L’uscita dell’articolo “La teste Gamma” sull’ottimo blog dell’amico Omar Quatar (alias Frank Powerful)
mi dà l’occasione per tornare sul tema della macchina rossa vista sotto la
piazzola di Scopeti nella domenica ritenuta ufficialmente giorno del delitto. A
dire il vero l’intenzione già l’avevo, per un particolare non di poco conto
emerso nel recente libro “Al di là di
ogni ragionevole dubbio”, di Cochi, Cappelletti e Bruno, e per la mia
dimenticanza di un altro particolare, anch’esso dotato di un certo valore.
Vedremo di entrambi, ma andiamo per gradi.
Nell’ambito di un più generale e
lodevole disegno che si propone di rivedere in modo critico le indagini che
portarono alla condanna di Vanni e Lotti, l’articolo citato affronta la
questione della testimonianza di Gabriella Ghiribelli, della quale qui si era
già trattato (vedi).
L’autore è molto scettico sulla sua validità, anzi, al contrario di chi scrive
è in generale molto scettico sul coinvolgimento nella vicenda di Giancarlo
Lotti, ritenuto soltanto un povero diavolo che si lasciò fagocitare suo
malgrado da un’inchiesta radicalmente sbagliata. Convinzione senz’altro
rispettabile, anzi, condivisa dalla grande maggioranza di coloro che rifiutano
la verità giudiziaria uscita dai due noti processi. Ma, almeno in questo caso e
a parere di chi scrive, il buon Frank se ne è lasciato condizionare fin troppo, interpretando a senso unico il comportamento di una
testimone che può, anzi, deve, esser letto in modo del tutto differente. Se ho
ben capito, il suo pensiero è infatti quello di un avvistamento reale ma che
riguardò un’auto non di Lotti. A Lotti la testimone l’avrebbe poi associata (dieci
anni dopo) per “deduzione
(apparentemente) logica”, dovuta a una sua reazione che vedremo, se
non anche per “motivi
di rivalsa” nei suoi confronti, dovuti al fatto di essere stata
immischiata.
Pur costruito con la consueta
serietà e abbondante citazione di fonti, purtroppo l’articolo rischia di portare
acqua alla superficialità di molti che sulla rete dissertano della vicenda. Ecco
perché mi sento costretto a contestarlo, sicuro che l’autore non se la
prenderà, visto che è una persona seria e quindi il suo interesse primario dovrebbe
restare sempre il perseguimento della verità, o almeno di quanto più vicino a
essa si possa sperare di raggiungere.
Osservazioni. Cominciamo con un’osservazione: che quella domenica un’auto
assai simile alla Fiat 128 rossa di Lotti si fosse aggirata attorno alla
piazzola è abbondantemente dimostrato dalla testimonianza dei coniugi De
Faveri-Chiarappa. L’integrazione con la testimonianza di Sabrina Carmignani
dimostra altresì che a metà pomeriggio quell’auto se n’era andata ed era poi
tornata. Vista dai coniugi un paio d’ore prima, infatti, all’arrivo della Carmignani
non c’era più, mentre più tardi gli stessi coniugi la videro ancora. Anzi,
tutto lascia pensare che fosse proprio quella l’auto incontrata dalla Carmignani
mentre se ne stava andando, poiché risultano compatibili alcuni particolari significativi.
Nell’ottica di un delitto già avvenuto da uno o due giorni, quindi, non risulta
poi troppo importante l’avvistamento Ghiribelli, definito da Frank addirittura
una “pietra
miliare”, per dimostrare l’interesse di Giancarlo Lotti verso la piazzola
(sempre che l’auto fosse la sua, come logica vorrebbe, però, vista la
descrizione resa dai coniugi sia di essa sia dei due individui che vi erano
appoggiati, ben compatibili con lui e Pucci). Ma c’è di più. Considerato
quell’interesse e il movimento di avanti e indrè del pomeriggio, risulta così
improbabile che la stessa auto fosse tornata anche alla sera? A chi scrive pare
proprio di no, e da questa probabilità la testimonianza Ghiribelli viene
oggettivamente irrobustita. Insomma, la donna disse di aver visto un’auto che
già altri prima di lei avevano visto, a diversa ora ma nel medesimo luogo, quindi
appare francamente eccessivo lo scetticismo verso la veridicità del suo
avvistamento di cui l’intero articolo è permeato. A meno di non ritenere che
avesse saputo della testimonianza dei coniugi e sulla base di essa avesse
inventato la propria. Vedremo però che si tratta di un’eventualità poco
ragionevole, anzi, tutto lascia pensare che non soltanto la Ghiribelli avesse
visto un’auto simile a quella di Lotti, ma avesse anche nutrito più di qualche
sospetto che si fosse trattato proprio della sua.
Una seconda osservazione riguarda
l’affidabilità generale della testimone stessa. È noto che nel 2003 Gabriella
Ghiribelli sarebbe stata richiamata in causa da Giuttari, nella speranza di riceverne
appoggio per le sue fallimentari indagini alla ricerca dei mandanti. La donna
non si sarebbe fatta pregare, accontentando ad
abundantiam l’investigatore con plateali e anche comiche invenzioni, come
quella, ben nota, del dottore che mummificava i cadaveri, citata non a caso anche
nell’articolo in oggetto. Basta, questo, a squalificarne le dichiarazioni
rilasciate nell’inchiesta precedente, come superficialmente ritengono molti
commentatori?
Fare di tutte le erbe un fascio è
una tentazione irresistibile, comoda spesso per far tornare i propri conti, ma
non è il modo migliore per cercare la verità. Chi ha mentito una volta non
necessariamente ha mentito in ogni altra occasione, come chi ha detto il vero
una volta non per questo può ritenersi sempre affidabile. A fare la differenza
è anche il contesto. Innanzitutto la Ghiribelli che si prestò alle manovre di
Giuttari sui fantomatici mandanti era giunta all’ultimo stadio del proprio
percorso autodistruttivo di alcolista (sarebbe morta di cirrosi epatica di lì a
un anno e mezzo), quindi è da credere che il suo contatto con la realtà fosse
ormai molto precario. Sette-otto anni prima avrà anche bevuto qualche bicchiere
di quello buono per tenersi su, ma di sicuro la sua situazione non era così
drammatica, come del resto è desumibile dalla deposizione del 1997, dove
apparve ancora abbastanza lucida.
In più ci sono le motivazioni. Fin
dai primi mesi dell’inchiesta sui Compagni di merende la donna aveva dimostrato
di essere molto sensibile al fascino della notorietà, lei che non aveva mai
contato nulla, fronteggiando con grande disinvoltura giornalisti, giudici e
avvocati. A parte qualche sporadica intervista, era poi ripiombata
nell’anonimato. Essere chiamata di nuovo sul palcoscenico dovette renderla
molto felice e soprattutto molto disponibile a raccontare di tutto, complice lo
stato di ebbrezza nel quale si doveva sempre trovare. La Ghiribelli che fu
interrogata a fine 1995 appare invece come una donna spaventata e infastidita
dall’essere stata tirata in ballo in una storia molto pericolosa, e nella quale,
a parere di chi scrive, aveva anche qualcosa da nascondere.
Primo interrogatorio. Ma veniamo a quel 21 dicembre 1995, quando
Gabriella Ghiribelli si sedette di fronte agli uomini della SAM (o forse ex
SAM). Nel suo articolo Frank lascia intendere che in quel momento, causa
precedenti ammissioni e testimonianze, già si era attivata l’attenzione di
Giuttari verso Giancarlo Lotti e la sua macchina rossa (“Non c’è da stupirsi che nel dicembre 1995, nell’approssimarsi
del processo di appello a Pietro Pacciani, Giancarlo Lotti venga messo sotto
torchio”), e quindi, per logica conseguenza, che dalla Ghiribelli ci
si attendesse chissà quali importanti rivelazioni su di lui. Il che,
naturalmente, non sarebbe andato a vantaggio della serenità dell’interrogatorio,
dato il rischio di indebite pressioni. Ma non pare affatto così. In fin dei
conti, in virtù della recente testimonianza De Faveri-Chiarappa, quella macchina rossa era
stata collocata sotto Scopeti soltanto al pomeriggio, senza alcuna traccia di Pacciani.
Peraltro, che Giuttari avesse già messo le mani sulla testimonianza
Martelli-Caini – dove comparivano due auto a Vicchio la seconda delle quali “poteva essere rossa”
– è assai improbabile. Il fresco capo della Mobile si era messo a studiare il
caso da appena due mesi: si può credere che il suo pur innegabile fiuto lo
avesse già indirizzato, tra la montagna di carte per lui sconosciute, proprio a
quella oscura testimonianza in precedenza trascurata? Molto più probabile che
l’avesse presa in considerazione a posteriori, durante i mesi successivi (a
Lotti sarebbe stata contestata il 6 marzo 1996).
In ogni caso, quando il 15
dicembre il superpoliziotto aveva avuto di fronte Lotti, non gli aveva chiesto
di alcuna auto rossa. Evidentemente l’argomento non era stato sviscerato
neppure durante il precedente interrogatorio di Filippa Nicoletti, condotto da
Canessa il 27 novembre, durante il quale alla donna era stato chiesto se Lotti
avesse posseduto un’auto di quel tipo. Allo stato dei documenti emersi, la
circostanza risulta soltanto dall’intercettazione della telefonata che le fece
Lotti il giorno successivo al proprio interrogatorio, il 16 dicembre (Giuttari
aveva avuto la buona idea di far mettere sotto controllo il telefono della
Nicoletti):
Lotti: Ma a te cosa t'hanno chiesto?
Nicoletti: Più o meno quando
ti ho conosciuto. Come ho fatto a conoscerti. Se io conoscevo le foto di
persone che erano in un album. Se conoscevo la tua macchina. Se avevi una
macchina rossa!
Lotti: La macchina rossa?... ah, sì! Ah! Io le ho
avute! Ah, quel coupé, il 128! Ti hanno chiesto di quello?
Probabilmente la risposta era
stata evasiva, e non c’è da stupirsene, poiché, di fronte agli inquirenti, la
Nicoletti restava sempre molto abbottonata.
Torniamo però alla Ghiribelli e a
quel 21 dicembre. Non c’era Giuttari a condurre l’interrogatorio, circostanza
che costituisce ulteriore conferma della mancanza di grande interesse verso la
figura di Giancarlo Lotti, dal quale era venuto il nome della donna. Mancanza
di grande interesse confermata anche dai risultati dell’interrogatorio stesso e
dal relativo verbale, di cui sono emersi alcuni sunti (vedi “Al di là di ogni ragionevole dubbio”,
p.142), dove l’argomento principe sembra essere decisamente Salvatore Indovino,
nella cui stamberga si forzò la teste a collocare anche Pacciani (Giuttari era
senz’altro memore della frequentazione di Antonietta Sperduto, che abitava
proprio accanto a Indovino, da parte di Vanni e Pacciani, e che su questo punto
la testimonianza Ghiribelli fosse stata forzata è dimostrato tra l’altro, ma
non solo, dal successivo interrogatorio, dove avrebbe decisamente contestato
quella parte di verbale).
Di Lotti si parlò invece nella
telefonata della sera, tra Ghiribelli e Nicoletti, della quale sono emersi vari
frammenti, tra cui questo, ben noto, che comunque conviene riportare per la sua
grande significatività:
Ghiribelli: Io l'unica cosa
che posso dire è che una macchina arancione l'ho vista sotto le luci piccole
piccole di strada, sai è una strada piccola. Potrebbe essere stata arancione,
potrebbe essere stata rossa, scodata di dietro. Mi hanno fatto vedere la foto e
l'ho riconosciuta.
Nicoletti: Si, ma è vecchia,
quella macchina...
Ghiribelli: Appunto... ma è
una cosa assurda!
Nicoletti: Ma ne ha cambiate
tante di macchine, ne aveva una celestina, poi arancione, poi una rossa, poi ne
ha presa un’altra rossa, una gialla ce n'aveva...
Ghiribelli: Senti, mi hanno
domandato in Questura - ma il Lotti che macchine aveva? - e io gli ho detto
rossa, una con la portiera rosa perché la portiera gli si era rotta e lui ne
aveva presa una al disfacimento, e l'aveva messo questa portiera rosa.
Nicoletti: Sei sicura?
Ghiribelli: Son sicura di
quello...
Nicoletti: Ma è stata
quell'altra macchina che ha sostituito lo sportello! Quella che aveva prima di
ora, quell'altra ancora prima era una sportiva...
Ghiribelli: Addirittura?
Da queste parole si evince
innanzitutto che gli uomini di Giuttari avevano chiesto alla Ghiribelli delle
macchine di Lotti. Le erano anche state mostrate delle foto, tra le quali di
sicuro quella di una Fiat 128 coupè che lei aveva riconosciuto. In più la
donna confessò all’amica di aver visto quell’auto in una “strada piccola”, di notte. Dato il
contesto e gli eventi successivi, non si può che pensare alla piazzola di
Scopeti la domenica sera del delitto. Ma, sorprendentemente, nel verbale
conseguente di questo avvistamento non v’è traccia. La circostanza è
emersa nel libro Al di là di ogni
ragionevole dubbio, dove gli autori scrivono in nota a p. 143: “Dal verbale del SIT
della Ghiribelli di quello stesso giorno non risultano domande sulle auto né un
riconoscimento fotografico” (per amor di precisione è il caso di far
notare a Frank un piccolo errore del suo articolo: anche Giuttari ne Il Mostro scrive di argomenti non
riportati nel verbale, ma si riferisce ad altro, mentre tace del tutto sulla
macchina rossa).
A questo punto, come accadeva con
il mitico Lubrano, la domanda sorge spontanea: possibile che un fatto così
clamoroso come l’avvistamento di un’auto sotto la piazzola di Scopeti nella
notte del delitto (o comunque ritenuta tale) non fosse stato oggetto neppure di
verbalizzazione? Evidentemente, durante l’interrogatorio, se anche la Ghiribelli
aveva – forse – attribuito a Lotti il possesso di un’auto Fiat 128 riconosciuta
nell’album fotografico che le era stato mostrato (ma la notizia doveva già
esser nota ai suoi interlocutori), sul fatto che l’avesse vista “sotto le luci
piccole piccole di strada” nella notte fatidica aveva taciuto. Perché?
Secondo interrogatorio. Anche se nei propri libri non lo scrive, a far ruotare le antenne di Michele
Giuttari verso Giancarlo Lotti è logico che fu proprio l’intercettazione appena
citata. Tanto più che due giorni dopo le due donne si sentirono ancora, e fecero
un nome nuovo, Fernando, meravigliandosi che Lotti non lo avesse ancora “messo di mezzo”.
A questo punto Giuttari iniziò probabilmente a valutare in modo diverso
l’avvistamento De Faveri-Chiarappa, dal quale risultava che vicino alla
macchina rossa c’erano due uomini, e quindi a sospettare che Lotti la sapesse
più lunga di quanto aveva voluto far credere. Tra l’altro l’investigatore ha sempre
dato la massima importanza a quell’avvistamento, trattandone in modo
approfondito sia in aula che nei propri libri (senza però rendersi conto di
come la versione di Lotti ne venisse assai indebolita; invece i giudici di
primo e secondo grado, più accorti, bellamente la ignorarono).
Il 27 dicembre il superpoliziotto
interrogò personalmente Gabriella Ghiribelli, ottenendo quello che non avevano
ottenuto i suoi uomini: la nota dichiarazione sull’auto vista sotto Scopeti. Ecco
il frammento che interessa riportato da “Il
Mostro”:
Ritornando da Firenze, la sera prima del
giorno in cui fu diffusa la notizia del duplice omicidio degli Scopeti intorno
alle ore 23:30, insieme al mio protettore dell'epoca, proprio in corrispondenza
della tenda - da me notata anche nei giorni precedenti -, ebbi modo di
constatare la presenza di un'auto in sosta di colore rosso o arancione con la
portiera, lato guida, di altro colore sempre sul rossiccio, ma più chiaro
dell'intero colore del mezzo. Devo precisare che il colore dell'auto mi sembrò
un po' alterato in quanto su di essa si rifletteva la luce dei fari dell'auto
su cui stavo viaggiando. Quando si seppe la notizia in San Casciano del duplice
omicidio, Norberto mi disse di tacere per non trovarci entrambi nei guai e fu
per questo che non dissi nulla, anche perché ero terrorizzata e nessuno mi
aveva fatto domande.
Il libro riassume poi ulteriori
precisazioni, sul tipo di auto (“sportivo con la coda tronca”), e sulla posizione
(“con la parte
anteriore rivolta in direzione di San Casciano”, come avevano visto
al pomeriggio i coniugi), e racconta del riconoscimento fotografico di una Fiat
128 coupè uguale a quella che all’epoca aveva posseduto Lotti.
Come a dimostrare che non stava
raccontando palle, la Ghiribelli riferì poi di un altro episodio, che per Frank
Powerful è importante per dimostrare la sua poca attendibilità, e che invece
per lo scrivente dimostra esattamente il contrario. Il frammento di verbale è
riportato da Cappelletti a p. 144 del libro già citato:
Circa tre mesi fa ho avuto modo di notare la
macchina del Lotti e vedendo che aveva la portiera di colore rosa mi venne
spontaneo dire al Lotti in tono scherzoso ‘Vuoi vedere che sei tu il mostro?’
(…) Il Lotti rimase male e mi disse: ‘Cosa c’entra la mia macchina con quella
che hai visto te?’. In seguito il Lotti è venuto a trovarmi con altra macchina
e mi spiegò che l’aveva cambiata perché l’altra non funzionava più.
La dichiarazione risulta già
utilizzata da Nino Filastò, che per screditare la teste la riportò in “Storia delle merende infami”,
commentandola in questo modo:
[…] che va dicendo, Gabriella? Che dopo circa
undici anni da quell'avvistamento, Lotti andrebbe ancora in giro con la
medesima auto rossa? Tenendola insieme come? con lo spago e la gomma da
masticare, visto che sappiamo […] che la 128 rossa davvero posseduta dal Lotti,
cadeva già a pezzi nel 1985?
Si capisce bene da quest'aggiunta che la
testimone è ultra-collaborativa, le piace arricchire, dettagliare.
L’avvocato non si smentisce mai,
e ancora una volta dimostra tutta la propria faziosità (con la quale comunque
non riuscì a risparmiare a Vanni l’ergastolo, è sempre bene tenerlo presente).
Dalle parole riportate nel verbale non si evince affatto che la Ghiribelli
avesse confuso l’auto del 1985 con quella del 1995, una Fiat 131, anch’essa
rossiccia ma di fisionomia del tutto differente. Basti il particolare della
coda tronca, al posto della quale la 131, una berlina a tre volumi, aveva un
ampio bagagliaio. In realtà l’unica perplessità suscitata dalle parole della
Ghiribelli riguarda semmai il pasticcio che potrebbe aver fatto sulla portiera
di colore differente dal resto della carrozzeria, che sembra improbabile Lotti
avesse cambiato a entrambe le auto (sull’argomento torneremo tra breve). Al
buon Frank certamente non si può attribuire la medesima faziosità di Filastò, in virtù di quest’uscita della
Ghiribelli giunge però a conclusioni analoghe, postulando che sotto Scopeti la donna
non avesse visto affatto una Fiat coupè 128 rossa, ma forse qualcosa di simile
a una Fiat 131, di cui non a caso riporta la foto. Ma prima di discutere
dell’interpretazione di Frank è necessario introdurre un ulteriore particolare.
Le reazioni di Lotti. A proposito delle intercettazioni bisogna
dire che, almeno a quanto se ne sa, non riguardarono l’utenza Ghiribelli, mai
messa sotto controllo. La donna fu ascoltata soltanto nei colloqui con Filippa
Nicoletti, e, a partire da metà gennaio circa, con Giancarlo Lotti, dopo
l’inizio del monitoraggio dell’apparecchio del Bar Centrale di San Casciano al
quale questi si appoggiava. Da un interrogatorio successivo (8 febbraio 1996) si
sarebbe però venuti a sapere che quello stesso 21 dicembre la Ghiribelli aveva
chiamato anche Lotti, invitandolo a vedersi a Firenze. Così avrebbe raccontato
l’episodio in aula il 3 luglio 1997 (vedi):
È andata così: che a me mi son venuti gli
inquirenti a casa, quelli della SAM, […] dice: “guarda, ti devi presentare” […]
Mi sono presentata lì con loro, addirittura, e mi hanno detto che Giancarlo
aveva fatto il mi’ nome. Perché probabilmente gli avevano domandato a Giancarlo
se frequentava qualche donna e lui ha detto di me. Cioè, questo deduco io,
almeno a essere coerente, no?
Senonché, quando io son tornata, io
naturalmente agli inquirenti ho detto la verità. Ho detto: “sì, io quella
macchina l'ho vista quella sera, era scodata” perché torno a ripeterle, signor
Giudice, che io non mi intendo affatto di macchine, sicché che tipo di macchina
fosse proprio non lo so. Quando son tornata a casa - visto che mi hanno fatto
il nome di Giancarlo, perché si vede che gli aveva fatto il mio, io ho
telefonato a Giancarlo a San Casciano e gli ho detto: “Giancarlo, puoi venire
un attimo a Firenze, ti devo parlare?” Dice: “sì”. Arrivato a Firenze gli
faccio: “ma che discorsi fai te nei miei riguardi?” Dice: “no, mi hanno
domandato se io frequentavo qualche ragazza, ho detto che frequentavo anche te,
oltre alla Filippa”, mi fa Giancarlo. Dico: “ma non è che, allora, quella
macchina rossa che io ho visto, scodata, che fosse la fosse tua?”. E lui mi fa:
“che, non ci si può fermare nemmeno a pisciare?”.
Parole sue testuali, lineari. Con questo ha
ammesso che la macchina era veramente sua. Ma io l'ho saputo proprio il giorno
che mi hanno interrogato quelli della Squadra Anti Mostro.
Che l’episodio, collocato dalla
Ghiribelli al 23 dicembre, fosse accaduto davvero non pare ci possano essere
ragionevoli dubbi. In fin dei conti la donna lo raccontò anche in aula,
sotto giuramento, con il rischio quindi di venire incriminata per falsa
testimonianza, per di più sapendo bene che prima o poi sarebbe stato sentito
anche Lotti, il quale avrebbe potuto smentirla. Ma soprattutto, a confermare la circostanza, c’è un’intercettazione del 25 gennaio, dove la Ghiribelli, chiamando
Lotti al telefono del Bar Centrale, disse: “‘non ci si può neanche fermare a pisciare’, lo hai detto tu”,
ricevendo in risposta un “che c’entra!”, che altri non era se non
un’ammissione. Anche Frank, in ogni caso, pare crederci, anzi, inserisce
l’episodio nel contesto della sua interpretazione del riconoscimento dell’auto
di Lotti. Sarebbe stata infatti la “malaugurata scusante addotta dal Lotti “Non ci si può
nemmeno fermare a pisciare”, un Lotti che già al suo esordio si dimostra un
maestro nell’incastrarsi da solo nel ruolo di reo confesso e chiamante in
correità” a dare certezza alla Ghiribelli. Il che può anche esser
vero, e, postulando che nella donna i primi dubbi fossero nati proprio
nell’interrogatorio di due giorni prima, quando gli uomini della SAM le avevano
chiesto delle auto di Lotti, potrebbe andare a favore di un avvistamento da lei
erroneamente interpretato. Però si dovrebbe accettare il fatto che Lotti non
sarebbe riuscito a negare una mai avvenuta sosta a Scopeti, non soltanto di
fronte ad agguerriti inquirenti forti delle precedenti rivelazioni di Fernando
Pucci (Vigna e altri, 11 febbraio 1996), ma neppure di fronte a una sua
amica, in un normale colloquio a due.
Poco verosimile. In ogni caso, a confutare questa interpretazione, c’è anche
altro: tutto lascia ritenere che Gabriella Ghiribelli stesse sospettando di
Lotti già da molto tempo, probabilmente proprio dal momento in cui, dieci anni
prima, aveva visto quell’auto rossa scodata sotto la piazzola di Scopeti.
I sospetti della Ghiribelli. Abbiamo visto che, come a rafforzare
la veridicità del proprio racconto, il 27 dicembre Gabriella Ghiribelli aveva
riferito a Giuttari dell’episodio di tre mesi prima in cui aveva detto a Lotti,
in tono scherzoso: “Vuoi vedere che sei tu il mostro?”. Si trattava
di un fatto accaduto davvero? Non si vede perché no. Anzi, rispondendo ad Aldo
Colao, in aula la donna avrebbe detto anche di più:
Colao: Dunque, lei,
signora, si ricorda di aver detto a Giancarlo Lotti, in qualche circostanza: “vuoi
vedere che sei tu il mostro”?
Ghiribelli: Sì, più di una
volta.
Colao: Ecco, ci vuole
spiegare il perché?
Ghiribelli: No, perché siccome
lui viaggiava sempre così, e poi parlava spesso di questa storia, una cosa e
un'altra, gli faccio... Ma Giancarlo ha sempre negato, fino a quella sera
famosa che io fui chiamata dagli inquirenti e allora dico: “bah, io l'avevo già
vista questa macchina”. Fino a quella sera lì non ho mai saputo. Ma si deve
rendere conto che io sono stata sedici anni a frequentare un essere del genere.
Dunque la Ghiribelli, poiché
Lotti “viaggiava
sempre così, e poi parlava spesso di questa storia, una cosa e un'altra”,
si sarebbe insospettita, magari non seriamente, abbastanza comunque da pungolare
lo stesso Lotti più di una volta. È fuori luogo ritenere che i suoi sospetti
sarebbero nati proprio da quell’avvistamento sotto Scopeti? A chi scrive pare
di no, e la precisazione con Colao, “Fino a quella sera lì non ho mai saputo”, suona
come il tentativo di negare ciò che invece conseguiva da quello che era stato
appena detto. E quando il 21 dicembre la Ghiribelli si era seduta davanti agli
uomini di Giuttari tutto lascia pensare che temesse qualche conseguenza per il
proprio silenzio durato dieci anni. Questo spiegherebbe bene il perché non avesse raccontato
dell’avvistamento. Certo, al momento del processo il pericolo era ormai passato
da tempo, ma è comprensibile che l’ormai personaggio Ghiribelli non avesse
avuto alcuna intenzione di rovinare la propria immagine di fronte a tutti
ammettendo una precedente bugia, e ricevendo almeno una censura morale per non aver parlato. In questa chiave si possono senz’altro interpretare le fin
troppo numerose precisazioni della donna in aula sulla sua ignoranza riguardo
le auto di Lotti (che invece l’articolo di Frank prende a riprova dell’inattendibilità
dell’avvistamento).
Quando, sei giorni dopo, la donna
fu interrogata da Giuttari, era ormai agli atti l’intercettazione nella quale
aveva riferito l’episodio alla Nicoletti, dunque non poteva più tacere. Non si
sa se il superpoliziotto gliela contestò, in ogni caso dovette fargli capire
che qualcosa sapeva, e la Ghiribelli vuotò il sacco. La sua paura di possibili
conseguenze è comunque dimostrata dalla bugia sull’anno in cui aveva conosciuto
Lotti, guarda caso il 1986, proprio quello successivo al delitto degli Scopeti,
potendo così ben giustificare che avesse sì visto l’auto rossa scodata, ma senza
attribuirla a Lotti poiché, appunto, non lo avrebbe conosciuto ancora. In
seguito sia Pucci che Lotti che la stessa Ghiribelli avrebbero spostato questa
conoscenza ben più indietro nel tempo. Facendo due conti sulla risposta appena
citata alla domanda di Colao (“sono stata sedici anni a frequentare un essere del genere”)
si giunge al 1979-1980, ad esempio.
Ulteriore dimostrazione di quanto
la donna temesse spiacevoli conseguenze è data dal suo silenzio con Giuttari riguardo
l’incontro con Lotti di quattro giorni prima, quando lui aveva detto la citata
frase “che, non
ci si può fermare nemmeno a pisciare?”. Come abbiamo già visto,
avrebbe raccontato di quell’incontro soltanto l’8 febbraio, molto
presumibilmente dietro sollecitazione degli inquirenti, dopo che il 25 gennaio
precedente era stata intercettata mentre ne parlava al telefono con lo stesso
Lotti. Sembra piuttosto difficile conciliare questo comportamento con una
ricostruzione che vede la donna inventare o comunque ingigantire per rivalsa contro Lotti.
Il fatto che l’avesse subito associata a Lotti spiega bene anche il perché, a distanza di 10
anni, la Ghiribelli
ricordasse bene quell’auto vista di notte, dietro una curva, per
qualche secondo appena, lei che, a suo dire, di auto non s’intendeva per nulla (in effetti neppure aveva la patente).
Avendola già in mente come quella guidata in quel periodo da Lotti, anche
soltanto pochi secondi le erano bastati per riconoscerla. A quel punto era
rimasta nella sua memoria, dove forse anni dopo si era creata confusione sulla
portiera di colore diverso, che Lotti doveva aver cambiato soltanto sul 131 del
1995, di analogo colore. Di quest’ultimo fatto si può avere ragionevole
conferma dalla telefonata del 21 dicembre con la Nicoletti, dove la Ghiribelli
aveva attribuito al 128 la portiera di colore diverso, ricevendo in risposta
questa esclamazione: “Ma è stata quell'altra macchina che ha sostituito lo
sportello! Quella che aveva prima di ora, quell'altra ancora prima era una
sportiva”, dalla quale si potrebbe arguire appunto che la
sostituzione avesse riguardato soltanto il 131 (la Nicoletti senz’altro conosceva
molto meglio le auto di Lotti).
Il ruolo di Galli. Anche se aveva negato di aver riconosciuto
l’auto di Lotti, il 27 dicembre la Ghiribelli cercò comunque di giustificarsi
per non aver riferito del suo avvistamento alle forze dell’ordine, ammettendo
di aver capito che avrebbe potuto essere importante. Abbiamo visto che lo fece
chiamando in causa il suo protettore di allora, Norberto Galli, il quale glielo
avrebbe proibito per paura di guai, dati i loro “mestieri”. Tra l’altro Galli
era già stato condannato per sfruttamento della prostituzione, quindi il
discorso appare accettabile.
Ne “Il Mostro” Giuttari ci racconta di un coreografico interrogatorio seduta
stante, con l’uomo prelevato da casa propria in tarda serata. Stranamente Galli
confermò sì l’avvistamento, ma lo raccontò in modo un po’ differente. In auto assieme
a lui ci sarebbe stato Salvatore Indovino, mentre, come risulta da “Al di là di ogni ragionevole dubbio”, la
presenza di Gabriella Ghiribelli non la dette per certa. Dallo stesso libro si
apprende che avrebbe visto sotto la piazzola “un’autovettura di colore chiaro, di media
cilindrata, dalla forma un po’ squadrata di cui non ricordava il modello”.
A fine interrogatorio, secondo “Il Mostro”,
a domanda diretta avrebbe comunque ammesso di aver vietato alla Ghiribelli,
alla notizia del delitto, di andare dai Carabinieri.
Nell’ipotesi formulata in questa
sede, quella cioè di una Ghiribelli che davvero aveva visto, o comunque era
convinta di aver visto, l’auto di Lotti, come va interpretato il comportamento
di Galli? Il suo interrogatorio dimostra innanzitutto che l’avvistamento
riferito dalla Ghiribelli era reale. I due avevano effettivamente visto un’auto
sotto la piazzola di Scopeti la domenica notte fatidica, non ci sono dubbi. Ma
perché Galli non descrisse la medesima auto della Ghiribelli, soprattutto per il
colore? Si potrebbe pensare che, guidando, vi avesse fatto meno caso. Aggiustando un po' il tiro, in
dibattimento
avrebbe così raccontato (vedi): “nel passare, io ho visto così, con la coda dell'occhio il
culo di una macchina però non potrei dire di che colore era […] sembrava senza
bagagliaio posteriore […] A me è sembrata una macchina piccola, di media
cilindrata, come la mia, insomma”. Ma anche lui conosceva la Fiat
128 rossa di Lotti, come risulta dall’interrogatorio dell’8 febbraio (“Al di là di ogni ragionevole dubbio”, p.
148). Per di più con la Ghiribelli ci sarà stato senz’altro uno scambio d’impressioni, se non la sera stessa almeno il giorno dopo, quando avevano discusso
sull’opportunità di andare dai Carabinieri. Insomma, quel che è certo è che se
la Ghiribelli aveva riconosciuto l’auto di Lotti, Galli di sicuro ne era al
corrente, che anche lui l’avesse riconosciuta oppure no. Quindi tutto lascia
supporre che anch’egli avesse cercato di nascondere i propri o gli altrui
sospetti, parlando di auto chiara e addirittura mostrandosi incerto sulla presenza della donna.
Sul ruolo assegnato a Salvatore
Indovino si può invece immaginare una perversa interazione con le aspettative
di Giuttari, che nel sedicente mago aveva individuato una fonte inesauribile di
suggestioni. Nell’interrogatorio dell’8 febbraio la Ghiribelli lo avrebbe
escluso categoricamente, e in dibattimento Galli avrebbe corretto un po’ il
tiro: “Non mi
ricordo di preciso questo particolare, perché in quel periodo lui stava poco
bene e si andava a fargli la puntura, si faceva la puntura”.
Infine la taglia. È noto che poco
dopo il delitto fu promessa una ricompensa di 500 milioni a chi avesse
fornito informazioni sufficienti a far catturare il Mostro. Certo, apparirebbe
ben strano se Galli e Ghiribelli, essendo sicuri della colpevolezza di Lotti,
con la speranza d’incassare una somma così grande non lo avessero denunciato.
Ma evidentemente sicuri non erano né potevano esserlo (in effetti avevano soltanto visto la sua auto, e lui poteva essere lì anche da semplice guardone), e Galli, che decideva,
preferì comunque non aver niente a che fare con le forze dell’ordine.
Conclusioni. Siamo arrivati in fondo. Scopo dell’articolo era
quello di fornire un’interpretazione differente da quella, a parere di chi
scrive profondamente sbagliata, data dal compagno d'avventura (o di sventura) Frank Powerful alle
dichiarazioni di Gabriella Ghiribelli su Giancarlo Lotti. Il lettore può giudicare la bontà del risultato. Se il responso risulta negativo, come ultima mia speranza lo invito a conciliare quell’interpretazione con la risposta a queste quattro domande
riassuntive:
- Perché la Ghiribelli aveva più volte pungolato Lotti con la domanda se era lui il Mostro?
- Perché nell’interrogatorio del 21 dicembre la Ghiribelli aveva taciuto sul suo presunto avvistamento?
- Perché Lotti, di fronte ai sospetti della Ghiribelli, il 23 dicembre non aveva negato di essersi fermato sotto la piazzola?
- Perché la Ghiribelli non aveva riferito a Giuttari, il 27 dicembre, dell’ammissione di Lotti conseguente alla sua frase “Non ci si può nemmeno fermare a pisciare”?
Infine, ma questo dovrebbe far
parte di un articolo apposito che mi piacerebbe molto leggere (anche se Frank
già ne accenna nell’attuale), andrebbe spiegato il perché Fernando Pucci, il 2
gennaio successivo, avrebbe accampato analoga scusa per una sosta anche da lui
ammessa. Coincidenza oppure versione concordata?
Addendum. Colgo l’occasione di questo articolo riguardante l’auto
rossa di Lotti per riportare un elemento del quale mi ero dimenticato. Tra le
testimonianze recuperate da Giuttari c’era anche quella del fotografo americano
James Taylor (vedi). Da un verbale redatto nella caserma dei Carabinieri di San
Casciano il 9 settembre 1985, alle ore 19.50, quindi poco dopo la scoperta dei
cadaveri dei due francesi, era emerso che l’uomo, transitando la notte del
delitto (0.15-0.45), aveva visto parcheggiata nei pressi della piazzola di Scopeti (ma non sembra proprio sotto) una Fiat 131 di
colore argento (era quella l'auto vista anche da Galli e Ghiribelli? chi scrive, naturalmente, ritiene di no). Assieme a Taylor c’era la sua ragazza, Luisa Gracili, riguardo la
quale nella medesima caserma era stato rintracciato un appunto redatto dal comandante
e datato al giorno successivo, 10 settembre, con su scritte le sue generalità
(nome, cognome, data e luogo di nascita, indirizzo di residenza, telefono) e la
frase: “Dice di
aver notato, visto spesso nel luglio e ultimamente, un'auto FIAT 128 rossa. Non
ricorda la targa, con nessuno a bordo”.
Ascoltata in dibattimento (vedi),
Luisa Gracili, avvocatessa, non rammentò nulla di quel biglietto, ma era
sicuramente lei la persona cui esso faceva riferimento, vista la coincidenza
delle generalità anagrafiche. Nessun dubbio anche sul fatto che l’avvistamento
avesse riguardato la piazzola di Scopeti e un’auto parcheggiata nei pressi,
considerando la data dell’appunto e la residenza della testimone a San
Casciano, motivo per il quale passava sempre da lì tornando a casa dopo le
proprie attività giornaliere a Firenze. Purtroppo però la mancanza di qualsiasi
ricordo da parte sua impedì di aggiungere altri particolari, tra i quali il più
importante sarebbe stato senz’altro il tipo di 128, se berlina o coupè. La
mancanza della specifica dovrebbe far propendere per il modello berlina,
senz’altro il più diffuso, e quindi far escludere che potesse essersi trattato
della macchina di Lotti; c’è da dire però che il colore rosso è
tradizionalmente più adatto a un’auto sportiva piuttosto che a una berlina.
In ogni modo non può non tornare in mente la frase pronunciata da Lotti, di
propria iniziativa, il giorno del suo interrogatorio con Vigna: “la sera prima
dell'omicidio sono passato agli Scopeti da me”. Aveva messo le mani
avanti a fronte di altre possibili testimonianze che ancora non gli erano state contestate?