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sabato 19 dicembre 2015

L'asta guidamolla (1)

Il lettore ricorderà che la prova più significativa contro Pacciani, forse a pari merito con il blocco “Skizzen Brunnen”, fu considerata la cartuccia inesplosa calibro 22 trovata nel suo orto durante la nota maxiperquisizione, tra il 27 aprile e l’8 maggio 1992. In realtà in quell’occasione gli inquirenti erano speranzosi, se non addirittura convinti, di trovare la pistola, e la cartuccia fu una specie di surrogato che la fortuna, oppure una manina furbacchiona, aveva messo a loro disposizione non appena ci si era resi conto che nella parte dell’orto dove Pacciani era stato visto scavare non c’era proprio nulla. Una volta persa la speranza di trovare la famigerata Beretta, la medesima fortuna – oppure la medesima manina furbacchiona – proseguì per quella strada.
Il 25 maggio, a distanza di un paio di settimane dalla fine della maxiperquisizione, i Carabinieri di San Casciano ricevettero una lettera anonima con dentro un perno di metallo avvolto da due pezzi di stoffa bianca a fiorellini verdi e il seguente testo vergato a mano in stampatello:

Questo è un pezzo della pistola del Mostro di Firenze e sta' sulla Nazione: c'era la fotografia. Stava in un barattolo di vetro stiantato (qualcuno lo à trovato prima di me) sotto un albero a Crespello-Luiano – e’ si vede il tabbenacolo della vergine. Il Pacciani andava lì e lavorava alla fattoria. Anche la moglie e la figlia grande passeggiavan lì e’ sono grulle e’ fanno tutto quello e’ lui gli comanda se no ne toccano. Il Pacciani è un diavolo e incanta i bischeri alla t.v. Ma noi lo si conosce bene e lo avete conosciuto anche voi. Punitelo e Dio vi benedirà perché un è un omo è una berva. Grazie.

Sul retro del biglietto l’anonimo aveva disegnato una rozza piantina. Un controllo presso la Beretta permise di identificare con precisione il piccolo oggetto: si trattava dell’asta guidamolla utilizzata in alcuni modelli di pistola della serie 70 (quella del Mostro), un perno che va a inserirsi dentro la molla di recupero del carrello otturatore per evitare che questa si pieghi mentre viene compressa dalla forza dei gas del colpo esploso. 


Seguendo le scarne indicazioni dell’anonimo, si credette di poter individuare il punto del ritrovamento lungo una strada poco fuori Mercatale, nei pressi di un tabernacolo, dove si cercarono i pezzi del barattolo di vetro “stiantato”, senza fortuna, però. Altre ricerche eseguite con il metal detector allargando la zona non portarono al ritrovamento di ulteriori componenti di pistola.
Se non c’era modo di dimostrare che il perno provenisse davvero dalla Beretta del Mostro, né che fosse stato nascosto da Pacciani, si poteva però sperare che i due stracci in cui era avvolto fossero stati suoi, anche se l’anonimo non aveva precisato da dove li aveva presi. E così domenica 31 maggio Ruggero Perugini si presentò con una vaschetta di gelato sottobraccio nell’abitazione di piazza del Popolo, dove le figlie di Pacciani rientravano da Firenze nei fine settimana. Ma lasciamo la parola allo stesso investigatore, dal libro “Un uomo abbastanza normale”:

Il 31 maggio, la domenica pomeriggio, decidiamo di andare a Mercatale per parlare con Rosanna e Graziella. Ho scelto il dì di festa perché così le possiamo trovare tutte e due. Ci fermiamo lungo la strada per comprare del gelato, ma non è per questo che sembrano contente di vederci, poverine. Tutti noi vogliamo loro bene e probabilmente lo sentono, non sono abituate alla gentilezza degli uomini. Riccardo e Callisto, poi, hanno maturato una vera affezione per le due ragazzine (continuiamo a considerarle tali anche se sono più che maggiorenni). E non trovo più strano sentire il gelido, inflessibile Riccardo parlare loro con la stessa voce che forse usa per raccontare le favole al figlio le rare volte che riesce a metterlo a letto.
Ci accomodiamo in salotto, chiamiamolo così, mentre Alessandro Venturini rimane in piedi sulla soglia, appoggiato al tramezzo che divide quella stanza dalla cucina. No, a loro non sembra di aver mai visto per casa una stoffa chiara a fiori verdi, però se ci teniamo possono controllare. Sì, grazie,
ci farebbe piacere se dessero un'occhiata in giro. Certo, però, a via Sonnino dove sta il Vampa non se la sentono di andare. Sì, ci rendiamo conto, non fa niente, basta che cerchino bene qui, magari anche negli sgabuzzini dove il Vampa tiene una parte della sua attrezzatura. Anche in quel barile che sta giù in garage, fra i ritagli del cuoio che lui conservava dopo aver ritagliato con i trincetti le suole per le scarpe. Capito quale? Sì, sì, va bene, ma perché ci interessava saperlo? Niente di importante, è uno dei molti accertamenti che dobbiamo fare.
Mentre le stiamo salutando Alessandro emette un suono strozzato e accenna col braccio verso un punto della cucina: «Dotto', ma non è come quella là la stoffa?».
Ci alziamo di scatto e usciamo dal salotto. Accanto alla cappa della cucina, appeso a un chiodo, c'è un lembo di stoffa bianca a fiori verdi. Sembra proprio quella.
«Ma che, quello strofinaccio? Lo uso per asciugare i piatti. Ce n'è un monte di quelle pezze lì» dice Rosanna.

A quel punto le ragazze raccontarono di un lenzuolo ricevuto in regalo da Graziella un paio d’anni prima, dal quale avevano ricavato degli strofinacci, che subito si misero a cercare trovandone alcuni in un sottoscala e uno nella credenza del garage in uso al padre, subito consegnati ai loro ospiti. Le successive comparazioni eseguite dalla Scientifica portarono alla certezza che la stoffa era di tipo identico a quella che avvolgeva l’asta guidamolla.
Incoraggiati dalla provvidenziale e fortunatissima scoperta, il 2 giugno gli inquirenti tornarono a perquisire ufficialmente le proprietà del contadino, recuperando altri stracci tra cui un secondo dalla credenza dove già ne era stato trovato trovato uno. E, guarda caso, proprio quello dette la prova definitiva sull’appartenenza al lenzuolo anche di uno dei due trovati attorno all’asta guidamolla, poiché si poté dimostrare la completa corrispondenza tra le fibre di due dei loro lati sfrangiati. Quindi una volta i due pezzi facevano un tutt’uno.
Rispetto alla cartuccia, sull’asta guidamolla esistono ancora meno dubbi che si sia trattato di una prova costruita a tavolino. Tutto sa di falso, grossolanamente falso. Innanzitutto sfugge il senso dell’operazione compiuta da Pacciani andando a sotterrare quel perno di metallo: forse voleva disfarsi della pistola poco a poco? Il compunto procuratore generale nel processo d’appello, Piero Tony, ci avrebbe persino scherzato un po’ sopra durante la propria requisitoria. Da Repubblica del 6 febbraio 1996:

È un elemento di nessun valore indiziante. L'unica ipotesi è che Pacciani abbia smembrato la pistola e ne abbia disseminato i pezzi. Ma allora, se non si trattasse di fatti atroci, di dolori feroci, non avrei remore a fare dello spirito e ad evocare una scena da Pantera Rosa. Dunque, Pacciani invece di buttare la pistola la smembra, avvolge ogni singolo pezzo in biancheria di casa, li mette in contenitori di vetro e poi li seppellisce nei boschi. Mi pare di vederlo con la sua zappa in spalla. Ma come avrebbe potuto fare tutto ciò se dal momento della sua scarcerazione, il 6 dicembre '91, è stato sempre intercettato, controllato, pedinato?

Il lenzuolo era stato regalato a Graziella mentre il padre era detenuto, e quindi questi avrebbe potuto utilizzarlo soltanto a partire dalla propria scarcerazione, quando oramai gli agenti della SAM gli stavano addosso, ed era impossibile eluderne il controllo. Riesce altresì difficile pensare che in quei momenti di grande pericolo il furbo contadino avesse ritagliato i due stracci proprio da un variopinto lenzuolo i cui altri pezzi rimasti in casa avrebbero costituito una prova a suo carico!
Riguardo l’anonimo, non si comprende bene come avrebbe fatto ad associare un insignificante pezzo di metallo trovato per terra sia con la pistola del Mostro sia con Pacciani. La lettera faceva riferimento a un articolo pubblicato il 5 maggio sulla Nazione nel quale compariva il disegno di uno dei modelli di Beretta 70 esploso in tutti i suoi componenti, più o meno simile a quello qui riprodotto.


C’era anche l’asta guidamolla, numero 10 nella figura sopra; ma non si sa bene come un qualsiasi perno dotato di capocchia, lungo 6,5 cm e molto simile a un chiodo, avesse potuto far venire in mente a chi lo aveva trovato a terra quell'esploso di pistola, a meno che non si fosse insospettito per aver visto Pacciani mentre lo nascondeva. Ma non pare così, almeno stando a quanto si può dedurre leggendo la lettera, dove l’anonimo racconta di aver trovato l’oggetto già dissotterrato da qualcuno. Se avesse visto Pacciani all’opera, si può immaginare che a dissotterrarlo sarebbe andato lui. L’associazione con Pacciani sarebbe nata dal fatto che il contadino “andava lì e lavorava alla fattoria”: un po’ poco, anche perché la fattoria in questione distava qualche chilometro, e lui vi aveva lavorato diversi anni addietro.
Ulteriori perplessità sono dovute all’invio anche dei due stracci, guarda caso rivelatisi provvidenziali per poter in qualche modo associare il perno a Pacciani. Evidentemente l’anonimo aveva compreso la loro importanza. Come? Chi, prima di lui, aveva dissotterrato il barattolo curiosando nel suo contenuto doveva averli svolti. Se li aveva riavvolti attorno al perno, l’anonimo avrebbe dovuto lasciarsi sedurre dalla curiosità di guardare dentro il fagotto per trovarlo; se li aveva gettati via doveva aver sospettato che forse in origine avvolgevano il perno. In entrambi i casi si tratta di comportamenti possibili, ma ben lontani dal poterli ritenere scontati; quindi, date le condizioni al contorno, si può come minimo affermare che lo scenario dà adito a leciti dubbi.
La falsità dell’anonimo è evidente anche nello stile artificioso del testo scritto, dove aveva cercato di accreditarsi per un toscano ignorante scrivendo in toscano. Ma nessun ignorante scriverebbe mai in dialetto, il cui uso nella lingua scritta innanzitutto non è semplice (a scuola non si insegna a scrivere in dialetto), ed è comunque limitato a un certo genere di letteratura oppure alla trascrizione del parlato. I numerosi apostrofi di elisione con i quali lo scrivente aveva tentato di rendere alcune particolarità della calata toscana, come l’uso fonetico della “e” prima del si impersonale (“e’ si vede”), oppure in sostituzione di un pronome (“e’ sono grulle”), dimostrano che lo scrivente era ben consapevole di usare il dialetto toscano.
Può sembrare incredibile, ma l’artificiosità dello scritto, che avrebbe dovuto squalificare ancor più il valore dell’asta e degli stracci come prova, al processo non poté essere evidenziata. Il biglietto infatti fu escluso dagli atti, in quanto anonimo, come le nuove regole imponevano, ma l’asta e gli stracci no, quelli furono acquisiti, e dunque chi avesse voluto avvalersi dello scritto per dimostrare la cattiva fede dell’anonimo, non avrebbe potuto farlo. Fu un avvocato di parte civile, Luca Santoni Franchetti, a evidenziare il paradosso nel proprio intervento finale (20 ottobre 1994, vedi):

Non è possibile che di fronte a 16 vittime io non riesca a parlare di un biglietto che è così chiaramente falso, prodotto da una persona che ha studiato, perché i grafemi sono chiaramente prodotto di una persona... La “T” è fatta come una croce, la “A” come un'alfa greca, la “E” nella maniera inversa di quella che noi facciamo sempre. È possibile non doverne discutere? E guardate che è importante. Perché noi si è anche pensato che se lo potesse essere mandato il Pacciani. Siamo arrivati addirittura a questa perversione, e vi diremo poi perché. Ma se non è stato il Pacciani ad inviarla […]
La “E” ha il trattino di mezzo lunghissimo, al contrario di quello che succede normalmente; la “T” è fatta in maniera assurda; la “Q” ci ha il trattino perpendicolare esattamente. È assurdo. Cioè nessuno scrive normalmente cosi. E a noi questo ci brucia. Però ricordiamoci bene che questo è la chiave di questo delitto. Chi l'ha mandato? E perché? Benissimo, non è acquisibile, non se ne potrà parlare in sentenza. Ma nel vostro iter mentale questo andrà pur considerato. Si parla molto di gruppo, di qualcuno che può essere intorno a qualcun altro. Ma queste cose non si possono passare sotto silenzio, e non saranno passate sotto silenzio, perché noi dobbiamo arrivare in un processo cosi nebuloso, indiziario, a una verità storica, una verità vera. Ma andiamo avanti. Questo era il punto fondamentale e proprio su questo ci si trova le mani legate. Chi l’ha mandato? Chi aveva la possibilità di trovare quel panno verde e legarlo lì?

Franchetti riteneva Pacciani innocente, e le prove materiali contro di lui costruite ad arte, ma da chi? Anticipando per certi aspetti la successiva pista esoterica, immaginava un gruppo di colpevoli in grado di sviare le indagini. Ma, almeno nel caso dell’asta guidamolla, la realtà pare molto più semplice.

5 commenti:

  1. ps:
    mi dimentico sempre di ringraziarti per la celerità e la puntualità delle risposte... quindi lo faccio adesso, cumulativamente :)
    ciao.

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  2. All'asta guidamolla neanche Perugini attribuiva grande importanza, proprio perché il ritrovamento era stato determinato da una segnalazione anonima, che poteva certamente prestarsi a interpretazioni ambigue. Ma anche in questo caso si potrebbe trovare una spiegazione semplice, che nessuno però vuole considerare: qualcuno in buona fede, convinto della colpevolezza di Pacciani o con forti sospetti, potrebbe aver voluto indirizzare gli inquirenti senza esporsi direttamente temendo possibili ritorsioni se fosse venuto allo scoperto. Sulla storia della cartuccia però le spiegazioni "complottistiche" sono veramente deboli: le perquisizioni avvenivano in presenza dell'indagato e dei suoi avvocati, tutto era filmato (e gli avvocati e i giudici poterono consultare i filmati, una parte dei quali fu anche mostrata durante le udienze). Pacciani era stato visto armeggiare in quella zona e alcune intercettazioni ambientali avevano messo in allarme gli investigatori. Ma soprattutto che senso aveva nascondere una cartuccia inesplosa? e perché questo giochino non fu messo in atto con le persone indagate e sorvegliate prima di Pacciani, come i membri della cerchia dei sardi? La cartuccia era molto incrostata ed era stata interrata per alcuni anni: quindi chi voleva incastrare Pacciani l'avrebbe conservata per anni nel terriccio per poi nasconderla nell'orto? La prima perquisizione nell'abitazione di Pacciani è del 1990. Pacciani era finito in carcere nell'87: non è logico pensare che l'abbia nascosta lui prima di andare in carcere pensando che a nessuno sarebbe mai venuto in mente di cercarla?

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    1. Non capisco per quale motivo Pacciani avrebbe nascosto nel proprio orto un oggetto che poteva incastrarlo, invece di buttarlo in qualche campo lontano da casa sua.
      Piuttosto la invito a riflettere su una possibilità: se al tempo qualcuno avesse avuto fin troppo a cuore la risoluzione del caso, potrebbe anche esser passato sopra la buona fede di chi investigava sul campo. Quindi, va bene che il ritrovamento della cartuccia fu filmato, ma non credo che di notte fosse impossibile entrare in casa Pacciani e fare quel che andava fatto senza che se ne accorgesse chi non doveva accorgersene e doveva rimanere in buona fede(leggi Perugini e collaboratori). La mia è un'ipotesi teorica, che però una ricostruzione storica di tutta questa intricata vicenda non può fare a meno di valutare.

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    2. D'altra parte, e anche su questo la invito a riflettere, il dopo Pacciani ha ampiamente dimostrato fin dove ci si potesse spingere pur di portare a casa un simulacro di soluzione del caso. E dietro le quinte non c'era stato cambiamento.

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    3. L'ipotesi degli inquirenti è che l'avesse nascosta prima di finire in carcere, quando non era neppure indagato (era stato perquisito nel settembre 1985 dopo le prime segnalazioni anonime ma non fu più interrogato). Dopo essere uscito dal carcere era strettamente sorvegliato e quindi non avrebbe potuto recuperare la cartuccia. Perugini raccontava che, se qualcuno si fosse introdotto nell'abitazione di Pacciani, agli investigatori della Sam non sarebbe potuto sfuggire, visto che l'abitazione era sotto stretta sorveglianza. Ad ogni modo come mai Pacciani (se è vero, ma io credo più a Perugini che a Pacciani) sembrava preoccupato quando le ricerche erano orientate in quell'area dell'orto dove fu poi rinvenuta la cartuccia? E come mai (ci sono anche dei filmati televisivi) si mostrava disperato dopo il ritrovamento di un oggetto che in fondo non diceva granché? Solo dopo che fu analizzato si scoprì che era compatibile con l'arma dei delitti. C'è poi un fatto generale di cui dovremmo tutti tenere conto: Perugini e Vigna hanno conosciuto bene Pacciani, lo hanno interrogato un'infinità di volte e si sono potuti fare un'idea. Chi ha conosciuto Pacciani meglio di loro?

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