Come
c’era da immaginarsi, il mio articolo Ma insomma,
quant'era basso questo Salvatore? ha suscitato veementi proteste da parte
dei vinciani, i quali, presi dal panico, hanno cercato di assorbire il colpo
come meglio potevano, chi girandosi dall’altra parte, chi proponendo
improbabili misurazioni alternative, chi preferendo attacchi personali, magari con
l’aiuto di Lotti, che viene sempre bbbuono quando si vuol buttare all’aria il
tavolo. In realtà l’informazione sull’altezza della sbarra in foto è di
straordinaria importanza per il calcolo della statura di Salvatore Vinci. Già
il metodo grossolano del conteggio dei pixel usato nell’articolo consente di
escludere valori irreali come i 170 cm massimi di Torrisi. Il soggetto,
infatti, si trova pressoché accosto alla sbarra, e lo scatto è da distanza di
vari metri, pertanto la distorsione prospettica non può incidere che per pochi cm.
In ogni caso quei pochi sono tutti in aggiunta alla statura reale, poiché,
essendo il punto di fuga più o meno all’altezza degli occhi, i pixel aumentano
di peso via via che da questi ci si allontana. Ecco allora che i 162 cm
calcolati per la figura grezza andrebbero diminuiti, di quanto però è difficile
dire.
Per un dato più preciso servirebbe un software adeguato, in grado di trasformare un’immagine
2D in un’immagine 3D. Ce ne sono molti, anche di gratuiti, l’unico problema è
che si tratta di strumenti dall’apprendimento non immediato, dei quali purtroppo
non ho mai avuto occasione di servirmi. In più i grossi impegni lavorativi del
momento – che mi costringono a metter mano allo studio di nuovi strumenti di
lavoro – non mi lasciano molte risorse mentali, oltre quelle che già dedico all’hobby
del Mostro. Ciò nonostante, ho deciso di provarci lo stesso, iniziando intanto a
farmi un giro per Youtube, in cerca di qualche tutorial. E ho trovato questo:
Trasformare foto
e disegni in scene 3D - Tutorial trailer.
Conquistato
dalla chiarezza di esposizione dell’autore, Luca Malisan, mi ero abbastanza
tranquillizzato sulla possibilità d’imparare in fretta l’uso degli strumenti
consigliati “fSpy” e “Blender”, attraverso un video acquistabile a modico
prezzo. Però nello stesso tempo mi è venuta un’idea maligna: visto che i miei bisogni
si esaurivano con la risoluzione del problema contingente, perché non provare a
chiedere il calcolo allo stesso autore? Tanto più che il peso della sua
esperienza avrebbe contribuito a rendere il dato ancora più probante. Luca Malisan,
infatti, sembra essere un’autorità in materia, come è facile arguire dai
seguenti link:
Quindi, il 27 dicembre 2020, gli ho mandato una mail. Questa:
Buongiorno signor Malisan,
mi chiamo Antonio Segnini, sono un anziano informatico professionista ma il mio campo è molto
diverso dal suo, occupandomi di software applicativo, quindi maschere di
gestione dati e database. Ho un hobby che occupa gran parte del mio tempo libero, lo
studio del caso del Mostro di Firenze, per il quale nutro la speranza che un
giorno o l’altro si riesca a uscire dallo stato di totale confusione in cui ci
si trova adesso.
Sono arrivato alla sua
pagina attraverso Youtube, essendomi messo alla ricerca di un modo per
calcolare l’altezza di uno dei sospettati storici attraverso una foto, della
quale una gentile impiegata del tribunale di Cagliari mi ha fornito la dimensione
di un particolare. La persona all’interno della gabbia si chiama (o
probabilmente si chiamava, non si sa se è ancora vivo) Salvatore Vinci. La
gabbia, ancora esistente, poggia su uno zoccolo di legno alto 10 cm, zoccolo
sul quale sono poggiati i piedi di Vinci. La gentile impiegata ha misurato
l’altezza della sbarra orizzontale alla quale Vinci è quasi appoggiato. La
misura risulta di 127 cm. Non sono riuscito a capire se tale misura sia stata
presa fino a sotto la sbarra o fino a sopra, ma il risultato poco cambia,
credo. In ogni caso mi devo porre nella condizione più favorevole ad aumentare
la statura di Vinci, poiché è quella della quale intendo confutare il valore
eccessivo esistente agli atti (1.65-1.70) del quale abusano gli appassionati che
lo vogliono identificare con il Mostro di Firenze, che vari indizi portano a
considerare piuttosto alto.
Non conosco programmi 3D neppure semplici, come credo sia blender, e adesso non ho le risorse mentali
per mettermi a imparare la materia, neppure attraverso i suoi tutorial per
quanto fatti benissimo. Devo già mettermi a studiare nuovi software per il mio
settore, tecniche di trasformazione degli applicativi tradizionali in pagine
WEB, Angular, ASP.NET e compagnia bella, stiamo per decidere con alcuni amici.
Poi, in fin dei conti, utilizzerei lo strumento soltanto per questo caso.
Quindi chiedo un aiuto a lei, che è un esperto. Riuscirebbe a calcolare in modo
più preciso di quel che ho fatto io alla grossa, contando i pixel sulla foto,
la statura del soggetto (comprensiva di scarpe, naturalmente) fornendomi anche
gli elementi a dimostrazione? La ricerca storica della verità sulla vicenda del
Mostro di Firenze gliene renderebbe merito.
Questo è il link all’articolo del mio blog dove tratto la questione. La foto è quella, in caso
gliela allego. Naturalmente la ringrazierò caldamente sull’articolo che scriverò, qualsiasi sia il risultato,
anche se non è favorevole alle mie convinzioni, che capirà dalla lettura
dell’articolo. Quel che conta è raggiungere la verità, qualunque sia.
La ringrazio molto se potrà darmi il suo aiuto, e le faccio gli auguri per le feste che ancora mancano.
Saluti, Antonio Segnini.
Ho allegato sia la foto originale, sia la foto ritoccata con Paint.NET, sia quella
con indicati i pixel del mio calcolo. Il giorno dopo è arrivata la risposta.
Questa:
Buongiorno Antonio,
non ho molto tempo a disposizione, purtroppo. Ma la sua richiesta era tutto sommato semplice, finché
si tratta di ottenere un'informazione approssimata, e quindi ho provato a
cimentarmi con essa.
C'è qualche problema di lettura dell'immagine, soprattutto rispetto alla posizione dei piedi. Ho
migliorato la fotografia attraverso un software di ingrandimento basato su
intelligenza artificiale, che permette di aumentarne il dettaglio. A mio parere
lo zoccolo non sopraeleva l'intera gabbia, ma è solo sotto alle sbarre, e il
piano del pavimento è lo stesso sia all'interno che all'esterno. Questo in base
alle proporzioni fisiche: da disegnatore ho una certa conoscenza dell'anatomia
e il pavimento della gabbia non può essere 10cm più alto del pavimento esterno,
altrimenti la distanza ginocchio-pavimento (la tibia) sarebbe troppo corta.
Anche la tipica piega che si forma al pantalone al di sopra della scarpa è
leggibile nella foto appena al di sopra dello zoccolo. Ho tracciato in rosso
sottile alcune linee che possono approssimare l'andamento del corpo. Pertanto
le scarpe sono quasi del tutto nascoste dallo zoccolo, oltre che essere scure,
e quindi è difficile posizionare con precisione il punto di appoggio dei piedi.
Ho comunque ipotizzato una posizione "base" per il calcolo
dell'altezza, in base alla mia esperienza di disegno. In ogni caso è un
approssimazione per eccesso, comprensiva anche dell'eventuale suola della
calzatura.
Proiettando le linee prospettiche verso l'altezza nota (la sbarra e lo zoccolo) è quindi possibile
valutare l'altezza della testa. Ho replicato i 10cm di altezza dello zoccolo
come valore di controllo ed effettivamente sono coerenti con i 127cm indicati
per la sbarra orizzontale. In base a
questo l'altezza della persona è sicuramente inferiore ai 160cm.
Approssimativamente 157cm, comprensivi della suola delle scarpe.
Va però evidenziato che
la posa è rilassata, in appoggio su una sola gamba, e con la testa leggermente
portata in avanti (è una normale compensazione dell'equilibrio, mettendo le
mani dietro la schiena). È una posizione nella quale l'altezza si può ridurre
di molto, penso anche di 4-5cm, rispetto alla classica posizione in cui si sta
quando si viene misurati.
Non so quanto possa esserle utile, ma è quello che riesco a fare nel poco tempo che posso dedicare
alla cosa.
Ricambio gli auguri di buone feste, e buona giornata.
Luca Malisan
Come
si vede, Luca ha pensato che la striscia su cui si innestano le sbarre fosse lo
zoccolo che intendevo io, ma comunque ha capito da solo come stavano le cose.
Lo si vede bene dall’immagine allegata, dove i piedi del soggetto poggiano
effettivamente sullo zoccolo di legno alto 10 cm posato sul pavimento. Ed è da
quello zoccolo che sono state prese le misure, con un’approssimazione che Luca
qualifica per eccesso, con tendenza quindi all’aumento del risultato (NB: tra l'altro
si vede bene che la sbarra orizzontale è stata posta ad altezza 129 cm, contro i 127
misurati dalla signora Orrù).
Come
già avevo previsto, la statura è risultata inferiore a quella calcolata con il
mio sistema grossolano, addirittura di 5 cm, 157 contro 162. Ma da buon esperto
di disegno e di figure umane, Luca ha fatto anche di più, valutando di quanto
potrebbe essersi abbassata la testa di Vinci rispetto alla classica postura di
misurazione dell’altezza, con il corpo disteso al massimo. Secondo lui si
tratta di 4 o 5 cm, in questo caso più dei 2 che avevo immaginato io.
Con
questi dati potremmo quindi racchiudere la statura di Vinci in una forbice di
161-162 cm, comprensiva di scarpe. Già, il problema delle scarpe: di quanto
alzavano la statura del soggetto? Io avevo presunto un valore di 4 cm, ottenuto
con la misurazione su una scarpa classica che ho in casa, considerando sia il
tacco che la tomaia. “La storia del tacco alto
4 cm è semplicemente ridicola, un oltraggio all'intelligenza”, ha tuonato un
vinciano DOC sul gruppo Facebook di Flanz, con una frase dalla quale sembrerebbe di arguire
che senza scarpe Salvatore Vinci possa addirittura diventare più alto! A scanso di equivoci
ho ripetuto la misurazione, estendendola a due tipi di scarpa e
fotografandola. Ecco i risultati.
Scarpa 1: 3,2 cm
Scarpa 2: 4 cm
La scarpa 1 è di tipo estivo, la 2 di tipo invernale, quindi più massiccia. Non
sappiamo quali scarpe calzasse Salvatore Vinci al momento della foto, però, indossando
un vestito elegante, quasi sicuramente si trattava di un modello classico, essendo
la metà d’aprile non si sa se estivo o invernale. Che fossero particolarmente
basse è però difficile, anche perché in genere gli uomini minuti fanno caso al
tacco delle loro scarpe, preferendo modelli che regalano un pelino di statura
in più. In ogni caso consideriamo una fascia di 3-4 cm. Ebbene, combinando
questa misura con quelle proposte da Luca Malisan, possiamo affermare che la statura
di Salvatore Vinci va collocata tra una minima di 157 cm (157 più 4 di
correzione postura meno 4 di scarpa) e una massima
di 159 cm (157 più 5 di correzione postura meno 3 di scarpa).
Conclusioni.
Dopo l’intervento
di un esperto come Luca Malisan e dei suoi strumenti software, è lecito sostenere
senza tema di smentita che la statura di Salvatore Vinci era sotto il metro e
sessanta. A questo punto non c’è che da scoprire come i fanatici vinciani
cercheranno di rigirare la frittata, poiché purtroppo questo succederà. Vorrei
far notare che quando ho scritto a Luca, mi sono impegnato moralmente a
pubblicare il risultato del suo calcolo in ogni caso. L’appassionato non può
che desiderare il raggiungimento della verità. Quale soddisfazione si può
trarre dal piegare i dati per far quadrare le proprie convinzioni? Come ci si
può sentire dentro quando si è raggiunto l’obiettivo di convincere sapendo bene
di aver truccato le carte? Se ciò è comprensibile – ma certo non giustificabile
– in chi ci guadagna su, non lo è in chi si dedica allo studio della vicenda
per pura passione. Salvatore Vinci non arrivava al metro e sessanta, a questo
punto i conti si devono portare avanti con questo dato non negoziabile.
Ringrazio
infinitamente Luca Malisan per il suo lavoro. Assieme a Efisia Orrù ha fornito
un non indifferente contributo al raggiungimento della verità su questa incredibile
vicenda di malagiustizia.
Entra Narducci.
Dopo la trasmissione alla procura di un riassunto dei fatti riguardanti le minacce
telefoniche a Dorotea Falso (1° ottobre 2001), con la conseguente apertura del
procedimento penale 9144/01, il cui codice risulta scritto a penna sul
documento stesso, il 9 ottobre il capo della mobile Piero Angeloni scrisse
ancora a Mignini (vedi, il pdf contiene anche la
successiva lettera di invio a Firenze, che verrà comoda in seguito). Questa
volta venne indicato il codice del procedimento nuovo, seguito dalla sigla 21 a
significare contro persone note (senz'altro i due cognati, ma non ancora la nuova coppia a loro subentrata).
In ogni caso è in questo documento che compare per la prima volta il nome di Francesco Narducci.
OGGETTO: procedimento penale nr. 9144/01 R.G.N.R.
(Mod.21)
ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PERUGIA
(C.A. Dr. Giuliano Mignini)
Con riferimento al procedimento penale indicato in oggetto, nel proseguo delle
attività di indagine inerente le telefonate minatorie e quant’altro esposto nel
verbale di sommarie informazioni già trasmesso, si comunica quanto segue:
al fine di stabilire se le persone autrici del reato, allo stato degli atti ancora
non identificate, facciano parte o meno della setta satanica a cui fanno
riferimento nelle conversazioni telefoniche, nonché siano interessate o
coinvolte nella morte di Pacciani e/o comunque legate all’attività della
persona che fu definita “il mostro di Firenze”, si ritiene opportuno chiedere
all’Autorità giudiziaria in indirizzo di volere valutare l’opportunità di
concedere le seguenti deleghe di indagine:
1) acquisizione del fascicolo processuale inerente la persona del dr. Narducci Francesco, perito a seguito di probabile suicidio;
2) delega all’acquisizione di sommarie informazioni da parte della professoressa
Barone, impiegata quale medico legale presso l’istituto di Medicina legale di
Perugia.
Le richieste sono motivate dai seguenti motivi:
per quanto riguarda il cap sub a), come è ormai noto, voci insistenti avevano indicato il Dr. Narducci quale materiale
esecutore dei “tagli” di parti del corpo, effettuati dal mostro di Firenze, e
che per di più avrebbe conservato in modo e luoghi adatti; non solo, la
“famosa” moto che venne vista sul posto dell’ultimo omicidio sarebbe stata
uguale a quella in possesso del Dottore. Detto mezzo non fu mai ritrovato.
Per quanto invece concerne il capo sub b), ossia l’escussione a verbale del medico
legale intervenuto, sembra che la Professoressa Barone sia al corrente di
diversi particolari inerenti chiaramente la morte del Narducci, ma anche fatti
specifici sulla sua vita, forse in considerazione anche del fatto che erano
comunque colleghi.
Dunque,
vediamo di puntualizzare, riprendendo peraltro una riflessione già fatta. Nonostante il procedimento penale riferito
fosse stato aperto a modello 21, il documento parla di persone “ancora non identificate”,
riguardo le quali si vorrebbe stabilire la veridicità della loro millantata
appartenenza a una setta satanica coinvolta nella morte di Pacciani. Ma invece
di identificare prima queste persone – condizione necessaria, altrimenti non si
comprende come l’obiettivo di verificare la loro millantata appartenenza etc.… possa
essere raggiunto – attraverso un percorso logico difficile da capire e
condividere viene già chiesta delega per indagare sulla morte di Francesco
Narducci!
Va innanzitutto osservato che ancora non si parla della presenza del nome di
Narducci nelle minacce dei misteriosi telefonisti, il che ingigantisce il
sospetto che quel nome non ci fosse affatto. Quella eventuale presenza, da
sola, sarebbe comunque stata una giustificazione assai debole per inserire
nelle indagini l’immediata riapertura di un caso vecchio di 16 anni – tanto più
che due sospettati da cui partire c’erano già, i cognati della Falso – ma
almeno sarebbe stato qualcosa. Qui, invece, la giustificazione è grottesca: “Voci insistenti avevano indicato il Dr. Narducci
quale materiale esecutore dei tagli…”. In sostanza vengono invocate le
chiacchiere della gente. Lasciamo perdere poi la storia della moto, ignota a
chi scrive, probabilmente nient’altro più di una chiacchiera ulteriore.
Proviamo adesso a dare un’occhiata a quello che succedeva a Firenze negli stessi giorni.
Il 3 ottobre era terminata anche la seconda fase della perquisizione nella
villa dei C. a San Casciano, con la conseguente perdita di ogni speranza residua di trovarvi
qualcosa di interessante. Il giorno dopo c’era stata una riunione in procura,
presieduta dal procuratore capo Ubaldo Nannucci fresco di nomina, nella quale
avevano prevalso scoramento e confusione, come venne poi dimostrato dalle
patetiche dichiarazioni del giorno dopo sui cerchi di pietra di Monte Morello e
dalla ridicola asportazione della scritta sul muro di via dei Serragli.
Sembrava insomma che per le fortissimamente volute indagini sui mandanti stesse
rintoccando la campana a morto.
Angeloni non poteva immaginarlo – altrimenti si potrebbe pensar male – ma con la sua
richiesta di acquisire il fascicolo di Narducci stava per offrire al collega
Giuttari, a capo come lui di una squadra mobile, una insperata via d’uscita per
le moribonde indagini sui mandanti, con l’indubbio effetto collaterale di
fargli anche un regalo grande come una promettente carriera di scrittore di
gialli di successo (del cui decollo, senza la contemporanea presenza di
indagini sul campo, c’è naturalmente da dubitare). Quello stesso 9 ottobre,
infatti, il suo documento dette origine a un fascicolo provvisorio – il
5202/01, iscritto a modello 45, quindi per atti che non costituiscono notizia
di reato – dedicato proprio al medico scomparso nel lago Trasimeno e ai
collegamenti della sua morte con le vicende del Mostro di Firenze.
Perugia chiama Firenze.
Riguardo il
nuovo procedimento sulle minacce telefoniche, per prima cosa Mignini volle
ascoltare Dorotea Falso (16 ottobre). Ecco le parti più significative del
relativo verbale.
Mi
riporto alle denunce da me presentate in relazione alle gravi minacce che mi
sono state rivolte da persone sconosciute nell’arco di tempo che va dal
14/7/2000 al 28/9/2001.
Le persone che mi minacciano sono una o due donne e un uomo che parlano con voce
alterata e che fanno riferimento ad una setta satanica e hanno rivendicato la
paternità dell'uccisione di Pacciani, perché a loro dire avrebbe tradito questa
setta. Sempre gli anonimi interlocutori mi parlano di una sorta di gran
sacerdote della setta che risiede a Firenze e che a loro dire sarebbe presto
venuto a Foligno, anzi a Sassovivo dove si svolgono i loro riti e dove, sempre
secondo loro io dovrei essere sacrificata insieme a mio figlio e poi seppellita
a Firenze. Talvolta invece mi parlano del loro proposito di far diventare mio
figlio adepto della setta e mi avvertono che, se non li seguirà, venderanno i
suoi pezzi. Mi hanno anche detto che io non posso far niente perché i miei
amici poliziotti sono tutti corrotti e fanno parte della setta. […] Qualche vago sospetto ce l’ho sui miei cognati che si chiamano B. Francesco e C. Nadia.
Ricordo di aver visto
una lettera contenente minacce di morte e posta davanti al finestrone di casa
mia e questo mi fa pensare che gli autori sono a conoscenza del fatto che io
apro tutte le mattine quella finestra. Ci sono anche altre coincidenze come ad
esempio una telefonata in cui mi si chiedeva di salutare i medici che io avrei
visto alle tre del pomeriggio. Di questa notizia era a conoscenza la
baby-sitter che si chiama Tania […] e mia suocera […]. Tra febbraio e marzo del
2001 mi è stato incendiato il fienile e mia cognata disse a mia suocera che era
stato incendiato anche il fienile di una famiglia vicina, cosa che non era
vera.
Aggiungo che nella mia professione di estetista mi è capitato di sentire da una mia
cliente che i carabinieri avevano trovato dietro casa sua a Perugia i resti di
un rito di magia nera con bruciature di volatili. Per quanto mi riguarda però
non mi sono mai interessata di queste cose né comunque di fatti di cronaca
nera.
Non ho mai parlato con i miei cognati. Ricordo solo di aver parlato con loro in
occasione delle prime telefonate quando mi sfogai con mia suocera e rimasi
sorpresa nel constatare l'assoluta indifferenza di mia cognata.
Correndo il rischio di annoiare il lettore, si deve ancora una volta mettere in evidenza
che la Falso parla di Pacciani ma non di Narducci, mentre segnala nei due cognati delle persone sospette.
A questo proposito la donna dovette rimanere un po' frastornata dall'ingresso
di elementi nuovi, poiché nell'audizione in questura del 29 settembre aveva parlato
di due uomini e una donna, in questo frangente di un uomo e una donna, forse due.
In ogni caso alla poveretta interessava far
cessare le minacce che la stavano tormentando da più di un anno, ma probabilmente
era ormai entrata in un gioco molto più grande di lei, e non poteva immaginare
che i suoi problemi sarebbero andati avanti tre o quattro volte tanto. È inevitabile
chiedersi allora con quale faccia tosta poté poi Giuttari scrivere su Il
Mostro “questa volta Dora è fortunata”,
intendendo per l’intervento di Mignini!
Vedremo più avanti, per quanto risulterà possibile attraverso la scarna documentazione in
possesso di chi scrive, come proseguirono le indagini sui misteriosi
telefonisti. Per il momento concentriamoci sulla vicenda Narducci, e prendiamo
in esame il seguente documento, datato 22 ottobre:
Alla cortese attenzione
del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di FIRENZE.
Oggetto: Procedimento n. 5202/01 R.G. Mod. 45
Per unione agli atti in possesso di codesto Ufficio, si trasmette copia
dell'informativa in data 09.10.2001 della Squadra Mobile della Questura di
Perugia.
Si fa presente che questo Ufficio procede in ordine alle circostanze relative alla
scomparsa e al rinvenimento del Dr. Francesco Narducci. Manda alla Segreteria per quanto di competenza.
Perugia, 22.10.2001
IL PUBBLICO MINISTERO (Dr. Giuliano Mignini sost.)
Si tratta di
una lettera di accompagnamento della nota con cui Angeloni aveva chiesto a
Mignini delega per acquisire il fascicolo Narducci e interrogare la Barone. Con
questa lettera Mignini avvertì i colleghi di Firenze che stava indagando sulla
morte di Narducci e i suoi possibili legami con la vicenda del Mostro. Proprio
quel 22 ottobre anche lui aveva sentito la Barone, ottenendo informazioni importanti
sulle procedure irrituali con cui era stata autorizzata la sepoltura di Narducci.
Ma anche tante dicerie e pettegolezzi sui collegamenti con la vicenda del Mostro.
In ogni caso dopo altre audizioni, il 25 ottobre sarebbe stato iscritto a modello 44 – notizie di reato
a carico di ignoti – un nuovo fascicolo, il famoso 17869/01, padre di tutta la
gigantesca inchiesta sulla morte del medico umbro.
Ci si può
immaginare l’entusiasmo degli inquirenti fiorentini quando ricevettero la
lettera, considerando la bruttissima situazione in cui si trovavano riguardo le
traballanti indagini sui mandanti. Avvertito da una telefonata anonima, quello
stesso 22 ottobre Giuttari era andato a controllare il famoso casolare nella
proprietà dei Corsini, rinvenendovi pipistrelli di plastica e materiale
analogo: un “depistaggio”, secondo le sue dichiarazioni ai giornali, in realtà
una burla atroce e nient’altro, secondo il semplice buonsenso. All’orizzonte
rimaneva soltanto la debole speranza di ricevere buone notizie dalla perizia
tossicologica sulla morte di Pacciani, ma il cui risultato avrebbe in ogni caso
portato poco lontano, vista la totale mancanza di qualsiasi soggetto da
indagare (però la sua presenza nelle telefonate alla Falso associata a una setta satanica
che lo avrebbe ucciso costituiva un buon motivo di sospetto).
Di fatto
l’iniziativa di Giuliano Mignini portava dentro la moribonda inchiesta
fiorentina un elemento di assoluta novità e interesse. Si trattava ancora una
volta di una vecchia storia, ma di grandissima suggestione e soprattutto non
più condizionata dall’ostacolo che aveva sempre impedito di approfondirla,
l’alibi di Narducci per il delitto di Calenzano, che nella nuova ottica del
Mostro multiplo non contava più nulla.
Adesso forse
parrà più chiaro il perché chi scrive non crede troppo alle affermazioni di
Giuttari riguardo la spontaneità dell’iniziativa di Jorge Maria Alves, che proprio
in quei giorni lo avrebbe cercato per parlargli di Narducci. Insomma, può
succedere che ogni tanto qualcosa cada a fagiolo, soprattutto per le persone
fortunate, ma qui la coincidenza sarebbe oltremodo straordinaria!
In realtà abbiamo visto nella prima parte che Giuttari aveva inquadrato Narducci
già da tre anni, pertanto diventa legittimo sospettare che, una volta venuto a conoscenza tramite la comunicazione di
Mignini di quel che bolliva in pentola a Perugia, avesse contattato la Alves. In questo caso sarebbe
però incomprensibile il perché della sua decisione
di non dichiararlo. O forse non tanto, poiché nella vicenda inerente la
partenza delle nuove indagini sulla morte di Narducci si avverte una ineliminabile
sensazione di artificiosità.
Le cassette.
A questo
punto il lettore davvero interessato sarà molto curioso di sapere se il nome di
Francesco Narducci c'era o non c’era nelle registrazioni delle minacce
telefoniche dei sedicenti satanisti. Abbiamo visto che nei documenti fin qui
esaminati non se ne fa menzione, ma questo non basta a concludere che quel nome
non ci fosse, servirebbe ascoltare le telefonate. Ebbene, per fortuna chi scrive
ha la disponibilità delle relative trascrizioni effettuate dagli uomini della questura
di Perugia.
Il 29 settembre Dorotea Falso aveva consegnato le prime due audiocassette, che furono
trascritte in un verbale datato 23 ottobre. Dal documento
risultano 58 conversazioni, purtroppo non singolarmente datate. Va detto che la seconda cassetta, registrata
sul solo lato A, è una copia parziale del lato A della prima, riportandone le prime 22 telefonate su 29
(ma, incredibilmente, pare che i tre incaricati
alla trascrizione non se ne fossero accorti, come si evince dal documento...).
A parlare, oltre alla Falso, un
uomo e una donna, con il breve intervento in un solo caso di un’altra voce
maschile, quasi sicuramente il marito della stessa Falso.
Cominciamo col dire che il nome di Pacciani risulta pronunciato in tre telefonate, queste:
Telefonata 11, parla la donna: … Mi fai ridere…
… il tuo bambino è più brutto di…
… Bocchinara, lo sai noi sappiamo tutto… tutti i bambini con la testa rossa come
tuo figlio ci piacciono, farà la fine di Pacciani per un nostro servo maleficio (?), puttana… la puttana la farai…
con nostro signore satana e tuo figlio ce lo prendiamo noi. …
Non sai quello che dici......
… Puttana tuo figlio ce lo prendiamo noi.
Telefonata 12, parla l’uomo: … Fai bene perché siamo qui ad aspettarti, mica hai paura?
Hai molta paura ehh tuo figlio lo riconosciamo anche se lo dipingi di nero, è
rosso, tuo figlio è rosso, satana lo vuole, non capisci proprio un cazzo, non
capisci un cazzo.
Ehh ehh, finirà come Pacciani che ha tradito ahh.
Ahh siamo qui ad aspettarti dai esci magari con il tuo amichetto così lo uccidiamo
anche lui brutta buttana.
… Fa male a morire per te.
Telefonata 32, parla la donna: … Non parli? ci vai dal tuo ciarlatano? sii, noi ti aspettiamo, siamo già lì.
Il tuo ciarlatano è un sacrilego, farà una brutta fine, anche tu, vi preleveremo
il sangue il tuo e il suo, di quel ciarlatano la tua testa sarà portata e seppellita nelle colline di Firenze dove
c’è anche quel bastardo di Pacciani.
Puttana sei finita…
Non crederai che questo sia uno scherzo, siamo molti e potenti.
Tu verrai uccisa in nome di satana, verrai uccisa e tuo figlio lo prenderemo.
Ahh ahh vedrai, vedrai, vedrai puttana, uccisa per niente puttanaccia maledetta.
Come c’era da aspettarsi, il nome di Narducci non compare mai, e neppure parole che in
qualche modo possano richiamarlo, tipo “dottore” o “lago”.
Nelle settimane e nei mesi successivi Dorotea Falso consegnò altre cassette, nelle
cui trascrizioni la numerazione delle telefonate andò avanti con un unico
progressivo (quindi la prima della cassetta 3 prese il numero 59). A complicare
le cose va segnalata la presenza di altri doppioni e di telefonate non pertinenti. In
ogni caso il primo riferimento a Narducci si trova nella telefonata 166, presente
nella cassetta numero 7. Ecco il verbale di consegna in questura, datato 21 maggio 2002
(qui il PDF):
Il 21.05.2002, alle ore 1,45 negli Uffici della Divisione Squadra Mobile della Questura di Perugia.
Di fronte al sottoscritto Ufficiale di P.G. Ispettore Fantauzzi Furio,
coadiuvato dall'Agente di P.G. Assistente capo Emili Salvatore, in forza all'Ufficio indicato in epigrafe,
è presente la nominata in oggetto, la quale per ogni effetto di legge, denuncia quanto segue:
«Dopo circa un periodo di tempo che le telefonate minatorie erano cessate, all'improvviso,
circa una settimana fa sono riiniziate le telefonate con lo stesso tenore di quelle di prima;
nel particolare, in data 18.05.2002, verso le ore 12,36, mi è arrivata la solita telefonata
fatta dalla voce dell'uomo in cui mi veniva detto che avrei fatto la stessa fine
dell'amico di Pacciani seppellito nei Lago Trasimeno e che mi avrebbero buttato nel Lago per uccidermi.
«Durante una telefonata, quest'uomo che falsa la voce, mi ha detto che avrei fatto
la fine dell'amico medico di Pacciani. Da Sabato scorso mi è stato ripetuto più volte che mi avrebbero ucciso e buttato nel Lago Trasimeno.[...]
Voglio anche specificare che sulla cassetta che vi consegno, durante una di queste telefonate,
queste persone mi dicono che il mio telefono è sotto intercettazione e che tutto è inutile
perché i poliziotti sono amici loro.[...]»
Si dà atto che viene acquisita una cassetta audio marca Sony, modello HF 90,
registrata solamente in parte sul lato "A", recante le telefonate in cui viene fatto riferimento a Pacciani ed al suo amico medico.
Il verbale di trascrizione riporta la data del giorno dopo, 22 maggio 2002.
Telefonata 166, parla un uomo: Uomo: Ah. perché dici buonasera? Eh? Presto per
te arriveranno le tenebre di satana. Hai capito?
Verrai uccisa e seppellita come l'amico di Pacciani… del lago Trasimeno. Falso: Ma scusa ma chi è l'amico di Pacciani? Dimmelo? Uomo: Ah, guarda bene.
[…] Falso: Scusa scusami ma io che c'entro con Pacciani? Mi spieghi? Che c’entro io? Io so’ una semplice mortale. Uomo: Guarda il tuo bambino e finirai nel lago uccisa. Le tenebre
sono vicine per te maledetta pottana, ahh, ahh, ahh, ahh, ahh. Tu maledetta,
ahh, ahh, ahh
Telefonata 167, frammento, parla un uomo: […] Uomo: Stai zitta, fa silenzio. Tu ricorda il dottore amico di Pacciani. Falso: Ma chi lo conosce? Che c’entro? Uomo: È la tua fine.
Come si vede
ci sono dei riferimenti a Narducci ma non ancora il suo nome (per inciso, si
deve presumere che le notizie arrivate nel 2004 a Pino Rinaldi per il suo
servizio su Puletti si fossero fermate qui). Per leggere la parola “Narducci”
si deve aspettare la cassetta 9, contenente 30 telefonate, progressivi 180-209,
consegnata dalla Falso il 27 giugno 2002 (vedi)
e trascritta su un verbale che riporta la data del 15 luglio. Ecco qui le
quattro conversazioni interessate:
Telefonata 180, frammento, parla un uomo: Lo conosciamo molto bene il tuo bambino che prenderemo.
Sì è inutile brutta puttana che gli tagli i capelli, puttana.
No, non è il tuo. perché tu sei puttana e tuo figlio ce lo prendiamo noi in nome di
satana e sempre in nome di satana maledetta sarai uccisa come i traditori Pacciani e il grande medico.
Hai capito? Maledetta?
Telefonata 183, frammento, parla un uomo: Sei una bestia, il demone di satana è in te, sei sempre più brutta, fai schifo,
flaccida, guardati bene ogni giorno diventi più brutta.
Il demone ti corrode la tua anima e presto la tua anima e la tua vita, sarà
nostra, verrai uccisa, uccisa maledetta.
Il tempo nostro è infinito, è il tuo che finisce pottana, pottana.
Ahh, ahh, ahh, ahh Finirai come i traditori di Firenze Pacciani e il grande dottore.
Telefonata 192, frammento, parla un uomo: Ma dimmi i giornali li leggi?
Noi abbiamo parlato molte volte del grande dottore del lago ucciso.
Non li leggi i giornali? Il dottore, il grande dottore Narducci…
Lui è un traditore come Pacciani di satana ed è morto, morto.
E tu farai la stessa fine pottana
Telefonata 194, frammento, parla un uomo: Sei puttana e cornuta.
No, la tua morte non è fantasia, è realtà. Sarai sacrificata in nome
di satana come il grande dottor Narducci, come tutti gli amici di Pacciani
traditori di satana.
Povera puttana deficiente, fai schifo.
Sei brutta, è la tua fine.
Di recente è comparso su Youtube un filmato con alcune telefonate (vedi),
il lettore le può ascoltare anche qui.
Le registrazioni
di Dorotea Falso proseguirono. Dal verbale di ricerca dei termini significativi
contenuti nelle trascrizioni, redatto il 16 giugno 2004, si scopre che in
totale le cassette furono almeno 18, in 8 delle quali c’erano riferimenti alla
vicenda del Mostro. In particolare, dopo la 9, Narducci compare nelle cassette
11 e 13. La figura sottostante ne mostra le prime tre pagine.
Qui sotto si possono vedere invece le date di trascrizione delle cassette 1, 2, 7 e 9.
Il quadro è (quasi) completo, e consente di affermare una verità tanto clamorosa quanto
inconfutabile: non è vero che le indagini sulla morte di Francesco Narducci
furono riaperte dietro lo stimolo delle telefonate minatorie a Dorotea Falso,
poiché in quelle telefonate il primo riferimento alla persona, sotto forma di “amico di Pacciani del lago
Trasimeno”, è successivo di ben 7 mesi, da ottobre 2001 a maggio 2002.
Il lettore tragga da
solo le conseguenze che ritiene opportuno trarre.
La causa diventa l’effetto.
A questo
punto si deve notare la sorprendente inversione dei fenomeni di causa ed
effetto. Se non fu la comparsa del nome di Narducci nelle minacce telefoniche a
far partire le indagini sulla sua morte, fu quasi sicuramente la partenza delle
indagini sulla sua morte a far comparire il suo nome nelle minacce telefoniche.
Altrimenti, al solito, dovremmo accettare una casualità poco plausibile. La
spiegazione più ovvia di tale fenomeno potrebbe essere la comparsa sui mass media delle notizie relative
alle indagini, dalle quali i molestatori sarebbero stati stimolati all’utilizzo
della figura di Narducci accanto a quella di Pacciani. Ma non sembra così.
Durante i primi mesi le bocche degli inquirenti erano cucite. A quanto risulta
a chi scrive l’unica fuga di notizie avvenne in concomitanza con l’audizione,
il 22 gennaio 2002, di Gabriella Carlizzi da parte di Mignini. Fu quasi
certamente la teste stessa a parlare, nonostante la secretazione del verbale.
Dal “Tirreno” del 25:
L'inchiesta
avviata a Perugia, dopo l'interrogatorio di dieci ore di Gabriella Carlizzi,
sembra un po' come il capo di un filo: a tirarlo si dipana la matassa. E
infatti il procuratore capo Giuliano Mignini pare aver iniziato proprio dal
principio. Dal 1985, precisamente l'8 ottobre, quando un giovane medico, figlio
del primario di ginecologia dell'ospedale di Foligno, scomparve nelle acque del
lago Trasimeno. Secondo la procura di Perugia che avrebbe ricevuto alcune carte
da quella di Firenze, la morte di Francesco Narducci, all'epoca 36 anni,
potrebbe essere collegata con le vicende giudiziarie che vedono implicata la
schola di esoterismo e magia che secondo gli inquirenti fiorentini avrebbe
ordinato i delitti delle coppiette. Gli incartamenti sono stati ripresi dagli
scaffali ma il filo che ne esce sembra avvolgersi sempre attorno alla rosa
rossa. Il nome della congrega con base in Francia e a Firenze che firmerebbe i
delitti più efferati lasciando il suo simbolo: la rosa. Solo ipotesi,
naturalmente.
Narducci
scomparve dalla sua barca un pomeriggio di ottobre. Il corpo fu ripescato
qualche giorno dopo. L'indagine fu presto chiusa col suicidio. Ma che ragioni
avrebbe avuto Narducci di suicidarsi? La storia non l'ha mai raccontato. Il
nome del medico e docente universitario arrivò a Firenze già diciassette anni fa.
Attraverso alcune lettere anonime che lo avrebbero indicato come implicato
nella terribile vicenda dei duplici omicidi. La procura di Firenze svolse degli
accertamenti – a quel tempo capitava con frequenza che anonimi indicassero
personaggi anche i più stravaganti – non trovò nulla – anche perché il medico
in occasione di uno dei delitti sarebbe stato all'estero – e chiuse le
indagini. Ma di un medico morto affogato parlò anche Pietro Pacciani in uno dei
suoi innumerevoli memoriali. Indicava nomi e personaggi, il «Vampa», per
difendersi. E su alcuni gli inquirenti fiorentini, successivamente, avrebbero
anche trovato riscontri. Come nel caso del medico perugino, se è vero che
l'input a riaprire le indagini è partito da Firenze. Narducci potrebbe aver
fatto parte della schola? E se avesse semplicemente visto ciò che non avrebbe
dovuto vedere?
Come si vede compaiono anche notizie inesatte, la qual cosa conferma una fonte di tipo secondario,
ben compatibile con la Carlizzi. Un articolo analogo comparve su “Repubblica”. Per i telefonisti satanici gli stimoli erano
molti, tra notizie vere e notizie fasulle tutte orientate verso ipotesi settarie,
eppure non ne approfittarono, quasi avessero voluto rispettare
la secretazione del verbale della Carlizzi.
Prima di
leggere ancora di Narducci si dovette aspettare i primi di giugno, quando
filtrarono le notizie relative alla imminente esumazione della salma. A
conoscenza di chi scrive il primo articolo è questo del “Corriere dell’Umbria”
uscito il 1° giugno.
Verrà effettuata nella sala settoria dell'Istituto di medicina legale in via del
Giochetto la perizia autoptica sui miseri resti di Francesco Narducci il medico
perugino specialista in gastroenterologia, la cui riesumazione è fissata per il
4 giugno con provvedimento a firma del sostituto procuratore Giuliano Mignini.
Il magistrato perugino, che aveva chiesto lumi ad alcuni esperti tra cui il
professor Aristide Morelli, sulla efficacia di un esame autoptico a 17 anni
dalla morte della vittima, ha nominato quale perito un luminare di Pavia, il
professor Giovanni Pierucci. Anche la famiglia, i cui interessi morali e materiali
sono tutelati dagli avvocati Antonio e Alfredo Brizioli, ha nominato i propri
consulenti che sono Rino Froldi di Macerata, Giuseppe Fortuni di Bologna e
Valter Patumi di Perugia.
Le operazioni inizieranno di buon mattino con l’apertura del loculo al cimitero
monumentale di Perugia ed il trasporto della bara nell’Istituto. Qui la cassa
verrà aperta ed inizieranno gli esami tecnici dei resti. La parte più
importante del lavoro dovrebbe riguardare gli esami istologici e tossicologici.
Il magistrato si è convinto, sulla scorta degli atti raccolti in questi cinque
intensi mesi di indagini e di interrogatori, che il clinico, che aveva appena
36 anni ed era un provetto nuotatore, sia stato ucciso. […]
I tre elementi che hanno riportato l’attenzione su Narducci in questi ultimi mesi
sono, da un lato, un’intercettazione
telefonica nel quadro di un'inchiesta sull'usura svolta dalla squadra mobile
perugina (in cui un estorsore minacciava, in maniera oggettivamente
inquietante, la vittima di farle fare la fine del medico ritrovato nel lago
Trasimeno), il fatto che nel giro dell'usura ci fossero soggetti legati a
sette sataniche (umbro-toscane) e, infine, il particolare che agli inizi degli
anni ‘80 il giovane clinico era stato in qualche modo sospettato dalla squadra
antimostro anche se poi prosciolto e completamente scagionato (all'epoca dei
delitti si trovava addirittura, per motivi di studio, negli Stati Uniti).
L’accenno
all’intercettazione telefonica dà ragione delle notizie imprecise che si
sarebbero perpetrate per anni sull’argomento. In ogni caso, lo abbiamo visto e
lo dice l’articolo stesso, l’ingresso del “medico
ritrovato nel lago Trasimeno” nelle minacce telefoniche c’era già
stato, più o meno una paio di settimane prima. Quali stimoli potevano, allora,
aver smosso i molestatori proprio in quei giorni? La risposta più logica è: il
medesimo che poi avrebbe provocato i successivi articoli di giornale, e cioè il
deposito della perizia effettuata sui vecchi documenti dal professor Giovanni
Pierucci, nella quale venivano evidenziate le inquietanti anomalie nelle
procedure inerenti recupero e inumazione del cadavere ritrovato nel lago.
Il parere
dell’esperto medico legale aveva costituito il vero punto di svolta di
un’inchiesta che fino a quel momento si era nutrita più che altro di vaghi
sospetti e voci di popolo. Si può a ragione immaginare che, grazie a essa,
Mignini si fosse definitivamente convinto sulla bontà della pista e quindi avesse deciso
di abbandonare ogni esitazione e prudenza, tanto da mettere in programma la
riesumazione del cadavere, un fatto clamoroso presto filtrato all’esterno.
Guarda caso quello fu anche il momento esatto in cui nelle telefonate a Dorotea
Falso fu introdotto “l'amico di Pacciani… del lago
Trasimeno”. Le date sono compatibili. Quella
ufficiale del deposito della perizia è il 20 maggio, ma si può presumere che un’anticipazione
ufficiosa del contenuto avesse circolato tra chi di dovere
già un po’ prima. Riguardo le telefonate, abbiamo visto che la consegna della cassetta era
avvenuta anch'essa il 20 maggio. Dal verbale si apprende che la telefonata 166, quella in cui
comparivano per la prima volta riferimenti alla vicenda Narducci, era del 18. Altra notizia di grande
importanza è quella di una ripresa delle telefonate dopo un silenzio di un non meglio specificato periodo di tempo.
È dunque ineliminabile il sospetto che i telefonisti si fossero presi una pausa in attesa del consolidarsi della pista
Narducci, per poi introdurne la figura nelle loro minacce. È parimenti ineliminabile il
sospetto che avessero potuto contare su qualche aggancio nell’ambito delle forze dell’ordine, tale da
consentir loro di conoscere la notizia sulla prossima esumazione del cadavere,
addirittura ancor prima del deposito della perizia che l'avrebbe resa possibile. Sulle motivazioni del
loro agire non è il caso di lanciarsi in ipotesi inverificabili, è meglio che
ognuno si faccia la propria idea.
Le indagini sui telefonisti.
Quali
indagini furono effettuate per individuare gli autori delle minacce
telefoniche? Abbiamo visto che alla fine, a quanto risulta dalle notizie
emerse, l’unico condannato fu un certo Pietro Bini, mentre altre tre persone,
tra cui i cognati di Dorotea Falso, sarebbero state assolte. Buio totale però
su come si arrivò a questo risultato. I pochi documenti pervenuti nella
disponibilità di chi scrive non aiutano molto, anche se possono offrire utili
motivi di riflessione. Prima di proseguire è opportuna una premessa: è opinione
personale che le molestie telefoniche siano da dividersi in
due fasi ben distinte, legate ad autori e motivazioni differenti. Nella prima
fase agirono soltanto i due cognati, spinti da ignoti rancori di presumibile
origine familiare. Nella seconda subentrarono altri soggetti, forse
affiancandosi ai primi due ma più probabilmente sostituendoli. Le nuove
motivazioni sono difficili da immaginare, in ogni caso appaiono torbide, e in
qualche modo legate alle indagini di Firenze sui mandanti. L’ingresso della
figura di Pacciani potrebbe rappresentare il punto di giunzione tra le due
fasi.
Ecco alcuni elementi desumibili dalla documentazione in possesso di chi scrive, tutti
riferiti alla seconda fase:
la lettura dei tabulati Telecom
relativi all’utenza Falso permise di appurare che venivano sempre usate
schede telefoniche in cabine pubbliche;
soltanto in un caso e per un
motivo fortuito si arrivò a un numero di cellulare con prefisso 335
(contratto “Tim business”)
che però, almeno a un primo controllo, risultò inesistente, poi non si sa;
era forse quell’utenza in uso a un poliziotto di cui parla il libro Setta
di stato?
vennero usate almeno 42 cabine
telefoniche, quasi tutte dislocate in paesi poco lontani dalla statale che
conduce da Foligno al lago Trasimeno: Foligno (11), Spello (5), Bastia
Umbra (2), Santa Maria degli Angeli (8), Assisi (6), Ospedalicchio (1),
Casaglia (1), Collestrada (1), Ponte San Giovanni (2), Perugia (1),
Sant’Andrea delle Fratte (1), San Feliciano (dove scomparve Narducci, 1).
Paesi un po’ discosti: Ponterio (1) e Bevagna (1);
con le stesse schede
telefoniche furono chiamati altri numeri, tra i cui intestatari la questura
evidenziò: a Vicchio “Il Forteto” e l’abitazione di un parroco, a Firenze
l’istituto “Pio X” nella ben nota via dei Serragli e due società di taxi,
infine a San Casciano la “Cooperativa di Solidarietà Lautari”;
alcune schede vennero usate
anche da Firenze per chiamare una casa di ritiri spirituali, “Oasi del
Sacro Cuore”, situata in Assisi.
Se si pensa
che il destinatario delle minacce era un’anonima estetista, non si può fare a
meno di domandarsi che cosa ci fosse sotto per mettere in piedi questa
gigantesca rappresentazione. È anche strano che non risultino intercettazioni
realizzate dalle forze dell’ordine, ma soltanto un tardivo suggerimento di
Angeloni a Mignini in data 28 febbraio 2002 che non sembra aver avuto seguito.
In considerazione di quanto sopra e della gravità dei fatti esposti nei vari
verbali resi dalla Falso Dorotea, nonché dalle minacce di morte, sia nei
confronti della Falso che del figlio in tenera età, evinte dai primi verbali di
trascrizione delle telefonate avvenute, è modesto parere di questo ufficio
ritenere necessario di richiedere all’Autorità Giudiziaria in indirizzo di
voler valutare l’opportunità di concedere l’autorizzazione a procedere ad
intercettazione dell’utenza telefonica dell’utenza […] intestata a […] di Falso
Dorotea, in uso alla stessa, per una durata di quindici giorni, senza blocco,
da effettuare presso la sala intercettazioni di questa Questura, Divisione
Squadra Mobile. Si fa altresì presente di voler valutare l’opportunità di fare
acquisire anche il tracciamento telefonico in entrata ed in uscita dell’utenza
interessata per tutto il periodo che verrà effettuata l’eventuale
intercettazione telefonica.
Con l’enorme uso, per non dire abuso, delle intercettazioni telefoniche in
moltissimi altri alvei dell’inchiesta, riesce davvero difficile capire il
perché nel caso dei sedicenti satanisti esse non furono attuate.
Ma proviamo a scoprire qualcosa di questo nuovo personaggio, Pietro Bini – che sappiamo essere l’unico
condannato – attraverso
le parole di una collega di lavoro alla quale aveva fatto telefonate ingiuriose
con voce camuffata tramite un congegno elettronico.
OGGETTO: Verbale di spontanee dichiarazioni rese da C. Luciana [...]
Il 9 gennaio 2003, alle ore 18:20, negli uffici della Divisione della Squadra Mobile
della Questura di Perugia, innanzi al sottoscritto Ass. C. EMILI Salvatore è presente
la nominata in oggetto la quale sentita in relazione ai fatti già denunciati in passato,
relativi alle minacce e ingiurie ricevute dal suo collega di lavoro BINI Pietro, in altri
atti generalizzato riferisce quanto di seguito:
Preciso che le telefonate minatorie che poi ho saputo che venivano effettuate dal
BINI Pietro, la voce veniva distorta tramite un congegno elettronico di piccole
dimensioni, della grandezza di un registratore portatile. La voce che veniva simulata
era del tipo rauca, rantolante che poteva rimarcare la follia della persona che
telefonava. Sono sicura di ciò in quanto lo stesso Bini mi ha raccontato come riusciva
ad effettuare tali telefonate senza farsi riconoscere, ed infine mi ha anche mostrato
l'apparecchio da lui utilizzato. Le telefonate in questione come confessato dal Bini le
effettuava sia dall'utenza telefonica della sua abitazione che da cabine pubbliche. [...]
So che pratica unitamente ad un gruppo di ragazzi maschi e femmine, la simulazione di guerra
ed hanno una sede in Spello. Attualmente in azienda lavora come centralinista e posso dire che è un
esperto nel campo della telefonia e ricetrasmittenti come da lui asserito e dimostrato.
Questa invece è un’informativa della questura, datata 25 febbraio 2003.
L’estrapolazione
delle schede telefoniche interessate, grazie alla possibilità di evincerne il
codice che lascia traccia della chiamata effettuata, ha permesso di focalizzare
l’attenzione su alcuni elementi che potrebbero essere gli autori del reato;
nello specifico è giusto segnalare che uno di loro, tale Bini Pietro, nato a
Cannara […] ivi residente […], soprannominato “Tenente Kenne”, vista la sua
passione e megalomania per le armi e tutto ciò che attiene l’esercito, anche se
riformato, ha già precedenti specifici per aver ossessionato con telefonate
anonime una donna, tale C. Luciana, minacciandola ed usando termini scurrili
come viene fatto per la Falso. È anche da sottolineare che le sue fisime lo
vedono come un fervido partecipante alle gare di “Soft air”, sia nella
provincia di Perugia che in quella di Firenze e in quella di Reggio Emilia.
Oltremodo,
una delle tante schede telefoniche usate per effettuare le minacce, viene usata
diverse volte, anche in orari particolarmente tardi, anche per chiamare la C.
Romina, sorella della C. Luciana. È evidente che la Romina C. non è ancora
stata escussa a verbale, come la sorella (vedasi verbale allegato), perché
sussistono validi elementi per ritenerla facente parte del sodalizio in parola,
cosi come altri personaggi non sono stati chiamati, fino a che non esisterà la
certezza della loro estraneità all'attività criminosa, onde non pregiudicare le
indagini che si stanno effettuando. Si segnala anche che è la stessa Luciana
C., che in sede di escussione a verbale, dichiara che il Bini è in possesso di
tutti i numeri telefonici della sua famiglia e conosce i vari componenti.
Oltremodo
si evidenzia che il Bini è stato indicato da più persone come un fervido
praticante di messe nere e che, stranamente, le zone frequentate per le gare
della “soft air” coincidono con i luoghi dove vengono praticati i riti
satanici. Non è da sottovalutare neppure la tecnica che il Bini usò con la C.;
infatti, durante le sue telefonate minatorie usava un distorsore vocale,
necessario per non far riconoscere la propria voce, visto che la persona offesa
e l’autore erano colleghi di lavoro e quindi perfettamente conoscenti l’una
dell’altro. Tale metodo ha permesso al Bini di operare nella sua attività
minatoria e denigratoria per ben due anni, senza che venisse scoperto e senza
lasciare tracce particolari. L’elemento scatenante nel Bini questa perseveranza
maniacale è da ricercare in un netto rifiuto, da parte della C., ad
intraprendere una relazione sentimentale, stante le dichiarazioni rilasciate dalla stessa.
È davvero
tutto molto strano. L'informativa racconta i precedenti del soggetto nel campo
delle molestie telefoniche, ma non fornisce alcun elemento che possa collegarlo
a Dorotea Falso. La quale a sua volta mai lo aveva chiamato in causa. Eppure
sappiamo che tre anni dopo Bini avrebbe ammesso le molestie, concordando con
Mignini una pena rifiutata peraltro dal giudice per la sua eccessiva esiguità.
E infine nel 2012, secondo Fiorucci, avrebbe “patteggiato
una pena di qualche mese spiegando: l’ho fatto perché ero invaghito
dell’estetista che non ci stava”.
È chiaro che i conti non tornano. Se è vero che è sempre opportuno tenersi lontani
da facili scenari di complottismo, in questo caso
è ineliminabile il sospetto che Pietro Bini e Romina C. avessero agito per conto di qualcuno.
Chi poteva essere questo qualcuno e quali potevano essere i suoi interessi allo stato
della documentazione in mano a chi scrive non è possibile ipotizzarlo.
Firenze risponde.
Nello stesso
giorno dell’audizione di Jorge Maria Alves, 9 novembre 2001, partì la richiesta
di Canessa a Mignini per collegare le rispettive inchieste. Tempo neppure un
mese che Giuttari preparò una nota per la procura dove chiedeva nuove deleghe a
effettuare interrogatori e intercettazioni, anche sulla base dei nuovi sviluppi dovuti
all’inchiesta perugina. Tra l’altro con la Alves aveva già trovato nella figura
dell’avvocato Jommi il primo possibile legame di Narducci con l’ambiente
fiorentino.
Quelle deleghe le avrebbe attese a lungo, però, poiché il nuovo procuratore capo,
Ubaldo Nannucci, non si fidava troppo, quindi, di lì a poco, sarebbero
state scintille.
***********************
Ringrazio Francesca Calamandrei per la disponibilità nel fornirmi la documentazione in suo possesso,
augurandole che dopo il riconoscimento da parte della legge dell'assoluta estraneità di suo padre a questa brutta vicenda,
cessino anche i sospetti ingiustificati che si alimentano di inesistenti ombre nere.
L’estetista.
Abbiamo visto che in un giorno non ben precisato, ma non troppo precedente la
sua audizione del 6 novembre 2001, Maria Alves aveva cercato di Giuttari, con
lo scopo di reiterargli i propri sospetti sull’ex amante Giuseppe Jommi e sulla
sua presunta amicizia con Francesco Narducci. “Ha
cercato varie volte di contattarmi lasciando detto in Questura che aveva
notizie sulla vicenda del “mostro di Firenze” e che voleva incontrarmi.
L'accontento appena posso.”; così si legge ne Il Mostro. Fino
a prova contraria dobbiamo credere alla versione dell’ex superpoliziotto, del
resto confermata dal verbale riassuntivo controfirmato dalla stessa Alves, ma
questo ci costringe nel contempo anche ad accettare una coincidenza davvero
sorprendente: quando, dopo tanti anni, la rancorosa signora brasiliana aveva
deciso di sottoporre ancora una volta la chiacchierata figura del medico umbro
all’attenzione delle forze dell’ordine, da qualche giorno, forse da una, due,
tre settimane al massimo, a Perugia erano state riaperte le indagini su di lui!
(vedremo tra un po' che la comunicazione ufficiale dalla procura di Perugia a quella
di Firenze era avvenuta il 22 ottobre).
Ma concentiamoci sui soli eventi di Perugia. Per quale motivo
una storia vecchia di ben sedici anni – fonte sì di fascinose suggestioni ma sempre scartata come effettiva ipotesi
di lavoro – era stata riaperta? L’appassionato che ha letto Il Mostro, e
quindi il colorito resoconto di Giuttari, sa il perché, o almeno
è convinto di saperlo.
Squilla il telefono nell'istituto di Foligno dove lavora
Dora. Lei solleva la cornetta e prima ancora di salutare il cliente riconosce
il fiato corto, affaticato.
«Tu e la tua famiglia dovete morire... tuo figlio, con
quella bella testolina tutta rossa... per il nostro signore Satana, verrà
sacrificato sulle colline del Mugello... maledetta puttana...»
La voce dell'uomo è roca, artefatta, vagamente metallica.
Scandisce le parole come se gli costasse.
Non è la prima volta che Dora riceve quelle telefonate. Si
alternano un uomo e una o due donne, difficile dirlo perché le voci sono sempre
camuffate, quelle femminili con un timbro falsamente infantile. Non cambiano le
offese e le minacce.
«Ancora li? Ci vai dal tuo ciarlatano? Sì, noi ti
aspettiamo, siamo già lì, dal tuo ciarlatano. Farà una brutta fine. Anche tu.
Ti prenderemo il sangue, il tuo e il suo. La sua testa sarà portata e
seppellita nelle colline di Firenze... dove c'è anche quel bastardo di
Pacciani... Puttana, sei finita!»
Dora non si perde d'animo, tiene testa agli interlocutori,
li deride: «È una vita che me lo dici... che paura! Che paura, tremo tutta!»,
[voce di donna] «Tuo figlio... lo vogliamo...» [lei] «Cos'è, non sei
capace a farne?» [voce di donna] «Farà la fine di Pacciani... era un nostro
servo ma ha tradito.» [voce di uomo] «Ricorda il dottore amico di
Pacciani... traditori di Satana... I traditori Pacciani e il grande medico...
Narducci... finito nel lago strangolato.»
[voce di uomo] «Presto per te arriveranno le tenebre di
Satana. Come l'amico di Pacciani, nel lago Trasimeno.»
[voce di uomo] «La polizia a noi non ci fa niente... tu
morirai. È importante che qualcuno di noi, e siamo tanti, lo faccia...
puttana... scimmia... gallina!»
Le telefonate si susseguono. Dora li fa parlare. E registra
tutto.
Si sarebbe
scoperto poi che dietro il nome camuffato di “Dora” c’era la titolare di un
istituto di bellezza di Foligno, tale Dorotea Falso, una normalissima signora
di quasi quarant’anni del tutto priva di legami sia con il mondo dell’occulto
sia con quello dei servizi segreti e, per quanto se ne sa, anche fuori da
qualsiasi altra organizzazione criminosa o comunque nascosta. Il perché una
sedicente setta satanica l’avrebbe minacciata addirittura di morte risulta del
tutto incomprensibile. Ma vediamo quel che successe poi, sempre secondo
Giuttari.
Ora è davanti a un ispettore della Squadra Mobile della
Questura di Perugia, che ascolta incredulo il nastro, la prova della denuncia
per le minacce di morte che è venuta a sporgere. È una denuncia circostanziata:
oltre alle telefonate aveva ricevuto lettere anonime sempre con minacce di
morte, era stata avvertita che le avrebbero bruciato il fienile, cosa che poi
avvenne, aveva subito danni alla propria auto (quattro ruote squarciate e
sfregi sulla carrozzeria), tutti fatti che aveva regolarmente denunciato alle
forze dell'ordine del paese in cui abitava.
«Adesso hanno iniziato a minacciare di morte anche mio
figlio che ha tre anni.»
Ma questa volta Dora è fortunata: l'ispettore avvisa subito
il PM che sta coordinando l'indagine su un caso in cui è coinvolto un parente
di lei, che è il motivo per cui quel giorno è stata convocata in Questura.
Il PM è Giuliano Mignini. Un uomo integro e coraggioso, che
va dritto per la sua strada, non si piega alle pressioni e non si lascia
intimidire da nessuno. Uno di quei tutori dell'ordine al servizio dei cittadini
che mi piace raccontare nei miei romanzi. La stessa tempra di Vigna, che sempre
più rimpiango.
Come? Giuttari
rimpiangeva il medesimo Vigna che di lì a un paio di mesi, grazie proprio alle
sue stesse confidenze, sarebbe stato presentato su Panorama come depistatore?
Ma non è questo ciò che interessa qui, qui interessa Mignini, e soprattutto le
sue mosse di fronte alle stranezze degli eventi dei quali fu messo a parte.
Quando giunge nell'ufficio della Mobile il magistrato non si
toglie neppure l'impermeabile beige, ma si mette subito la cuffia e ascolta le
telefonate. Vuole sentire bene le voci, studiare le frasi una per una. Lo
colpisce soprattutto il riferimento al “grande medico”, Narducci, perché anche
lui, che è di Perugia, sa che si tratta del medico che la “voce pubblica” in
passato aveva collegato alla vicenda del “mostro di Firenze” e che ancora
persiste.
Vuole vederci più chiaro e senza perdere tempo emette una
serie di autorizzazioni per approfondire le indagini, tramite la Squadra Mobile
di Perugia, sul medico e la sua morte.
E così, almeno a
dire di Giuttari, invece di accertarsi prima di chi potesse esserci dietro le
ridicole minacce telefoniche – si trattasse di mitomani oppure anche della
fantomatica setta che a Firenze avrebbe commissionato i delitti del Mostro –
Mignini partì in quarta a indagare su una storia vecchia di sedici anni.
Proviamo a leggere il resoconto diretto del magistrato, come risulta dalla citazione
della sua requisitoria nella sentenza Micheli.
Nel settembre – ottobre 2001, la Squadra Mobile della
Questura di Perugia sta seguendo un caso stranissimo, che tutt’oggi, nonostante
un’intervenuta condanna patteggiata, presenta degli aspetti oscuri e torbidi. È
il caso delle quotidiane minacce telefoniche dal contenuto e dalle modalità
espressive degne di un film horror, che una estetista di Foligno, certa Falso
Dorotea, riceve da mesi, da più persone (un uomo certamente e, forse, una o più
donne) che, con voce alterata, si affermano appartenenti ad una congrega di
tipo satanista. […]
Ad un certo punto, attorno alla metà di ottobre 01, il
contenuto delle minacce, dapprima piuttosto generico, assume, via via, dei
riferimenti, sempre più precisi, alla tragica vicenda fiorentina e, in
particolare, dapprima alla figura di Pietro Pacciani, poi, anche a quella di un
medico, identificato esplicitamente in Francesco Narducci. […]
La stessa Squadra Mobile di Perugia non se ne sta inerte e,
in una delle note che accompagnano la strana evoluzione della vicenda Falso
Dorotea, richiama la morte del gastroenterologo e i suoi ipotetici rapporti con
la tragica sequenza omicidaria fiorentina.
Alla luce di tale nota, sempre nell’ambito del procedimento
sulle minacce telefoniche, riprende, anzi, questo PM prende per la prima volta,
lo scarno fascicoletto “Atti relativi alla morte di Francesco Narducci”,
esistente in Tribunale (ve ne è anche uno della Procura) e si comincia ad
assumere a informazioni alcuni soggetti che possono fornire indicazioni su
quella morte e, su indicazione della Mobile, la Prof.ssa Francesca Barone,
appartenente all’epoca all’Istituto di Medicina legale di Perugia, di turno, ma
stranamente non chiamata in occasione del rinvenimento del cadavere attribuito
al Narducci.
Sembra proprio
che Giuttari avesse raccontato il vero sulla partenza immediata delle nuove
indagini riguardanti la morte del medico umbro (ma non sulle telefonate, come scopriremo più avanti). L’interrogatorio di Francesca Barone,
infatti, è del 22 ottobre, un lunedì, quindi di appena una settimana successivo
alla metà del mese, quando, afferma Mignini, nelle telefonate a Dorotea Falso
sarebbero comparsi i nomi prima di Pacciani poi anche di Narducci. Quella
stessa settimana venivano sentiti almeno altri sei testimoni chiave, per
proseguire alla medesima velocità nelle settimane successive. Una partenza
sprint, insomma, nemmeno si fosse cercato un serial killer che minacciava di uccidere ancora da un momento
all’altro. La sentenza Micheli pare non far caso a questa incredibile fretta, e
non approfondisce per nulla i possibili retroscena delle strane telefonate, le
quali vengono liquidate in poche righe come prodotto dell’umana idiozia.
A proposito delle telefonate di molestia e minaccia che
costituirono l’occasione per tornare a indagare sulla morte del Narducci, nulla
quaestio: che un qualunque mentecatto potesse mirare a spaventare una donna
usando argomenti di quel tipo, non può destare sorpresa. I passi riportati dal
P.M. sembrano peraltro, nella gran parte, avere un “normale” contenuto di
ingiuria ai danni della signora Falso, con solo occasionali riferimenti ai
personaggi che qui rilevano: in quel contesto, l’abbinamento del Narducci al
Pacciani non rivelava necessariamente che chi lo operava sapesse chissà cosa
sul conto del primo. Nel 2001, facendo un minimo conteggio, erano ormai sedici
anni che circolava la chiacchiera sul fatto che il medico umbro avesse avuto a
che fare con i delitti del “mostro di Firenze”, ed è – questo sì – fatto
notorio che nell’immaginario collettivo dire “mostro” significasse dire Pietro
Pacciani; aggiungendo poi il particolare che anche il Pacciani risultava
deceduto in circostanze, per taluno, ancora misteriose, ecco un mix perfetto
per dare corso a sfoghi di idiozia. E che l’autore di quelle telefonate fosse
appunto un povero idiota risulta con palese evidenza dai riferimenti ai limiti
estetici od alle infedeltà coniugali che affliggevano la malcapitata destinataria
delle contumelie: chi vuole seriamente minacciare la persona a cui si rivolge
non si mette a dire cose del genere.
Per Micheli,
quindi, “nulla quaestio”, niente da
dire. Qualche considerazione in più invece pare opportuna, non tanto su chi
telefonava quanto sul peso delle stesse telefonate nell'inchiesta. Chi scrive
non sa nulla di diritto penale, però si presume che anch’esso, come tutte le
attività disciplinate dalle leggi dello stato, debba ispirarsi quantomeno a una
logica di base condivisibile da tutti, al buonsenso, insomma. Un magistrato che riceve una notizia di reato – in questo caso l’ipotetico omicidio
di Narducci legato ai delitti del Mostro di Firenze – certamente ha sia il
diritto sia il dovere d’indagare, ma si presume che decida di esercitarli
soltanto dopo essersi accertato che la notizia abbia un minimo di consistenza.
In fin dei conti ogni procedimento penale comporta un’allocazione di risorse e
un costo per la collettività, quindi, considerando per di più la cronica
carenza di mezzi della nostra magistratura, un filtro attento s’impone. Ora ci
si chiede quale credito potesse esser concesso a chi si professava appartenente alla
misteriosissima setta satanica che avrebbe ucciso Pacciani e poi tormentava una
povera donna chiamandola puttana, scimmia e gallina! Per caratterizzare uno
scenario del genere il termine più adatto non può che essere: “ridicolo”. Ma se
anche, malgrado tutto, si fossero davvero ritenuti possibili i legami satanici
millantati dai telefonisti, la prima cosa da fare era individuare chi li
millantava, con il che si sarebbe forse potuto aprire uno spiraglio di immense
potenzialità nelle indagini sulla ricerca dei mandanti. O no?
I telefonisti.
Sono stati chiariti, almeno in seguito, i retroscena delle
strane telefonate, e soprattutto, sono stati individuati i misteriosi
telefonisti? Nel frammento precedente Mignini accenna a una condanna
patteggiata, ammettendo però che nella vicenda rimanevano ancora degli aspetti
da chiarire. Le notizie sull’argomento sono molto scarse e anche
contraddittorie. In ambito giornalistico per anni si è ritenuto che le
telefonate all’estetista fossero state opera di usurai che cercavano di
recuperare i loro soldi, e prima dell’uscita della sentenza Micheli non si era
neppure sicuri che in esse vi fossero espliciti riferimenti a Francesco
Narducci o si parlasse invece di un generico “grande medico”. Si ricorda un servizio di “Chi l’ha visto”
(20 marzo 2004) dove il giornalista Pino Rinaldi proponeva in alternativa a
Narducci un altro medico, tale Alessio Puletti, caduto in un giro di usura e
morto suicida vicino al lago Trasimeno nel 1995. Secondo Rinaldi nelle
telefonate all’estetista si sarebbe fatto riferimento a lui, e non a Narducci,
quindi le indagini su quest’ultimo si sarebbero avviate partendo da presupposti
sbagliati. Si trattava di una falsa pista che sarebbe costata allo stesso
Rinaldi l’iscrizione nel registro degli indagati per ostacolo alle indagini. A
suo dire l’equivoco era nato per alcune risposte sibilline ricevute da Piero
Angeloni, il commissario che aveva sottoposto il caso dell’estetista
all’attenzione di Mignini.
Da quanto
riporta la sentenza Micheli sull’argomento, ben poco a dire il vero, sembra di
capire che l’usura non c’entri, o meglio, che non riguardasse Dorotea Falso. La
seguente frase, tratta dalla requisitoria di Mignini, parla di due
procedimenti: “Il fascicolo relativo alle
telefonate n. 9144/01/21 era nato, a sua volta, per motivi puramente
occasionali, dal fascicolo 11674/00/21 in materia di usura”. Sembra
quindi che le indagini sulle minacce telefoniche si fossero innestate su una
vicenda di usura preesistente, dal cui originario fascicolo, aperto contro
persone note nel 2000 (11674/00/21), ne era stato stralciato uno apposito nel
2001, anch’esso contro persone note (9144/01/21).
Ma insomma, chi erano gli autori delle ridicole telefonate e quali i loro obiettivi? Alcune
preziose informazioni ci vengono offerte dalle pagine umbre della “Nazione” del
30 marzo 2006:
Sembrerebbe un processo come tanti. Minacce telefoniche e
ingiurie nei confronti di un’estetista: reati da poco, puniti con pene miti. Ma
la prima udienza del processo “Brozzi+altri”, ieri mattina davanti al giudice
monocratico di Foligno, Ombretta Paini, è la genesi dell’inchiesta
sull’omicidio di Francesco Narducci. Un mistero lungo 20 anni. Perché per la
prima volta qualcuno, in quelle chiamate con voce artefatta, accostò i nomi di
Pietro Pacciani e del medico trovato cadavere nel lago Trasimeno nell’ottobre
del 1985.
E secondo la Procura di Perugia furono i quattro imputati:
Pietro B. (49 anni), Roberto F. (33 anni) e i coniugi Francesco B. (47 anni) e
Nadia C. (37), cognati dell’estetista. Lo fecero, dice il decreto di citazione
a giudizio firmato dal pubblico ministero Giuliano Mignini, “valendosi della
forza intimidatrice derivante da un’associazione segreta dedita a pratiche
sataniche, coinvolta nelle morti di Pietro Pacciani e Francesco Narducci,
associazione di cui gli anonimi interlocutori dell’estetista affermavano di far
parte…”. Ma dall’inchiesta madre non sarebbe ancora emerso il perché di quel
binomio inquietante (Pacciani-Narducci), né l’eventuale ruolo degli imputati.
Restano quelle frasi terrificanti che l’estetista registrò e
il perito della procura ha puntualmente trascritto.
Ieri però il processo ha subito la prima battuta d’arresto.
Il giudice infatti ha respinto la richiesta di patteggiamento avanzata
dall’avvocato Marco Baldassarri per conto di Pietro B. La pena, concordata con
il pubblico ministero Mignini, era di un mese e venti giorni ma, al termine
della camera di consiglio, il giudice ha ritenuto la pena “non congrua” per la
gravità del reato. Dopo la decisione il giudice si è dichiarata incompatibile a
proseguire il giudizio per gli altri imputati e ha rimesso gli atti al
presidente del tribunale di Perugia che dovrà designare un nuovo giudice.
Quindi, secondo
lo stesso Mignini, i quattro presunti telefonisti non facevano parte di alcuna
setta satanica, ma lo avevano soltanto millantato allo scopo di intimidire
l’estetista. Il che porta inevitabilmente a concludere che la pista Narducci
sarebbe partita da invenzioni di semplici molestatori telefonici: di certo, una
verità quantomeno imbarazzante. A pensar male diventa allora comprensibile la
voglia di Mignini di chiudere la faccenda alla svelta, tanto da accordarsi con
uno dei responsabili per una pena irrisoria rifiutata dal giudice.
Notizie
sull’evoluzione del caso, dopo il passaggio di competenze al tribunale di
Perugia, arrivano dal libro di Alvaro Fiorucci (2012), giornalista sempre
informatissimo sulle vicende giudiziarie di quella città. Rispetto all’articolo
precedente i tre uomini e una donna diventano però due uomini e due donne.
Come vedremo più avanti, è molto più probabile che la ragione sia dalla parte di Fiorucci.
(Edit: In effetti Roberto F. di 33 anni è Roberta. Si tratta di un errore contenuto
nel libro Il Mostro 'a' Firenze di Gabriella Carlizzi, dal quale il frammento è tratto.
Nello stesso libro l'articolo prosegue con il nome corretto).
È gennaio 2012 quando tre dei presunti autori delle minacce
che coniugano Narducci e Pacciani, Satana e il mostro, bambini da sacrificare e
il lago Trasimeno, vengono assolti. Il giudice Cecilia Bellucci stabilisce che
quell’uomo e quelle due donne che stanno sul banco degli imputati non hanno
commesso reati. Non fanno parte di questa storia. Del resto, uno che ha ammesso
di aver commesso il fatto c’è stato. Scoperto, ha patteggiato una pena di
qualche mese spiegando: l’ho fatto perché ero invaghito dell’estetista che non
ci stava. Insomma, un corteggiamento che partiva da una cabina pubblica di
Cannara, il paese delle cipolle, dove, ad un passo dalla città della Quintana,
abitava il satanista telefonico.
Quello che diceva su Narducci e Pacciani l’aveva letto sui
giornali o visto alla televisione. Ha azzeccato alla cieca qualche inedito e
questo l’ha portato sulla graticola della giustizia. Ancora oggi non si è reso
conto che con quelle quattro stronzate che dovevano sapere di zolfo,
inavvertitamente e sicuramente non volendo, ha fatto riaprire un caso che doveva restare chiuso per sempre.
Si può intanto
osservare che quelle “quattro stronzate che
dovevano sapere di zolfo” hanno innescato il consumo di qualche
decina di milioni di euro di noi contribuenti, che di sicuro sarebbe stato
meglio spendere in altri modi, visti i risultati. A parte questo, il frammento
di Fiorucci ci dice che soltanto uno tra i quattro sospettati sarebbe stato
giudicato colpevole. Si trattava di Pietro Bini, come risulta dalla sentenza
Micheli. E allora i suoi complici – visto che telefonavano più persone, anche
se Mignini usa un ingiustificato forse – chi erano? Il condannato si sarebbe
tenuto i nomi per sé e nonostante ciò il giudice avrebbe accettato il
patteggiamento? C’è qualcosa che non torna.
Le ultime
notizie pubbliche sulla misteriosa faccenda si resero disponibili nel
2015 nel libro Setta di stato, di Francesco Pini e Duccio Tronci, dove
viene rievocata la vicenda del Forteto. Gli autori avevano potuto consultare
documenti non ancora diffusi, dai quali era emersa una circostanza
sorprendente: con le medesime schede telefoniche con le quali si minacciava
Dorotea Falso chiamandola da varie cabine pubbliche, poco prima o poco dopo
venivano chiamati anche altri numeri, tra cui quello del Forteto, una comunità
di recupero che qualche anno dopo si sarebbe cercato di coinvolgere nelle
indagini tramite il dossier Rizzuto
(vedremo in un futuro articolo di che cosa si trattava). Il libro svelò
inoltre un dato ancora più sorprendente: le minacce telefoniche, iniziate nel
luglio 2000, erano andate avanti per quasi cinque anni, quindi fino al 2005.
Questo vuol dire che nel momento in cui tutti i giornali scrivevano di Narducci
e “Chi l’ha visto” proponeva clamorosi servizi televisivi, i misteriosi
telefonisti ancora minacciavano la Falso senza alcuna paura di essere
individuati! Decisamente c’è qualcosa che non torna.
Altri passi del libro risultano molto interessanti, e, soprattutto, inquietanti.
La storia delle telefonate è scritta nero su bianco nella richiesta
di archiviazione formulata dal pm Giuliano Mignini relativa al procedimento 1845/08/21,
quello sull'omicidio Narducci. Mignini cita i tabulati telefonici del procedimento 9144/01/21,
quello riguardante le minacce all'estetista. Peccato che nelle carte del procedimento, consultate nel
maggio 2015, i tabulati non ci siano più, nonostante in più punti del faldone vi si
faccia riferimento. Spariti? Smarriti? Sottratti? [...]
Dall'analisi dei tabulati della Telecom, il 30% circa di queste telefonate non risultano.
Ufficialmente mai effettuate. In un caso la chiamata arriva non da una cabina, ma da un cellulare.
Il numero dell'utenza non è però registrato: come se fosse inesistente. Una telefonata di
minacce proviene addirittura dal commissariato di Foligno, un’altra da
un’utenza riconducibile ad un poliziotto.
A lasciarsi prendere dal
complottismo, si potrebbe dunque sospettare che dietro le telefonate ci fosse
qualcuno non estraneo all’ambiente delle forze dell’ordine, ne avesse fatto
parte oppure no. Ci si chiede comunque come sia stato possibile che fino a oggi
notizie quali la provenienza di una chiamata dal telefono di un poliziotto e di
un’altra dal commissariato di Foligno non siano mai trapelate. Tutto porta a
credere che non si sia voluto andare fino in fondo nella strana vicenda, almeno
non davanti all’opinione pubblica, probabilmente per timore che emergessero
circostanze imbarazzanti.
Non a caso anche Pini e Tronci non ci vedono chiaro:
Nella vicenda quattro degli indagati sono stati rinviati a giudizio: tre sono stati assolti, il quarto
– un uomo di Cannara – ha patteggiato e quindi per la giustizia è l'unico colpevole. Un finale che non
convince del tutto: le minacce infatti arrivavano da una voce maschile ma anche da una femminile. Due persone,
non una. La voce femminile, secondo una perizia disposta dalla procura di Perugia, ha un'inflessione piemontese.
Quella maschile, camuffata in modo naturale, è compatibile con la parlata di Cannara, ma l'attribuzione
all'uomo che ha patteggiato è incerta.
In effetti questa storia sembra nascondere qualcosa di torbido e ingannevole. Lo
dimostrano alcuni documenti entrati nella disponibilità di chi
scrive, attraverso i quali si riesce a capire in alcuni casi e a intuire in
altri – ma questo dipende dalla sensibilità di ognuno – come andarono davvero
le cose. Ampie e forse noiose citazioni si rendono a tal proposito necessarie, il
lettore davvero interessato non dovrà saltarle.
Le prime minacce.
È del 10 agosto 2000 la prima denuncia contro ignoti presentata da
Dorotea Falso davanti a un ufficiale di polizia giudiziaria del commissariato
di Foligno. Vi si legge:
In data 14.07.2000, intorno alle ore 20.30 circa, giungeva
[…] una telefonata, andava a rispondere il consorte ma nessuno rispondeva, alle
ore 00.30 del 15.07 rispondevo io, l’interlocutore uomo, con una voce bassa, mi
chiedeva se fossi io DOROTI, alla mia risposta affermativa questi abbassava la
voce tanto da venire alterata, ma con tono calmo e cupo, mi profferiva le
seguenti parole: PUTTANA; TROIA, a questo punto riattaccavo il ricevitore.
Analoghe telefonate sempre fatte dallo stesso uomo continuavano presso la mia
abitazione, sia il mattino che di pomeriggio e anche in ore notturne,
costringendomi a staccare il telefono. Preciso sono la proprietaria del centro
[…], in detto centro dove peraltro lavoro da sola, in data 29.07 corrente anno,
intorno alle ore 10/10.30 circa giungeva sull’utenza […] a me intestata, ma che
ancora non si trova in elenco perché è stata attivata da soli due mesi circa,
una telefonata di una donna, con voce giovanile, senza inflessioni di sorta, la
quale mi chiedeva se ero DOROTI, alla mia affermazione mi diceva di attendere
un attimo e mi passava un uomo che ho riconosciuto essere lo stesso, in questo
caso ho ricevuto cinque o sei telefonate nella mattinata del seguente tenore:
PUTTANA; TROIA; chiaramente riattaccavo sempre subito. Da quel momento le
telefonate sono avvenute metodicamente sia al laboratorio che a casa, in certi
casi quando ha parlato di più, se la prendeva con mio figlio di due anni e
mezzo e mio marito dicendomi oltre che: TROIA PUTTANA; QUEL PAPPONE DI TUO
MARITO DOVE STÀ; e con tono sempre più minaccioso chiedeva: DOVE STÀ TUO
FIGLIO?; come se mi volesse far capire che era a conoscenza di tutta la mia
vita privata.
Come solito ieri mattina 9 c.m. intorno alle ore 08.00
parcheggiavo la mia autovettura vicino ad altre vetture […], intorno alle ore
18.00 circa mio marito nel transitare si avvedeva che le gomme della vettura
[…] erano state tagliate con un coltello. Sono convinta che il danno arrecatomi
è opera del telefonista anonimo.
Questo dunque fu
l’inizio della vicenda delle minacce telefoniche che, in capo a poco più di un anno, avrebbero portato alla
riapertura del caso Narducci. Come si vede non c’è traccia alcuna di sette
sataniche, sembra piuttosto che dietro le frasi scurrili ci fosse soltanto
qualcuno – un uomo e una donna in combutta tra di loro – che ce l’aveva con
l’estetista; in ogni caso qualcuno che la conosceva piuttosto bene, tanto da
essere al corrente di alcuni particolari non secondari della sua vita privata,
come il numero di telefono non ancora in elenco del centro di estetica dove
lavorava.
Le telefonate
continuarono, e le denunce anche – 18 settembre, 10 novembre, 24 febbraio 2001 –
nelle quali la donna, oltre alle minacce telefoniche, lamentò anche il
ritrovamento nel proprio giardino del foglio sottostante, il cui contenuto si commenta da solo.
Nella notte del 23 febbraio le fu incendiato il fienile, con conseguente intervento dei carabinieri.
Dell’ultima denuncia, risalente al 25 maggio 2001, conviene leggere il testo.
[…] preciso che in questi ultimi mesi solitamente nel tardo
pomeriggio ricevo nell’utenza telefonica installata nei locali dove svolgo
l’attività di estetista […] continue telefonate da parte del medesimo ignoto
interlocutore che dopo aver proferito nei miei riguardi le più svariate
ingiurie e minacce dello stesso tenore di quelle già oggetto di denunce passa
il ricevitore ad una donna che, a sua volta rincara la dose con frasi della
stessa specie.
Nel giorno [non si legge] ho ricevuto alle ore 17.53 una telefonata sempre sulla
medesima utenza da parte di una donna che mi insultava dicendomi: “NON CI SEI
STATA QUESTI GIORNI MAI A FARE LE MARCHETTE TE LO SENTI TRA LE GAMBE E IN BOCCA”
con altro e poi ha passato il ricevitore a un uomo e tra l’altro mi diceva
“VEDRAI IL FUOCO DI SATANA BRUCERAI INSIEME A TUTTI I TUOI CAVALLI ABBIAMO
FATTO UN GIRO E ABBIAMO VISTO TUO FIGLIO VEDRAI ANCHE LA SUA MORTE”.
Alle ore 17.58 richiamavano ma riattaccavo.
Questa sera alle ore 18.48 il solo ignoto richiamava al
medesimo numero telefonico e mi diceva “PUTTANA TROIA” passavo la cornetta a
mia cognata B. Ines ed aveva modo di ricevere per parte mia le seguenti minacce
“MALEDETTA NEL NOME DI SATANA VEDRAI DOMENICA NOTTE LE FIAMME LA MORTE DEI TUOI
CAVALLI E DISTRUGGO I TUOI CAVALLI E LA CASA VECCHIA MALEDETTA VEDRAI LA MORTE
DI TUO FIGLIO”.
Faccio presente che per questo riguardo alle ultime
telefonate la notte del 24 febbraio 2001 ignoti hanno incendiato [non
si legge] presente all’interno del fienile causando
danni anche alla struttura muraria, per questo episodio, nello stesso giorno,
ho sporto denuncia presso il Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di
Foligno, intervenuti per i rilievi.
Sono sicura che l’uomo e la donna che hanno fatto queste
telefonate sono gli stessi che mi chiamano da diversi mesi.
Il giorno 29 marzo 2001 una voce maschile mi disse che oltre
a mio figlio sarebbe morta anche la baby sitter, facendomi capire che loro
conoscono bene la mia famiglia e le nostre abitudini anche se nella realtà non
si sono avuti episodi di riscontro a quanto minacciato.
Ho continuato a prendere nota dei giorni e gli orari delle
citate telefonate che ho ricevuto dopo l’ultima querela presentata il giorno
02.02.2001, di cui vi consegno copia.
Lungo l’arco di
quasi un anno il livello delle minacce era via via aumentato, con anche
intimidazioni fisiche oltre che verbali. Queste ultime avevano visto l’ingresso
di Satana in persona, non di una setta, però, mentre di Pacciani e Narducci
ancora nulla. Vanno puntualizzati anche altri elementi. Uno non di
poco conto è che a telefonare era sempre la stessa coppia, composta da un uomo
e da una donna, i quali non camuffavano la loro voce. Un altro è l’assenza di quelle registrazioni che in seguito la
Falso avrebbe effettuato. Infine è importante notare che al momento tutte le denunce e si
presume anche le relative indagini, se vi furono, avevano interessato soltanto
le forze dell’ordine di Foligno, polizia e carabinieri. Nessun intervento della
questura di Perugia, insomma, quella questura attraverso la quale si sarebbe
poi arrivati a interessare Mignini allo “stranissimo
caso”, forse diventato stranissimo proprio da quel punto in avanti.
Il telefonista in questura.
In un'annotazione della questura di Perugia, datata 18
settembre 2001, quindi a distanza di neppure un mese dalla imminente riapertura
del caso Narducci, si legge:
L’anno 2001, addì 18 del mese di settembre, negli uffici
della Divisione Squadra Mobile della Questura di Perugia, i scriventi Isp.
FANTAUZZI Furio, V. Sov. SAVELLI Stefano ed Ass. C. EMILI Salvatore,
riferiscono a chi di dovere quanto segue:
Nella mattinata odierna venivamo contattati da una persona
di nostra conoscenza degna della massima fiducia, come già dimostrato in
passato in svariate occasioni, la quale ci chiedeva di mantenere l’anonimato
per quanto ci stava per riferire in quanto minacciato dalla paura. Lo stesso ci
iniziava a parlare di una persona di Foligno, tale B. Francesco, persona
sposata e nullafacente, in merito ci diceva che lo stesso traffica ingenti
quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina sia nel perugino che in
qualche zona della Toscana. Il B. oltre che come spacciatore di droga ci veniva
indicato anche come persona facente parte di una setta satanica operante sia
nella zona di Foligno e della Toscana, e che fosse lui il fornitore della droga
che consumerebbero durante lo svolgimento del rito a cui prenderebbero parte
diverse persone provenienti anche dal fiorentino. In merito a ciò riferiva
anche che il B. userebbe questi riti satanici contro una persona a lui prossima
come parente per poter ottenere un non meglio specificato guadagno.
Sempre al dire del confidente, il B. è un frequentatore
delle bische locali e un assiduo frequentatore del Casinò di Venezia che
userebbe per ripulire i soldi provento della vendita dello stupefacente. Lo
stesso sembra che conduca una vita lussuosa, macchine di grossa cilindrata che
vengono cambiate con una frequenza di pochi mesi e come già detto non abbia mai
svolto nessuna attività lavorativa.
Quattro giorni
dopo segue un’altra annotazione riguardante il medesimo individuo, al quale la questura
di Perugia, attraverso il commissariato di Foligno, aveva mandato un invito a
presentarsi:
L’anno 2001, addì 22 del mese di Settembre, negli Uffici
della Divisione Squadra Mobile della Questura di Perugia, il sottoscritto
Assistente Capo EMILI Salvatore, riferisce a chi di dovere che nella mattinata
odierna riceveva una telefonata da parte del Dr. Bruno ANTONINI, dirigente del
Commissariato di PS. di Foligno, il quale in relazione ad un fax da me inviato
presso il suddetto Commissariato mi chiedeva se la persona da invitare era B.
Stefano oppure il fratello B. Francesco, entrambi menzionati nel fax.
Spiegai al Dr. ANTONINI che erano stati scritti entrambi i nomi erroneamente,
che la persona da invitare era B. Francesco e che essendomi reso conto
dell’errore commesso già avevo chiarito il tutto con l’Isp. Sup. MAZZOLI
Alberto in servizio presso il Commissariato interessato e che lui avrebbe
provveduto a notificare tale invito.
Chiarito il tutto, il Dr. ANTONINI mi riferiva che in questo
periodo stava facendo degli accertamenti sul conto di B. Francesco in quanto si
sospetta che lo stesso unitamente ad altre persone fosse l’artefice di “strane
telefonate minacciose” fatte in orari diversi della giornata alla cognata, moglie
del di lui fratello Stefano, riferiva anche che lo stesso ha un alto tenore di
vita, macchine lussuose, è un assiduo frequentatore di case da gioco e cosa
alquanto strana è che lo stesso è disoccupato e non risulta essere un
benestante. È da precisare che il B. Francesco veniva invitato presso questi
uffici in quanto ci era stato segnalato, anche, come un grande frequentatore di
Casinò e bische locali, quindi si riteneva utile verbalizzare le sue eventuali
dichiarazioni.
Francesco B., in seguito indagato assieme alla moglie Nadia C. per le telefonate minatorie,
era il fratello di Stefano, marito di Dorotea Falso. I conti tornano bene, poiché
nessuno meglio della coppia di cognati poteva conoscere la vita privata della
Falso, compreso il numero, non ancora in elenco, del centro dove lavorava. Poco
importa se i due, secondo le notizie fornite da Fiorucci, alla fine sarebbero stati assolti,
per una ragionevole ricostruzione storica possiamo dare
per certo che fossero proprio loro a tormentare l’estetista. Almeno fino al 24
settembre, quando Francesco B. fu convocato in questura a Perugia (giusto per
inquadrare correttamente l’evento nella vicenda delle indagini sui mandanti,
che poi sono quelle che qui interessano, lo stesso giorno iniziava la
perquisizione nella villa dei C. a San Casciano).
Questo lo scarnissimo verbale delle dichiarazioni dell’individuo.
OGGETTO: verbale
di sommarie informazioni rese da: B. Francesco […]
Il 24.09.2001 alle ore 10,00 negli uffici della Divisione
Squadra Mobile della Questura di Perugia. Di fronte ai sottoscritti Ufficiali
ed Agenti di PG. Ispettore Fantauzzi Furio, Assistente Capo Emili Salvatore, in
forza all'Ufficio indicato in epigrafe, è presente il nominato in oggetto, il
quale sentito in merito ai fatti su cui si indaga, inerente il procedimento
penale nr. 11674/00, riferisce quanto segue: Domanda: con che cadenza frequenta il Casinò di Venezia? Risposta: non ho
una grande frequenza con il Casinò di Venezia; ultimamente ci sarò andato un
paio di volte. Non ho mai pagato con titoli bancari ma sempre in contanti e per
questo motivo non ho mai avuto contatti con il personale interno al casinò
stesso. Generalmente porto al seguito una cifra massima di due milioni, mai di
più.
Vado quasi sempre da solo e, a volte viene un mio amico, molto sporadicamente […] Domanda: di che cosa si occupa, come attività lavorativa? Risposta: nessuna, sono disoccupato.
Di quanto sopra è stato redatto il presente verbale che,
previa lettura e conferma, viene sottoscritto dai redigenti e dal dichiarante.
Il verbale
chiarisce il mistero della filiazione, dichiarata da Mignini, del procedimento
per le minacce a Dorotea Falso (9144/01/21) da un precedente procedimento in
materia d’usura (11674/00/21), che era proprio quello per il quale,
formalmente, era stato interrogato Francesco B., che però con l’usura non
sembra affatto aver avuto a che fare. Si deve pensare piuttosto che l’individuo
fosse stato sentito in merito alle telefonate all’estetista, della quale era
cognato e delle quali era sospettato, lo abbiamo appena visto. Ma dal documento
la questione non risulta toccata, quindi si deve presumere che quanto gliene fu
chiesto e quanto ne fu ottenuto non venne messo a verbale. Perché?
Intanto il lettore provi a pensare che nella vicenda delle telefonate stavano per entrare
altri personaggi, forse coinvolti nel procedimento per usura, forse no.
Via la vecchia coppia di cognati, dentro una coppia nuova, della quale più avanti cercheremo di scoprire qualcosa.
L’estetista in questura.
Che la squadra mobile di Perugia fosse interessata a Francesco
B. in quanto sospetto autore delle minacce a Dorotea Falso – la quale, ancora
più di lui, con la storia dell’usura nulla aveva a che fare – è dimostrato
anche dalla convocazione della donna appena cinque giorni dopo, il 29 settembre
2001. In questo caso sul verbale non viene indicato alcun procedimento. Sempre
per inquadrare correttamente l’evento nella vicenda delle indagini sui
mandanti, nelle quali poi sarebbe confluito, è bene tener presente che a
Firenze la prima fase della perquisizione nella villa dei C. era terminata da
tre giorni con un nulla di fatto, e le poche speranze residue degli inquirenti
erano tutte affidate al disperato tentativo, preventivato per due giorni dopo,
di trovare una stanza segreta tramite sofisticatissime apparecchiature che
vedevano attraverso i muri.
Ma leggiamo il verbale delle dichiarazioni della Falso.
Sono più di quattordici mesi che ricevo telefonate minatorie
ed offensive; sino ad oggi ho sporto una denuncia e quattro seguiti di denuncia
inerenti i fatti accaduti. In sede di denuncia ho anche consegnata una lettera
anonima, recante minacce di morte nei miei confronti, che trovai sopra una
seggiola del giardino di casa mia. Mi hanno minacciato di dare fuoco al
fienile, ed è stato fatto perché nella nottata tra il 23.02.2001 ed il
24.02.2001 il fienile è stato bruciato. Ho dovuto subire danni alla mia
autovettura tipo lo squarciamento delle quattro ruote o scalfitture sulla
carrozzeria; tutti questi atti, peraltro annunciati dalle telefonate anonime,
mi hanno portato ad uno stato di stress nervoso molto alto, soprattutto da
quando hanno iniziato a minacciare di morte anche mio figlio che adesso ha tre
anni.
Delle telefonate ricevute posso fornire due cassette audio
da me registrate per dimostrare che quanto dichiarato corrisponde a realtà e
dichiaro sin da ora di dare la mia autorizzazione a richiedere ed acquisire i
tabulati delle telefonate in entrata sia all’utenza della mia attività […] sia
a quella di casa […]
Ecco la prima
clamorosa novità rispetto al passato: la registrazione delle telefonate su
cassetta, effettuata dalla stessa Falso. Il verbale
prosegue riportando un episodio mediante il quale la donna si convinse che tra
i suoi molestatori dovesse esserci il cognato, Francesco B., con il quale aveva
cattivi rapporti.
Un particolare inquietante, molto più degli altri, è quello
che è capitato in data 26.06.2001; in quella giornata mio figlio Filiberto era
malato e quindi rimase in casa con la baby-sitter fino alle ore 12.00 circa, e
poi rimase con mia suocera, in attesa che io rientrassi a casa per poi portare
il bambino dal medico. Alle ore 12.28 ricevetti una delle solite telefonate
fatta da una delle solite persone che mi diceva di salutare i medici quando
sarei andata a portare il bambino. Rimasi sconvolta perché era impossibile che
sapessero questo particolare; sapendo che mia suocera più di tanto non mi
parla, chiesi alla baby-sitter, tale Tania […], di chiedere se mia suocera
avesse parlato con qualcuno. Il giorno dopo seppi che mio cognato, tale B.
Francesco, con cui non abbiamo un buon rapporto, chiese a mia suocera, sua
madre, perché il bambino si trovasse a casa e lei gli rispose che era malato e
che doveva andare dal medico, chiaramente accompagnato da me. A questo punto
posso affermare che del fatto specifico ne eravamo a conoscenza in poche
persone: io, mio marito, Tania la baby-sitter, mia suocera, mio cognato e
chiaramente, il medico con cui avevo appuntamento, presso l’ospedale.
Più volte questi due uomini e questa donna che effettuano le
telefonate minatorie hanno dimostrato di conoscere bene le abitudini della mia
famiglia, i nostri spostamenti, sia che siano per motivi personali che per
motivi professionali.
Si noti il fatto
che, rispetto alle denunce passate, la Falso parlò di due uomini e una donna, e
non di un solo uomo e una donna, il che parrebbe accordarsi con l'ingresso tra
i molestatori anche di Pietro Bini, oltre al cognato. Da quanto tempo? Qualche giorno, forse?
A questo punto del verbale entrano Pietro Pacciani e i riferimenti a una “confraternita degli adepti di Satana”,
responsabile della sua uccisione, della quale i molestatori avrebbero fatto
parte. La qual cosa fa balzare agli occhi la sorprendente coincidenza dell'ingresso di Pacciani e della registrazione
su cassetta...
Voglio fare presente che su diverse telefonate hanno fatto
riferimento a Pacciani e che io farò la sua stessa fine; hanno specificato che
loro hanno ucciso Pacciani perché aveva tradito la confraternita degli adepti
di Satana. Infatti spesso e volentieri hanno fatto riferimento alle messe
sataniche ed al fatto che vogliono sacrificare mio figlio in onore di satana
perché il malvagio tornerà a governare in terra; su una telefonata in
particolare hanno fatto riferimento anche alla messa nera che avevano fatto a
Sassovivo e che era stata interrotta per il sopravvenire di problemi. In altre
telefonate hanno anche detto che quando verrà il grande maestro da Firenze
avrebbero organizzato un festino per divertirsi prima con me, credo facendo
riferimento ad eventuali violenze carnali, e poi per tagliarmi la testa e
seppellirla a Firenze accanto a Pacciani.
Per tutto il resto mi rimetto a quanto già dichiarato nelle
altre denunce, specificando che continuerò a registrare altre cassette delle
telefonate che mi giungeranno.
Le due audiocassette – “marca Emtec mod. Sound da 60
minuti”, specifica il verbale di acquisizione – furono trattenute
dalla questura. Due giorni dopo, il primo ottobre 2001, il capo della mobile
Piero Angeloni inviava a Giuliano Mignini una nota in cui riassumeva gli
eventi, chiedendo l’autorizzazione a mettere sotto controllo il telefono della
Falso. Il procedimento penale relativo è quello per usura (11674/00), ma sotto
il nome di Mignini compare la scritta a penna “P.P.
9144/01 ”, il numero del nuovo appositamente aperto per le minacce
telefoniche. Nella nota risultano ben evidenziati i riferimenti a Pacciani e ai
riti satanici.
La FALSO in merito alle telefonate ricevute riferiva
particolari inquietanti, come l’uccisione di PACCIANI ad opera della loro
setta, adepti di satana, in quanto lo stesso li aveva traditi; avrebbero
inoltre sacrificato suo figlio Filiberto in onore di satana; che tali riti si
svolgono anche a Sassovivo di Foligno e nel corso di uno di questi, effettuato
dal Grande Maestro di Firenze l’avrebbero decapitata e avrebbero seppellito la
sua testa a Firenze accanto a PACCIANI. La Falso in merito a quanto riferito ci
consegnava due audiocassette ove aveva registrato le telefonate ricevute negli
ultimi tempi.
Da un breve e sommario ascolto delle stesse si aveva
conferma di quanto narrato in sede di denuncia, peraltro confermato dalle varie
denunce che la stessa aveva già presentato, anche per atti poi realmente
commessi. Si dà atto che l’Ufficio momentaneamente trattiene le due
audiocassette acquisite agli atti, al fine di trascrivere le conversazioni in
esse contenute e di trasmetterle unitamente ai predetti verbali non appena
ultimate.