quello di un individuo che era entrato in possesso della
pistola del 1968 senza aver avuto nulla a che fare con quel delitto e senza che i personaggi allora indagati o comunque coinvolti nulla ne
avessero saputo. E lui nulla avrebbe avuto da temere da una riapertura
delle indagini, anzi, avrebbe avuto tutto da guadagnare, come
in effetti fu. Ma allora, perché attendere i primi di luglio del 1982 per
mettere gli inquirenti su quella falsa pista? Considerata la coincidenza di date, la spiegazione di gran lunga più plausibile è una sola: paura.
Il lettore sa bene che Paolo
Mainardi fu portato in ospedale ancora vivo. Purtroppo il ragazzo era in coma
irreversibile, e la mattina morì senza aver mai ripreso conoscenza. Tutti i
giornali lo scrissero, ma subito dopo Silvia Della Monica ebbe l’idea di
tentare un trucco, in accordo con alcuni giornalisti. Ecco quindi che il 22
giugno 1982 uscì la notizia di un’indiscrezione secondo la quale Mainardi,
prima di morire, avrebbe fornito una traccia per catturare l'assassino.
La speranza era
quella di indurre il Mostro, se non a costituirsi, a commettere qualche passo
falso. Si trattò di un trucco tardivo e un po’ maldestro, ma nel quale
l’assassino sorprendentemente cadde, decidendo di giocare in quel momento la carta
di Signa. Tra l’altro su “La Nazione” del 23 comparve un articolo di Spezi proprio
su Silvia Della Monica, destinataria di una delle tre lettere; quella stessa Silvia Della Monica
che tre anni dopo, ormai fuori dal caso, avrebbe ricevuto la nota lettera con il frammento di seno.
Entrambi gli articoli sono tratti dall'emeroteca di “Insufficienza di prove”.
Infine, a beneficio di chi non è
troppo inquadrato nei propri pregiudizi, si riporta un passaggio dell’interrogatorio
di Giancarlo Lotti del 26 aprile 1996:
Ho assistito anche all'omicidio di Baccaiano;
ho visto la macchina dei ragazzi uccisi; c’è una strada che si sale ed a metà c’era
questa macchina. Io fui costretto ad andare lì come per gli omicidi
successivi. Anche quella volta io ero con la macchina mia e Vanni e Pacciani
erano con quella del Pacciani. Il Pucci non c’era. Gliene ho parlato dopo io.
Furono uccisi una coppia di fidanzati: io ero rimasto un po' più in giù.
Sentii che sparavano dentro la macchina. Era Pietro che sparava. Non li aveva
presi tanto bene e volevano uscire di macchina. Per
me i due avevano riconosciuto le persone.
Addendum. L’avvocato Vieri Adriani mi ha gentilmente messo a disposizione il
documento da lui letto al convegno di Pistoia dell’8 settembre 2017. In
sostanza non ci sono differenze nel contenuto rispetto alle sue parole, in ogni
caso metto qui la relativa immagine a beneficio di chi, giustamente,
preferisce disporre della documentazione originale.
Adriani mi ha anche
reso partecipe di una sua ulteriore scoperta. Si tratta di una richiesta del
giudice Vincenzo Tricomi al tribunale di Palermo, datata 29 ottobre 1982, affinché
venissero interrogati Giuseppe Barranca e il fratello, cognati di Antonio Lo
Bianco, sul noto episodio della scommessa tra lo stesso Lo Bianco e Francesco
Vinci riguardo la conquista di Barbara Locci. Ebbene, nel documento – scaricabile
qui – dopo l’elencazione dei quattro duplici omicidi del Mostro, da quello di
Borgo a quello di Baccaiano, si legge:
A seguito di segnalazione anonima che esisteva un quinto duplice
omicidio commesso dal cosiddetto “mostro” si risaliva all’omicidio di Lo Bianco
Antonio e Locci Barbara commesso nel 1968 in relazione al quale era stato
condannato il marito della Locci.
A questo punto
qualsiasi dubbio sull’esistenza della segnalazione anonima è del tutto
ingiustificato. Ne rimane invece qualcuno sul perché poi dall’autorità
giudiziaria non è mai arrivata una conferma ufficiale. L’impressione di chi
scrive è quella di un pasticcio interno alle forze dell’ordine, con il
biglietto che una parte distrusse o smarrì cercando di nascondere il peccato alle altre.
Si spiega forse così anche la smentita di Rotella, che magari era tra quelli
che non sapeva. O forse sapeva, ma non se l’era sentita di affrontare le
conseguenze dirompenti di quella segnalazione anonima.
Addendum 11 settembre 2020. Le discussioni sul fatto che sia stato o no il Mostro a inviare i tre biglietti continuano. Naturalmente i fan di Salvatore Vinci si sbracciano per il no, violentando la logica. In ogni caso è bene che tutti facciano caso a un dettaglio al quale chi scrive non aveva dato la necessaria importanza: per il biglietto inviato alla procura venne scelta Silvia Della Monica come destinatario specifico, lo scrive lei stessa nel documento sopra indicato. Ebbene, tre anni dopo il frammento di seno della povera Nadine Mauriot venne inviato ancora a Silvia Della Monica. Coincidenza?