Il lettore ricorderà che la prova più significativa contro
Pacciani, forse a pari merito con il blocco “Skizzen Brunnen”, fu considerata
la cartuccia inesplosa calibro 22 trovata nel suo orto durante la nota
maxiperquisizione, tra il 27 aprile e l’8 maggio 1992. In realtà in quell’occasione
gli inquirenti erano speranzosi, se non addirittura convinti, di trovare la
pistola, e la cartuccia fu una specie di surrogato che la fortuna, oppure una
manina furbacchiona, aveva messo a loro disposizione non appena ci si era resi
conto che nella parte dell’orto dove Pacciani era stato visto scavare non c’era
proprio nulla. Una volta persa la speranza di trovare la famigerata Beretta, la
medesima fortuna – oppure la medesima manina furbacchiona – proseguì per quella
strada.
Il 25 maggio, a distanza di un paio di settimane dalla
fine della maxiperquisizione, i Carabinieri di San Casciano ricevettero una
lettera anonima con dentro un perno di metallo avvolto da due pezzi di stoffa
bianca a fiorellini verdi e il seguente testo vergato a mano in stampatello:
Questo è un pezzo della pistola
del Mostro di Firenze e sta' sulla Nazione: c'era la fotografia. Stava in un
barattolo di vetro stiantato (qualcuno lo à trovato prima di me) sotto un
albero a Crespello-Luiano – e’ si vede il tabbenacolo della vergine. Il
Pacciani andava lì e lavorava alla fattoria. Anche la moglie e la figlia grande
passeggiavan lì e’ sono grulle e’ fanno tutto quello e’ lui gli comanda se no
ne toccano. Il Pacciani è un diavolo e incanta i bischeri alla t.v. Ma noi lo
si conosce bene e lo avete conosciuto anche voi. Punitelo e Dio vi benedirà
perché un è un omo è una berva. Grazie.
Sul retro del
biglietto l’anonimo aveva disegnato una rozza piantina. Un controllo presso la
Beretta permise di identificare con precisione il piccolo oggetto: si trattava
dell’asta guidamolla utilizzata in alcuni modelli di pistola della serie 70
(quella del Mostro), un perno che va a inserirsi dentro la molla di recupero
del carrello otturatore per evitare che questa si pieghi mentre viene compressa
dalla forza dei gas del colpo esploso.
Seguendo le scarne indicazioni
dell’anonimo, si credette di poter individuare il punto del ritrovamento lungo
una strada poco fuori Mercatale, nei pressi di un tabernacolo, dove si
cercarono i pezzi del barattolo di vetro “stiantato”, senza fortuna, però. Altre ricerche
eseguite con il metal detector allargando la zona non portarono al ritrovamento di ulteriori componenti di pistola.
Se non
c’era modo di dimostrare che il perno provenisse davvero dalla Beretta del
Mostro, né che fosse stato nascosto da Pacciani, si poteva però sperare che i
due stracci in cui era avvolto fossero stati suoi, anche se l’anonimo non aveva
precisato da dove li aveva presi. E così domenica 31 maggio Ruggero Perugini si presentò con una
vaschetta di gelato sottobraccio nell’abitazione di piazza del Popolo, dove le
figlie di Pacciani rientravano da Firenze nei fine settimana. Ma lasciamo la parola allo stesso investigatore,
dal libro “Un uomo abbastanza normale”:
Il 31 maggio, la domenica
pomeriggio, decidiamo di andare a Mercatale per parlare con Rosanna e
Graziella. Ho scelto il dì di festa perché così le possiamo trovare tutte e
due. Ci fermiamo lungo la strada per comprare del gelato, ma non è per questo
che sembrano contente di vederci, poverine. Tutti noi vogliamo loro bene e
probabilmente lo sentono, non sono abituate alla gentilezza degli uomini.
Riccardo e Callisto, poi, hanno maturato una vera affezione per le due
ragazzine (continuiamo a considerarle tali anche se sono più che maggiorenni). E
non trovo più strano sentire il gelido, inflessibile Riccardo parlare loro con
la stessa voce che forse usa per raccontare le favole al figlio le rare volte
che riesce a metterlo a letto.
Ci accomodiamo in salotto,
chiamiamolo così, mentre Alessandro Venturini rimane in piedi sulla soglia,
appoggiato al tramezzo che divide quella stanza dalla cucina. No, a loro non
sembra di aver mai visto per casa una stoffa chiara a fiori verdi, però se ci
teniamo possono controllare. Sì, grazie,
ci farebbe piacere se dessero
un'occhiata in giro. Certo, però, a via Sonnino dove sta il Vampa non se la
sentono di andare. Sì, ci rendiamo conto, non fa niente, basta che cerchino
bene qui, magari anche negli sgabuzzini dove il Vampa tiene una parte della sua
attrezzatura. Anche in quel barile che sta giù in garage, fra i ritagli del
cuoio che lui conservava dopo aver ritagliato con i trincetti le suole per le
scarpe. Capito quale? Sì, sì, va bene, ma perché ci interessava saperlo? Niente
di importante, è uno dei molti accertamenti che dobbiamo fare.
Mentre le stiamo salutando
Alessandro emette un suono strozzato e accenna col braccio verso un punto della
cucina: «Dotto', ma non è come quella là la stoffa?».
Ci alziamo di scatto e usciamo
dal salotto. Accanto alla cappa della cucina, appeso a un chiodo, c'è un lembo
di stoffa bianca a fiori verdi. Sembra proprio quella.
«Ma che, quello strofinaccio? Lo
uso per asciugare i piatti. Ce n'è un monte di quelle pezze lì» dice Rosanna.
A quel punto le
ragazze raccontarono di un lenzuolo ricevuto in regalo da Graziella un paio
d’anni prima, dal quale avevano ricavato degli strofinacci, che subito si
misero a cercare trovandone alcuni in un sottoscala e uno nella credenza
del garage in uso al padre, subito consegnati ai loro ospiti. Le successive
comparazioni eseguite dalla Scientifica portarono alla certezza che la stoffa
era di tipo identico a quella che avvolgeva l’asta guidamolla.
Incoraggiati
dalla provvidenziale e fortunatissima scoperta, il 2 giugno gli inquirenti
tornarono a perquisire ufficialmente le proprietà del contadino, recuperando altri stracci tra cui un
secondo dalla credenza dove già ne era stato trovato trovato uno. E, guarda caso, proprio quello dette la prova definitiva
sull’appartenenza al lenzuolo anche di uno dei due trovati attorno all’asta
guidamolla, poiché si poté dimostrare la completa corrispondenza tra le fibre di
due dei loro lati sfrangiati. Quindi una volta i due pezzi facevano un tutt’uno.
Rispetto alla
cartuccia, sull’asta guidamolla esistono ancora meno dubbi che si sia trattato
di una prova costruita a tavolino. Tutto sa di falso, grossolanamente falso.
Innanzitutto sfugge il senso dell’operazione compiuta da Pacciani andando a
sotterrare quel perno di metallo: forse voleva disfarsi della pistola poco a
poco? Il compunto procuratore generale nel processo d’appello, Piero Tony, ci
avrebbe persino scherzato un po’ sopra durante la propria requisitoria. Da Repubblica del 6 febbraio 1996:
È un elemento di nessun valore indiziante. L'unica ipotesi è
che Pacciani abbia smembrato la pistola e ne abbia disseminato i pezzi. Ma
allora, se non si trattasse di fatti atroci, di dolori feroci, non avrei remore
a fare dello spirito e ad evocare una scena da Pantera Rosa. Dunque, Pacciani
invece di buttare la pistola la smembra, avvolge ogni singolo pezzo in
biancheria di casa, li mette in contenitori di vetro e poi li seppellisce nei
boschi. Mi pare di vederlo con la sua zappa in spalla. Ma come avrebbe potuto
fare tutto ciò se dal momento della sua scarcerazione, il 6 dicembre '91, è
stato sempre intercettato, controllato, pedinato?
Il lenzuolo era
stato regalato a Graziella mentre il padre era detenuto, e quindi
questi avrebbe potuto utilizzarlo soltanto a partire dalla propria scarcerazione, quando oramai
gli agenti della SAM gli stavano addosso, ed era impossibile eluderne il
controllo. Riesce altresì difficile pensare che in quei momenti di grande
pericolo il furbo contadino avesse ritagliato i due stracci proprio da un
variopinto lenzuolo i cui altri pezzi rimasti in casa avrebbero costituito una
prova a suo carico!
Riguardo
l’anonimo, non si comprende bene come avrebbe fatto ad associare un
insignificante pezzo di metallo trovato per terra sia con la pistola del Mostro
sia con Pacciani. La lettera faceva riferimento a un articolo pubblicato il 5
maggio sulla Nazione nel quale compariva il disegno di uno dei modelli di
Beretta 70 esploso in tutti i suoi componenti, più o meno simile a quello qui riprodotto.
C’era anche l’asta guidamolla,
numero 10 nella figura sopra; ma non si sa bene come un qualsiasi perno dotato di capocchia, lungo 6,5
cm e molto simile a un chiodo, avesse potuto far venire in mente a chi lo aveva trovato a terra quell'esploso di pistola, a meno che non si
fosse insospettito per aver visto Pacciani mentre lo nascondeva. Ma non pare
così, almeno stando a quanto si può dedurre leggendo la lettera, dove l’anonimo
racconta di aver trovato l’oggetto già dissotterrato da qualcuno. Se avesse
visto Pacciani all’opera, si può immaginare che a dissotterrarlo sarebbe andato
lui. L’associazione con Pacciani sarebbe nata dal fatto che il contadino “andava lì e
lavorava alla fattoria”: un po’ poco, anche perché la fattoria in
questione distava qualche chilometro, e lui vi aveva lavorato diversi anni addietro.
Ulteriori
perplessità sono dovute all’invio anche dei due stracci, guarda caso rivelatisi
provvidenziali per poter in qualche modo associare il perno a Pacciani. Evidentemente
l’anonimo aveva compreso la loro importanza. Come? Chi, prima di lui, aveva
dissotterrato il barattolo curiosando nel suo contenuto doveva averli svolti.
Se li aveva riavvolti attorno al perno, l’anonimo avrebbe dovuto lasciarsi
sedurre dalla curiosità di guardare dentro il fagotto per trovarlo; se li aveva
gettati via doveva aver sospettato che forse in origine avvolgevano il
perno. In entrambi i casi si tratta di comportamenti possibili, ma ben lontani
dal poterli ritenere scontati; quindi, date le condizioni al contorno, si può come
minimo affermare che lo scenario dà adito a leciti dubbi.
La falsità
dell’anonimo è evidente anche nello stile artificioso del testo scritto, dove aveva
cercato di accreditarsi per un toscano ignorante scrivendo in toscano. Ma
nessun ignorante scriverebbe mai in dialetto, il cui uso nella lingua scritta
innanzitutto non è semplice (a scuola non si insegna a scrivere in dialetto),
ed è comunque limitato a un certo genere di letteratura oppure alla
trascrizione del parlato. I numerosi apostrofi di elisione con i quali lo
scrivente aveva tentato di rendere alcune particolarità della calata toscana, come
l’uso fonetico della “e” prima del si impersonale (“e’ si vede”), oppure in
sostituzione di un pronome (“e’ sono grulle”), dimostrano che lo scrivente era
ben consapevole di usare il dialetto toscano.
Può sembrare
incredibile, ma l’artificiosità dello scritto, che avrebbe dovuto squalificare
ancor più il valore dell’asta e degli stracci come prova, al processo non poté
essere evidenziata. Il biglietto infatti fu escluso dagli atti, in quanto
anonimo, come le nuove regole imponevano, ma l’asta e gli stracci no, quelli
furono acquisiti, e dunque chi avesse voluto avvalersi dello scritto per
dimostrare la cattiva fede dell’anonimo, non avrebbe potuto farlo. Fu un
avvocato di parte civile, Luca Santoni Franchetti, a evidenziare il paradosso
nel proprio intervento finale (20 ottobre 1994, vedi):
Non è possibile che di fronte a
16 vittime io non riesca a parlare di un biglietto che è così chiaramente
falso, prodotto da una persona che ha studiato, perché i grafemi sono
chiaramente prodotto di una persona... La “T” è fatta come una croce, la “A”
come un'alfa greca, la “E” nella maniera inversa di quella che noi facciamo
sempre. È possibile non doverne discutere? E guardate che è importante. Perché
noi si è anche pensato che se lo potesse essere mandato il Pacciani. Siamo
arrivati addirittura a questa perversione, e vi diremo poi perché. Ma se non è
stato il Pacciani ad inviarla […]
La “E” ha il trattino di mezzo
lunghissimo, al contrario di quello che succede normalmente; la “T” è fatta in
maniera assurda; la “Q” ci ha il trattino perpendicolare esattamente. È
assurdo. Cioè nessuno scrive normalmente cosi. E a noi questo ci brucia. Però
ricordiamoci bene che questo è la chiave di questo delitto. Chi l'ha mandato? E
perché? Benissimo, non è acquisibile, non se ne potrà parlare in sentenza. Ma
nel vostro iter mentale questo andrà pur considerato. Si parla molto di gruppo,
di qualcuno che può essere intorno a qualcun altro. Ma queste cose non si
possono passare sotto silenzio, e non saranno passate sotto silenzio, perché
noi dobbiamo arrivare in un processo cosi nebuloso, indiziario, a una verità
storica, una verità vera. Ma andiamo avanti. Questo era il punto fondamentale e
proprio su questo ci si trova le mani legate. Chi l’ha mandato? Chi aveva la
possibilità di trovare quel panno verde e legarlo lì?
Franchetti
riteneva Pacciani innocente, e le prove materiali contro di lui costruite ad
arte, ma da chi? Anticipando per certi aspetti la successiva pista esoterica,
immaginava un gruppo di colpevoli in grado di sviare le indagini. Ma, almeno
nel caso dell’asta guidamolla, la realtà pare molto più semplice.
ps:
RispondiEliminami dimentico sempre di ringraziarti per la celerità e la puntualità delle risposte... quindi lo faccio adesso, cumulativamente :)
ciao.
All'asta guidamolla neanche Perugini attribuiva grande importanza, proprio perché il ritrovamento era stato determinato da una segnalazione anonima, che poteva certamente prestarsi a interpretazioni ambigue. Ma anche in questo caso si potrebbe trovare una spiegazione semplice, che nessuno però vuole considerare: qualcuno in buona fede, convinto della colpevolezza di Pacciani o con forti sospetti, potrebbe aver voluto indirizzare gli inquirenti senza esporsi direttamente temendo possibili ritorsioni se fosse venuto allo scoperto. Sulla storia della cartuccia però le spiegazioni "complottistiche" sono veramente deboli: le perquisizioni avvenivano in presenza dell'indagato e dei suoi avvocati, tutto era filmato (e gli avvocati e i giudici poterono consultare i filmati, una parte dei quali fu anche mostrata durante le udienze). Pacciani era stato visto armeggiare in quella zona e alcune intercettazioni ambientali avevano messo in allarme gli investigatori. Ma soprattutto che senso aveva nascondere una cartuccia inesplosa? e perché questo giochino non fu messo in atto con le persone indagate e sorvegliate prima di Pacciani, come i membri della cerchia dei sardi? La cartuccia era molto incrostata ed era stata interrata per alcuni anni: quindi chi voleva incastrare Pacciani l'avrebbe conservata per anni nel terriccio per poi nasconderla nell'orto? La prima perquisizione nell'abitazione di Pacciani è del 1990. Pacciani era finito in carcere nell'87: non è logico pensare che l'abbia nascosta lui prima di andare in carcere pensando che a nessuno sarebbe mai venuto in mente di cercarla?
RispondiEliminaNon capisco per quale motivo Pacciani avrebbe nascosto nel proprio orto un oggetto che poteva incastrarlo, invece di buttarlo in qualche campo lontano da casa sua.
EliminaPiuttosto la invito a riflettere su una possibilità: se al tempo qualcuno avesse avuto fin troppo a cuore la risoluzione del caso, potrebbe anche esser passato sopra la buona fede di chi investigava sul campo. Quindi, va bene che il ritrovamento della cartuccia fu filmato, ma non credo che di notte fosse impossibile entrare in casa Pacciani e fare quel che andava fatto senza che se ne accorgesse chi non doveva accorgersene e doveva rimanere in buona fede(leggi Perugini e collaboratori). La mia è un'ipotesi teorica, che però una ricostruzione storica di tutta questa intricata vicenda non può fare a meno di valutare.
D'altra parte, e anche su questo la invito a riflettere, il dopo Pacciani ha ampiamente dimostrato fin dove ci si potesse spingere pur di portare a casa un simulacro di soluzione del caso. E dietro le quinte non c'era stato cambiamento.
EliminaL'ipotesi degli inquirenti è che l'avesse nascosta prima di finire in carcere, quando non era neppure indagato (era stato perquisito nel settembre 1985 dopo le prime segnalazioni anonime ma non fu più interrogato). Dopo essere uscito dal carcere era strettamente sorvegliato e quindi non avrebbe potuto recuperare la cartuccia. Perugini raccontava che, se qualcuno si fosse introdotto nell'abitazione di Pacciani, agli investigatori della Sam non sarebbe potuto sfuggire, visto che l'abitazione era sotto stretta sorveglianza. Ad ogni modo come mai Pacciani (se è vero, ma io credo più a Perugini che a Pacciani) sembrava preoccupato quando le ricerche erano orientate in quell'area dell'orto dove fu poi rinvenuta la cartuccia? E come mai (ci sono anche dei filmati televisivi) si mostrava disperato dopo il ritrovamento di un oggetto che in fondo non diceva granché? Solo dopo che fu analizzato si scoprì che era compatibile con l'arma dei delitti. C'è poi un fatto generale di cui dovremmo tutti tenere conto: Perugini e Vigna hanno conosciuto bene Pacciani, lo hanno interrogato un'infinità di volte e si sono potuti fare un'idea. Chi ha conosciuto Pacciani meglio di loro?
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