Tra le ipotesi che vengono
formulate sull’identità del Mostro, o comunque su una sua generica
configurazione, quella di un individuo appartenente alle forze dell’ordine ha
oggi un grande seguito tra gli appassionati. Ne è incontestabile padre Nino Filastò,
il noto avvocato e mostrologo che difese Mario Vanni. Si tratta di una
convinzione da lui maturata, probabilmente, proprio mentre si preparava al
difficile processo, agli inizi del 1997, ma i cui semi erano già presenti nella
visione che aveva della vicenda di Enzo Spalletti e Fosco Fabbri, i due guardoni
coinvolti nelle indagini sul delitto di Scandicci. Secondo Filastò il primo
aveva visto qualcosa, e si era rifiutato di raccontarlo per paura di ritorsioni da
parte di un assassino potente e intoccabile,
il quale, quattro anni prima, aveva già minacciato il secondo. Ecco quanto ne
scrisse nel libro “Pacciani innocente”,
uscito alla fine del 1994:
Spalletti viene interrogato più volte dai
magistrati. Nel corso di un interrogatorio lo scontroso infermiere si lascia
scappare una frase sibillina. Con arroganza incongrua apostrofa i magistrati.
Essi lo saprebbero bene che lui non c’entra nulla con il duplice omicidio. Parole
larvate, ma dense di un significato recondito e inquietante: gli inquirenti lo
terrebbero in carcere per stornare l’attenzione da qualcun altro. […]
In seguito si saprà che durante la detenzione
di Spalletti alla moglie e al fratello sono arrivati strani messaggi telefonici.
Chi avrebbero dovuto proteggere
gli inquirenti accusando Spalletti? La risposta Filastò la trova nelle parole
dell’amico Fabbri:
Anche Fabbri viene interrogato di nuovo. Se
Spalletti è oscuro nel linguaggio, incomprensibile e quindi sospettabile per la
linea difensiva che ha scelto, l’amico Fosco riferisce invece un episodio il
cui significato, se fosse stato indagato a tempo debito, forse avrebbe potuto
portare qualche lume sul conto di quella losca congrega di cui, come si è
visto, parlerà la bellezza di tredici anni dopo nel corso della sua
requisitoria finale nel processo Pacciani il pubblico ministero dottor Canessa.
[…]
Circa quattro anni prima del delitto del campo
dell’Arrigo, dice Fabbri, egli fece un incontro stressante. […] A un tratto da
un’altra auto scese un uomo alto e robusto. Non sembrava aver voglia di
scherzare costui, non tanto per lo sguardo, intenso e minaccioso, ma perché aveva
in mano una pistola con cui minacciò il Fabbri.
[…] Cominciò, racconta Fabbri, con un ammonimento:
il bravo voyeur deve fare attenzione a non molestare, a non avvicinarsi troppo
alla coppia, a non essere troppo invadente. Se si comporta così sappia che non
commette alcun reato. Non c’è penale a guardare con un minimo di discrezione.
Semmai sono i guardati che sono in fallo. Poi se ne sarebbe andato, il
singolare viandante boschivo, pago di aver fornito, gratuitamente, tali
incoraggianti spiegazioni giuridiche, a parte lo scagazzo dell’arma puntata.
Ma chi era? Fabbri dice che in un primo momento
si era presentato come una guardia forestale, ma che in seconda battuta avrebbe
detto di essere un poliziotto tout court. Qui l’amico di Spalletti inserisce
una sua intelligente deduzione: ci sarebbe da credergli che era un poliziotto,
la sua osservazione circa la liceità dello sport voyeuristico non fa una grinza,
sotto il profilo penalistico (e non la fa difatti). […] Una persona così
addentro a una sottigliezza giuridica di quella specie, bisogna che un po’ di
competenza ce l’abbia. Non un uomo della strada, allora, bensì, e appunto, un
professionista di quel ramo, poliziotto magari, come aveva detto lui.
Ma nei capitoli finali del libro,
dove l’autore fa un ampia descrizione di quelle che a suo giudizio sarebbero
state le caratteristiche dell’assassino, di poliziotto non si parla affatto.
Evidentemente Filastò non aveva ancora maturato la sua futura convinzione, anzi,
doveva trovarsi in una fase di notevole incertezza, come si può desumere dagli
accenni possibilisti alla “losca
congrega” della quale aveva parlato Canessa, embrione della futura pista
dei “Compagni di merende” contro la quale si sarebbe poi dovuto battere in
difesa del Vanni.
Tre anni dopo le idee dell’avvocato
erano molto più chiare. Lo testimonia questa intervista
uscita su “Visto” il 18 luglio del
1997. In ogni caso la teoria completa del “Mostro poliziotto” la possiamo
trovare in “Storia delle merende infami”,
uscito nel 2005, dove viene anche ripresa la vicenda di Fabbri e Spalletti,
sulla quale è il caso di spendere qualche altra parola. I verbali degli
interrogatori dei due personaggi non sono mai stati pubblicati, e, almeno a memoria
di chi scrive, in nessun altro libro si fa cenno agli episodi riportati
da Filastò nei suoi. Quindi dobbiamo fidarci. Però lascia perplessi il fatto che in “Storia delle merende infami” il
personaggio che avrebbe spaventato Fosco Fabbri venga descritto con indosso una
divisa (“Incontra
un tale in divisa. F.C. non sa precisare quale divisa sia, da guardia forestale,
ipotizza.”). Ma undici anni prima, in “Pacciani
innocente”, di divisa non si parlava affatto, poiché il personaggio si sarebbe
soltanto “presentato
come una guardia forestale”, e “in seconda battuta avrebbe detto di essere un poliziotto”.
Divisa contro parole, insomma. Si tratta di una differenza non da poco, farebbe
bene a tenerla a mente chi oggi afferma con tono perentorio che Fabbri sarebbe
stato minacciato da un poliziotto.
In ogni caso possiamo liquidare
l'intera questione come irrilevante, poiché niente fa pensare che quell’individuo
fosse stato il Mostro. L’episodio raccontato da Fabbri risaliva a quattro anni
prima del delitto di Scandicci, quindi non è affatto lecito mettere i due
fatti in relazione tra di loro. Ancora meno valore ha la velata accusa di
Spalletti agli inquirenti, anche dando per buono che l’avesse lanciata davvero.
Non si capisce per quale motivo l’uomo non avrebbe dovuto raccontare di aver
visto un poliziotto all’opera, se lo avesse visto, senza rifugiarsi dietro frasi sibilline con le quali non poteva certo sperare di risparmiarsi i quattro mesi e mezzo di detenzione cui fu costretto.
Tra l’altro in carcere Spalletti avrebbe rischiato grosso se il Mostro
avesse potuto contare su qualche aggancio nell’ambiente giudiziario e avesse
temuto la sua eventuale testimonianza. La semplice verità è che Spalletti non
aveva visto nulla (vedi),
e quella sua frase, se pronunciata, non aveva che il sapore della disperazione.
Ma in “Storia delle merende infami” Nino Filastò porta molti altri
elementi a suffragio della sua teoria, a cominciare da una ricostruzione del
modo con il quale l’assassino si sarebbe avvicinato alle proprie vittime.
Riesce sempre a colpire le sue vittime da
distanza ravvicinata. Ma come ci riesce? A mio parere, questo è il punto nodale
della questione, sciolto il quale non dovrebbero restare molti dubbi su una
determinata qualità del mostro. Qualità almeno di genere, nel senso di
categoria sociale e professionale.
L’estrema facilità con la quale riesce ad
avvicinarsi alle coppie, anche dopo gli allarmi amplificati e i controlli
serrati, fa pensare a due dinamiche alternative. La prima è che egli riesca ad
avvicinarsi perché non desta sospetti nelle sue future vittime. Qualche cosa di
evidente lo connota, segnala la sua natura apparentemente inoffensiva.
La seconda è che, in qualche modo, riesca a
rendersi invisibile. Da notare che egli agisce quasi sempre nelle notti di
novilunio, cioè al buio totale.
Le due ipotesi non si escludono a vicenda.
Forse in qualche occasione si è avvicinato rassicurando le vittime, altre volte
senza farsi scorgere, nel caso in cui ha dovuto lasciare la macchina ad una
certa distanza.
Esaminiamo la prima ipotesi. Cosa potrebbe
farlo apparire inoffensivo agli occhi delle vittime? Esattamente il contrario
di ciò che lo potrebbe caratterizzare come potenziale fonte di minaccia. Solo
un ruolo visibile in quanto esibito, e una ben determinata qualifica può essere
rassicurante in senso opposto: l’aspetto di agente dell’ordine.
Le considerazioni dell’avvocato
sono molto opinabili. Tanto per cominciare sarebbe stata una ben strana
coincidenza se l’agente o il finto agente, in almeno quattro volte su cinque (Borgo,
Scandicci, Calenzano, Vicchio, no a Baccaiano) fosse arrivato addosso alle proprie
vittime con il lampeggiante in funzione proprio nel momento in
cui esse si stavano preparando a fare l’amore, né prima né dopo. La singolare
coincidenza pare piuttosto accordarsi meglio con qualcuno che era già sul luogo
in attesa, nascosto tra la vegetazione. E poi, per quale motivo l’assassino
avrebbe dovuto annunciarsi prima dell’aggressione? Non a caso agiva sempre in
notti quasi senza luna, mentre la coppia era intenta nei preparativi con la luce interna probabilmente accesa. In quelle condizioni avvicinarsi all’abitacolo
di nascosto diventava facile, contando sul buio e sulla complicità di qualche
cespuglio, ma soprattutto sulla disattenzione di chi in quei frangenti si trovava
in uno stato di comprensibile eccitamento. In ogni caso l’attacco era fulmineo,
e le vittime non avevano alcuna possibilità di reazione. D’altra parte lo
stesso Filastò ammette che in alcuni casi il Mostro potrebbe anche essersi
avvicinato senza farsi scorgere. E perché allora non in tutti?
Ma proseguiamo con la descrizione
di come si sarebbe svolto l’approccio del poliziotto assassino.
Niente di più consueto che imbattersi in un
poliziotto in servizio, che fa la sua ronda notturna in funzione anti-mostro, o
in quella più generica di controllo di polizia. Niente di più tranquillizzante.
Lo si individua già prima di vederne la figura, di notare i suoi gesti e i suoi
abiti. In che modo? Dalla macchina da cui discende, accostata a poca distanza
da quella dei fidanzati, con l’inconfondibile segnale di riconoscimento: la
bolla blu lampeggiante sul tettuccio. Da quella macchina l’uomo avanza con
passo sicuro, e i ragazzi, che hanno appena iniziato i preliminari, cercano di
ricomporsi pronti a mostrare i loro documenti all’agente in borghese. Quando
apparirà la pistola calibro 22 sarà troppo tardi per rendersi conto
dell’errore. Il falso, o vero, agente, ha già indotto il giovane ad aprire il
vetro del finestrino per mostrare i suoi documenti, per questo è in condizione
di sparare a distanza ravvicinatissima, quasi a bruciapelo, senza incontrare, mai,
in nessun caso – eccetto la coppia di francesi, che non era in auto bensì in
una tenda – alcuna reazione.
La macchinosità dell’operazione
immaginata da Filastò è evidente. Non convince né poco né punto un assassino che si presenta in pompa magna, con tanto
di luce lampeggiante che lo avrebbe sottoposto al rischio di attirare l’attenzione
di eventuali testimoni, dei quali in ogni caso non fu mai trovata traccia. Non
è poi chiaro il perché l’individuo, prima di sparare, avrebbe dovuto attendere l’apertura
del finestrino. Tanto più che i vetri risultavano infranti dai colpi di
pistola. Ma Filastò, per questo fatto, ha una spiegazione differente.
Un altro elemento anomalo che ricorre in quasi
tutti i delitti, trova la sua spiegazione solo se si pensa alla volontà
dell'assassino di depistare e confondere le indagini per coprire l'identità che
lo accomuna agli inquirenti. I finestrini delle macchine, dal lato da cui egli
spara, sono sempre completamente frantumati. Se l'omicida avesse sparato a finestrino
chiuso, come nella tesi ufficiale della polizia, i vetri dovrebbero trovarsi
rotti solo parzialmente.
I proiettili calibro 22, i più piccoli in
commercio, è molto difficile che, attraversando un vetro, riescano a
distruggerlo senza lasciare nemmeno un frammento in piedi. Del resto è così che
è avvenuto col colpo sparato sul parabrezza della vettura di Mainardi,
nell'omicidio di Baccaiano. Il vetro del parabrezza non si è frantumato, ma è
rimasto visibile solo un foro con le classiche incrinature a raggiera. Perchè
allora tutti quei finestrini disintegrati? […]
Lo scopo non può essere che quello di non far
capire quale sia stata in realtà la dinamica. Il finestrino, sulla richiesta di
controllo dei documenti, è stato abbassato, poi, una volta colpite le vittime,
l'omicida lo ha richiuso e frantumato con un qualche oggetto contundente: un
fazzoletto contenente alcune biglie di acciaio – lo strumento classico dei
ladri d'auto – uno sfollagente con l'anima di piombo, la pietra trovata sul
luogo del delitto di Calenzano...
Questo per far credere che i finestrini
fossero stati gli spari a distruggerli, mentre erano chiusi, e non aperti, come
in realtà erano. […]
L'assassino è esperto di indagini. Sa anche
come depistare. Il finestrino aperto sarebbe un indizio della sua funzione.
Lo scenario appare sommamente contorto. Per di più, nel portare l’esempio del
parabrezza della Fiat 147 di Paolo Mainardi, Filastò dimentica che si trattava di vetro laminato, costituito
cioè da due strati con in mezzo una pellicola di plastica. Scopo di tale tecnica costruttiva è evitare che il parabrezza, a eventuali
rotture ad auto in movimento, vada completamente in pezzi, con ovvi pericoli per la sicurezza. I finestrini laterali sono invece
realizzati in semplice vetro temperato, il quale tende a scoppiare dividendosi in piccoli frammenti. Tra i più colpi sparati e le successive manovre di apertura della portiera, o comunque di accesso all'abitacolo, si spiega bene il perché in sede ne erano sempre rimasti pochi. A Baccaiano poi, con il Mostro che secondo Filastò si
sarebbe messo alla guida, la preventiva rottura del finestrino, i cui frammenti
erano sulla piazzola, non avrebbe avuto alcun senso.
Infine le schegge di vetro che più di una volta colpirono le vittime (almeno a Calenzano, Baccaiano e Vicchio) dimostrano che i finestrini furono infranti dai colpi di pistola.
ma poi t'immagini un lampeggiante acceso di notte? lo avrebbero notato anche a grandi distanze...mi sembra che mai nessuno , in tutti i delitti , vide una luce blu..a Baccaiano , ad esempio , quella coppia che udi' gli spari o tutti quelli che transitarono nei pressi avrebbero dovuto notarlo un lampeggiante..non credi? ciao Mario
RispondiEliminaDirei di sì. Riguardo Baccaiano c'è un avvistamento di qualche ora prima, o del giorno prima, non si capisce bene, ne parlerò nella prossima parte. Ciao.
EliminaUna coppia "distratta" da ciò che hanno intenzione di fare o stanno iniziando, potrebbe notare solo due tre colpi di lampeggiatore quando lo vedono vicino. Prima e dopo l'avvicinamento poteva essere spento e non notato da nessuno. Ricordo di aver sentito di un portafoglio a terra e forato da un proiettile - perché questo? - e di un libretto di circolazione per terra in un'altra vettura... perché anche questo?
EliminaE comunque so per esperienza personale che si trovano - sapendo dove cercarle - uniformi usate e data la grande ignoranza di molte persone circa l'appartenenza di qualcuno in divisa - tanto sono tutte "guardie" - è facile farsi passare per un "agente" anche con una divisa raffazzonata alla meglio.
EliminaE pensare che in giro c é chi sostiene che Vigna era il mostro protetto dalla sua scorta ...
RispondiEliminaCiao Antonio , ho letto ma nn mi ricordo dove che i rilevamenti sul furgone dei tedeschi nn era stata fatta nel campo del duplice omicidio ma in un altro posto pianeggiante forse on un parcheggio... Ne sai qualcosa?
RispondiEliminaIl furgone fu portato subito via, il giorno dopo, quando fu ritrovato un bossolo sfuggito alle prime ricerche, già non c'era più. Durante il trasporto uno dei finestrini forato da un proiettile il cui vetro era rimasto in sede come gli altri andò in mille pezzi. Dalla perizia De Fazio: "La distanza a terra del foro sito nel vetro del finestrino anteriore dx. non ha potuto essere misurato in quanto durante il trasporto del pulmino molti dei frammenti di vetro si erano spaccati". Questo ci conferma che le misurazioni furono fatte altrove. Non so però dove.
EliminaChe branco di inetti... ma secondo la logica una caserma ha le stesse caratteristiche di un campo agricolo? E se il mostro era rialzato da una zolla rispetto al furgone ??? Difficilmente un terreno agricolo é perfettamente pianeggiante ...
RispondiEliminaAnche l orma rilasciata a Vicchio sulla portiera nn son sicuri che fosse del mostro , forse era di un carabiniere ... é poi parlano di un serial killer dalla mente sopraffina che nn ha lasciato tracce e si é preso gioco delle forze dell ordine Sam... ma forse anche una scimmia appena ammaestrata sarebbe riuscita a nn farsi prendere...
RispondiEliminae' quello che dico da sempre...un mdf che non ha lasciato tracce? non so se ridere o piangere... oggi sulla scena di un crimine vedremmo solo poche persone con tute bianche...non sciami di persone ...quindi de che volemo parla'?
EliminaConcordo in pieno
EliminaVe lo immaginate il mostro poliziotto ammazza 2 persone compie le escissioni e lordo di sangue ritorna sulla macchina della polizia e magari anche al convegno di Vigna come se niente fosse; il poliziotto che antra al convegno pieno di sangue. Sembra un film di Lino Banfi, tragicomico. Il fatto che il mostro conoscesse l'abitazione della Della Monica da da penbsare, per me era uno altolocato della coingrega individuata da Giuttari che aveva delle ottime conoscenze dell'ambiente. Un certo GJ, se dovessi dare un nome sul mostro vero il primo è quello
RispondiEliminaIo mi immagino imbecilli che NON SANNO CHE L'UOMO CHE FERMO` FABBRI ERA LO STESSO UOMO CHE VIDE BEVILACQUA .
EliminaAllora, che tu creda a questa leggenda del Mostro poliziotto lo accetto, accetto anche che tu protesti contro chi non la pensa come te, ma modera il linguaggio, qui non siamo su facebook, altrimenti non lascio passare i tuoi commenti.
Eliminaah beh si certo individuato da Giuttari... e magari individuato pure per la domenica a Scopeti.
RispondiEliminafantastico
Mi fa piacere qualcuno abbia delle certezze su Scopeti, Cochi ipse dixit
Eliminauno dei punti forti di filasto e' che in quasi tutti i casi c'erano i documenti sparsi per terra nel abitacolo (permesso di circolazione, patente, ecc). E' davvero cosi? se si, magari non e' cosi assurda la sua teoria mostro-poliziotto.
RispondiEliminaNon direi proprio. Leggi bene.
EliminaPeccato Segnini che l'uomo che fermo` Fosco FABBRI FU DESCRITTO DI FACCIA ed era lo stesso uomo che vide Bevilacqua . parli di ipotesi e di teorie ma di cose SICURE E concrete come i lineamenti somatici non parli .
RispondiEliminaPiù o meno o meno in ordine a questa questione qui trattata una domanda: se è vero che qualcuno che presumibilmente aveva a che fare con i duplici delitti del “Mostro” telefonò per circa due anni all’autista dell’ambulanza che trasporto il povero Mainardi non ancora clinicamente morto all’ospedale di Empoli (il sig. Allegranti e chissà come aveva fatto il telefonista anonimo ad avere quell’informazione...) cercando di farsi dire cosa gli avesse detto il ragazzo prima di spirare, vuol dire che il Mostro o qualcuno facente parte del gruppo Mostro ebbe paura (sappiamo che fu il trucco della Della Monica a metterlo sotto pressione e che a questo trucco egli reagì con l’apertura della pista sarda) : ma paura di cosa? Cosa mai avrebbe potuto dire un poveraccio aggredito all’improvviso nella notte senza luna, ferito gravemente a pistolettate e che cerca disperatamente di fuggire purtroppo senza riuscirvi ? Cosa avrebbe potuto dire se non “ho visto un’ombra scura nella notte una figura illuminata per un attimo dai fanali dell’auto che mi sparava contro” e quindi? Una testimonianza di poco se non nullo valore investigativo. E invece il Mostro sembra davvero colpito dalla strategia della PM. Perché? Cosa mai temeva?
RispondiEliminaUna domanda in qualche modo collegata all’argomento di questa sezione : di che ebbe così timore il Mostro (singolo o organizzazione che fosse) dopo il tranello tesogli dalla PM Della Monica nel 1982? Che mai avrebbe potuto riferire prima di spirare il povero Mainardi, aggredito all’improvviso nella notte senza luna, cercando di fuggire via in preda a comprensibile panico, più oltre ferito gravemente ? Di aver visto un’ombra nella notte illuminata per un momento dai fari della sua auto? Certo un identikit utile alle indagini non avrebbe mica potuto farlo...eppure il Mostro ebbe paura visto che in risposta alla strategia della Della Monica apri’ la pista sarda col clamoroso “depistaggio” che conosciamo bene e che per quasi due anni telefonò all’autista dell’ambulanza che portò il Mainardi all’ospedale di Empoli (era venuto a sapere il nome evidentemente ed era persino venuto a sapere dove era andato in vacanza sulla riviera romagnola: piuttosto informato l’anonimo telefonista) ? che cosa poteva riferire il Mainardi di cui il Mostro ebbe così tanto timore?
RispondiEliminaSentito mai parlare di tarli? Sono quei pensieri ossessivi privi di razionalità che però tormentano. Una probabilità pur minima, quella di essere stato descritto, accoppiata però a un rischio enorme, quello di essere scoperto: ingredienti tipici di un tarlo.
EliminaPotrebbe essere; come potrebbe essere a mio avviso che ci fosse (o ci sia stato in quel caso) un qualcosa di evidente nell’approccio alle vittime che avrebbe potuto essere riferito da un eventuale sopravvissuto ancorché mortalmente ferito
RispondiEliminaSenz'altro. L'importante in questi caso, a mio modesto avviso, è che una volta individuata la sequenza di fatti ritenuti probabili e ben integrabili nel contesto (in questo caso l'invio del ritaglio da parte del Mostro per sviare le indagini), si controlli che non esistano impedimenti. Sia il tarlo non giustificato razionalmente sia una condizione di riconoscibilità (magari si erano già incontrati in qualche occasione) sono in grado di spiegare la reazione.
EliminaAvendo paura di essere stato visto inviare il ritaglio per far ricominciare da capo le indagini e aprire alla pista Sarda.
EliminaServe calcolo strategia e freddezza, lei ritiene che il Lotti disponesse di tanta astuzia?
Lei usa delle parole grosse, calcolo, strategia, freddezza, probabilmente rapportandole agli enormi risultati dell'invio di quel ritaglio. Ma in fin dei conti che cosa ci voleva a immaginare che indagini condotte nell'ambito di un delitto con il quale lui non aveva avuto niente a che fare non potessero che portargli bene? Non credo che soltanto un genio del male ci sarebbe arrivato.
EliminaIn ogni caso valutare le persone da quello che loro stesse mostrano, soprattutto se devono difendersi, è molto azzardato. Le ricordo il giudizio di Lagazzi dato in dibattimento:
Ha condotto lui il colloquio. Sempre, lo ha condotto lui. Ci ha dato quello che ha voluto darci con estrema abilità. Con quell'astuzia che può avere l'uomo, il contadino. Che però ha un'esperienza di vita che batte magari quella dell'intellettuale. Perché lui è uno che è cresciuto proprio a contatto della vita. Quindi lui sa benissimo regolarsi nei confronti dell'esistenza, della vita, è un astuto.
Giusto, corretta osservazione Segnini.
EliminaComunque di tutte le "piste" le riconosco che l'idea Lotti è quella che mi convince maggiormente.
Una cosa che mi sono sempre chiesto è come abbia fatto il mostro a nascondere il proprio mezzo in tutti i delitti senza dare nell'occhio, lei sa quando Lotti è entrato in possesso della auto e fino a che momento ha avuto il motorino?
Personalmente mi sono figurato il mostro che conoscendo bene i luoghi parcheggia piuttosto distante dalle piazzole dei delitti e si incammina a piedi per campi appostandosi poi lungamente in attesa di eventuali vittime. Immagino che i percorsi a piedi fossero lunghi, magari anche un ora o più, in modo che chiunque vedesse il suo veicolo parcheggiato lo ritenesse "fuorizona" per segnalarlo inerentemente al delitto. Cosa ne pensa?
Lotti ha comprato la sua prima auto nel 1978, quindi, se era lui il Mostro, soltanto a Borgo San Lorenzo era andato in motorino. Se lei ha letto la mia ricostruzione di quel delitto, ha anche visto come la posizione in cui venne ritrovata la borsetta porta a ritenere che fosse stata lanciata proprio da un motorino in corsa (o moto). Naturalmente i "nemici" della tesi Lotti si affannano a trovare altre spiegazioni, che però risultano tutte artificiose.
EliminaRiguardo la posizione in cui il Mostro potrebbe aver parcheggiato la sua auto nei successivi delitti, secondo me varia caso per caso. In questa risposta purtroppo non posso elencare tutte le mie ipotesi (quelle che ho), perché dovrei spiegarle.
Si, ho letto la sua ricostruzione di Borgo e la trovo condivisibile soprattutto per quanto riguarda la posizione della borsetta.
EliminaPer quanto riguarda le mutilazioni più fonti le descrivono come eseguite da una mano "esperta" della pratica, lei ritiene Lotti capace di eseguirle con tale precisione?
Al Mostro non sono state riconosciute competenze anatomiche, ma soltanto mano ferma nell'usare il coltello. Era capace ad esempio di tagliare i jeans senza incidere la carne. Mio modesto parere è che usasse un cutter da muratore, facile da tenere in tasca per la lama retrattile. In ogni caso Lotti era mancino, e come quasi tutti i mancini probabilmente aveva in antipatia le forbici (e infatti nel tagliare le lettere per la missiva con il frammento di seno non le usò). Questo potrebbe essere un motivo della sua notevole dimestichezza nell'uso del coltello.
EliminaSignor Segnini, non sono così sicuro che usasse un taglierino, e le spiego perché.Le lame per taglierini che si trovano normalmente in commercio sono "spezzettate",cioè come varie lame più piccole attaccate insieme, in questo modo quando la parte superiore si consuma si può staccare e continuare ad utilizzare il cutter, sicuramente le avrà utiluzzate anche lei e saprà che si spezzano molto facilmente, sarebbe stato molto avventato da parte del mostro utilizzarlo col rischio che un pezzo di lama si rompesse rimanendo sulla scena del crimine, esistono le lame "intere", le utilizzo io al lavoro per esempio, ma credo vadano ordinate appositamente, io nei negozi di articoli da lavoro non le ho mai viste, credo anche costino di più, ma non sono sicuro.Insomma,quello che voglio dire è che se il mostro usava un cutter,sicuramente utilizzava le lame "intere" e non quelle "spezzettate",ed essendo quelle intere più particolari come tipoligia,bisogna chiedersi dove se le procurasse, per questo credo più probabile usasse un altro tipo di lama e non un cutter
RispondiEliminaNon sono del mestiere quindi prendo atto della sua precisazione. Io ho un attrezzo multilama (ce ne sono tre) acquistato per pochi euro in un supermarket. Una di queste lame è un cutter con punta sostituibile. E' taglientissimo e molto robusto, le assicuro che avrebbe fatto davvero bene gli orribili lavori del Mostro. Naturalmente non so se nel 1980 se ne trovassero, il mio credo risalga ad almeno 10-12 anni fa, trovato alla Lidl.
EliminaSi, credo di capire che tipo di cutter intende, in effetti ha ragione lei,è sicuramente adatto, il fatto che lei abbia fatto riferimento al lavoro da muratore di Lotti mi ha fatto pensare al classico cutter con lama estraibile, errore mio
RispondiEliminaLa sua osservazione è comunque pertinente, bisognerebbe sapere che cosa era disponibile all'epoca. La mia ipotesi del cutter poggia anche sulla scena di Maniac dove viene usato per lo scalpo, film che come saprà ritengo abbia rivestito una grande importanza nel suggestionare il Mostro. Poi in effetti adoperando nel bricolage di casa quello che ho io mi sono reso conto di quanto migliore sarebbe stato rispetto a un cortello per incidere la pelle, e anche la stoffa quando necessario, come i pantaloni della povera Carmela De Nuccio. Infine ancora di più la tela della tenda. Un coltello ha la punta arrotondata, poco adatta per incidere, mentre il bisturi pare sia un attrezzo fragile. Il cutter nella versione che ho descritto ritengo sarebbe stato il massimo.
EliminaQui un esempio simile a lama retrattile.
Sinceramente, io con il classico cutter con lama segmentata acquistato al Brico (non quelli che vendono in cartoleria), sono riuscito a tagliare il laminato in legno per pavimenti.... Actarux
EliminaAntonio ma che ne pensi di tutta la questione legata al cittadino amico?
RispondiEliminaHo scritto un articolo
EliminaIl biglietto del maresciallo Fiori
Nell'estate del '68 avevo 14 anni, e facevo tutti i giorni Follonica-Punta Ala in autostop per andare a fare il portabastoni al golf. Chissà che una volta non abbia deciso di invertire e allungare il viaggio fino dalle parti di Signa a raccogliere una pistola...
RispondiEliminaNel '74, poi, avevo 20 anni, e studiavo a Pisa. Non era poi così lontano da Borgo San Lorenzo, anche se non avevo l'auto...
Nell'81 già lavoravo a Milano, ma insomma, con la mia R4 non era così difficile fare un giro dalle parti di Firenze...
Dunque sono sospettabile anch'io, certamente!
Mi sono abbandonato a qualche confidenza che potrebbe sembrare irrispettosa di questa tragedia, ma non lo è. Nel mio piccolo cerco di trovare la verità, e mi fa piacere che ogni tanto qualcuno riconosca la bontà del mio lavoro, al di là di polemiche alle quali, è vero, spesso rispondo duramente. Ma è la mia indole. La professoressa d'inglese di seconda liceo scrisse nel suo giudizio, che lessi di nascosto: "impetuoso"! Adesso vorrei tanto reincontrarla e chiederle scusa per i nostri scontri. Chissà se è ancora tra noi...