A questo punto della storia si
dovrebbe parlare dell’irrituale colloquio avvenuto in carcere tra Lorenzo Nesi
e Mario Vanni, anzi, due, il 26 e il 30 giugno 2003. Ma si tratta di un tema
che merita un suo spazio apposito, quindi per il momento basti dire che il
povero vecchio, gravemente menomato da un’arteriosclerosi ormai galoppante (e
certificata da varie perizie, l’ultima del 31 ottobre 2001, dove si confermava “l’accentuato
decadimento mentale”), reagì ai tormenti del suo falso amico
inventandosi la nota figura del “nero Ulisse”, a suo dire il vero Mostro, in
realtà probabile adattamento di un personaggio visto in qualche telefilm
poliziesco. Ma gli inquirenti presero la palla al balzo, e pochi giorni dopo,
l’11 luglio, riconvocarono Gabriella Ghiribelli, trovando in lei la solita disponibilità
a raccontare di tutto e di più.
Cominciamo col dire che su
Narducci la donna rivide al rialzo le proprie precedenti dichiarazioni,
ritagliandosi un ruolo da vera protagonista. Dalla sentenza Micheli:
L’ho conosciuto tramite Giancarlo, che gli
parlò bene di me. Ricordo che erano i primi anni ‘80 ed io ero giovane e lui
aveva grosso modo la mia età. Una volta siamo andati anche a mangiare fuori in
compagnia della Nicoletti e del Lotti, andammo al ristorante “La Lampara” a
Firenze, in via Nazionale […] ricordo di aver fatto sesso con il dottore di
Perugia; questo aveva un comportamento ambiguo, nel senso che […] solo quando
me lo appoggiava al sedere si eccitava. In quest’ultimo caso arrivava subito
all’orgasmo. In tutto ho fatto sesso con lui 4 o 5 volte.
Tanto per completare il
fantasioso racconto, si può aggiungere il dato del compenso ricevuto per ognuno dei quattro o cinque incontri: 300 mila lire. Si trattava
di una cifra almeno dieci volte superiore a quanto la donna poteva pretendere
all’epoca (attorno al 1980). Quindi non soltanto Narducci, cui certamente non
mancavano le ammiratrici, si sarebbe accompagnato con una prostituta di
bassissimo livello come lei era, ma le avrebbe anche pagato un compenso da
squillo d’alto bordo!
In quell’interrogatorio la
Ghiribelli parlò anche di Ulisse. Dalla sentenza De Luca:
In quegli anni (tra il 1980 ed il 1990) il mio
amico Giancarlo Lotti mi riferiva della sua conoscenza con un uomo di colore di
nazionalità italo americana. Quest’uomo viveva nella villa La Sfacciata. […]
Ho visto questo individuo dare soldi al Lotti.
Queste somme erano costituite da svariate banconote da cento, credo che fossero
qualche milione; credo che usava questi soldi per portare la nipote del Vanni
al mare, o per andare con la Nicoletti Filippa a mangiare e a farci l’amore.
Un individuo di colore, dunque,
avrebbe frequentato Villa la Sfacciata, ospite del medico svizzero, almeno
secondo la Ghiribelli. Ci si deve chiedere però perché la donna non avesse
riferito queste clamorose notizie negli interrogatori di quattro mesi prima. Si
può solo pensare che fosse stata messa a conoscenza delle fresche dichiarazioni
di Mario Vanni, alle quali si era agganciata sciorinando altre fantasiose
invenzioni, prese però molto sul serio dagli inquirenti. Il 22 luglio riconobbe
l’uomo di colore in foto: si trattava di Robert Parker, uno stilista gay
americano morto nel 1995 di AIDS (quindi non suicidatosi), in qualche modo, non
si sa bene quanto a torto e quanto a ragione, collegato a Villa la Sfacciata
(sarebbe stato ospite di Reinecke, circostanza però tutt’altro che provata). Nella
vicenda del Mostro era entrato marginalmente dopo l’omicidio del 1983, quando
si era sospettato che una Fiat 126 bianca vista vicino al furgone fosse stata
la sua.
Per irrobustire la nuova pista si
riconvocarono anche Nesi e Pucci. Il 1° agosto fu la volta del re dei
chiacchieroni, il quale era caduto dalle nuvole quando Vanni
gli aveva parlato del nero Ulisse, ma di fronte alla foto del nero Parker non
ebbe difficoltà a ritrovarne il ricordo in uno dei numerosissimi angoli nascosti
della propria memoria, rammentandosi di averlo visto diverse volte alla solita trattoria
Ponte Rotto assieme a Narducci e Lotti. Circostanza che tre giorni dopo fu
confermata da Pucci, e ad abundantiam,
poiché alla comitiva aggiunse il dermatologo Sertoli e l’ortopedico Jacchia e
rivelò anche un argomento delle loro conversazioni: festini. Di fronte alla
completa inaffidabilità di tali testimonianze non c’è da stupirsi se i titolari
dell’esercizio – tra l’altro sottoposti persino a intercettazione telefonica, casomai
fossero stati anche loro della congrega – ricordavano benissimo il cliente
abituale Giancarlo Lotti, ma nessuno degli altri.
Tra i principali personaggi
dell’inchiesta precedente chiamati a dare una mano mancava soltanto Filippa
Nicoletti. La donna era sempre stata molto sulle sue, dicendo soltanto il
minimo e soltanto quando si trovava costretta a dirlo, quindi non pare certo un
caso se gli inquirenti andarono a cercarla per ultima. Il suo interrogatorio
risale all’11 settembre (nella sentenza De Luca viene erroneamente indicato 11
marzo), quando venne messa di fronte alle dichiarazioni dell’amica-nemica
Ghiribelli sulla cena a quattro con Lotti e Narducci al ristorante la Lampara
di Firenze. La donna riconobbe Narducci in foto, raccontando (dalla sentenza
Micheli):
Si trattava di una persona molto fine,
elegante, che parlava bene e che non era di Firenze, ma non so dirvi di dove
fosse. Lo vidi una sola volta alla trattoria di Via Nazionale, credo proprio
“La Lampara”, e mangiai insieme a lui. Non ricordo se con noi ci fosse qualcun
altro. È stata una cosa passeggera, mi sembra che si fosse presentato come un
fotografo e che girava film. Non ricordo se ho avuto rapporti sessuali con lui,
ma se c’era la Gabriella non mi ci faceva arrivare. Era sicuramente il 1981
(..). Non ricordo come si sia presentato, ma ho un vago ricordo del nome Giuseppe
o Pino ed ho anche un vago ricordo che mi abbia detto che era calabrese, ma dal
parlare non mi sembrava affatto. Si esprimeva in perfetto italiano e senza la
cadenza tipica calabrese, che io conosco. Sicuramente non mi disse la verità.
Ho però un ricordo che mi abbia detto che abitava a Prato e che faceva dei film
e delle foto, tanto che mi propose se volessi andare con lui a farmi fare delle
foto. Io rifiutai. Dopo di quella volta non lo rividi più.
Dell’attendibilità di un
riconoscimento fotografico nelle condizioni in cui dovette avvenire quello di
Narducci da parte della Nicoletti è già stato detto. Può anche darsi che tra i
propri clienti di oltre vent’anni prima la donna ne avesse incontrato uno un
po’ più raffinato dei soliti paesanotti cui era abituata, sedicente regista o
fotografo che fosse, ma per identificarlo come Narducci sarebbe servito molto,
molto di più di un’eventuale rassomiglianza con una foto. È inevitabile il
sospetto che, di fronte ai fastidi del nuovo e imprevisto interrogatorio, la
donna avesse preferito dimostrare massima disponibilità sulla sconosciuta
figura del medico umbro, piuttosto che dover parlare del proprio protettore di
un tempo, Salvatore Indovino, riguardo il quale era sempre stata molto
abbottonata.
Per completare il quadro dei
contributi dati dai protagonisti dell’inchiesta precedente bisogna tornare a
Mario Vanni, il quale, come persona informata sui fatti e nella forma
dell’incidente probatorio, venne interrogato dai pm Canessa e Crini il 28
dicembre 2004; l’intento era quello di chiarire i suoi rapporti con Francesco
Calamandrei. Il pover’uomo rispose al bombardamento di domande in modo nebuloso
e contraddittorio, spesso con dei semplici “mah”, dando l’impressione di non capire troppo
bene quanto gli stava accadendo attorno. Eppure, a parere dei due PM, avrebbe
fornito inedite e importanti informazioni, raccontando di aver frequentato
assieme a Lotti e Pacciani la casa del farmacista, descritta con dovizia di
particolari. E che cosa sarebbero andati a fare lì i tre Compagni di merende?
Più volte sollecitato a fornire spiegazioni, Vanni continuò a ripetere il
medesimo ritornello: “Eh, andavo a piglia’ le medicine, si parlava così, in
amicizia, no? per la mi moglie, le medicine, la roba, le medicine per casa”.
Il 14 gennaio successivo il vecchio ergastolano fu sottoposto a un ulteriore
interrogatorio, questa volta in veste d’imputato. Si venne così a sapere che
lui, Lotti, Pacciani, Calamandrei e addirittura Narducci avrebbero frequentato
un numeroso gruppo di prostitute fiorentine, e sarebbero andati spesso a
mangiare tutti assieme all’onnipresente trattoria Ponte Rotto.
Era trascorso un anno e mezzo dai
vergognosi e inutili colloqui con Lorenzo Nesi, quindi, vista la natura
degenerativa della malattia che lo affliggeva, si può immaginare che le già
precarie condizioni mentali di Vanni si fossero ulteriormente aggravate. Ma
per i PM le sue frasi esitanti, contraddittorie, confuse, valevano comunque
oro, come avrebbe osservato il giudice De Luca prima di demolire il loro punto
di vista.
Secondo l’assunto accusatorio gli argomenti
trattati dal Vanni e cioè da un lato l’assidua frequentazione della casa di
Calamandrei da parte di Vanni, Pacciani e Lotti, argomento prima sconosciuto,
che aveva introdotto lui e, dall’altro, la frequentazione comune di prostitute
su richiesta del Calamandrei avrebbero un’enorme importanza nell’economia del
presente procedimento penale.
[…] a prescindere dalle condizioni mentali
nelle quali versava il Vanni all’epoca […] tali circostanze risultano del tutto
contraddittorie o, addirittura, smentite dalle risultanze processuali: per quel
che concerne, infatti, la disposizione delle camere della casa del Calamandrei
egli ha ripetuto al difensore dell'odierno imputato la medesima descrizione
anche per quel che concerne altre abitazioni di maggiorenti del luogo sopra
riferite, ed anche le risposte fornite in tali casi risultano del tutto analoghe,
inframmezzate da ripetuti “uhm”, “bravo” ecc. come se gli andasse bene qualsiasi
affermazione del suo contraddittore, anche la più illogica ed inverosimile.
Circa la frequentazione delle prostitute a
Firenze basterà ricordare il passaggio della sua deposizione relativa al fatto
che si sarebbero recati a Firenze addirittura a bordo di una fiammante
“Ferrari" di colore rosso del Calamandrei per capire quale grado di
affidabilità possa essere attribuita ad esse.
Ma v’è di più: la P.G. ha effettuato una
meticolosa ricerca nelle vie indicate dal Vanni circa possibili abitazioni ove
avrebbero prestato servizio le prostituite delle quali aveva riferito i nominativi,
anche consultando ufficiali di P.G. in servizio all’epoca presso la Buon Costume
della Questura di Firenze, con esito completamente negativo sia circa l'individuazione
delle prostitute che delle abitazioni. La frequentazione comune da parte dell’odierno
imputato unitamente al Pacciani, al Lotti e al Vanni della trattoria del “Ponte
rotto”, gestita dal Matteuzzi è stata smentita, oltre che dal predetto, anche
dal figlio, pure sottoposti, prima e subito dopo le loro deposizioni, ad
intercettazioni telefoniche disposte d’urgenza dal P.M. e convalidate dal
G.I.P.: costoro hanno chiarito che il Calamandrei frequentava il loro locale
solo con le persone più in vista di S.Casciano e con il solo Vanni che faceva
un po’ la “macchietta” intonando a fine pasto “faccetta nera” ed altre amenità,
mentre non era mai stato insieme al Pacciani e al Lotti. Entrambi escludevano
poi di aver mai visto nel locale la persona mostrata nell'album fotografico e
corrispondente al Narducci.
Come si vede, bocciatura non
avrebbe potuto essere più totale: per De Luca le parole di Mario Vanni erano
soltanto farneticazioni prive di riscontri. Riguardo questi ultimi, la
testimonianza dei gestori della trattoria Ponte Rotto, avvalorata per di più
da intercettazioni telefoniche, risulta decisiva. In quel caso riscontro
avrebbe dovuto esserci, poiché i gestori di ristoranti e simili conoscono
benissimo i propri clienti, con i quali, per mestiere, cercano di scambiare almeno qualche frase. In effetti i Matteuzzi rammentavano le cene cui avevano partecipato Calamandrei e Vanni, con
quest’ultimo che faceva il buffone, ma non c’erano né Lotti né Pacciani, e tantomeno Narducci.
Salve dott. SEGNINI, La seguo da molto e, come Lei ben sa, per averlo io scritto in passato, sono un Suo convinto sostenitore circa l'identificazione di G.L. come Mostro di Firenze. Una sola domanda, se è lecito: quale è il Suo pensiero in merito ad una circostanza ben precisa cui, per quanto ci rifletta, non so darmi risposta, ovvero: ma che bazzicava un professionista stimato e di famiglia aristocratico, quale era il dottor F.N., in San Casciano Val di Pesa (distante oltre 100 chilometri da Perugia) peraltro accompagnandosi a soggetti di dubbia moralità come Vanni e Lotti, per tacere di altri? Che motivazioni sottostanti (al di là di festini o orge sessuali, peraltro non provate), possono esserci a Suo avviso? La ringrazio e La saluto cordialmente.
RispondiEliminaNessuna motivazione, semplicemente a San Casciano non c'era mai stato. Tutte le testimonianze sono molto sospette, e valgono meno di zero. Si può immaginare quale clamore avrebbe fatto un personaggio aristocratico come lui a San Casciano, lo avrebbero notato in mille e uno. Legga bene questo articolo.
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