Posto a capo della Squadra Mobile da Pier Luigi Vigna con il preciso compito di individuare i
presunti complici di Pacciani (15 ottobre 1995), Michele Giuttari si prese un po’ di tempo per
leggere le carte di una vicenda a lui quasi del tutto sconosciuta. Mancavano appena tre o quattro mesi al processo d’appello dove, ormai era
chiaro, l’imputato sarebbe stato assolto, con gravi ripercussioni sul prestigio
della Procura. Il lavoro era improbo, poiché l’investigatore doveva non
soltanto impadronirsi della materia leggendo l’enorme mole degli atti presentati
al processo di primo grado, ma anche trovare nuovi spunti per l’obiettivo
che gli era stato assegnato; e quelli potevano con maggior probabilità venir fuori dalla non meno
voluminosa documentazione trascurata quando si cercava il responsabile unico.
Il 4 dicembre Giuttari presentò
il proprio rapporto a Vigna, il quale sembra ne rimanesse assai soddisfatto, dopodiché
si mise al lavoro sul campo. E due giorni dopo, al primo interrogatorio di uno dei "testimoni dimenticati", fece subito capire chi era.
Da Repubblica del 7 dicembre 1995:
Sei ore chiusa in una stanza della questura.
Sei ore di domande, lettura di vecchi documenti, ricordi che diventano sempre
più nitidi. Un interrogatorio fiume. Che lancia l'inchiesta infinita sul mostro
di Firenze ancora una volta sulla ribalta. Un ritorno che ha come protagonista
una misteriosa donna sui trent'anni, una testimone preziosa, già sentita in
passato da poliziotti e carabinieri, ma assente al processo. Una testimone che
potrebbe offrire nuovi impulsi, indizi, particolari. Tutto ad un mese e mezzo
dall'inizio del processo d'appello a Pietro Pacciani, condannato all'ergastolo,
nel '94, per sette degli otto duplici delitti del maniaco delle coppiette. È la
conferma: la polizia cerca possibili complici di Pacciani. La convinzione che
il contadino di Mercatale possa aver ucciso e mutilato le sue vittime da solo
vacilla, ed ecco le nuove indagini a caccia di chi potrebbe averlo aiutato.
La testimone, bruna, capelli corti, sui
trent'anni, è arrivata in questura alle 9.30, accompagnata dal suo avvocato,
Aldo Colao. "Non posso dire niente, scusate ma non posso. Devo rispettare
il segreto istruttorio" spiegherà l'avvocato ai giornalisti, al termine
dell'interrogatorio. I due sono entrati nell'ufficio del capo della squadra
mobile, Michele Giuttari, e dopo qualche minuto, nella stanza sono stati
raggiunti dai poliziotti più anziani della squadra antimostro, e da una vecchia
conoscenza dell'inchiesta: Ruggero Perugini, ex capo della squadra antimostro,
il primo a seguire la pista che ha portato alla condanna in primo grado di
Pacciani. Perugini dal '92 lavora a Washington, come ufficiale di collegamento
con l'Fbi. Da allora non aveva più partecipato all'inchiesta. Era tornato in
Italia per raccontare la sua verità al processo, ed aveva pubblicato anche un
libro sull'indagine che aveva scatenato polemiche. Ieri, il ritorno.
Nel lungo interrogatorio la donna avrebbe
raccontato nuovi particolari sull'ultimo degli otto duplici delitti del mostro:
quello della coppia di francesi, Jean Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot,
massacrati nel 1985. Circostanza importante: perché proprio parlando di questo
duplice delitto nella sentenza che condannava Pacciani, il presidente della
corte d'Assise dedicava un riferimento ad un "misterioso complice" .
La misteriosa donna bruna altri
non era che Sabrina Carmignani, il cui nome, al momento ancora pressoché
sconosciuto ai media, sarebbe diventato presto assai noto. Nel 1985 la
Carmignani era una ventenne che la domenica pomeriggio nella quale si riteneva
fossero stati uccisi i due francesi si era avvicinata alla tenda in auto con il
proprio ragazzo. Dalla sua testimonianza, raccolta e verbalizzata dai
carabinieri il giorno successivo, si poteva anche trarre il sospetto che i
poveretti fossero già morti quando era arrivata lei. In ogni caso questa era
stata la sua impressione, come si arguisce anche da quanto aveva riferito a un giornalista (“La Città”, 10 settembre 1985): “siamo
rimasti lì per poco tempo, perché io avvertivo un’aria strana, inquietante”.
Al processo di primo grado contro
Pacciani la testimone non era stata convocata, poiché né accusa né difesa
avevano interesse a modificare la data del delitto (neppure la difesa,
nonostante quanto ne avrebbero scritto anni dopo Spezi e Filastò, si veda qui).
Anche a Giuttari la questione non interessava, però le vecchie dichiarazioni
della Carmignani riportavano qualche altra notizia invece appetibile per la
nuova pista dei complici, soprattutto se affiancata a quelle dei coniugi De
Faveri-Chiarappa sulla macchina rossa vista ferma per ore sotto la piazzola. Dal verbale del 1985:
Verso le ore 17,30 di ieri otto corrente,
unitamente al mio fidanzato [...] ci siamo recati agli Scopeti, nel punto in
cui sono stati rinvenuti i cadaveri di due persone in data odierna. […] Siamo
andati via dal posto dopo circa una mezz'ora dall'arrivo. Mentre stavamo andando
via è arrivata un'altra autovettura con una persona a bordo. Era una macchina
tipo la Regata, ma si trattava di un'auto che non so descrivere, anche perché
non ho dato importanza alla cosa.
Molte altre volte, sempre col mio fidanzato e
con altri amici, ci siamo recati nel posto di cui sopra. In qualche circostanza
ho notato delle macchine con a bordo una sola persona, di sesso maschile. Ciò a
tarda notte, verso le ore 1.00 – 2.00.
Molto spesso si notano nella zona del delitto
uomini da soli a piedi, i quali, quando vedono i fari delle macchine, si girano
di spalle per non farsi riconoscere. Ora che ricordo ho notato molte volte uno
di San Casciano, un tipo strano, che fuma la pipa, taciturno, il quale frequenta
molto la Casa del Popolo.
Se lo vedessi, sarei in grado di riconoscere
quell’uomo. Ora che ricordo lo chiamano “Seghe-Seghe”, comunque facilmente
rintracciabile.
Come si vede, nel verbale
compaiono elementi (auto, persone), probabilmente all’epoca non approfonditi, che potevano anche far pensare a un'attività di perlustrazione preventiva da parte di qualche fiancheggiatore. Ma che cos'altro poteva sapere dei fantomatici complici di Pacciani una ragazza che
era rimasta appena per mezz’ora vicino alla tenda assieme al proprio fidanzato?
Come poteva il suo interrogatorio essersi protratto addirittura per sei ore?
Un’idea possiamo farcela attraverso la lettura di due articoli usciti sulla
Nazione del 7 dicembre, stessa data di quello di Repubblica ma contenenti ben
altri particolari. La firma è quella di Amadore Agostini, cronista sempre molto ben
informato su quanto accadeva in Questura e in Procura e sempre molto d’accordo
con gli investigatori. È il caso di leggerli entrambi, sopportandone le
inevitabili ripetizioni.
Partiamo dal primo, in cronaca nazionale,
dal titolo “Mostro,
ora spunta una supertestimone”:
Ieri nell’ufficio del capo della Mobile
fiorentina, Michele Giuttari, è stata ascoltata per oltre sei ore una misteriosa
ragazza, la cui identità è stata tenuta assolutamente segreta dagli
investigatori. Una testimone che aveva già raccontato la sua storia, pare nel
1985, in istruttoria e che, però, non era mai stata portata al dibattimento.
Allora perché tutto questo riserbo? Forse perché una attenta rilettura degli
atti processuali, anche di quelli che non sono mai entrati in aula, ha offerto
alcuni nuovo spunti investigativi. La ragazza a suo tempo avrebbe raccontato di
aver notato una persona del posto aggirarsi nei paraggi degli Scopeti poche ore
prima dell’omicidio della coppia di francesi l’8 settembre 1985. Si scoprirà
più in là negli anni che quell’uomo era un “compagno di scorribande” del
Pacciani, ascoltato anche al processo. Una testimonianza “dimenticata” e che in
oltre sei ore è stata puntualizzata. […]
Iniziato alle 9,45 di ieri mattina, l’interrogatorio
si è protratto senza interruzioni fino a metà pomeriggio ed è stato costellato
da momenti drammatici. Alla vista di certe immagini che la polizia le ha
mostrato per inquadrare la scena del delitto, la ragazza è rimasta shoccata.
Ecco invece l’articolo nelle
pagine della cronaca fiorentina, dal titolo ben più impegnativo: “Ho visto Pacciani.
E non era solo”:
Sei ore di interrogatorio, dalle 9.30 del
mattino alle 16.15 di ieri pomeriggio. A tratti anche drammatico. La tensione
nell’ufficio del nuovo capo della Squadra Mobile, Michele Giuttari, ha
raggiunto punte altissime: la testimone è uscita sconvolta. Ha dovuto frugare
nei ricordi di dieci anni fa, ha dovuto tirar fuori episodi ormai sbiaditi. Ma
la sua testimonianza era troppo importante per inquadrare l’ultimo omicidio
attribuito al maniaco delle coppiette, quello dei due ragazzi francesi uccisi
l’8 settembre 1985 agli Scopeti di San Casciano. La ragazza infatti avrebbe
messo a verbale allora un racconto che suonava all’incirca così: ho visto un
tale (risulterà essere uno dei “compagni di merenda” di Pacciani) proprio sul
luogo dove poche ore più tardi i due ragazzi sarebbero stati trucidati.
Da una attenta rilettura non solo delle carte
processuali ma anche di quelle che in aula non sono finite mai, erano saltati
fuori alcuni buchi neri che Giuttari sta tentando di riempire. E questo è uno
di quelli. È stata definita “normale attività investigativa” dal capo della
Mobile che non ha voluto neppure confermare che si trattava dell’indagine sul
mostro di Firenze. Ma, secondo le indiscrezioni, la ragazza, sentita alla
presenza del suo legale di fiducia, l’avvocato Aldo Colao, parte civile al
processo Pacciani per la famiglia Mainardi, avrebbe puntualizzato un racconto
già fatto. E pare addirittura in epoca non sospetta. Ecco dunque che la sua
testimonianza assume un valore ancora maggiore. Certo per lei non è stato
facile rivedere le foto di quei luoghi, lo scempio fatto dal maniaco su quei
poveri corpi. Ma era necessario per gli investigatori recuperare una
testimonianza evidentemente piuttosto importante.
L’appassionato della vicenda sa
benissimo che Sabrina Carmignani non aveva visto nessun “Compagno di merende”
quel pomeriggio attorno alla piazzola di Scopeti, almeno non quello “ascoltato anche al
processo” ( leggasi: Mario Vanni). Dunque Agostini aveva condito i
suoi articoli di clamorose invenzioni personali? Non sembra possibile, data la sua
nota vicinanza agli ambienti investigativi.
Quasi due mesi dopo, quando ormai
il destino di Vanni appariva segnato (aveva appena ricevuto un avviso di
garanzia), Agostini ritornò sull’argomento, aggiungendo almeno
un paio di notizie interessanti. Dalla Nazione del 25 gennaio 1996:
Ruggero Perugini arriva precipitosamente a
Firenze nel segreto più assoluto. Incontra solo Giuttari, la pubblica accusa,
un terzetto di fidatissimi. Ecco che lo stesso investigatore, ora ufficiale di
collegamento della Dia con l’Fbi, si precipita a precisare di essere in città
per affari strettamente personali. Eppure lo incontrano a una cena alla quale
prende parte un legale di parte civile del processo e qualche altro personaggio
che ruota attorno alla vicenda del mostro. La mattina seguente è sempre Ruggero
Perugini a partecipare attivamente all’interrogatorio di una super test
dell’85. È lui che fa domande che “consiglia” parte del verbale. La ragazza è
un altro colpo di scena. Il lunedì 9 settembre del 1985, e di nuovo pochi
giorni più tardi, era stata ascoltata come testimone dal maresciallo Oggiano
dei carabinieri del reparto investigativo di Firenze. Un riassunto di questo
interrogatorio compare sulla Nazione. Una manciata di giorni più tardi la ragazza
riceve una lettera anonima. Una lettera strana, di minacce inquietanti e
contenenti alcuni riferimenti “fastidiosi”. Allora della lettera furono
informati gli investigatori che non la presero in considerazione e la cosa morì
lì. La ragazza però non si sentì per nulla tranquilla e si rivolse ad una
agenzia di investigazione che però non approdò a nulla. Anzi, riuscì a
pasticciare ulteriormente la vicenda. A distanza di oltre dieci anni però la
storia tornò fuori e, colpo di scena, la polizia si butta alla ricerca
disperata di quella lettera: “Potrebbe averla scritta il mostro che si è
sentito in pericolo per la testimonianza della ragazza. Oppure potrebbe essere
lo stesso anonimo dell’asta guida molla o quello che denunciò Pacciani il 19
settembre 1985”. Questo il commento più frequente.
Di quella fantomatica lettera anonima
non si è mai saputo niente, almeno a conoscenza
di chi scrive, quindi, se la notizia non era fasulla, si trattava comunque di una
falsa pista. Qualche domanda è invece necessario porsela sull’accenno alla cena
della sera precedente l’interrogatorio, cui avrebbe partecipato anche “un legale di parte
civile del processo”, che non poteva essere altri se non Aldo Colao. Già
la sua presenza in sede d’interrogatorio appariva poco giustificata, poiché la
Carmignani era una semplice testimone occasionale che nulla doveva temere
e quindi non aveva alcun bisogno di un avvocato. Piuttosto viene da pensare che il
suo ruolo vero fosse stato quello di legale della famiglia Mainardi, interessato quindi a dare una mano nell'inchiesta sul Mostro. D'altra parte lo lascerebbe immaginare anche la sua partecipazione alla cena della sera prima, dove evidentemente ci si era preparati al possibile clamoroso colpaccio d'inchiodare Vanni. Si tenga presente che le testimonianze di Ghiribelli, Pucci e Lotti erano ancora di là da venire, e in quel momento contro Vanni c'erano soltanto le poco affidabili dichiarazioni di Renzo Rontini di averlo visto a Vicchio fuori dal bar dove lavorava la figlia.
(segue)
molto interessante, mi ero sempre chiesto cosa c'entrasse Perugini e pensavo che la carmignani facesse confusione di date, invece è giusto così. aspetto con ansia il seguito.
RispondiEliminaSegnalo che non si riesce ad accedere al seguito dell'articolo.
RispondiEliminaGrazie, ho rimediato. L'articolo però è superato dal successivo
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