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martedì 24 dicembre 2019

I bossoli, i bossoli, i bossoli... e i proiettili?

La recentissima pubblicazione della mitica perizia Zuntini sul delitto di Signa ha dato nuovo fiato agli irriducibili sostenitori del depistaggio, secondo i quali i 5 bossoli e i 5 proiettili allegati a tale perizia, recuperata nel 1982 dal fascicolo processuale Mele, sarebbero stati sostituiti. L’entità detta volgarmente “Mostro di Firenze” – un uomo con protezioni nelle forze dell’ordine? una setta? una loggia massonica? non mettiamo troppi confini alla fantasia  – avrebbe quindi esploso 5 cartucce, recuperato i relativi 5 bossoli e 5 proiettili, sarebbe andato nel posto dove veniva custodito il fascicolo processuale Mele e li avrebbe sostituiti agli originali. La qual cosa, tramite sua stessa segnalazione anonima, avrebbe fatto partire la inutile pista sarda, in grado di tenerlo al riparo dalle indagini per tanti anni, fino all’avvento di Giuttari e Mignini.
C’è da dire che nel documento pubblicato non compaiono fotografie, anzi, la mancanza di qualsiasi riferimento a esse porta a pensare che neppure fossero mai state fatte. Peccato, perché la loro presenza avrebbe tolto ogni dubbio. Nondimeno si cercherà qui di dimostrare che la perizia non contiene alcun argomento davvero valido che favorisca l’ipotesi della sostituzione.

I ragionamenti di Amicone. Per introdurre l’argomento si riporta qui un intervento sulla pagina Facebook di Flanz a firma Francesco Amicone, un giornalista che gli appassionati conoscono bene per aver portato alla ribalta la fantasiosa ipotesi: Mostro di Firenze = Zodiac = Joseph Bevilacqua.

Dalla perizia Zuntini del 1968 si evince che le prove trovate nel 1982 nel faldone del caso Locci-Lo Bianco sono in contraddizione con l'esame peritale del 1968. Sui bossoli (autentici) del 1968 le tracce dell'espulsore e dell'estrattore, scriveva il perito, non si vedevano. Sui reperti del caso Mostro l'impronta dell'espulsore si vede. La classe dell'arma usata nel 1968 (che doveva essere una diffusissima Beretta 70) non fu individuata dopo 35 comparazioni al poligono, nonostante fosse stato ipotizzato che fosse una Beretta. Nel 1974, invece, lo stesso perito la individuò facilmente. Come fa a essere la stessa pistola?

Cominciamo col dire che è interesse di Amicone, come di moltissimi altri, eliminare dallo scenario il delitto del 1968. Questo per la solita questione del passaggio della pistola, che sarebbe davvero difficile immaginare tra i sardi e Bevilacqua! A meno di non collocare l’italoamericano anche a Signa, ma chi scrive non sa se l’ipotesi porrebbe dei problemi ad Amicone. Forse qualche lettore può aiutare.
Dice dunque Amicone che le tracce dell’espulsore e dell’estrattore, presenti sui bossoli dei delitti del Mostro, “non si vedevano” in quelli del 1968 esaminati da Zuntini (una prova quindi della loro sostituzione, poiché nelle perizie successive tali tracce sarebbero invece state individuate). Ma non è proprio così, poiché Zuntini scrive che tali tracce ci sono, anche se “quasi irrilevabili”.
Amicone afferma altresì che le comparazioni con i bossoli espulsi da 35 armi diverse non consentirono allo Zuntini del 1968 di individuare il tipo di pistola, mentre invece quello del 1974 ci riuscì al primo colpo (Beretta classe 70).  Leggiamo direttamente la perizia:

Sono state effettuate prove di tiro con 35 armi diverse, tutte però del tipo “Long Rifle” cal. 22 ma in nessuna siamo riusciti a trovare un percussore che desse un segno di percussione della stessa forma di quella impressa nei bossoli in sequestro. […]
Vi sono alcune armi il cui segno di percussione (a sbarretta eccentrica) si avvicina a quello rilevabile sui bossoli in sequestro ma nessuno può darci la sicurezza assoluta per l’individuazione dell’arma incriminata.

Ci si deve però domandare: come si può essere sicuri che tra le 35 armi testate vi fosse una Beretta della serie 70? Poi Zuntini ammette di aver rilevato segni di percussione simili (“a sbarretta eccentrica”), però scartati, poiché non davano “la sicurezza assoluta”. Ma forse la sicurezza assoluta non era possibile ottenerla, almeno non dalla comparazione del solo segno lasciato dal percussore. In ogni caso la descrizione che Zuntini fece di tale segno risulta perfettamente compatibile con quello rilevabile dalle foto dei bossoli del Mostro: “Forma approssimativamente rettangolare con contorni leggermente ovalizzati caratteristici del percussore a sbarretta eccentrica della percussione anulare”. Come è ben visibile nella foto sottostante, la stessa utilizzata da Amicone.


In realtà possiamo tranquillamente affermare che la perizia Zuntini del 1968 si distingue per un raro livello di confusione e approssimazione, al pari di quella del 1974 relativa al delitto di Borgo San Lorenzo, criticata qui. L’apice viene raggiunto dal tentativo di ricostruzione della dinamica, ma anche la descrizione delle ferite non scherza. Per quanto riguarda l’individuazione del tipo di pistola, si deve ritenere altamente probabile che Zuntini si fosse incaponito sull’ipotesi di un esemplare molto vecchio, usurato e mal mantenuto. E quindi che molte sue considerazioni, come quelle relative alla poca evidenza delle impronte di estrazione ed espulsione, fossero viziate da questo suo aprioristico convincimento. Che era sbagliato.

Una pistola usurata? A far ritenere a Zuntini che la pistola fosse usurata fu principalmente la presenza di un rigonfiamento poco sopra il collarino in tutti e cinque i bossoli.

Ad un primo esame alla lente i bossoli apparivano con contrassegni del tutto identici […], soprattutto appariva evidente in posizione diametralmente opposta a segno di percussione a sbarretta, ma dietro il righellino sulla parte cilindrica, un rigonfiamento dovuto ad una imperfezione dell’arma.

Sulla parte cilindrica a ridosso del righellino (orlo del fondello) si rileva un piccolo rigonfiamento […].
Tale rigonfiamento, prodotto dalla pressione dei gas della camera di lancio determinatasi al momento della partenza del colpo, è indubbiamente originato da un difetto esistente nella parte cilindrica terminale (in senso longitudinale) e bassa (in senso verticale) della camera di cartuccia ove, nell’arma che ha esploso le cartucce delle quali facevano parte i bossoli in giudiziale sequestro, deve certamente esistere un difetto sotto forma di corrosione e di mira.
Tale difetto (che si rileva talvolta in armi molto usurate e comunque non di ottima qualità), è del tutto eccezionale ed è dovuto all’usura prodotta dalla cartuccia che viene sfilata dal caricatore ed introdotta nella camera di cartuccia, in tale movimento la stessa sfregando sulla parte bassa dell’orifizio della camera di cartuccia può provocare, col tempo, l’usura, la quale talvolta è aumentata da ruggine originata da imperfetta manutenzione.

Abbiamo visto altresì come sia stata rilevata sulla parte cilindrica di tutti i bossoli, dietro il righellino, un rigonfiamento del metallo.
Tale segno, che può essere considerato una “firma occasionale” dell’arma è dovuto a un difetto esistente sull’orifizio posteriore della canna ed è tanto caratteristico che potrebbe far riconoscere un bossolo esploso dall’arma incriminata fra un numero qualsiasi di altri bossoli esplosi da altre armi.

Alla luce di quanto riportato sopra, diventa legittimo sospettare che il giudizio di poca rilevabilità dei segni di estrattore e percussore – ci si deve domandare: a quali gradi di rilevabilità era abituato Zuntini? – fosse dipendente dal significato attribuito al rigonfiamento.

Rileviamo ancora che su tutti i bossoli in sequestro sono quasi irrilevabili i segni dell’estrattore […] e dell’espulsore […].
Tale deficienza è caratteristica di armi molto usurate con superfici di contatto dell’estrattore e dell’espulsore molto levigate per l’usura e camera di cartuccia ormai allargata.

Niente di tutto questo appare nella perizia del 1974. Niente rigonfiamento sul bossolo, niente impronte di estrattore ed espulsore poco rilevabili, niente pistola vecchia e usurata, insomma. Eppure su quattro dei cinque bossoli recuperati a Borgo San Lorenzo i rigonfiamenti c’erano! Lo scrissero Arcese e Iadevito nella loro perizia del 1983, dove prendevano in esame i quattro delitti dal 1968 al 1982. Lo si legge a pagina 91, sotto il paragrafo “EPISODIO GENTILCORE-PETTINI”.

Bossoli cal. 22 L.R. repertati: n. 5 bossoli, di cui 4 leggermente rigonfiati in prossimità del bordo interno del collarino, a 180° rispetto all’impronta del percussore.

Ma c’è di più. A pagina 89, sotto il paragrafo “EPISODIO LO BIANCO-LOCCI”, si legge:

Bossoli cal. 22 L.R. repertati: n. 5, con leggero rigonfiamento in prossimità del bordo interno del collarino, a 180° rispetto all’impronta del percussore.

Quindi possiamo dire che quel rigonfiamento, che per lo Zuntini del 1968 sarebbe stato “del tutto eccezionale” e “tanto caratteristico che potrebbe far riconoscere un bossolo esploso dall’arma incriminata fra un numero qualsiasi di altri bossoli esplosi da altre armi”, per lo Zuntini del 1974 non merita neppure una citazione. Eppure c’era!
In più bisogna rilevare come i bossoli del 1968 esaminati da Arcese e Iadevito riportassero anch’essi i rigonfiamenti notati da Zuntini. Dobbiamo quindi ritenere usurata anche la pistola del Mostro? Però non per le impronte dell’estrattore e dell’espulsore… [Addendum: come si può leggere negli interventi sottostanti, Francesco Amicone mi ha segnalato che anche nella perizia del 1974 Zuntini aveva riportato il rigonfiamento. Non ritenendolo però indice di una pistola vecchia e usurata.]

Munizioni da caccia. In realtà le considerazioni sullo stato dell’arma dello Zuntini del 1968 erano profondamente sbagliate. Lo dice nel seguente video il generale Romano Schiavi, uno dei massimi esperti di balistica in Italia, al quale l’avvocato Vieri Adriani ha commissionato una perizia sugli atti.

Lui [Zuntini] si è fermato su un altro segno del bossolo che è un rigonfiamento che c'è vicino all'orletto. E questo lui lo attribuisce a un rilassamento della molla recuperatrice mentre molto più facilmente secondo me è dovuto al fatto che la cartuccia aveva una potenza troppo elevata per una pistola e quindi avevamo un piccolo arretramento del bossolo quando ancora il proiettile era in canna.
[…] questo segno è dovuto al fatto che probabilmente non era una pistola avariata o invecchiata o con qualche particolare che non funzionava bene, come la molla di recupero in questo caso, che, essendo più molle, arretrava un attimo prima quindi provocava questo rigonfiamento. Ma è dovuta al fatto della potenzialità superiore perché una supersonica non avrebbe ragione di essere impiegata in una pistola.

Prima di esaminare il significato delle frasi precedenti, va fatta una premessa: nella propria perizia, Zuntini non dà la colpa del rigonfiamento a una molla recuperatrice rilassata (come sempre si è ritenuto), ma a un difetto della camera di sparo. Probabilmente Schiavi è stato fuorviato dalla voce comune – chi scrive non sa come tale notizia sia nata – e magari da quanto ha sempre ritenuto lo stesso Adriani, che potrebbe averglielo suggerito. In ogni caso la sostanza non cambia, poiché sempre di pistola usurata o difettosa secondo Zuntini si trattava.
Ma veniamo a un argomento, affrontato da Schiavi, che risulta invece assente in tutte le perizie balistiche ufficiali: la differenza d’uso tra cartucce ramate e cartucce in piombo nudo, le prime utilizzate a Signa e a Borgo, le altre poi. Fino al 1977 le cartucce di calibro 22 andavano bene anche per la caccia, poi vennero proibite poiché facevano poco rumore e quindi favorivano i bracconieri. Naturalmente venivano utilizzate con le carabine, non con le pistole (a parte Pacciani, secondo Nesi…). E il tipo giusto per la caccia era il supersonico, con palla ramata e carica più potente – quindi gittata maggiore – rispetto a quella delle cartucce di tipo subsonico, in piombo nudo. Queste ultime venivano adoperate soltanto nei poligoni di tiro.
Secondo Schiavi, l’uso di cartucce da caccia in una pistola poteva provocare, per la loro eccessiva potenza, un piccolo arretramento del bossolo rispetto alla camera di lancio, con conseguente rigonfiamento della parte che fuoriusciva. È probabile che tale effetto fosse dipeso anche da altri fattori, tra cui la non perfetta uguaglianza tra tutte le cartucce di uno stesso tipo. Abbiamo visto che la perizia Arcese-Iadevito riporta uno dei cinque bossoli di Borgo senza rigonfiamento, quando invece tutti dovrebbero averlo avuto, essendo il munizionamento di tipo supersonico, a palla ramata. Nel caso di Scandicci, dove furono usate soltanto cartucce di tipo subsonico, a piombo nudo, si legge invece (p. 93): “Bossoli cal. 22 L.R. repertati: n. 7, di cui soltanto uno leggermente rigonfiato”, quindi un bossolo ebbe un comportamento anomalo rigonfiandosi. Per Calenzano si legge esattamente lo stesso di Scandicci (p. 95), mentre per Baccaiano nessuno dei 9 bossoli ebbe rigonfiamenti (p. 97).
In ogni caso la perizia Arcese-Iadevito, comparando le impronte su di essi rilevate, stabilì che anche i bossoli del 1968 erano stati espulsi dalla stessa pistola dei delitti successivi. E qui torniamo al problema del depistaggio: furono sostituiti? Per adesso si è dimostrato che la pretesa di Amicone di utilizzare la perizia Zuntini del 1968 a favore del depistaggio non ha basi valide. Ma c’è di più.

I proiettili. Le perizia comparative che stabilirono l’univocità della pistola per tutti i duplici omicidi, comprendendo anche quello del 1968, si basarono non soltanto sull’esame dei bossoli ma anche su quello dei proiettili. Quindi il presunto depistatore avrebbe dovuto sostituire anche quelli. Ma se ottenere bossoli compatibili poteva essere facile – bastava sparare cinque colpi al vento e raccoglierli – ottenere proiettili compatibili molto meno, poiché gli originali risultavano deformati dall’impatto con i corpi. E, pur senza averli fotografati, Zuntini li descrisse. Ecco che cosa ne pensava il giudice Micheli.

Non bastava ottenere dei bossoli, ma ci voleva anche qualche proiettile (quello che si riteneva fosse stato estratto dal corpo del LO BIANCO fu esaminato, come appena ricordato); e non uno qualsiasi, comunque sparato da una certa pistola, bensì proiettili che presentassero le caratteristiche di deformazione tipiche di quando si attinge un corpo umano e che fossero in numero esattamente corrispondente a quello dei colpi sparati per uccidere il LO BIANCO e la moglie del MELE.
Da un lato, ci sarebbe voluto qualcuno che avesse fornito allo sparatore le informazioni necessarie (avevano studiato il fascicolo? Gli avvocati del MELE o delle parti civili, se ve ne furono, sono altrettanti complici? Fu il solito maresciallo?); dall’altro, si sarebbe dovuto sparare contro un essere vivente, magari uno o più animali domestici, per poi sezionarne il corpo e recuperare il/i proiettile/i.
Ammesso peraltro che l’autopsia praticata sulle due vittime del 1968 avesse parlato di attingimento di certi organi, soprattutto se di certe ossa, i proiettili da sostituire avrebbero dovuto presentarne di ulteriori, di caratteristiche peculiari: e quanti tentativi avrebbe dovuto fare, il nostro sparatore, comunque preoccupandosi di far sì che i proiettili rimanessero nel corpo del bersaglio attinto e non ne fuoriuscissero, sennò bisognava ricominciare daccapo?

Le considerazioni del giudice sono, come al solito, di sano buonsenso. In questa sede esamineremo le descrizioni dei cinque proiettili periziati da Zuntini nel 1968 mostrando come essi fossero ragionevolmente gli stessi che Arcese e Iadevito esaminarono nel 1983. Quindi niente sostituzione.
Zuntini elenca con le lettere A, B, C, D, E i cinque proiettili repertati, descrivendone le deformazioni e specificando dove ognuno di essi fu rinvenuto. Molto probabilmente l’indicazione era stata riportata anche sulla bustina che conteneva ogni proiettile, trovata tal quale da Arcese e Iadevito nel 1983, che la utilizzarono. Va tenuto presente che soltanto uno tra i cinque proiettili fu descritto da Zuntini come un “frammento”, quindi si deve presumere che gli altri, pur deformati, fossero tutti integri. Ma ecco l’elenco:

# A: “Proiettile estratto in sede di autopsia dal corpo della Locci regione ombelicale”. Esso corrisponde al proiettile alla foto 96 della perizia Arcese-Iadevito, integro (g. 2,540): “Il proiettile fu estratto dalla regione ombelicale della Locci”.

# B: “Proiettile rinvenuto fra le vesti della Locci”. Per Arcese e Iadevito si tratta del proiettile alla foto  95, integro (g. 2,555):  Il proiettile fu rinvenuto fra i panni della Locci”.

# C: “Proiettile rinvenuto nell’interno della autovettura sul pavimento (dietro il sedile anteriore destro)”. Corrisponde a quello alla foto 98 della perizia Arcese-Iadevito, integro (g. 2,570): “Il proiettile fu rinvenuto sul pavimento dell’autovettura”.

# D: “Proiettile estratto in sede di autopsia dalla regione scapolare profonda [della Locci]: si tratta di un frammento di proiettile dello stesso tipo dei precedenti, fortemente deformato”. Nella perizia Arcese-Iadevito la foto di tale frammento ha il numero 97: “Si tratta di un grosso frammento di un proiettile in piombo ramato, dal peso di g. 1,895 […]. Fu estratto dalla regione scapolare della Locci”.

# E: “Proiettile estratto, in sede di autopsia, dal corpo del Lo Bianco”. La corrispondenza nella perizia Arcese-Iadevito è con il proiettile, integro (g. 2,545), alla foto 99: “Il proiettile fu estratto dal corpo di Lo Bianco”.

Purtroppo Zuntini non aveva pesato i proiettili, ma appare chiaro, dalle indicazioni del tutto coincidenti dell’una e dell’altra perizia, che erano gli stessi esaminati da Arcese e Iadevito. Compreso l’unico frammentario, in entrambi i casi indicato come quello estratto dalla spalla della Locci. Ora ci si deve chiedere come il presunto depistatore sarebbe potuto riuscire a truccare le carte in un modo così perfetto, stante la difficoltà intrinseca di ottenere proiettili compatibili.
Riguardo le comparazioni, Arcese e Iadevito ne effettuarono prima una tra alcuni proiettili dello stesso delitto – quelli dove le deformazioni e la cattiva conservazione lo rendevano possibile – rilevando una completa compatibilità: tutti risultavano sparati dalla medesima pistola. Poi presero un proiettile per ciascun delitto e li compararono tra di loro. Per il delitto di Signa scelsero quello alla foto 95, ritrovato tra le vesti della Locci, che compararono con uno del delitto di Borgo, uno del delitto di Scandicci e  uno del delitto di Calenzano, rilevando assoluta compatibilità: l’arma che li aveva sparati era la stessa. A completamento, furono confrontati i due proiettili scelti per i delitti di Calenzano e Baccaiano, con esito del tutto identico.

Conclusioni. Purtroppo chi scrive non ha il permesso di rendere pubblica la perizia Arcese-Iadevito, quindi i lettori devono fidarsi. Ma tra di loro ci sarà senz’altro qualcuno che ce l’ha, quindi potrà controllare. Si rende invece qui disponibile un pdf della perizia Zuntini, dove sono state raccolte le immagini pubblicate sul Forum dei Mostri, per le quali ringrazio l’utente “janh1”.
Alla fine credo che lo scopo dell’articolo sia stato raggiunto, dimostrando che la perizia Zuntini del 1968 non fornisce alcun appoggio significativo alla teoria del depistaggio tramite la sostituzione dei bossoli e dei proiettili nel faldone Mele. Anzi, la descrizione dei proiettili consente al contrario di escluderla quasi definitivamente. Quindi l’eterno enigma del passaggio della pistola rimane a disturbare i piani di tutti. Non quelli di chi scrive, che lo ritiene invece l’evento più importante nella nascita della figura del Mostro di Firenze.

Addendum. Avendo visto che su Facebook qualcuno ha già pubblicato la perizia Arcese-Iadevito del 1983, la metto anche qui