In questa seconda parte
dell’articolo cominceremo a esaminare i fondamentali contributi all’ “ombra nera”
forniti dai personaggi che avevano animato l’inchiesta precedente. Il mancato
ritrovamento della sede dei festini descritti dalla Pellecchia dovette
costituire una grande delusione per il commissario Giuttari, il quale, appena
due giorni dopo, andò a chiedere aiuto a Gabriella Ghiribelli, il vecchio
testimone Gamma. Ai tempi dei “Compagni di merende”, superate le prime paure,
la donna aveva dimostrato di saper godere appieno dell’improvvisa e inaspettata
popolarità – lei che non aveva mai contato nulla – fronteggiando con grande
disinvoltura giornalisti, giudici e avvocati. A parte qualche sporadica
intervista, come quella del 2001 per la trasmissione “Un giorno in pretura”, era poi ripiombata nell’anonimato,
trascinandosi tra qualche cliente e i molti bicchieri di vino che l’avevano
condotta verso la fine del proprio percorso autodistruttivo (il 5 dicembre
2004, a soli 54 anni, sarebbe morta di cirrosi epatica). Essere chiamata di
nuovo sul palcoscenico dovette renderla molto felice e soprattutto molto
disponibile a raccontare di tutto, complice lo stato di ebbrezza nel quale si
doveva sempre trovare. Come era già accaduto con Fioravanti per Pacciani – di
questo tratteremo in un prossimo articolo – attraverso di lei ricominciò a
parlare anche l’ormai defunto Giancarlo Lotti.
E così il 28 febbraio, il 1°
marzo e il 5 marzo 2003 la Ghiribelli sedette di nuovo davanti a Giuttari. Grazie alla sua inesauribile voglia di comunicare, in quei tre giorni
cominciò a definirsi meglio lo scenario nel quale, secondo la futura
ricostruzione degli inquirenti, sarebbe maturato il commercio dei feticci a San
Casciano. Innanzitutto Gamma aggiunse molti particolari inediti alle antiche
descrizioni delle orge e delle attività esoteriche che si sarebbero svolte a
casa del sedicente mago Salvatore Indovino, lei presente, dove una certa
“Marisa” proveniente da Massa avrebbe portato addirittura dei bambini. Il
seguente frammento, riportato nella nota GIDES scaricabile qui,
può darne un’idea:
Di solito la Milva Malatesta era quella che
faceva la parte della vittima, si sdraiava nel centro del cerchio con
all’interno una stella a cinque punte, poi tutti gli uomini si accoppiavano con
lei; successivamente anche i bambini venivano portati nella stanza dove c’era
il cerchio, ma non so cosa avvenisse dopo. Le feste avvenivano sempre a casa di
Indovino, tranne una volta che andarono in un cimitero assieme al capo degli
Hare Krishna. Infatti il giorno dopo c’era un articolo sulla Nazione, che
diceva che sconosciuti avevano scoperchiato le tombe. Il cimitero era nei
dintorni di San Casciano ed il periodo era nei primi anni '80.
Clamorose novità anche per i
partecipanti, un potpourri nel quale furono inseriti Filippo Neri Toscano,
Filippa Nicoletti, un orafo, un medico delle malattie tropicali, il capo degli
Hare Krishna e Sebastiano Indovino, fratello di Salvatore, il quale si sarebbe
accompagnato anche con i bambini. Eppure qualche anno prima la Ghiribelli aveva
raccontato d’aver visto soltanto le tracce di queste presunte orge, alla
domenica mattina quando andava ad aiutare Indovino a rimettere a posto la casa,
quindi lei non avrebbe mai partecipato. Tra l’altro la donna non era in
possesso di patente, e a casa d’Indovino veniva sempre accompagnata dal suo
protettore Umberto Galli, che più volte aveva dichiarato di non aver mai visto
nulla. A domanda della Polizia sul perché prima avesse taciuto sulla presenza
dell’orafo e del medico delle malattie della pelle o tropicali, la donna
rispose (dalla sentenza De Luca):
In verità io mi ricordo che durante il
processo fatto a Lotti Giancarlo e Vanni Mario io parlai dell’orafo e del
medico delle malattie della pelle, ma non venni presa in considerazione.
Comunque, durante i verbali fatti in Questura non ne parlai perché le domande
che mi venivano poste riguardavano il Lotti e il Vanni.
Figurarsi se almeno ai giornalisti
la loquacissima Ghiribelli non avrebbe raccontato fatti così clamorosi! In ogni
modo gli inquirenti presero le sue fandonie molto sul serio, comprese quelle su
una seconda sede di orge, più prestigiosa e ben più esoterica della stamberga
di Salvatore Indovino: una misteriosa villa appartenente a un medico svizzero.
Dal verbale del 28 febbraio riportato dalla sentenza Micheli:
Nel 1981 vi era un medico che cercava di fare
esperimenti di mummificazione in una villa vicino a Faltignano, che, da quello
che sapevo, sembrava che l'avesse comprata sotto falso nome. Questa villa so
trovarsi nei pressi del luogo dove furono uccisi nel 1983 i due ragazzi
tedeschi. […] Di questo posto mi parlò anche Giancarlo Lotti in più occasioni e
sempre negli anni ‘80 quando ci frequentavamo. […] Sempre il Lotti mi raccontò
che questa villa aveva un laboratorio posto nel sottosuolo, dove il medico
svizzero faceva gli esperimenti di mummificazione. Mi spiego meglio: il Lotti
disse che questo medico svizzero, a seguito di un viaggio in Egitto, era
entrato in possesso di un vecchio papiro dove erano spiegati i procedimenti per
la mummificazione dei corpi. Detto papiro mancava però di una parte che era
quella relativa alla mummificazione delle parti molli e cioè tra le altre il
pube ed il seno. Mi disse che era per quello che venivano mutilate le ragazze
nei delitti del c.d. mostro di Firenze. Mi spiegò anche che la figlia di questo
medico nel 1981 era stata uccisa e la morte non era stata denunciata tanto che
il padre aveva detto che era tornata in Svizzera per giustificarne l’assenza.
Il procedimento di mummificazione gli necessitava proprio per mummificare il
cadavere della figlia che custodiva nei sotterranei. Questo medico svizzero,
sempre da quello che ho saputo, al momento delle indagini su Pacciani,
abbandonò la villa per tornare in Svizzera. […]
Questo medico svizzero all’epoca aveva 40-45
anni e frequentava assiduamente un orafo di San Casciano che aveva un
laboratorio vicino all’ “Orologio” ed un medico che curava le malattie
tropicali con ambulatorio nei pressi dell’orafo.
A proposito di quest’orafo, posso dire che più
volte lo vidi insieme al medico di Perugia che poi scomparve nel lago. Riguardo
a quest’ultimo lo descrivo come un giovane dal fisico atletico, alto, ben
curato. […]
Il medico di Perugia lo vidi anche in
compagnia del medico che curava le malattie tropicali di cui ho parlato. Era
più giovane degli altri e poteva avere una trentina d’anni. […]
So che il medico di San Casciano di malattie
tropicali, il medico di Perugia e l’orafo frequentavano la villa del medico
svizzero, dove facevano anche festini con minorenni. Ricordo che seppi che in
un’occasione un bambino ed una bambina di 9 anni dovevano accoppiarsi mentre
loro si masturbavano. […]
Giancarlo mi parlò spesso del medico di
Perugia. Mi disse che l’aveva conosciuto a San Casciano e che aveva fatto
amicizia. Ricordo che mi riferì che questo medico si dava tante arie e diceva
di avere una barca. Mi riferì anche che era amico del medico svizzero e
dell’orafo. Ricordo anche che mi disse che quando era a San Casciano questo
medico di Perugia dormiva nella villa dello svizzero.
Poteva mancare Francesco Narducci
tra i personaggi coinvolti? Alla Ghiribelli fu mostrato un album contenente tre
sue foto, e lei lo riconobbe per il medico di Perugia. A domanda se l’avesse
mai visto in televisione rispose di no, poiché da sette mesi aveva il
televisore rotto. Ma è difficile credere che non le fosse mai capitato di posare
l’occhio sopra una sua fotografia, quando sui giornali ne comparivano già da
tempo, poiché c’è da scommettere che l’antica protagonista delle indagini sui
“Compagni di merende” non si fosse lasciata scappare neppure un articolo. Anzi,
è forte il sospetto che le storie raccontate agli inquirenti fossero frutto di
qualche fantasia preparata proprio durante quelle letture.
Può sembrare incredibile, ma le bizzarre
dichiarazioni della Ghiribelli sarebbero andate a costituire l’ossatura del
quadro accusatorio portato in aula quattro anni dopo dalla Procura, secondo la
quale la misteriosa villa dei festini era da identificarsi con Villa La
Sfacciata, posta di fronte alla piazzola dove vennero uccisi Horst Meyer e Uwe
Rusch, e il medico svizzero con Rolf Reinecke, un cittadino tedesco che a quel
tempo vi abitava e aveva visto per primo i corpi. È da notare però che
Reinecke era un imprenditore tessile e nient’affatto un medico. Nulla torna,
quindi, e non si capisce come gli inquirenti avessero potuto prendere sul serio
i fantasiosi racconti di un’alcolista giunta ormai all’ultimo stadio, capace
anche d’inventarsi delle confidenze di Giancarlo Lotti sul delitto di Giogoli,
quando da sempre aveva sostenuto di non sapere, all’epoca, che l’amico era
coinvolto nella vicenda del Mostro: “Giancarlo mi fece
vedere anche dove furono uccisi i due tedeschi e mi disse che il Pacciani
l’aveva costretto, perché lui aveva visto la storia degli Scopeti […] e allora
gli disse che doveva sparare a questi qua ‘così tu sei dei nostri’” (dalla sentenza De Luca).
Come si vede, probabilmente intontita dai fumi dell’alcool, la donna aveva
anteposto il delitto degli Scopeti a quello di Giogoli!
I clamorosi risultati della tre
giorni con Gabriella Ghiribelli avevano finalmente concesso qualche buona carta
ai nostri investigatori, che proseguirono per quella strada andando a recuperare altri
protagonisti dell’inchiesta precedente.
Il 4 e l’8 aprile venne
interrogato Lorenzo Nesi, sempre pronto ad attingere al pozzo inesauribile
della propria duttile memoria. Non ne aveva saputo dire il nome, però aveva
riconosciuto in una foto di Narducci una persona vista più volte a San
Casciano, anche assieme a Calamandrei, aggiungendo, da consumato teatrante
qual’era, tutta una serie di fantasiose notizie inedite che avevano dato un
tocco di originalità alle sue dichiarazioni. Dalla sentenza De Luca:
La persona raffigurata nella foto n. 2 l’ho
vista sicuramente a San Casciano. Ne sono proprio certo e credo che abitasse in
una villa o comunque in una casa colonica grossa, che si trovava sulla strada
che da San Casciano va verso Cerbaia, e precisamente vicino alla chiesa di San
Martino. Non era sicuramente una persona del posto e mi sembra di ricordare di
averla vista insieme al farmacista di San Casciano che si chiama Francesco
Calamandrei. Su questo punto non sono proprio certo. […]
Ricordo che correva voce che fosse gay. Questa
persona sono sicuro di averla vista con un tipo un po’ strano, di nazionalità
straniera, ma non so dirvi di dove. Dico strano perché era proprio un omone che
vestiva in maniera un po’ stravagante ed ho ricordo che avesse una camminatura
tipica da gay. Questo omone credo che avesse un’auto grossa, ma non so dirvi se
fosse una Jaguar o una Mercedes… anche l’omone abitava nella zona in cui ho
dichiarato abitava la persona raffigurata nella foto n. 2. […]
Era una persona dal fisico atletico, più
giovane dell’omone, all’epoca poteva avere 28/30 anni. Il fisico era ben curato
e credo che facesse anche dello sport, tipo tennis. Dico questo perché ho ricordo
di averlo visto con una borsa con le racchette da tennis, ma non so dire dove
nella zona andasse a giocare, forse in un campo privato.
Le fandonie di Nesi furono prese
molto sul serio dai nostri inquirenti. Ma dov’erano le tracce di tutta questa attività
di Narducci a San Casciano? Dov’era la villa, quali persone dicevano che fosse
gay, chi era il misterioso “omone”, anche lui gay? A quanto sembra Nesi
riconobbe l’omone. Si sarebbe trattato di un certo Natanhel Vitta, possessore
di campi da tennis privati a San Casciano. Non risulta però che tale
personaggio sia mai stato interrogato o sia stato interrogato qualcuno che lo
conosceva, e a suo riguardo, nelle sentenze De Luca e Micheli, vengono
riportate soltanto le parole di Nesi. Tra l’altro, secondo Nesi, tutti i
personaggi della congrega – a suo dire Narducci, Calamandrei, il cognato di
questi, l’omone, un cugino dell’attore Giorgio Albertazzi – avrebbero
frequentato vari ristoranti della zona, tra cui l’osteria di Ponte Rotto, ma
non risulta che qualcuno se ne fosse mai accorto.
Un paio di mesi dopo la Polizia
tornò a cercare anche Fernando Pucci, che il 3 giugno fu portato in Questura,
davanti a Giuttari e all’ispettore Castelli. Chi ha letto la trascrizione del
suo interrogatorio al processo Vanni (qui)
non può certo stupirsi di come fece presto ad accontentare i suoi interlocutori.
Naturalmente anche lui aveva visto Narducci a San Casciano, “un tipo alto e
magro tipo finocchino” che avrebbe parlato al bar con Giancarlo
Lotti. Il quale ormai era morto, quindi non se la sarebbe certo presa per
le fandonie del suo vecchio compagno di scorribande, e tantomeno avrebbe
potuto smentirlo. Come la Ghiribelli, anche Pucci raccontò di “una villa nei
dintorni dove c’erano minorenni con cui facevano sesso”, e come Nesi di un omone visto assieme a Narducci, confermandone l’identificazione nel
già citato Natanhel Vitta.
Ciao Antonio,
RispondiEliminauna domanda che magari tu ne sai piu di me.
La Gh., dichiarò [NdA: ad esempio il 27 dicembre 1995 - http://insufficienzadiprove.blogspot.it/2009/04/gabriella-ghiribelli-prima-parte.html ] che lei faceva la "prostituta" e il Ga. era il suo "protettore".
Siccome a me non risulta che, in quegli anni, fare il protettore fosse lecito; nè mi risulta che in quegli anni l'obbligatorietà dell'azione penale non esistesse...
volevo chiederti:
*** a te risulta che oltre ad assegnargli una lettera dell'alfabeto greco, al Ga. gli sia anche stata "assegnata" una dovuta denuncia?
*** Oppure, per il Ga. vale il discorso come per il Pu.?
hzT
Non so, in ogni caso erano passati dieci anni.
EliminaScusate, ma vi preoccupate di una denuncia per galli perché faceva il pappone e non vi chiedere perché il teste alfa, invece malgrado complice, mai sia stato nemmeno indagato ? per altro Pucci è morto domenica scorsa e solo da ieri sera la notizia è su tutti i media e ieri anche al TG1, mi vien quasi da pensare che dovevano distogliere l'attenzione dal caso della sentenza gatta per la fox ?
EliminaGentile sig. Segnini, ho letto per diverse settimane i contenuti del suo blog, invogliato dalla premessa che lei fa di volersi porre quale storico e ricercatore della verità negli oscuri meandri delle vicende del Mdf, apprezzando la sua capacità d'analisi sempre lucida e logica, che ricorda più i metodi di indagine applicati ai gialli anglosassoni che non a quelli confusi e caotici all'italiana. Tuttavia, ho riscontrato in diverse occasioni che la sua logica è al servizio di un'idea ben precisa, quando è risaputo che la logica asseconda solo se stessa, vale a dire è disposta a cambiare idea. Quando parla della testimone gamma, del metodo di riconoscimento line up, di Giuttari, Mignini, etc. ritengo che non lo faccia con la stessa oggettività con cui ad esempio analizza e descrive le dinamiche dei delitti. Quando dice che un testimone tende a non voler deludere l'inquirente e altre esternazioni di questo genere, lei getta un'enorme ombra non più solo sulle vicende del MDF ma in generale sulla validità di qualsiasi indagine e iter processuale. E questo per far emergere la debolezza delle tesi che lei non condivide? Come quando dice che il testimone gamma era ben felice di tornare sotto i riflettori. È chiaro che si tratta di una sua opinione ben orientata. Quindi ho capito che più che cronistoria, la sua è una battaglia per far trionfare la sua idea di verità. Proposito legittimo e invidiabile, ma resto del parere che per trovare la verità bisogna fare un passo indietro rimanendo nell'ombra e far parlare i fatti senza commentare, ascoltando tutti i protagonisti e le comparse, sempre vagliando i dati acquisiti attraverso il rigore della coerenza e della riprova, proprie di ogni metodica che voglia dirsi logica.
RispondiEliminaPremesso che il mio tentativo di storicizzazione delle vicenda non è opera di uno storico di professione, quindi è ben possibile la presenza di errori metodologici nei miei scritti, nondimeno ritengo che essi si pongano comunque al servizio della ricerca della verità, poiché distinguono sempre tra fatti e intepretazione degli stessi. E le interpretazioni uno storico deve darle, altrimenti non è uno storico, ma un semplice raccoglitore di documenti.
EliminaRiguardo l'interpretazione dei fatti, è evidente che ognuno è libero di costruire la sua, nella quale per forza hanno un ruolo le convinzioni personali. E se queste non distorcono i fatti, sono legittime. Essere legittime non vuol dire però che abbiano anche valore, poiché comunque debbono sottostare alle regole della logica e anche della plausibilità. E devo dire che la sua riguardo riti di fertilità e simili di plausibilità, a mio modesto parere, ne hanno davvero poca.
Riguardo le testimonianze, le consiglio di leggere il bel libro di Giuliana Mazzoni, "Si può credere a un testimone?". Se vuole davvero essere intellettualmente onesto nelle sue considerazioni su questo inquinatissimo caso, lo legga bene.
Non ho nessuna tesi, le assicuro. Semplicemente, quando scrivo ragiono a voce alta. Preferisco il dubbio alla persuasione e sono sempre pronto a cam biare idea. Se proprio vogliamo dirla tutta, la storia per essere tale, e dunque suscettibile di essere interpretata, deve avere una fine. Se le vicende del MDF non hanno avuto una fine, perché senza reale soluzione, allora si può provare a ricercare più che interpretare qualcosa che non si sa come sia effettivamente andata. Il mio commento d'esordio nel suo blog era una domanda, non una tesi, se qualcuno avesse mai notato collegamenti tra escissioni e Spagnoli e lei rispose con una nuova domanda quindi con nessun conforto logico a supporto. Grazie dell'informazione bibliografica.
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