Proseguiamo nello studio della dinamica del delitto di
Baccaiano andando a puntualizzare alcuni elementi d’importanza vitale per una
ricostruzione corretta.
Perché Antonella
era dietro? Un profilattico usato e annodato e un fazzoletto di carta
sporco di sperma trovati sul pavimento dell’auto dimostrano senza dubbio alcuno
che i ragazzi, al momento dell’attacco, avevano già fatto l’amore e, ormai del
tutto rivestiti – ad Antonella rimaneva soltanto da allacciarsi la cintura –
stavano accingendosi ad andarsene. Abbiamo già visto che è fuori luogo
immaginare un rapporto intimo avvenuto sul divanetto posteriore, almeno del tipo
canonico lasciato intendere dall’uso del profilattico. Eppure
Antonella fu trovata seduta dietro: perché? La spiegazione più semplice e
ragionevole è che vi fosse andata a rivestirsi, potendo così godere di un maggior
spazio rispetto a quello offerto dal sedile anteriore. Le foto sottostanti
mostrano come avrebbe potuto farlo senza abbandonare l’abitacolo (giova
ripetere che nell’orario in cui il demolitore ha tirato giù una vecchia
Fiat 127 accatastata su altre auto non era disponibile un’attrice, per cui ci
si è dovuti arrangiare).
Paolo si era già rivestito e aveva alzato la spalliera del proprio
sedile, mentre Antonella era supina con qualche capo ancora da indossare.
Antonella scivolò sulla propria spalliera reclinata e si posizionò sul divano posteriore dietro Paolo.
Poi, con l'aiuto di Paolo che dovette agire sull'apposito maniglione di sblocco posto sotto la seduta, tirò su la spalliera del sedile del passeggero.
Infine, dopo essersi posizionata sul lato destro,
Antonella basculò in avanti il sedile anteriore opportunamente sbloccato tramite la leva posta sul fianco esterno della spalliera, e poté così disporre di un
ampio spazio per infilarsi la gonna e quant’altro. Una volta rivestita forse
sarebbe tornata al proprio posto subito, uscendo dall’abitacolo e rientrando,
ma più probabilmente avrebbe lasciato partire l'auto per raggiungere un luogo meno buio e pericoloso.
Se il sedile del passeggero era basculato in avanti al
momento dell’attacco, è chiaro che alla ripartenza a marcia indietro, o
comunque quando l’auto finì nella fossa, dovette ricadere pesantemente al suo posto
colpendo Antonella sulle gambe stese. In effetti su una di esse fu rilevato un
ematoma, e al processo Pacciani il dirigente di polizia Sergio Spinelli avanzò
proprio questa ipotesi (vedi):
PM: Senta, lei
vedo che fa, se l'ha fatta lei, un cerchio rosso in un certo punto: come mai la
colpì?
Spinelli: Mah,
era un ematoma. Sembrava provocato dall'abbassamento del sedile, dal ferro,
cioè la parte sottostante il sedile. O buttato all'improvviso, o dopo quando
hanno soccorso il ragazzo, ora non...
PM: Come se il
sedile...
Spinelli: Sì, si
fosse buttato all'improvviso.
PM: Gli fosse
caduto sul piede, sulla gamba.
Spinelli: Sì, sul
piede e gli ha provocato... sulla gamba.
PM: Sul piede,
sulla caviglia.
Spinelli: E
provocato quell'ematoma, sì.
In tempi recenti è emersa tramite un video di Youtube questa foto del cadavere di Antonella ancora in auto dopo l'estrazione di quello di Paolo.
Come si vede, la caviglia della gamba destra risulta piegata, proprio come se il sedile anteriore le fosse piombato sopra.
Le colature di De
Gothia. Si è poco sopra accennato a una importante “scoperta” effettuata da
De Gothia su una foto dell’auto di
Mainardi. L’immagine era tratta da un articolo di Ennio Macconi pubblicato su “La Città” del 22
giugno 1982, dove lo stesso giornalista faceva notare, sul
longherone sottostante la portiera di guida, delle macchie verticali prodotte
dal sangue di Paolo colato dall’interno dell’auto.
Secondo De Gothia,
e secondo altri che seguirono, quelle colature avrebbero potuto prodursi
soltanto in seguito all’apertura dello sportello, il quale, finché chiuso, lo
avrebbe invece impedito. E poiché dette colature erano più o meno verticali,
per forza di cose lo sportello sarebbe stato aperto con l’auto in piano, quindi
in piazzola.
La recente uscita su “Insufficienza di prove” (qui)
della deposizione di Giuliano Ulivelli, cognato di Mainardi, ha consentito di confermare
ciò che lo scrivente ha sempre pensato e dichiarato: quelle macchie di sangue
si produssero in piazzola e a sportello ben chiuso.
Ulivelli: Allora ci
siamo messi a guardare io e il mi' cognato questa macchina e quello che c'ha
dato parecchio da vedere, s'è constatato che c'era una bella striscia di sangue
che dalla... c'era il vetro rotto sulla parte della guida. Sicché, nel canale
dove scorre il vetro, c'era tanto sangue, con una bella macchia abbastanza
larga, gl'era colato fino in fondo e gl'era andato giù fino...
All'intercapedine fra il pa... Siccome il pannello l'era stato levato, l'era lì
appoggiato alla portiera, però l'era stato levato. Noi s'è visto bene che l'era
dietro, però... perché e un c'era pannello. E allora questo sangue gl'era
colato, questa striscia, fino in fondo, fino alla moquette, insomma, al
pavimento della macchina. L'aveva fatto il bordino dove chiude lo sportello,
era risceso fino un pochino in terra lì della...
[...]
PM: Scusi, ma
questa quantità di sangue che dice lei era veramente enorme, si vedeva bene?
Ulivelli: Porca miseria
se si vedeva! La striscia era... una striscia
diciamo sui cinque centimetri di larghezza penso. Lunga tutto lo sportello.
Aveva colato giù, ha visto dove chiude lo sportello poi c'è il bordo della
scocca della macchina. L'aveva colato sulla
moquette, fino al pavimento. Al pavimento sì fermava. Nell'interno dell'auto. La colatura andava giù dritta, fino giù al pavimento praticamente.
PM: E, mi scusi,
rispetto allo sportello, la colatura era nel mezzo, più sul davanti, più sul
dietro, nel centro?
Ulivelli: Con
precisione le dirò che l'era una striscia, era piuttosto... diciamo, se si
calcola metà dello sportello, forse era leggermente più all'indietro. Diciamo
più vicino al pippolino che s'è detto... della sicura, ecco.
Ulivelli era andato a dare un’occhiata alla 147 custodita nella
caserma di Signa, nello stesso posto dove era stata fotografata da Macconi. I
carabinieri avevano tolto il pannello di protezione della portiera di guida, all’interno
della quale il testimone aveva potuto notare una strisciata verticale di sangue che arrivava fino
al pavimento dell’auto.
Quel sangue era calato dall’alto della portiera, in parte
scivolando lungo il pannello tolto dai carabinieri e colando sul pavimento, in parte
entrando nella fessura del vetro rotto e scorrendo lungo la lamiera interna.
Era questa seconda la strisciata di sangue che aveva impressionato Ulivelli, e proprio
a questa si devono le “colature di De
Gothia”. La posizione torna, poiché il testimone collocò la strisciata verso
la parte posteriore dello sportello, proprio da dove spuntavano le colature. Le
foto sottostanti svelano il modo in cui il sangue fuoriuscì sul longherone.
La portiera è quella di una 127, sul fondo della
quale si possono notare tre fori che servono a scaricare eventuali
infiltrazioni d’acqua entrate dalla fessura dove scorre il vetro. Tali fori
sono addossati al bordo esterno, da dove l’acqua ha modo poi di defluire
scivolando sul longherone.
Come si vede, non c’è alcuna guarnizione che possa frenare
il cammino dell’acqua verso l’esterno – l’unica presente è applicata alla
cornice interna del vano portiera – anzi, la lamiera è leggermente inclinata
proprio per favorirne il deflusso.
Nella foto sovrastante si può notare
l’effetto del sangue scivolato sulla parte superiore del longherone (attenzione! il lettore si ricordi che lo schienale fu abbassato da Gargalini). Se il
fotografo fosse sceso un po’ di più, o se la foto fosse stata tagliata di meno,
si sarebbe vista anche la parte laterale e quindi le tanto discusse colature.
Una volta chiarito che non è necessario supporre alcuna
apertura di portiera per giustificare le “colature
di De Gothia”, la loro stessa esistenza e la loro verticalità ci dice che
l’auto rimase per vari minuti ferma in piazzola mentre Paolo sanguinava
abbondantemente sulla sommità del finestrino anteriore rotto. Il che esclude
una volta di più ogni ricostruzione che prevede il ragazzo posizionato sul
sedile posteriore al momento dell’attacco, come quella di Nino Filastò, ma boccia
senza appello anche la partenza a razzo al primo colpo di pistola immaginata da
Valerio Scrivo.
(Qui un addendum all'argomento).
(Qui un addendum all'argomento).
Questione di minuti. Nel recente libro Al di là di ogni ragionevole dubbio Francesco Cappelletti esamina le testimonianze di chi transitò davanti alla piazzola attorno all’ora del delitto, giungendo alla conclusione che la finestra temporale, tra un passaggio e l'altro, entro cui avvenne la fuga di Mainardi fu ridottissima, dell’ordine addirittura del minuto e mezzo. Scopo dell’autore è quello di dimostrare che Lotti mentì, poiché nessuno dei testimoni aveva visto né la sua auto né quella di Pacciani, a suo dire parcheggiate lungo la strada nei pressi della piazzola. Con l’obiettivo di ottenere elementi utili alla ricostruzione della dinamica, in questa sede riprenderemo e allargheremo il suo ragionamento.
Il luogo del delitto si trovava lungo un rettilineo di
circa 950 metri, dei quali 800 a nord e 150 a sud.
Dall’immagine precedente, tratta da Google Maps, è
possibile farsi un’idea del lato nord visto più o meno dal punto dove
l’auto di Mainardi andò fuoristrada.
Questo invece è il rettilineo sud, interrotto, come si
vede, da una leggera curva a destra. Presupponendo un fascio luminoso utile di
100 metri, dopo appena tre o quattro secondi gli abbaglianti di un’auto che fosse spuntata da quella curva
avrebbero illuminato la zona del delitto,
consentendo la percezione di particolari macroscopici come ad esempio la sagoma di un uomo
in mezzo alla strada. La persona situata nei pressi della piazzola avrebbe
invece avuto 50 secondi di tempo, per velocità di 50 km/h, prima di esser
vista una volta spuntati dei fari accesi in cima al rettilineo nord.
Nella piantina sovrastante sono segnati i punti di maggior
interesse atti a ricostruire i movimenti di chi passò davanti al luogo del
delitto proprio nei minuti in cui questo avvenne o era appena avvenuto. Venendo
da nord, davanti alla 147 ferma ancora in piazzola era transitata l’auto di
Francesco Carletti che stava dando lezioni di guida a due ragazze. Poco dopo
era stata la volta dei due amici Adriano Poggiarelli e Stefano Calamandrei, con
provenienza da sud, e dei fidanzati Concetta Bartalesi e Graziano Marini, con
provenienza da nord. Ecco la testimonianza di Carletti riportata da Al di là di ogni ragionevole dubbio:
Siamo partiti, e ad altezza
del luogo del delitto, come poi ho appurato, ho visto la macchina celeste
chiara 127, posteggiata sulla destra rispetto alla mia direzione, in senso
perpendicolare rispetto all’asse stradale, appena fuori dalla carreggiata.
La parte posteriore era quella
prossima alla strada, la parte anteriore era invece rivolta verso la campagna.
Ho notato distintamente la luce interna accesa, dietro i vetri alquanto
appannati. Non ho visto delle figure umane né all’interno né all’esterno, non
ho visto altri veicoli. Si procedeva in seconda o terza, alla velocità di circa
40 km/h e comunque non oltre i 50. Non abbiamo incrociato veicoli prima del
bivio per Poppiano, difatti, poco dopo tale bivio, circa un centinaio di metri
se ben ricordo, abbiamo incrociato una vettura che tutti abbiamo riconosciuto
per quella dello Stefano Calamandrei, una vettura Fiat 128 di colore rosso
bordeaux.
Dallo stesso libro, ecco invece le dichiarazioni di
Adriano Poggiarelli:
Noi venivamo da Fornacette e
sulla destra abbiamo notato un’auto 127 un po’ obliqua sulla provinciale con le
ruote posteriori nel fosso circostante la zona... mentre andavamo verso Baccaiano
e cioè prima di esserci fermati a prestare soccorso e anzi ancor prima di
intravedere la 127, abbiamo incrociato un’autovettura che aveva i fari alti,
che ha abbassato nel momento in cui ci siamo incrociati.
Prosegue idealmente Stefano Calamandrei:
Ritengo che l’autovettura da
noi incrociata fosse di Francesco Carletti che stava facendo fare esercitazione
di guida a due ragazze e precisamente Monica DM. che è la mia fidanzata e
Rossana C. Ciò dico perché ho avuto occasione di parlare con Francesco Carletti
e le ragazze che mi hanno confermato il particolare della posizione delle luci
abbaglianti al momento dell’incrocio. Anzi, la mia fidanzata mi ha detto che
aveva anche riconosciuto la mia autovettura. […] credo che il punto dove noi ci
eravamo incrociati disti circa un 1 km da dove si trovava la 127.
In piantina il punto in cui le due auto dovrebbero essersi
incrociate è contrassegnato dalla lettera “C”, scelto in base alla
valutazione di Carletti – 100 metri dopo il bivio per Poppiano – per una
distanza dal luogo del delitto di circa 630 metri. Per Calamandrei questa
distanza sarebbe stata di un chilometro circa, ma è certamente da preferire la
valutazione di Carletti, il cui margine di errore su base 100 metri è logicamente
più piccolo.
Se Carletti aveva viaggiato a una media di 40 km/h, velocità
ragionevole per una lezione di guida, dal momento in cui aveva visto la 147
ancora ferma in piazzola a quello in cui aveva incrociato l’auto dei due amici
erano trascorsi 57 secondi. Supponendo che Poggiarelli e Calamandrei avessero
tenuto un’andatura più celere, ad esempio 50 km/h, il tempo per arrivare davanti
al luogo del delitto dopo l’incontro con l’auto di Carletti – percorrendo quindi
630 metri in senso contrario – sarebbe stato di 46 secondi. Ma, percorsa la leggera curva a sinistra, già 100 metri e 8
secondi prima (punto “V”) i loro
abbaglianti avrebbero illuminato la scena, quindi si sarebbero accorti di
eventuali attività in strada, come la parte finale dello spostamento della 147 oppure
gli spari ai fari.
In conclusione possiamo affermare che gli eventi tra l'inizio della sfortunata fuga di Paolo Mainardi e gli spari dell'assassino ai fari non durarono più del minuto e mezzo (57+46-8=95) tra il passaggio di Carletti e l'arrivo a distanza utile di abbaglianti di Poggiarelli e Calamandrei. Anche a largheggiare arrivando a due minuti, possiamo altresì ritenere certo che
quando Carletti e le due ragazze avevano visto la 147 ferma in piazzola con la
luce interna accesa e i vetri appannati Paolo Mainardi era già stato ferito e
aveva già sanguinato abbondantemente sopra la portiera di guida. Causa il
brevissimo intervallo temporale, possiamo anche escludere che durante il
percorso dell’auto dalla piazzola alla fossa ci fosse stata qualche interruzione, il
che boccia del tutto fantasiose ricostruzioni di assassini che salgono a bordo,
ma anche ipotesi più ragionate – come quella di Scrivo su Mainardi che sotto
minaccia avrebbe cambiato posto – risultano in realtà poco proponibili.
Da integrare nello scenario rimane ancora la preziosissima
testimonianza di Bartalesi e Marini, utile per indagare sui minuti successivi
all’abbuiamento dei fari, di cui la coppia udì con quasi certezza il rumore
delle pistolettate. Dalla deposizione di Bartalesi al processo Vanni (vedi):
Filastò: Avevate
sentito qualcosa prima?
Bartalesi: Dei
rumori, dei...
Filastò: Come
degli spari, signora?
Bartalesi: No,
più che altro...
Filastò: Dei
colpi.
Bartalesi: Ecco,
dei colpi.
Filastò: Dei
botti.
Bartalesi: Si,
si, sì. Perché era estate e avevamo i finestrini aperti, ecco.
Filastò: ... ma
siete in movimento, quando sentite i botti, o siete fermi?
Bartalesi: Sì,
eravamo in movimento. Subito dopo il bivio che
da Baccaiano va verso Poppiano o Fornacette.
Poco dopo Graziano Marini confermò che quei rumori
provenivano dalla zona del delitto (vedi):
PM: Ma i rumori
che sentivate, li addebitavate come provenienza alla zona dov'era la macchina?
Marini: Sì.
Diciamo in avanti, dalla parte nostra. Sì, in effetti, verso... quella. Come
degli scoppi.
Probabilmente la coppia era ferma e intenta nelle proprie faccende quando udì gli spari, e
la Bartalesi non lo ammise in aula per una questione di pudore. Lo si deduce dal
verbale dell’allora fidanzato, letto da Canessa: “Si
ripartì verso le 23.50 procedendo ad andatura limitata e notai sulla sinistra
una Fiat 127 di colore celeste”. Anche in un articolo de “La Città”
del 22 giugno si dice questo (parla Marini): “Ci
eravamo fermati lungo la strada circa un chilometro prima. Alcune macchine ci
hanno sorpassato. Ad un certo punto abbiamo
sentito dei colpi, tre o quattro”.
Il punto in cui Bartalesi e Marini udirono gli scoppi
dovrebbe ragionevolmente situarsi in “S”, poiché poco prima c’è proprio un
bivio che porta a Poppiano e Fornacette, su una strada però più disagevole
rispetto a quella che avevano in mente di percorrere loro proseguendo verso sud
e imboccando il bivio in “T” (la Bartalesi abitava a Poppiano). La distanza
rispetto alla piazzola del delitto è di circa un chilometro, come correttamente
valutato da Marini.
Si potrebbe ritenere che fossero stati proprio quegli strani
rumori ad aver indotto la coppia a ripartire. Cominciamo in ogni caso a metter giù qualche numero. Se per l’espressione di Marini “andatura
limitata” intendiamo 40 km/h, la coppia impiegò circa un minuto e
mezzo prima di raggiungere la piazzola, che potrebbero diventare due a partire dal
momento degli spari se ipotizzassimo una trentina di secondi per la partenza
(decisione, messa in moto e quant’altro). Ma già dopo circa 200 metri (quindi
30+18=48 secondi) i fari abbaglianti della loro auto si stagliavano in cima al
rettifilo, mentre dopo 111, a distanza di 100 metri dalla 147, si sarebbero
accorti della eventuale presenza di un uomo in mezzo alla strada.
Una volta superata l’auto nella fossa, Bartalesi e Marini
percorsero circa 530 metri prima dell'inversione in “T”. Quando arrivarono
al punto “V”, da dove avevano la visione del luogo del delitto, non dovettero
trascorrere più di altri due minuti. Ma nel frattempo erano tornati indietro,
dalla direzione opposta, anche Poggiarelli e Calamandrei, che li precedettero leggermente
nel fermarsi accanto all’auto fuoristrada. Non sappiamo quanto tempo i due
amici persero nei pressi del punto “B” (il bar trovato deserto) prima di
decidersi a tornare indietro, ma se collochiamo la loro fermata accanto alla
147 dieci secondi prima di quella dei fidanzati, e supponiamo una velocità di 70
km/h (un po’ più sostenuta di quella dell’andata, considerando la sopravvenuta curiosità)
possiamo calcolare che i loro abbaglianti comparvero all’inizio degli 800 metri
di rettifilo circa 164 secondi dopo gli spari, e dopo 200
illuminarono la scena.
Riassumiamo tutti i ragionamenti nella tabellina seguente,
approssimativa ma non troppo, che ci tornerà utile al momento di ipotizzare le
azioni del Mostro successive agli spari ai fari (i 30 secondi del transito di
Poggiarelli e Calamandrei sono una fetta ipotetica dei 90-120 calcolati dal
momento del passaggio di Carletti, che non si sa di quanto precedette gli spari
uditi dai fidanzati).
Progr
|
Interv
|
Evento
|
|
1
|
0
|
Spari ai fari uditi dai fidanzati
|
|
2
|
20
|
20
|
Gli abbaglianti di Poggiarelli e C. spuntano dal
rettifilo sud
|
3
|
24
|
4
|
Da 100 m gli abbaglianti di Poggiarelli e C. illuminano
la scena
|
4
|
30
|
6
|
Transitano Poggiarelli e Calamandrei
|
5
|
48
|
18
|
Gli abbaglianti di Bartalesi e Marini compaiono in cima
al rettifilo nord
|
6
|
111
|
63
|
Da 100 m gli abbaglianti di Bartalesi e Marini
illuminano la scena
|
7
|
120
|
9
|
Transitano Bartalesi e Marini
|
8
|
164
|
44
|
Gli abbaglianti di Poggiarelli e C. compaiono in cima al
rettifilo nord
|
9
|
200
|
36
|
Da 100 m gli abbaglianti di Poggiarelli e C. illuminano
la scena
|
10
|
202
|
2
|
Gli abbaglianti di Bartalesi e Marini spuntano dal
rettifilo sud
|
11
|
205
|
3
|
Poggiarelli e Calamandrei si fermano
|
12
|
206
|
1
|
Da 100 m gli abbaglianti di Bartalesi e Marini
illuminano la scena
|
13
|
215
|
9
|
Bartalesi e Marini si fermano
|
Per scrupolo va aggiunto che altre due auto transitarono
davanti alla 147 fuoristrada, almeno secondo Concetta Bartalesi, che così
dichiarò nell’immediato: “Mentre
noi stavamo rallentando per vedere se la macchina avesse un guasto, ci
superarono due autovetture”. In ogni caso il loro passaggio, essendo
di pochissimo antecedente a quello di Bartalesi e Marini, non riveste
significativa importanza.
Possiamo notare nella terza colonna quanto brevi furono
gli intervalli durante i quali il Mostro, a partire da quando sparò ai
fari, poté svolgere qualche attività sulla scena del crimine senza temere di
esser visto. Anche volendo considerare buoni per lui i momenti in cui dal
rettilineo nord stava scendendo un’auto ancora troppo lontana per vederlo, abbiamo soltanto due intervalli significativi: i circa 81 secondi intercorsi tra il
passaggio di Poggiarelli e Calamandrei e l’illuminazione degli abbaglianti di
Bartalesi e Marini (5+6) e i circa 80 secondi intercorsi tra il passaggio di
Bartalesi e Marini e l’illuminazione degli abbaglianti di Poggiarelli e
Calamandrei prima di fermarsi (8+9).
Dov’era Paolo
all’arrivo dei ragazzi? Abbiamo
visto che i soccorritori non potevano essersi sbagliati nell’affermare che avevano
trovato Paolo Mainardi seduto dietro. Ma dov’era il poveretto una mezz’ora
prima, quando i quattro ragazzi si erano fermati accanto alla sua auto
fuoristrada? Le loro dichiarazioni, rilasciate nell’immediato, lo collocarono inequivocabilmente
al posto di guida. Ecco qualche spezzone dei relativi verbali letti in aula al
processo Vanni:
Poggiarelli: “Avvicinandosi al
lato del passeggero, abbiamo notato la ragazza sul sedile posteriore. E, solo
successivamente, ci siamo resi conto che sul
sedile di guida era disteso, si trovava Paolo
Mainardi, anche lui disteso in posizione supina. Rilevando che respirava
ancora, ci siamo divisi i compiti”; Calamandrei: “Si vide la ragazza sul sedile di dietro. E il giovane era
sul sedile di guida, appoggiato, riverso all'indietro”; Bartalesi: “Abbiamo quindi notato, disteso
sul sedile di guida che si trovava in posizione
obliqua, il giovane Mainardi Paolo”; Marini: “Abbiamo quindi notato, disteso
sul sedile di guida...”.
A completare il quadro si aggiunge la seguente
dichiarazione di Poggiarelli pubblicata da “Paese Sera” del 21 giugno:
Ho visto l’auto nel fosso e lì
per lì ho creduto a un incidente avvenuto molto tempo prima. Ma arrivati a
Baccaiano mi è venuto uno scrupolo e con il mio amico siamo tornati indietro.
Ho cercato di aprire lo sportello dalla parte della ragazza. Lei stava di
dietro immobile. Lui, invece, sembrava che respirasse, al posto di guida, con il sedile tutto disteso a faccia in su.
I quattro però si trovarono fin da subito a dover fronteggiare
le dichiarazioni dei soccorritori, per i quali Mainardi era seduto dietro. Già nel
pomeriggio del 21 “Paese Sera” evidenziava la contraddizione, riportata con
maggior enfasi da “La Città” del giorno successivo, dove Graziano Marini aveva
preferito non insistere: “Ho intravisto la ragazza
sul sedile posteriore. [...] Non mi ricordo se
il ragazzo fosse seduto davanti o di dietro”. È chiara la volontà
del testimone di non lasciarsi trascinare in un antipatico confronto, evidenziata
dall’improbabile “non mi ricordo” riferito a un fatto di appena due giorni prima.
Al processo Vanni i quattro ragazzi di allora furono
piuttosto titubanti nel confermare le loro originarie dichiarazioni,
costringendo il Pubblico Ministero e il Presidente a risvegliarne i ricordi
a suon di verbali. Nel suo Storia delle
merende infami Nino Filastò prende la palla al balzo, e approfitta delle incertezze
di Marini per perorare la propria causa.
Graziano Marini dice che il
Mainardi stava sul sedile anteriore "accanto alla ragazza morta". Ed
ecco spiegato l'errore dei ragazzi accorsi subito sul luogo. Marini conferma
implicitamente Allegranti, Gargalini, Ciampi, Martini: il ragazzo ferito si
trovava "accanto" alla ragazza.
Ma i giovani accorsi
nell'immediatezza, frastornati da quel foro di proiettile sul parabrezza che
indicava con estrema probabilità un'altra impresa del mostro, alla luce falsa
dei mezzi fari delle auto, e innanzi tutto essendo chiuse le portiere
dell'auto, sbilenca e caduta in parte nel canale; ed essendo l'auto una piccola
127 Fiat Seat, con uno spazio brevissimo fra i sedili anteriori e il divanetto
posteriore, ritennero che le due vittime fossero fianco a fianco in posizione
normale di marcia - la posizione dell'auto con le ruote posteriori nella
cunetta, e il foro del proiettile sul parabrezza, facevano pensare che il bersaglio
fosse stato colpito mentre era in marcia - per questo sbagliarono.
Nessuno pensò che alla guida
dell'auto ci fosse andata una persona diversa dal Mainardi. Senza del resto,
diranno la Bartalesi, il Poggiarelli, Di Lorenzo e Calamandrei, soffermarsi
molto ad osservare l'interno dell'auto, perché tutti erano stati presi
dall'angoscia dinanzi al delitto, e dall'urgenza di far giungere al più presto
il soccorso alle vittime.
Da buon avvocato Filastò cerca di cavarsela al meglio con
ciò di cui dispone, in questo caso il grave imbarazzo di Marini nel rispondere
alle domande. Prima di essere controinterrogato da lui, il testimone aveva
avuto uno scambio con il Presidente, dicendo tra l’altro:
Presidente: Ecco,
e il giovane dov'era?
Marini: Il
giovane dalla parte della guida naturalmente.
Presidente: Era
al posto di guida?
Marini: Sì, tutte
e due sdraiati all'interno, sì. C'era la sicura, mi ricordo, dalla parte
della...
Presidente: E la
ragazza dov'era?
Marini: Sulla
parte destra, sdraiata anche lei.
Presidente: Cioè,
accanto al guidatore?
Marini: Accanto
al guidatore, sì, senz'altro.
Come si vede, le risposte erano state concilianti ma poco
precise, tantoché alla fine il Presidente aveva preteso una risposta definitiva,
senza però ottenere soddisfazione completa:
Presidente: Si
ricorda... faccia mente locale. Si ricorda esattamente dov'era lui? Era al
posto di guida, o no?
Marini: Sì, sì,
quello... al posto di guida, sdraiato all'indietro, senz'altro. Comunque dalla
parte della guida, col sedile giù, all'indietro. Quello senz'altro.
Poco dopo anche Filastò aveva dovuto scontrarsi con la
tendenza di Marini ad apparire conciliante senza prendere una posizione troppo
definita:
Filastò: Signor
Marini, mi pare che lei qui abbia detto che i due ragazzi erano fianco a
fianco?
Marini: Sì,
diciamo, fianco a fia... ora nei particolari... fianco a fianco in che senso
intende lei?
Filastò: Uno
affianco all'altro, la stessa altezza.
Marini: Sì, ma
non attacca... insomma, ora...
Filastò: Stessa
altezza. Lei ha visto le teste, in particolare, dei due ragazzi?
Marini: Sì, le
teste si vedevano abbastanza bene, normali, così.
Filastò: Ed erano
alla stessa altezza?
Marini: Ora, il
particolare se erano alla stessa altezza, questo non glielo… non lo so, non me
ne ricordo neppure.
Filastò: Insomma,
lei ha avuto l'impressione che fossero tutti e due seduti sui sedili anteriori,
è così?
Marini: Anteriori
senz'altro. All'indietro, ora di quanto non me ne ricordo. Comunque sempre
davanti.
Filastò: Tutti e
due nei sedili anteriori.
Marini: Sì.
Filastò: È sicuro
di questo?
Marini: Sì, io
penso di sì.
Filastò: Sì, va
be', ha avuto questa impressione, certo.
Marini:
Senz'altro.
Filastò: Molto
bene.
Marini: Ora, se
fossero spostati lato accanto, un po' più indietro... però, la posizione,
diciamo, era...
Filastò: La
posizione era quella.
Marini: Perdinci!
Più o meno.
È chiaro che non erano stati né la paura del momento né il
lungo tempo trascorso a rendere incerte le deposizione di Marini, Bartalesi,
Poggiarelli e Calamandrei, ma la volontà di non scontrarsi con la sicurezza dei
soccorritori, con la quale chissà quante volte in quindici anni avevano dovuto
fare i conti. In realtà non potevano essersi confusi sulla posizione di
Mainardi, poiché, per averlo sentito respirare, dovevano essergli andati assai
vicino.
A ogni modo, al di là delle deposizioni dei quattro testimoni,
i tempi strettissimi intercorrenti tra lo spostamento della 147 e il loro arrivo
sulla scena del crimine non lasciano dubbi: se, come le macchie di sangue attestano, a guidare a marcia indietro era
stato Mainardi, era per forza lui che si trovava sul
sedile di guida. È totalmente da escludere la possibilità che l’urto contro il
fianco della fossa lo avesse catapultato sul sedile posteriore, come pure
qualcuno ha provato a immaginare. L’ipotesi confida sull’inclinazione dell’auto
e sulla spalliera del sedile di guida in parte abbassata. Ma innanzitutto ad
abbassare la spalliera furono i soccorritori, poi in ogni caso non si vede come
un urto a bassissima velocità (10 km/h? 20?) avrebbe potuto produrre un effetto
tanto imponente, per di più depositando il poveretto perfettamente a sedere.
L’ipotesi di Spezi che fosse stato il Mostro a
spostare il corpo esanime di Mainardi viene definitivamente bocciata dal
pochissimo tempo trascorso prima dell’arrivo dei ragazzi: l’operazione, forse
in teoria possibile a prezzo di varie manovre e tanta fatica, diventa
impossibile avendo a disposizione soltanto tre o quattro minuti. Altri scenari,
come quello di un Mostro che già in piazzola avrebbe spostato Paolo per mettersi
alla guida, fanno parte della fantasia di chi più ne ha più ne metta.
Ultime considerazioni.
Al momento dei rilievi della Scientifica la portiera di guida era priva di
sicura. Ma abbiamo già visto nella prima parte che quella sicura era stata
sbloccata da Gargalini tirando la maniglia dall’interno. In precedenza il
tentativo di Martini di aprire la portiera da fuori non aveva avuto successo, si è
sostenuto (ad esempio in Calibro 22) a causa della deformazione della scocca,
deformazione che però non è evidenziata da nessuna foto, e che comunque non
avrebbe impedito di aprirla poco dopo, come mostra l'immagine del
sedile insanguinato già vista poc’anzi. È invece molto più facile che Martini,
tradito dalla fretta e dall’emozione, semplicemente non avesse pensato a tirare
su l’apposito nottolino, come invece sarebbe stato possibile attraverso il
finestrino privo di vetro.
Che entrambe le portiere fossero bloccate dalla sicura fa
ritenere con ragionevole certezza che il Mostro non ne avesse aperta neppure una, e
tantomeno fosse entrato in auto, poiché non avrebbe avuto alcun senso richiudersi la
portiera alle spalle pigiando ancora il nottolino. Filastò mette assieme la portiera di guida bloccata e le
chiavi ritrovate nel campo e immagina che il Mostro, impedendo l’accesso
all’abitacolo, avesse voluto “ritardare la scoperta
dei cadaveri”. Ma i cadaveri erano ben visibili senza bisogno alcuno
di entrare in macchina, quindi quale ritardo avrebbe mai potuto provocare quel gesto, peraltro inutile visto il vetro rotto? E in effetti non provocò alcun ritardo.
Già che le abbiamo nominate, affrontiamo infine il problema delle
chiavi. Si è affermato che l’assassino le avrebbe tolte dal quadro nel
tentativo di spegnere le luci (non serviva entrare, bastava sporgersi dal
finestrino rotto lato guida). Ma in nessuna auto le luci si spengono togliendo la chiave, semmai quello che conta è la sua posizione. In
ogni caso l’esame dei tempi intercorsi tra i vari passaggi dei testimoni e gli
scoppi uditi da Bartalesi e Marini porta a ritenere per certo che gli spari ai
fari furono immediati, appena l’auto si fermò fuoristrada. I due udirono gli
scoppi in una volta sola, tre o quattro disse Marini (in realtà vedremo che
erano cinque). Forse appena trenta secondi dopo transitarono Poggiarelli e
Calamandrei, e l’auto era già fuoristrada con i fari spenti. Quindi l’azione di
togliere le chiavi dal quadro fu successiva, in uno degli intervalli tra il passaggio delle auto, e certamente il suo scopo non poteva
essere quello di spegnere i fari. Ecco che cosa ne pensava l'equipe De Fazio:
Il gesto di togliere le chiavi
dell'auto dal cruscotto e di gettarle nel campo è evidentemente privo di
significato e di finalità materiali, ed ha un valore puramente psicologico,
quasi fosse un gesto sprezzante di vittoria e di trionfo.
Con tutta evidenza si tratta di un’interpretazione messa lì in mancanza di meglio, e chi scrive non è affatto d’accordo. Finalità materiali ce n'erano, anche se l'arrivo dei quattro ragazzi ne avrebbe impedito la realizzazione.
Sicuramente una delle ricostruzioni più credibili dell'enigma per eccellenza degli appassionati del caso MdF...Anche qui chiaramente non tutto torna all 100%, ma rispetto ad altre fantascientifiche ricostruzioni lette negli anni almeno si procede per logica. Bravo Antonio.
RispondiEliminaPer ora sono soltanto punti sparsi, vediamo che cosa ne penserai della prossima puntata, dove metterò giù una ricostruzione completa.
EliminaPer quando è previsto il seguito?
RispondiEliminaCurioso eh? Prestissimo.
EliminaLa questione della colatura di sangue nel fascione sotto lo sportello è nodale. Intorno a questa si decide se lo sportello è stato aperto oppure no. Vorrei approfondirla ulteriormente. A mio parere, ci sono due tracce, una presente quando non dovrebbe esserci e l'altra assente quando invece dovrebbe essere presente.
RispondiEliminaInizio dalla traccia assente. Se il sangue è colato dentro lo sportello dalla fessura del finestrino, mi chiedo come non abbia sporcato, almeno in parte, il bordo esterno in corrispondenza. Possibile che sia fuoriuscito con tanta precisione considerando l'abbondanza e in numero di ferite alla testa?
Invece la traccia stranamente presente è quella visibile nella foto: il punto di contatto della guarnizione nel lato alto del longherone è abbondantemente macchiato di sangue. Eppure gli sgocciolatoi versano diversi cm all'esterno e su una superficie in pendenza quindi il sangue non avrebbe dovuto raggiungere quel punto, essendo posizionato più in alto e chiuso ermeticamente dalla guarnizione.
Chiaro che non chiedo la risposta a tutte le domande. E' solo l'occasione di trattare un punto che è stato poco dibattuto.
Come ho già detto in altre occasioni, ritengo fondamentale e prezioso il tuo lavoro di ricostruzione ragionata di ogni delitto, offre sempre spunti di riflessione anche quando si seguono ipotesi diverse.
Il sangue era sceso scorrendo lungo il collo, appoggiato al finestrino, non a zampillo, quindi non credo che avesse tracimato chissà quanto oltre il bordo.
RispondiEliminaRiguardo l'altro problema, non sono un esperto di meccanica dei fluidi, da reminescenze scolastiche so però che la tensione sulle pareti di contenitori molto stretti, come poteva essere lo spazio sul fondo dello sportello, tende a farli salire. E' un fenomeno ben noto, dimostrabile attraverso vasi comunicanti di diametri variabili.
Va poi considerato il sangue colato lungo il pannello interno, quello che andò a imbrattare i tappetini. Non ci sarebbe da meravigliarsi se in parte fosse penetrato anche sotto la guarnizione.
Se avessero voluto o potuto svolgere all'epoca un lavoro accurato di analisi sull'auto, tanti dubbi forse sarebbero già risolti. Oltre alle questioni riguardanti la capillarità e la tensione dei fluidi sarebbe stato necessario verificare la ribattitura delle lamiere che assemblano lo sportello. Intendo che oltre agli sgocciolatoi previsti potevano esserci altri punti di fuoriuscita del sangue che ora non è più possibile valutare neanche su un auto gemella. Buon lavoro Antonio, vado al leggere la terza parte.
RispondiEliminaA un anno e mezzo di ritardo dico la mia... Spero di aver capito il problema riguardo la presenza del sangue sulla parte alta del longherone, ma se non ricordo male la portiera lato guidatore fu aperta per facilitare le operazioni di rimozione di Paolo dal sedile posteriore, sbaglio? Se è così allora il punto in questione è stato quasi senza dubbio calpestato dal soccorritore. Non credo si possa pretendere che non ci siano state interferenze fra le operazioni di soccorso e l'integrità della scena del crimine, soprattutto non in quel punto lì.
RispondiEliminaMi pare un'ottima osservazione. Il pericolo che la zona fosse stata contaminata durante le operazioni di soccorso è alto. E' anche vero che il sangue iniziale doveva ormai essersi seccato bene, ma non si può escludere che altro sangue si sia aggiunto poi.
EliminaAllora: i ragazzi giunti per primi sul luogo erano chiaramente timorosi e non si sono avvicinati all’auto più di tanto; inoltre era buio,la notte era senza luna. In queste condizioni - io invece comprendo da questo punto di vista la posizione dell’avv. Filastò - la testimonianza dei ragazzi è quantomeno incerta.
RispondiEliminaComunque cosa dicono: dicono che Mainardi era sdraiato sul sedile davanti accanto ad Antonella. Quindi dicono che Paolo era sdraiato davanti e allo stesso tempo dietro (perché sappiamo che ANTONELLA era dietro e se il Paolo era accanto lei vuol dire che era dietro anche lui).
Ma allora era davanti o dietro il Paolo? Secondo me la soluzione più logica e semplice è considerare valida l’unica testimonianza certa : quella dei soccorritori. Il Paolo era dietro
Grazie signor Palego, eviterei però questi interventi che non dicono nulla. Si legga bene l'articolo e vedrà che le prove logiche di Mainardi alla guida sono più d'una, e comunque la testimonianza dei ragazzi è chiarissima, non cerchi di stirarla a suo piacimento approfittando del clima poco sereno in cui deposero in aula.
EliminaIl Mainardi era alla guida sicuramente fino a un certo punto. Poi è stato fermato dalle pallotte sparate dal Mostro con l"auto ancora a sulla sede stradale e in questi istanti, in cui è rimasto incosciente con la testa appoggiata al finestrino del guidatore, si sono formate le macchie di De Gothia.
RispondiEliminaDa qui in poi si possono fare ipotesi, fino a qui invece la storia è certa. Una ipotesi possibile è certamente la sua, ma non è l'unica.
Mi spiace ma non condivido la sua rispettabile opinione sulla testimonianza dei ragazzi che per primi giunsero sulla scena, erano timorosi le condizioni di visibilità scarse e non ebbero una chiara visione della situazione. Pensarono più ad allontanarsi in fretta per chiamare soccorsi che ad analizzare la scena e la posizione delle vittime. Quella che ho scritto nel mio precedente post conferma secondo me questa tesi. Le assicuro che non sono interessato a stiracchiare alcunché però è vero che ho le mie teorie come sa. Buona serata.
Non so dove vuole arrivare, al Mostro che si mette alla guida e che sposta Mainardi dietro? Io non l'ho capito e lei non può pretendere che lo indivini. Provi a proporre una sua dinamica un minimo completa, poi se le interessa avere il mio parere glielo darò.
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