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venerdì 5 luglio 2019

La lettera di Pacciani a Vanni (1)

Una delle pagine più oscure della vicenda giudiziaria relativa ai delitti attribuiti al cosiddetto “Mostro di Firenze” è senz’altro quella della misteriosa lettera che Pietro Pacciani scrisse a Mario Vanni mentre era recluso nel carcere di Sollicciano  (30 maggio 1987 – 6 dicembre 1991) per la questione della violenza sulle figlie. Una lettera che nessun testimone lesse mai, e della quale Vanni non raccontò quasi nulla, ma che Lorenzo Nesi – definitosi suo  “amico fraterno”, in realtà colui che più di tutti contribuì a mandarlo all’ergastolo innocente – con la sua infinita capacità di maldicenza dipinse via via a tinte sempre più forti. La qual cosa consentì intanto al giudice del processo di primo grado a Pacciani di utilizzarla per una delle numerose malevoli ipotesi sulle quali si resse la relativa sentenza di condanna. Poi arrivò Lotti con le sue dichiarazioni compiacenti, e la questione della lettera crebbe d’importanza, diventando anche uno strumento di persecuzione contro l’avvocato Alberto Corsi, un povero cristo che non c’entrava nulla e che sì venne assolto ma che comunque, assieme alla propria famiglia, subì danni notevoli dalle ingiuste accuse.
Questo articolo cercherà di fare il punto sulla questione, sperando di contribuire, anche in virtù di alcuni documenti inediti, a togliere l’argomento dalle mani di chi ancor oggi lo usa per gettare fango sul povero Vanni, la cui memoria si spera possa prima o poi venire riabilitata.

Prima del processo Pacciani. Per quel che ne sa chi scrive, il primo a parlare della lettera di fronte alle forze dell’ordine fu lo stesso Mario Vanni, nell’interrogatorio del 10 luglio 1991 – il suo secondo, per il primo vedi qui –, appena dopo una perquisizione domiciliare dall’esito negativo. Si legge nel relativo verbale  (vedi e vedi):

Circa due anni fa almeno credo mi pervenne una lettera dal carcere di Sollicciano, spedita dal Pacciani Pietro il quale, oltre a ricordare i tempi in cui era libero ed era solito fare delle girate con me per consumare delle merende, mi pregava di contattare una donna abitante fuori del paese di San Casciano, per una sua eventuale testimonianza a favore del Pietro medesimo nel processo a suo carico per violenza carnale ai danni delle figlie. Io però ritenni di cestinare subito la lettera perché, dopo il suo arresto, non volevo più avere nulla a che fare con il PACCIANI. Pertanto non sono in grado di ricordare CHI FOSSE LA DONNA da lui indicata e dove questa abitasse.

A giudicare dal verbale, non sembra che il racconto di Vanni fosse nato come conseguenza di una precedente sollecitazione, sembra piuttosto frutto di una sua personale iniziativa, probabilmente nell’intento di mostrarsi collaborativo. Per il momento prendiamone atto, vedremo più avanti quali deduzioni possiamo trarne, anche sulla strana questione della donna da ricercare come testimone.
Quattro mesi dopo, l’8 novembre 1991, per la prima volta venne sentito il grande chiacchierone Lorenzo Nesi. Fu lui a presentarsi spontaneamente, come si evince dal relativo verbale (vedi):

Mi sono presentato spontaneamente stamani perché, dopo averci pensato un po', ho ritenuto mio dovere raccontare qualche particolare a mia conoscenza sul PACCIANI Pietro di cui ho letto notizie in questi giorni sui giornali. Per la precisione ero fuori Firenze, in Calabria, e al mio rientro a Firenze ho pensato utile venire a dire ciò che so.

E tra le altre cose raccontò della lettera:

Ricordo ancora un altro episodio relativo al periodo in cui il PACCIANI era in carcere per il fatto ai danni delle figlie e che mi è venuto in mente in questi giorni: una sera venne da me il VANNI un po' agitato, non so’ dire per quale esatto motivo, e mi chiese di accompagnarlo subito a Mercatale dalla moglie del PACCIANI perché questi gli aveva scritto una lettera dal carcere che conteneva cose molto brutte, almeno così mi disse, e doveva parlarne con la moglie. Mi fece vedere la busta che aveva in tasca ma non mi disse né io glielo chiesi quali erano le cose scritte dal PACCIANI. Mi limitai ad accompagnarlo a Mercatale e lo lasciai lì.

Che cosa potevano essere quelle “cose molto brutte”, e perché Vanni aveva voluto andare subito dall’Angiolina a parlargliene? Naturalmente il racconto di Nesi allertò i nostri investigatori, i quali vi lessero qualcosa di sospetto, e il 13 novembre successivo andarono a chiederlo direttamente a Vanni. Dal relativo verbale (vedi):

A proposito della lettera che mi scrisse il Pacciani dal carcere dopo essere stato arrestato nell'87 preciso che questa lettera mi fu recapitata dal portalettere alla mia abitazione di S. Casciano in Borgo Sarchiani. Questa lettera il Pacciani me la scrisse parecchio tempo dopo che era stato arrestato e fu l'unica lettera che ricevetti dal Pacciani mentre era detenuto. Penso che questa lettera mi sia giunta un paio di anni fa. Questa lettera io la lessi e la strappai.
Chiestogli se la fece leggero da qualcuno dapprima dice di no e dopo dice: sì la feci leggere al mio amico BERNARDONI Sandro che è un pensionato di banca e sta a S. Casciano in via Machiavelli; gliela feci leggere subito dopo averla ricevuta. Io ricordo che in questa lettera il Pacciani scriveva che si andava a fare le merende, che le figlie lo avevano accusato, mi diceva di cercare una donna, penso per portarla come testimone a suo favore. Io questa donna non la conoscevo, io questa donna non l’ho cercata: il Pacciani nella lettera ci metteva il nome di questa donna ma io non ricordo che nome era. Io non chiesi nulla a nessuno per rintracciare questa donna.

Di sua spontanea volontà Vanni non fece cenno all’episodio raccontato da Nesi, sul quale venne allora interrogato in modo diretto:

Chiestogli se portò questa lettera a casa del Pacciani a Mercatale, dapprima dice insistentemente di no dopo di che gli è stata letta una dichiarazione raccolta dal PM l’8.11.91 senza fare il nome del dichiarante, dice: in effetti mi ricordo che chiesi a Renzo, il NESI, che mi accompagnasse a Mercatale e gli parlai di questa lettera e il NESI mi accompagnò a Mercatale e io mostrai la lettera alla moglie del Pacciani.
ADR - Il NESI non entrò nella casa del Pacciani, mi lasciò davanti a casa e io poi ritornai da Mercatale a S. Casciano in autobus e gli autobus ci sono fino a tardi.
ADR - La lettera la riportai via con me e poi la strappai.
Viene chiesto al VANNI come mai sentì il bisogno di far vedere questa lettera alla moglie del Pacciani e il Vanni risponde: oh che lo so io, mi venne l’idea di andare là.
Il PM fa presente al VANNI che il suo comportamento non è sincero.
ADR - La moglie del Pacciani non sa leggere.
ADR - Al BERNARDONI io feci proprio leggera la lettera. Il BERNARDONI conosceva superficialmente il Pacciani.

Alessandro Bernardoni, un uomo anziano visto spesso intrattenersi con Vanni fuori da un bar, venne interpellato lo stesso giorno. Chi scrive non è in possesso del relativo verbale, è però certo che Bernardoni negò di aver letto la lettera, come si può dedurre da una successiva dichiarazione dello stesso Vanni che tra poco vedremo.
Riguardo il contenuto, Vanni parlò ancora di cercare una testimone a favore di Pacciani, della quale gli sarebbe stato indicato il nome ma che lui affermò di non conoscere, e di non aver fatto alcun tentativo per rintracciarla. Pare evidente, come parve evidente anche ai suoi interlocutori dell’epoca, la poca plausibilità dell’urgenza di andare dalla moglie di Pacciani se nella lettera si parlava soltanto di questa donna e delle merende. Forse Vanni stava cercando di nascondere qualcosa, ma che cosa? Il poveretto non si rendeva conto che proprio questa sua ritrosia nel raccontare tutta la verità stava contribuendo a scavargli la fossa.
Quello stesso 13 novembre, appena prima di Vanni, era stato ascoltato Walter Ricci (qui il verbale, qui quello del precedente interrogatorio del 5 novembre), che aveva rivelato l’identità di una sua fonte di informazioni: la moglie Laura Mazzei, parente di Mario vanni essendo le loro madri cugine. La donna venne interrogata il 22 novembre successivo, anche sulla lettera, riguardo la quale disse (vedi):

In effetti il Mario, tempo addietro, mi raccontò che aveva ricevuta una lettera dal Pacciani, che era in galera, nella quale veniva minacciato di morte, perché ritenuto responsabile, dal Pietro, delle accuse concernenti le violenze fatte alle figlie. Mario disse che la lettera lo aveva abbastanza spaventato. Io la lettera non l’ho vista, so solo quello che mi ha raccontato il Mario.

Addirittura minacce di morte! In ogni caso la testimonianza si accordava con il racconto di Nesi, che aveva dipinto un Vanni impaurito.
Il successivo 27 dicembre Vanni fu interrogato in procura da Vigna, Canessa e Perugini. Dal verbale (vedi):

Con riferimento a quanto dissi la scorsa volta io ho parlato con il Bernardoni e lui mi ha detto che io non gli feci leggere la lettera che mi aveva scritto il Pacciani ma a me sembra invece di avergliela fatta vedere. In quella lettera il Pacciani mi diceva: ti ricordi quando si andava a fare le merende… In effetti mi diceva anche di cercare una donna ma io non la conosco e non ricordo il nome.
Chiestogli allora come mai era impaurito dopo aver ricevuto questa lettera dice: mi prese lì per lì paura.

Ancora una volta la storia di questa donna.

La lettera al processo Pacciani. L’argomento della lettera venne affrontato in dibattimento al processo di primo grado contro Pietro Pacciani. Per primo toccò a Lorenzo Nesi, il 23 maggio 1994 (vedi):

Nesi: Mario Vanni mentre Pacciani era detenuto per violenza alle figlie venne da me un pomeriggio e mi disse che doveva andare dalla moglie di Pietro a Mercatale perché Pietro gli aveva scritto una lettera dal carcere in cui c’era delle cose bruttissime e io dissi: “Mario ho da fare!”. “Portami in tutti i modi perché io devo andare dalla moglie di Pietro perché… ”. E io l’accompagnai.
PM: Come mai questa grande fretta? Non si mise il dubbio? Dice: Come mai…
Nesi: Non lo so perché all’epoca Pietro Pacciani non era mica… Era in carcere per la violenza alle figlie ma… C’era una lettera che gli aveva scritto a Vanni, Vanni mi chiese…
PM: Ma come mai venne, mi perdoni, come mai venne da lei? Perché non andò da solo?
Nesi: Perché forse quella sera, mi ricordo bene, pioveva e Vanni mandava solo la Vespa e io lo portai io a Mercatale. Cioè Vanni…
PM: Ma la sua curiosità non si spinse a…
Presidente: Lo portò in auto?
Nesi: Sì, sì, sì… io lo lasciai a Mercatale non so cosa c’era scritto nella lettera…
PM: Però cosa le disse il Vanni? Perché quest’urgenza?
Nesi: C’era dei fatti gravi che doveva parlare con la moglie di Pacciani.
PM: E di questi fatti gravi che cosa si trattasse…
Nesi: Non lo so… Chiaramente chiedetelo a Vanni se gli ha avuto la lettera…
PM: Certamente. Lo chiederemo, lo chiederemo quando è il momento. Lei lo accompagnò e poi lo aspettò, quando uscì Vanni…
Nesi: No, io l’accompagnai e venni via.

Nesi ribadì di non aver letto la lettera, né di aver saputo da Vanni che cosa contenesse; “fatti gravi”, comunque, dei quali “doveva parlare con la moglie di Pacciani”. La giornata era piovosa, quindi Vanni preferì chiedere a Nesi di accompagnarlo in auto invece di usare il proprio scooter. Ma perché tutta questa urgenza?
Il 25 maggio l’argomento venne affrontato durante la deposizione di Laura Mazzei (vedi):

PM: Senta il Vanni le ha mai parlato di lettere a lui pervenute dal carcere da parte del Pacciani?
Mazzei: Sì una volta sì.
PM: Ci vuole spiegare in che termini? Qual era il contenuto? Che lettera era?
Mazzei: Il contenuto era che il Pacciani una volta che sarebbe uscito si sarebbe ribellato a Vanni perché Vanni aveva parlato troppo di lui.
PM: Ma lo aveva minacciato di morte?
Mazzei: Sì, minacciato, dice, quando esco di carcere ti sistemo io.
PM: Di morte signora?
Mazzei: Ecco di morte.
PM: E a lei queste cose gliele ha raccontate Vanni?
Mazzei: Sì, sì. Che aveva ricevuto questa lettera, sì.
PM: E nella lettera c’erano queste minacce di morte.
Mazzei: Sì.
PM: E il Vanni a queste minacce come aveva reagito?
Mazzei: Eh s’era un po’ impaurito, capirà… Quando uno ti fa certi discorsi, un po’…

Finalmente il giorno dopo, 26 maggio, Vanni stesso ebbe la possibilità di fornire le spiegazioni che tutti si attendevano (vedi). Perché mai Pacciani avrebbe dovuto minacciarlo addirittura di morte? Che cosa c’era scritto in questa lettera? E perché aveva sentito l’esigenza di correre dall’Angiolina a parlargliene?
Nel valutare l’interrogatorio bisogna tener conto dell’atmosfera in cui si svolse e del conseguente stato d’animo del teste. I colpevolisti a prescindere hanno buon gioco nell’evidenziarne le esitazioni, le reticenze, anche le bugie, ma gli innocentisti, come chi scrive, possono controbattere che quando Vanni si sedette per testimoniare era reduce da quattro anni di sfiancanti pressioni, che avrebbero fatto saltare i nervi a chiunque. Tra l’altro sapeva bene di essere sospettato di qualche forma di complicità – non per niente in istruttoria a un certo punto aveva dovuto richiedere l’assistenza di un legale – quindi a ogni domanda aveva paura di sgradevoli conseguenze per la sua risposta, di qui un comportamento guardingo ma in sostanza ingenuo, privo di qualsiasi efficacia. Che senso avrebbe avuto nell’ottica di una difesa consapevole il negare quello che già aveva ammesso in istruttoria, per esempio?
Dal comportamento aggressivo del PM ma soprattutto da quello del presidente – che invece, interpretando meglio il proprio ruolo istituzionale, avrebbe dovuto assumere una posizione di assai maggior neutralità – di sicuro Vanni non ebbe alcun aiuto per superare i propri timori. E vedremo che proprio nel caso della lettera questo impedì di avvicinarsi alla probabile verità, che non era dove conveniva all’accusa, era dov’era e basta.
Ma veniamo alla deposizione nella parte riguardante la lettera. Il PM iniziò con il chiedere al teste se era mai stato a casa Pacciani dopo la carcerazione per le molestie alle figlie.

PM: Senta una cosa, dopo che Pacciani era in carcere per l’episodio delle figlie lei è mai stato a casa della moglie di Pacciani?
Vanni: No. Non so’ mai stato.
PM: Un teste ci ha detto di averla accompagnata a casa di Pacciani, dove c’era la moglie perché lui era in carcere, mentre questi era in carcere.
Vanni: Ma codesto gli avvenne quando mi mandò una lettera.
PM: E allora scusi io le ho chiesto se ci è…
Vanni: Una volta.
Avv. Bevacqua: Faccia la domanda, scusi, Pubblico Ministero
PM: Io ho chiesto se è mai stato, lui ha detto: “Non sono mai stato”. Ora mi sta dicendo: “Sì la volta della lettera”. Me lo spieghi lei.
Vanni: Una volta.
PM: Come mai andò a casa della signora Pacciani che lei, a quel che ho capito, frequentava poco? Qual era il motivo?
Vanni: Io andetti per fargli vedere questa lettera.

Poi Canessa cercò di farsi svelare il contenuto della lettera, assieme al perché Vanni era corso dall’Angiolina con tale urgenza:

PM: Come mai lui in carcere le fece vedere questa lettera? Cosa c’era scritto in questa lettera? Primo, perché ci andò a fargliela vedere. Secondo cosa c’era scritto?
Vanni: Eh c’era scritto che s’andava a fa’ delle merende, ti rammenti quella cosa, quell’altra…
PM: E lei le merende le porta a far vedere alla moglie? Non ci è mai stato? Signor Vanni ma si rende conto di quello che ci sta dicendo?
Vanni: Ma io la portai così… perché io gli dissi: “Un ci ho a che vedere nulla diobono”.
PM: Vede’ nulla di che?
Vanni: A fa questa lettera, io così…
PM: Cosa diceva questa lettera?
Vanni: Gliel’ho detto, diceva: “Ti ricordi quando si andava a fa’ delle merende, di che giorni”, poi…
PM: Signor Vanni, non tocca a me, ma lei deve dire la verità.
Vanni: Disse che le figliole l’avevano rovinato, che lo so io…
PM: E allora perché lei portò la lettera alla moglie? La lettera era indirizzata a lei o alla moglie?
Vanni: A me.
PM: Perché se si parlava di merende la portò alla moglie?
Vanni: Perché mi venne l’idea di portalla così alla moglie.
PM: Per andare dalla moglie cosa prese, la sua Lambretta?
Vanni: Eh?
PM: Come andò a portare questa lettera alla moglie?
Vanni: Andetti co’ la Sita, co’ l’autobus.
PM: Io temo che lei stia dicendo non solo…

Vanni non voleva raccontare nulla del contenuto della lettera, è evidente, e neppure il perché ne fosse rimasto così spaventato. A quel punto intervenne Ognibene, con una cattivissima reprimenda che lo rese ancora più impaurito.

Presidente: Io l’ammonisco, guardi che lei è singolarmente reticente a dire poco.
PM: Forse senz’altro più che reticente.
Presidente: Capito? Quindi se lei va avanti così lei rischia un’incriminazione per falsa testimonianza con tutti i guai relativi.
Vanni: Io… O che ho a dire?
Avvocato Bevacqua: Presidente chiedo scusa ma, mi perdoni, credo che questa…
Presidente: No è reticente avvocato, costui è reticente quantomeno e lo è fin dall’inizio e su questo particolare ancora di più, dica la verità!
Vanni: Io la senta un n’ho fatto nulla di male.
Presidente: Ah non ha fatto nulla di male?
Vanni: No, nulla di male.
Presidente: Ma lei deve dire la verità. Perché portò la lettera alla signora Pacciani? Alla Manni Angiolina, perché?
Vanni: Ma per fargliene vedere
Presidente: Per fargliela vedere… Ma cosa c’era scritto lì dentro? Perché?
Vanni: Eh i che c’era scritto?
Presidente: Se era indirizzata a lei?
Vanni: Si. Eh c’era scritto, dice: ti ricordi quande s’andava a fa’ le merende?
Presidente: Ma cosa m’importa se c’era scritto, cosa c’era scritto? Perché la porto?
Vanni: Eh mi venne così di portalla.
PM: È vero allora che lei andò con la Sita?
Vanni: Si.
PM: Presidente chiedo innanzitutto la trasmissione degli atti di questa testimonianza e vado avanti con le contestazioni. Un teste dice che lei andò con una certa apparente fretta da lui e gli chiese di portarlo un pomeriggio, anzi una sera, subito di corsa con la macchina a casa della signora Pacciani, è vero o no?
Vanni: Sì.
PM: Mah allora guardi lei ha ammesso di aver mentito. Se ne rende conto o no?
Vanni: Però a tornare tornai con l’autobus.
PM: Ma io le ho chiesto come ci è andato non com’è tornato signor Vanni, per cortesia.
Vanni: Sì. E mi portò i’ Nesi. Mi portò i’ Nesi, Renzo.

Vanni era completamente nel panico e in confusione. Definirlo reticente sembra però azzardato, quantomeno sugli elementi che già aveva ammesso in istruttoria, come quello di essere stato accompagnato da Nesi. La frase “Però a tornare tornai con l’autobus” in risposta a Canessa che lo accusava di aver mentito sulle modalità del viaggio è indicativa, come dire: “Ho mentito sì, ma insomma, non del tutto…”: una risposta più da persona confusa che da persona reticente. Piuttosto si deve rilevare che né Canessa né Ognibene si mostrarono interessati a toccare né tantomeno ad approfondire la questione della donna che Vanni avrebbe dovuto cercare, così come risultava dai verbali d’istruttoria. Vedremo che probabilmente le ragioni del mistero stavano tutte lì.
L’interrogatorio proseguì poi sui medesimi binari:

PM: E allora non ho capito, il fatto che lei neghi queste circostanze, che apparentemente poi sono quelle che sono, ci fa capire che lei ha un atteggiamento non solo di reticenza ma di paura, come mai non ci voleva dire…
Presidente: Come mai dice queste cose… che non stanno né in cielo né in terra?
Vanni: Mah
Presidente: Mah, non lo sa neanche lei, meno male. Ha paura di qualcheduno?
Vanni: No, non ho paura di nessuno.
Presidente: Di chi dovrebbe avere paura lei? Di nessuno. E allora perché dice queste cose che non stanno né in cielo né in terra? Ripeto.
Vanni: Mah io insomma co’ i Pacciani non ci ho nulla a che vedere all’infori d’ave’ fatto qualche merenda, come ripeto.
Presidente: Ma nessuno l’accusa di avere nulla a che fare con quello che presuntamente avrebbe commesso il Pacciani, assolutamente.
PM: Proviamo ad andare avanti, a me interessa il contenuto di questa lettera. Lei oltre che il contenuto, i ricordi delle merende, ricorda se questo contenuto aveva un motivo per cui lei, come ci ha detto, andasse di corsa da questa donna? Tanto da chiedere un passaggio al Nesi anziché aspettare la Sita?
Vanni: Perché ero amico di Nesi, mi portò lui, non c’era la Sita subito…
PM: No, no, signor Vanni guardi io fino a un certo punto…
Presidente: Non svicoli eh? Non faccia finta di non capire.
PM: Non sta che peggiorando una situazione per la quale valuterà il giudice competente. Insisto: perché lei andò di corsa a chiedere un passaggio al Nesi a portare questa lettera, diretta a lei, alla signora Pacciani?
Vanni: Perché la Sita subito la non c’era.
PM: E come mai aveva necessità di andarci subito?
Vanni: I’ Nesi eh mi portò
PM: Come mai aveva necessità di andarci subito?
Vanni: Pe’ fargli vede’ questa lettera.
Presidente: Perché doveva andarci subito? O non poteva fargliela vedere il giorno dopo o una settimana o quando capitava?
Vanni: Eh mi venne idea di andare allora. Bah…
PM: Continuiamo con il contenuto di questa lettera, questa lettera conteneva delle minacce?
Vanni: No, no, niente minacce.
PM: Il Nesi ci ha detto il contrario.
Vanni: E che gli ha detto il Nesi?
PM: Questo, se permette, glielo dirò al momento opportuno. Io le dico che c’è stato riferito il contrario. Quando le mostrò la lettera, la signora Pacciani, cosa le disse?
Vanni: Mah, i che la disse? Dice, la mi disse: “I che t’ho a fare se t’ha mandato la lettera?”
PM: Scusi, lei gliela va a mostrare in fretta, quindi ci sarà un contenuto che lei le vuol far… rendere noto, a questo contenuto, che noi sappiamo da terzi, quale essere, non da lei, ma bontà sua lei sta tenendo questo atteggiamento, la signora Pacciani cosa le rispose?
Vanni: La mi rispose: “I che ti devo fare se t’ha mandato la lettera?”. Mah… Io presi e venni via. Subito. Presi l’autobus e venni a San Casciano.

È il caso di riportare anche la parte del controinterrogatorio di Bevacqua, dove si parlò ancora della lettera, dal quale si ha modo di intravedere la versione di Pacciani, al quale naturalmente Bevacqua doveva aver chiesto. Riguardo la censura, è bene precisare che, per quanto ne sa chi scrive, a norma di regolamento carcerario le lettere di Pacciani non avrebbero dovuto esserne interessate, poiché essa si applica soltanto a certe categorie di detenuti, come terroristi e mafiosi.

Bevacqua: Ecco, si ricorda se questa lettera che le ha mandato Pacciani dal carcere, quindi doveva passare sicuramente censura e tutto, va bene? O no?
PM: Non era sottoposto a censura.
Bevacqua: Sembra ci sia chi sa che cosa, si ricorda se il signor Pacciani lamentava il fatto che la moglie, le figlie non gli scrivevano? Oppure no?
Vanni: Sì, sì, diceva: “Le figliole m’hanno rovinato io non ho fatto nulla e purtroppo mi trovo”, dice, “in carcere”. Anzi mi disse, dice: “Riscrivimi”. Ma io ‘un ne scrissi nulla. La presi e la buttai via dopo, questa lettera.
Bevacqua: Quindi il contenuto di questa lettera era una lamentela del signor Pacciani il quale a torto o a ragione…
Vanni: Sì perché a me non m’interessava.
Bevacqua: Ecco, voleva che la moglie e le figlie gli parlassero, gli scrivessero, si facessero vive, nonostante quello che era successo? Era così il contenuto?
Vanni: Si.

Disse Bevacqua: “Voleva che la moglie e le figlie gli parlassero, gli scrivessero, si facessero vive”. Ma è chiaro che un contenuto di tale natura non avrebbe potuto giustificare la reazione di Vanni, quindi anche Pacciani – d’accordo o meno con il proprio avvocato – non voleva svelare il contenuto della lettera, almeno non del tutto.

La lettera nella sentenza Pacciani. A fronte della desolante carenza di vere prove a carico di Pacciani, il giudice di primo grado s’ingegnò come poteva nel costruire ipotetici scenari che avrebbero dovuto supportare il proprio verdetto di colpevolezza. In uno di questi parte importante ebbe la lettera. La sentenza parte dalla premessa che Pacciani, dopo la blanda perquisizione subita qualche giorno dopo il delitto del 1985, si fosse messo in allarme e avesse cercato di liberarsi di eventuali oggetti indizianti.

Certo nell'ultimo delitto il Pacciani aveva commesso non pochi errori e la stessa fortuna non lo aveva aiutato come sempre: il ragazzo francese stava quasi per fuggire; il Nesi lo aveva visto sulla Fiesta all'incrocio sulla via di Faltignano; era stata necessaria un'affannosa corsa nella notte su una macchina non sua per imbucare in Mugello la macabra missiva destinata a sviare le indagini.
Insomma un quadro generale in cui il Pacciani poteva avere ragionevoli motivi di temere eventuali complicazioni, complicazioni che si erano peraltro focalizzare, al momento, solo sull'ultimo delitto e che comunque erano destinate ben presto a svanire, visto che le indagini avevano ripreso la ormai consueta strada della pista sarda dove si sarebbero fatalmente e nuovamente arenate. È da pensare dunque che il Pacciani in una simile situazione si sia certamente preoccupato di mettere al sicuro e forse anche di distruggere o disperdere le prove più concrete ed importanti dei crimini commessi, come la pistola, le munizioni, forse i feticci, forse anche cose ed oggetti sottratti alle vittime, ma non è affatto detto che egli si sia disfatto di tutto ciò che proveniva o era servito per commettere i delitti. Perché non è affatto certo che egli potesse ricordare esattamente, a distanza di tempo e nel gran bazar delle innumerevoli e più disparate cose che egli aveva accumulato in casa o nei luoghi a sua disposizione, quali fossero con precisione tutte quelle che egli aveva portato via da quei luoghi insanguinati.

Secondo il giudice di primo grado, nel proprio lavoro di pulizia certamente Pacciani poteva essersi dimenticato di qualcosa, anche perché gli inquirenti avevano continuato a battere la pista sarda, e lui poteva aver abbassato un poco la guardia. Ma ecco che all’improvviso tutto cambiò.

Ma, mentre il trascorrere dei tempo e lo svariare delle indagini verso altre piste lo rassicurava, facendo scemare ogni residua preoccupazione, nella sua vita si era verificato all'improvviso un evento, per lui malaugurato ed imprevedibile, che aveva cambiato inaspettatamente il corso degli avvenimenti: il 30 maggio 1987, su ordine di cattura dei Procuratore della Repubblica di Firenze, era stato arrestato per i delitti continuati di violenza carnale, atti di libidine ed altro nei confronti delle figlie minori.
Pacciani resta in carcere ininterrottamente fino al 6 dicembre 1991: più di quattro lunghi anni di detenzione che segnano per lui, indubbiamente, una frattura netta con il mondo in cui era vissuto, con le persone che frequentava, con le cose che lo circondavano. Un periodo dunque in cui egli forzatamente è costretto ad interrompere i contatti con l'ambiente a lui noto e nel corso del quale viene anche inquisito per i reati di porto e detenzione illegale di armi e munizioni e sottoposto a due interrogatori da parte del Pubblico Ministero (in data 6.7.1990 e 27.11.1990), l'ultimo dei quali verte, in maniera quasi esclusiva, sui fatti relativi al duplice omicidio in danno dei giovani francesi. Si spiega allora come l'attenzione del Pacciani si sia concentrata su quest'ultimo fatto di sangue in relazione al quale l'alibi che egli aveva fornito si mostrava sempre più traballante e la sua responsabilità sempre più evidente. Lo dimostra […] la redazione ripetuta di quella sorta di "fogli di lumi" in cui in maniera nascosta e quasi criptica egli cerca di condensare i fatti relativi a quel delitto e i capisaldi della sua difesa.

Pacciani venne arrestato per la questione delle figlie, e mentre era in carcere iniziarono le indagini sulla sua attività di assassino. Secondo la sentenza, lui avrebbe cercato di correre ai ripari, come dimostrato dai suoi appunti relativi alla ricerca di un alibi per il delitto del 1985. Ma a casa sua ci doveva essere qualcosa di compromettente da togliere di mezzo. Ed ecco la lettera d’istruzioni per la moglie, fattale pervenire attraverso l’amico Mario Vanni, perfettamente consapevole di quello che stava facendo e perciò reticente nel non volerlo raccontare.

È in quel periodo poi che si verifica l'episodio raccontato dal teste Nesi Lorenzo, che una sera, mentre il Pacciani era ancora in carcere, si vide capitare il Vanni Mario il quale con fare concitato lo aveva pregato di portarlo immediatamente a Mercatale dalla Manni Angiolina, alla quale doveva recapitare con urgenza una lettera da parte dei marito. Narra il Nesi che il Vanni aveva insistito dicendogli che doveva portarlo in tutti i modi e che nella lettera il Pietro trattava di fatti gravi, di cose bruttissime per le quali egli doveva parlare con la Manni. Non è certo privo di significato che sul punto il Vanni  abbia reso una deposizione reticente e mendace, cercando di eludere le domande sul contenuto della lettera e di sminuirne la portata, confermandone così indirettamente l'importanza.

Ma evidentemente quella lettera non era servita, o non era bastata. La sentenza prosegue nel proprio ipoteticissimo scenario, mettendoci dentro altri fatti interpretati con evidente malevolenza.

Sta di fatto poi che, appena scarcerato, il 6 dicembre 1991, il Pacciani si precipita a sbarazzarsi di qualcosa di evidentemente compromettente per lui: è il misterioso episodio, avvenuto circa una settimana dopo, narrato dalle testi Mecacci Lucia e Lalletti Santina in Mecacci, madre della prima che abitavano a Mercatale in piazza dei Popolo, sopra all'appartamento dove il Pacciani era andato a stare con la moglie subito dopo la scarcerazione. Le testi riferiscono di aver sentito dei rumori di primo mattino, verso le 6.30 o anche prima, mentre era ancora buio. Affacciatesi alla finestra avevano visto alla luce dei lampioni il Pacciani il quale, con fare concitato, metteva sulle spalle della moglie un grosso involucro avvolto in una coperta, qualcosa di simile ad una grossa caramella, dicendole: “Pena poco, moviti, fai silenzio, stai zitta!”. Si erano poi diretti assieme verso il cassonetto percorrendo la strada a quell'ora deserta. Nella tarda mattinata le due testi erano andate al cassonetto ed avevano visto l'involucro depositato dal Pacciani: toccandolo avevano sentito una superficie dura; non avevano insistito anche perché avevano avuto paura per quel che si andava dicendo sul conto dell'imputato.

Come si vede, siamo in presenza di un incredibile concentrato di illazioni, in cui l’infinita cultura del sospetto del giudice di primo grado dipinge scenari nei quali niente è dimostrato. Vengono messi uno accanto all’altro tanti elementi di per sé spiegabili in tutt’altro modo, o comunque ritenuti indizianti quando indizianti non lo sono affatto. È il caso per esempio degli appunti sull’alibi per Scopeti, del tutto plausibili anche per un innocente che comunque deve difendersi, e dell’involucro depositato nel cassonetto di prima mattina, contenente chissà quali cianfrusaglie, delle quali Pacciani ragionevolmente voleva liberarsi senza avere addosso gli occhi della gente. E, quel che qui interessa, la lettera, sul cui contenuto si evitò accuratamente di approfondire quanto aveva raccontato Vanni in istruttoria, e che avrebbe potuto spiegare sia le sue reticenze, sia il silenzio di Pacciani.

Una ragionevole ipotesi. Abbiamo visto che l’esistenza della lettera era stato lo stesso Vanni a svelarla, nell’interrogatorio del 10 luglio 1991, il suo secondo, prima che ne parlasse Nesi il successivo 8 novembre. Non sono note testimonianze antecedenti nelle quali qualcuno ne avrebbe raccontato, quindi bisogna subito chiedersi il perché Vanni avrebbe tirato in ballo tale argomento se fosse stato in grado di comprometterlo. Il semplice buonsenso dovrebbe dirci che il contenuto della lettera non poteva riguardare alcunché di rilevante sotto il profilo penale. È comunque indubbio che Vanni non l’aveva raccontata tutta, ma qualcosa sì, l’aveva raccontata. Partiamo da questo, e vediamo dove è in grado di portarci.
Nella lettera Pacciani avrebbe chiesto a Vanni di cercare una donna in grado di testimoniare a proprio favore per la questione delle figlie; una donna abitante fuori San Casciano, della quale avrebbe scritto il nome ma che Vanni disse di non ricordare. È plausibile una storia simile? Poteva trattarsi di una donna con cui sia Vanni sia Pacciani avevano intrattenuto una relazione, e che avrebbe dovuto dimostrare, almeno nelle intenzioni di Pacciani, che lui aveva normali rapporti con donne adulte – “Sono un uomo perfetto”, avrebbe detto anni dopo, il 18 ottobre 1994, nel suo celebre monologo al processo –, e quindi non avrebbe avuto bisogno alcuno di insidiare le proprie figlie. Ed è anche facile ipotizzare chi poteva essere questa donna: Antonietta Sperduto, che non a caso abitava in via di Faltignano 5/A, quattro chilometri a nord dal centro del paese, quindi “fuori”. Lo stesso Vanni aveva raccontato della relazione intrattenuta con lei da entrambi, come si legge nel verbale del 10 luglio 1991.

Per completezza intendo precisare i miei rapporti con il PACCIANI: con costui andavo a fare merende ed a bere vino nelle osterie di San Casciano, Vadigondoli, Cerbaia, Montespertoli e paesi limitrofi. Io e lui ma separatamente, facevamo all’amore con una donna di Sambuca, Antonietta, vedova MALATESTA, il cui marito, Renato, ho saputo essersi impiccato. Io sebbene avessi acquistato in un negozio di Firenze un fallo di gomma unitamente al Pacciani, non portavo tale oggetto ai convegni amorosi con la Antonietta che abitava in una casa isolata. Ricordo che l’Antonietta era esperta in molti giochi amorosi.

Ora c’è naturalmente da chiedersi per quale motivo Vanni non aveva detto che la donna della lettera era proprio la Sperduto. Qui dobbiamo tener presente il suo comportamento sempre poco razionale, come sarebbe emerso anche in seguito, caratterizzato da inutili reticenze che finivano sempre per ritorcerglisi contro. In quel frangente suo precipuo intento doveva essere quello di allontanarsi il più possibile dalla figura di Pacciani, a causa del quale aveva appena subito una perquisizione domiciliare, e nella sua testa il dire di aver letto appena e subito cestinato la lettera, era in linea con tale intento: “Io però ritenni di cestinare subito la lettera perché, dopo il suo arresto, non volevo più avere nulla a che fare con il PACCIANI. Pertanto non sono in grado di ricordare CHI FOSSE LA DONNA da lui indicata e dove questa abitasse”.
Anche l’andare subito dall’Angiolina rientra nel quadro della plausibile reazione di un soggetto in preda alla paura di essere coinvolto nei guai dell’ex amico. Al tempo Pacciani non era indagato per la questione del Mostro, ma per Vanni anche le sole accuse per le figlie e la relativa carcerazione dovevano essere state sufficienti ad allarmarlo. L’urgenza di andare dall’Angiolina – forse lo stesso giorno in cui aveva ricevuto la lettera – si può spiegare con il bisogno di una persona ansiosa di chiamarsi fuori subito da una situazione percepita come pericolosa (e a conti fatti non si può dire che l’intuizione non fosse stata giusta). Insomma, attraverso il colloquio con Angiolina, Vanni intendeva far sapere prima possibile a Pacciani che con lui non voleva aver più niente a che fare.
Riguardo le minacce riferite alla Mazzei, addirittura di morte, c’è da dire che Pacciani potrebbe sì aver accompagnato le proprie richieste con qualche energica sollecitazione, che però nel racconto di Vanni alla parente doveva essere stata esagerata.
Da par suo Pacciani non negò della lettera, ma anche lui non la disse tutta su quanto conteneva, cercando di farla passare come un invito alla moglie a rispondere alle sue lettere. In questo caso va tenuto presente che l’individuo non aveva ammesso la propria relazione con la Sperduto, che era stata portata in aula a testimoniargli contro, quindi se la donna da cercare fosse stata lei è comprensibile che avesse evitato di raccontarlo.

Addendum: in un suo intervento il lettore Kozincev mi ha fatto notare come nel SIT del 22 novembre 1991 Laura Mazzei avesse attribuito le minacce di morte contenute nella lettera a presunte responsabilità di Vanni nella condanna subita da Pacciani per le molestie alle figlie. Vanni era forse stato chiamato a testimoniare in quel procedimento? Oppure si era rifiutato di testimoniare quello che Pacciani avrebbe voluto? Non lo sappiamo; certo però è che il passo di questo verbale contribuisce non poco a confinare la questione della lettera nell'ambito di quel solo procedimento, senza attinenza alcuna con quello successivo riguardante le accuse per i delitti delle coppiette.

Nella seconda parte vedremo come la lettera entrò nell’inchiesta successiva.

Segue

25 commenti:

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    1. Cominci a riflettere sul fatto che fu Vanni per primo a parlare della lettera. Perché, se tale lettera fosse stata compromettente? Considerando questo, quale è la sua spiegazione dell'essersi infilato nel ginepraio?
      Riguardo il motivo del suo essere impaurito e voler andare subito dalla Manni (a mio parere per dirle che lui non voleva aver niente a che fare con il marito, non della donna), ho già dato una mia spiegazione, che naturalmente non mi sogno nemmeno che lei accetti. Del resto le paure di Vanni erano ben motivate, visto come è finita per lui. Purtroppo il suo destino era già segnato.
      Che una mia ipotesi sia cambiata una volta avuti sottomano i verbali che non avevo lo ritiene una colpa così grave? Meglio le sue ipotesi che non cambiano mai neppure di fronte all'evidenza?
      Infine, la maldicenza del chiacchierone Nesi è sotto gli occhi di tutti, a parte i suoi. Riguardo la lettera, vedremo come le "cose gravi" si sarebbero trasformate poi in "fatti di sangue". Se non è maldicenza questa, mi dica lei che cos'è la maldicenza. Del resto gli esempi si sprecano, verbali e deposizioni alla mano, ma certo voglia di farglieli notare senza alcuna speranza di risultato non ne ho per niente.

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    3. Vedo che lei evita accuratamente di fornire una spiegazione alla domanda che già faccio nell'articolo e che ho ripetuto nel mio intervento conseguente al suo: se la lettera conteneva materiale compromettente, perché Vanni stesso ne parlò per primo agli inquirenti?
      Ma non solo, al momento in cui l'aveva ricevuta ne avrebbe messo a conoscenza mezza San Casciano, Nesi, la Mazzei e altri, come vedremo nella seconda parte. Lei dice che Vanni non era del tutto rimbambito, ma allo stesso tempo descrive il comportamento di un uomo che invece rimbambito sarebbe.
      Riflettendo su argomenti come questi, l'ipotesi che dentro la lettera ci fossero state istruzioni relative alla vicenda del Mostro, addirittura di uccidere qualcuno, come vedremo nella seconda parte, è del tutto ridicola. Non è affatto ridicola la storia della donna, o meglio, può anche essere giudicata ridicola, ma non perché fosse falsa. Secondo lei Vanni avrebbe preso l'inziativa di confessare di aver ricevuto una lettera da Pacciani inventandosi che conteneva quel tipo di richiesta? E poi non sarebbe un uomo rimbambito?
      Riguardo Nesi, se le fosse sfuggito la invito a leggere il quadretto dipinto da Liliana Elisei, testimone oculare:

      Ma poi c’è il playboy, il gagarone nostrano “Il Gano, il duro di San Frediano” di buona memoria. Perché in tal modo si è acconciato per venire a deporre. Sale spavaldo i quattro gradini, si accomoda con gesti studiati che vogliono essere eleganti, disinvolti, maniche della giacca rivoltate onde mostrare orologio e ori e poi l’effetto. Signori della Corte e no, l’effetto del giallo intenso della maglietta dal collo riverso su quello della giacca blu! Chissà quante prove davanti allo specchio: VERRÒ BENE, VERRÒ MALE alla tivù…

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    5. Bene Marletti, la lascio volentieri alle sue convinzioni, se non altro libero da eventuali rimorsi per avergliele incrinate.

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  2. Interessantissimo, perché i verbali di Vanni non li avevo mai letti, li conoscevo solo per riassunto dal noto volume.
    A parte questo, andando indietro di due anni dal 1991, se Vanni dice il vero, pur non essendo sicuro, sulla data, arriveremmo al 1989, quando PP era già condannato, ma non ancora (almeno ufficialmente) indiziato dei delitti MdF. Quindi, Vanni avrebbe ignorato e distrutto la lettera perché non voleva aver più nulla a che fare con PP per il fatto delle figlie, per senso morale o perbenismo che dir si voglia. Se ho capito bene la tua ricostruzione.

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    1. L'hai detto. In un paese piccolo essere amico di un individuo finito in galera per aver insidiato le proprie figlie credo che non sarebbe piaciuto a nessuno. Ma si può anche parlare del cosiddetto sesto senso, con Vanni che aveva sentito odore di guai fin da subito. E aveva sentito bene.

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  3. Scusate ma io in questa vicenda vedo una gran confusione. Secondo quello che disse l'avvocato Corsi nel dicembre 1997, la sua ricostruzione della vicenda faceva risalire la lettera al 1991 (ma negava di averla vista e che Vanni gliene avesse mai parlato).
    Se ci fidiamo delle parole di Vanni, la lettera era invece del 1989: e Vanni se ne sarebbe subito sbarazzato. Eppure non fu solo Nesi a vedere Vanni con la lettera, se Lotti ricordava di averlo consigliato di rivolgersi a un avvocato.
    Chiedo scusa se anticipo un argomento che forse sarà trattato nella seconda parte dell'articolo, ma non è chiaro neppure se la lettera fosse una o più d'una: Ricci ricordava due lettere (Sit del 27 novembre '95) e la cosa sembrerebbe confermata da Lotti nell'incidente probatorio (ma in maniera che definire confusa è un eufemismo).
    Mi sembra francamente ingeneroso definire Nesi colui che più di tutti contribuì a mandare Vanni all'ergastolo: Rontini ebbe un peso maggiore, e i due veri carnefici furono ovviamente Lotti e Pucci.
    Giusta l'osservazione relativa al disinteresse di Canessa e Ognibene per la storia della donna che Vanni avrebbe dovuto cercare, che risultava dai verbali (e che almeno Canessa doveva senz'altro conoscere, se li richiamò nelle contestazioni). Quello che è curioso è che anche nel controinterrogatorio di Bevacqua e Fioravanti al teste non c'è alcun riferimento alla donna, come se il particolare fosse sfuggito a tutti o nessuno avesse dato alcun peso alle parole di Vanni.

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    1. Pesare il contributo dell'uno rispetto a quello dell'altro è difficile, ognuno credo debba farsi la propria opinione.
      Per il resto meglio attendere la seconda parte, dove apparirà chiaro il gioco sporco degli inquirenti nel far diventare due le lettere.

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    2. Attendo volentieri, ma avendo visto comparire nella discussione (non da te) la testimonianza di Lotti, con un po' di preoccupazione :-)

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  4. Credo che non si possa prescindere da una valutazione di tutte le testimonianze, compresa quella di Lotti, ovviamente. Solo un confronto tra le parole di tutti i protagonisti può consentire di trarre delle conclusioni.
    In attesa del seguito, vorrei aggiungere qualcosa a proposito di Vanni. Nello stesso interrogatorio nel quale tirò fuori spontaneamente la storia della lettera e della donna che Pacciani gli aveva chiesto di contattare, parlò anche della Sperduto. Ora, se Vanni non ricordava chi fosse la donna della lettera, si sarebbe portati a credere che non si trattasse della Sperduto. O che Vanni fosse totalmente rimbambito già allora.
    Credo che Vanni fosse contemporaneamente succube di Pacciani, in forte soggezione nei confronti degli inquirenti e vittima delle chiacchiere dei suoi compaesani. Di qui le tante contraddizioni e la difficoltà di ricostruire con precisione i fatti.

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    1. Allo stato delle conoscenze, chi altri avrebbe potuto essere questa donna se non la Sperduto? Non credo che Pacciani si sarebbe rivolto a Vanni per contattare un tipo di donna differente da una prostituta, o comunque da un soggetto con il quale entrambi avevano intessuto una relazione, per quello aveva il suo avvocato.
      Sul perché Vanni non volle farne il nome, bisognerebbe essere stati nella sua testa, il che è impossibile.
      Già al processo Pacciani era stato chiaro che il soggetto non aveva alcuna capacità razionale di difendere sè stesso, della qual cosa approfittarono senza alcun ritegno sia Canessa sia Ognibene per inquadrarlo in un contesto a loro favorevole. Ma ancor più apparirà chiaro questa incapacità nelle trascrizioni degli interrogatori successivi, sulle quali sto lavorando e che metterò a disposizione appena avrò finito. Si assisterà addirittura al tentativo del suo avvocato Pepi di indurlo a parlare a sua discarica. Si comprenderà che le irrazionali risposte di Vanni vennero interpretata a senso unico in chiave colpevolista, mentre invece non erano altro, a mio parere, che la manifestazione di una personalità fuori sincrono e di una mente già in preda ai primi sintomi di una malattia degenerativa.
      Che l'atteggiamento di chi lo interrogava era tutt'altro che limpido secondo me lo dimostra l'assoluta mancanza di domande su questa donna che avrebbe dovuto cercare. Perché non si volle saperne di più? Si temeva di non trovarlo reo?

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    2. Poiché Vanni ha dato prova di scarsa lucidità e scarsissima razionalità, è senz'altro possibile che la donna fosse la Sperduto.
      Le sembro troppo malizioso se dubito che Vanni abbia parlato spontaneamente della lettera e dei rapporti con la Sperduto? Sappiamo che un anno prima Vanni aveva negato di aver mai frequentato donne con Pacciani. Avendo sempre mostrato una certa ritrosia a parlare, non è strano che abbia tirato fuori da sé la lettera e la relazione con la Sperduto?
      Nel luglio del '91 Vanni era già attenzionato da un annetto, su Pacciani si indagava a tempo pieno da un bel po'. Non è possibile che agli inquirenti fosse giunta voce della lettera e ne abbiano chiesto spiegazioni a Vanni? Purtroppo dei verbali c'è poco da fidarsi.

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    3. Senz'altro è possibile, ma si potrebbe anche pensare che, a fronte dell'insistenza degli inquirenti che volevano a tutti costi qualcosa, qualcosa Vanni abbia dato.
      In ogni caso rimane il problema di spiegarsi il perché Vanni avrebbe tirato fuori la storia della donna. A questo punto la domanda la faccio io a lei: ritiene che il soggetto avrebbe potuto inventarsela? Non le pare abbastanza difficile, visto la sua natura, diciamo, poco usuale?

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    4. Non credo che Vanni abbia inventato la storia, ma potrebbe aver fatto confusione con le date. In effetti nel 1989 la condanna di Pacciani era ormai passata in giudicato: o la vicenda giudiziaria non si era ancora conclusa (e quindi la lettera era più vecchia) oppure Pacciani, esasperato dal carcere, cercava qualunque appiglio per venirne fuori. Tutto è possibile, in effetti. Se poi ci fu o meno una seconda lettera, aspetto la sua ricostruzione complessiva per capirlo.
      Avrà notato anche lei che neppure i legali di Pacciani pensarono di approfondire l'argomento, che avrebbe potuto sgonfiare il caso della lettera.
      Pacciani, preoccupato di difendere la sua immagine ormai compromessa e di accreditarsi come un uomo "perfetto, come tutti gli altri", quindi senza perversioni, negò in tutti i modi di aver frequentato e addirittura conosciuto la Sperduto. Avrebbe dato prova di un masochismo micidiale, ma non sarebbe l'unico caso e quindi non posso escluderlo.

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    5. Sapere quali fossero stati gli intenti di Pacciani con la sua richiesta a Vanni di contattare la Sperduto (sempreché si fosse trattato di lei, poiché c'è anche la possibilità dell'esistenza di un'altra donna frequentata dai due e della quale non si è mai saputo niente), è difficile dirlo. Poteva anche soltanto volerlo far sapere all'Angiolina, ma qui bisognerebbe riesaminare le dinamiche del loro rapporto mettendo anche in discussione le insidie sulle figlie, alle quali alcuni non credono.
      In ogni caso, se tale donna fosse stata la Sperduto, durante il processo successivo ormai Pacciani aveva tutto l'interesse a starle lontano.

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    7. Lei Marletti mette sempre in discussione le ipotesi degli altri evitando accuratamente di fornirne di alternative. Cosa vuole che le dica, vada avanti per la sua strada, contento lei...

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    9. Mi spieghi perché Vanni avrebbe preso l'iniziativa di raccontare, per primo, della lettera inventandosi la storia della donna da cercare. Il tutto faceva parte di un diabolico piano, che lei dovrebbe spiegare, oppure l'uomo era totalmente rimbambito, dal che deriverebbe qualche conseguenza non indifferente. Mi dica.

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  5. Prima di tutto c è da dire una cosa...
    Quale pazzo dal carcere scriverebbe ad un destinatario qualcosa inerente a omicidi....pistole...."fatti do sangue "ossia scriverlo su una lettera che poteva essere letta dagli inquirenti o da terze persone??
    4 anni fa fui a san casciano e parlando con alcune persone del posto usci' il discorso della lettera
    Pacciani era incazzato con Vanni xche aveva saputo che si scopava la moglie!!

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  6. Buonasera sig. Segnini
    Non vorrei apparire petulante e noioso, ma mi sembra che abbia apprezzato una mia precedente segnalazione circa la parentela della Laura Mazzei con la madre di Mario Vanni. Le segnalo quindi ancora che lo stesso errore è ripetuto nell’art. “La lettera di Pacciani a Vanni (1)” dove la Mazzei viene citata come cugina della madre di Vanni, mentre invece cugina lo era sua madre.
    Rinnovo i complimenti per il suo prezioso lavoro e le porgo i più cordiali saluti
    Cesare

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    1. Grazie un'altra volta, Cesare, per la sua segnalazione, domani provvederò a correggere.

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