giovedì 31 dicembre 2015

Skizzen Brunnen (2)


Abbiamo dunque visto quanto bassa fosse la probabilità che il 2 giugno 1992, in casa del presunto mostro Pietro Pacciani, potesse venir sequestrato un qualsiasi blocco da disegno appartenuto a Horst Meyer. È molto, molto più facile che Pacciani avesse trovato il noto “Skizzen Brunnen” da qualche parte, magari proprio nella discarica di S.Anna dove disse lui. A poco valgono, infatti, le considerazioni del primo giudice sull’incompatibilità del manufatto, vecchio ma ancora in buono stato, con una lunga esposizione all’aperto, se non a dimostrare ancora una volta la sua ottusa vena colpevolista. È ragionevole immaginare frequenti visite di Pacciani a quella discarica, quindi non è improbabile un adocchiamento precoce del blocco, che per di più avrebbe potuto essere protetto da altri oggetti che lo sovrastavano o contenuto all’interno di una busta.
Anche il fatto che il blocco non venisse commercializzato in Italia vuol dire poco: la Toscana è piena di stranieri appassionati d’arte, non è difficile che qualcuno di loro si fosse portato dietro quel pregiato tipo di blocchi da casa propria. Guarda caso nella stanza del noto personaggio che alloggiava in una villa a lungo perquisita, il pittore svizzero Claude Falbriand, sarebbe stato trovato un blocco analogo.  
Ma se lo “Skizzen Brunnen” di Pacciani proveniva proprio dal negozio Prelle-Shop di Osnabruck, avremmo quantomeno una coincidenza altamente sospetta. Per il giudice di primo grado le perizie calligrafiche avevano dimostrato in modo inequivocabile che i due numeri a matita trovati in quarta di copertina erano stati scritti da due impiegate del Prelle-Shop, il “424” dalla signora Lohman e il “4,60” dalla signora Stellmacher. Il secondo giudice fu meno benevolo verso i risultati della perizia, però mostrò di credere alla Stellmacher, che aveva riconosciuto la propria grafia senza apprezzabili esitazioni. E quindi, per sminuire l’indizio, dette questa spiegazione:

Dunque, il primo quesito può risolversi nel senso che il blocco fu acquistato probabilmente nel negozio Prelle-Shop di Osnabruck, ed in data antecedente a quella dell'omicidio del Meyer e del suo amico Rusch: conclusione la cui possibile valenza indiziaria va comunque commisurata al fatto che Osnabruck è una città di circa 163.000 abitanti, sede di istituti universitari e del più volte citato Istituto Superiore di Progettazione e Disegno, ed al fatto che il negozio Prelle-Shop è un grande negozio su tre piani con grande smercio quotidiano.

Ma di quell’articolo il Prelle-Shop vendeva pochi esemplari, secondo la Stellmacher da tre a cinque a settimana, e a giudicare dalle fatture di cui stiamo per dire anche meno, quindi la spiegazione di Ferri è molto poco convincente. Piuttosto c’è da chiedersi quale affidabilità possa venire riconosciuta a perizie condotte su scritte così brevi, e quale credito possa essere concesso a un’impiegata fin troppo felice di rendersi utile, come era la Stellmacher. 
Ma per ora continuiamo a parlare di probabilità, spostandoci più indietro nel tempo rispetto al post precedente, al momento in cui Horst Meyer avrebbe acquistato il blocco al Prelle-Shop. Ragioniamo sul prezzo di vendita, 4 marchi e 60: a quando risaliva quel valore? Il titolare del negozio, signor Vesterholt, era riuscito a rintracciare alcune fatture d’acquisto degli anni 1982-1984 nelle quali compariva anche il medesimo blocco sequestrato a Pacciani (misura 17x24 cm). Il prezzo del 1982 era di 5,90 marchi, e la valutazione fornita dal signor Vesterholt fu che il prezzo di 4,60 veniva praticato nel 1980-1981. Ma un esame delle fatture porta a conclusioni differenti.
Come si può vedere qui, accanto a ogni riga di articolo, direttamente sulle fatture del fornitore, veniva sempre riportato il prezzo di vendita al pubblico, ottenuto applicando a quello d’acquisto un fattore moltiplicativo attorno a 2,4, quindi con una percentuale di ricarico del 140%. Il prezzo di vendita segnato sulla fattura del maggio 1982, 5,90 marchi, era salito a 6,20 in quella dell’agosto 1983 e a 6,40 nella successiva dell’ottobre, rimanendo invariato fino all’ultima dell’ottobre 1984. Si può notare un andamento più o meno proporzionale a quello dell’inflazione, negli anni ‘80 piuttosto alta anche in Germania (vedi). Nel 1982 si era avuto un valore del 5,3%, con un aumento teorico del prezzo del blocco da 5,90 a 6,21 nel 1983 (reale 6,20). Nel 1983 l’inflazione era stata del 3,3%, e il prezzo teorico nel 1984 avrebbe dovuto essere 6,41 (reale 6,40). Questa regola empirica è importante perché ci consente di ipotizzare l’anno nel quale il prezzo del blocco avrebbe potuto collocarsi attorno ai 4,60 marchi, andando a ritroso con partenza dal valore noto 5,90 riportato nella fattura del maggio 1982. Si suppone naturalmente che la percentuale di ricarico sia sempre rimasta di circa 140%.

Anno
Prezzo
Inflazione

Prezzo anno
successivo
1983
6,20
3,3%
6,40
1982
5,90
5,3%
6,20
1981
5,55
6,3%
5,90
1980
5,26
5,4%
5,55
1979
5,05
4,1%
5,26
1978
4,91
2,7%
5,05
1977
4,73
3,7%
4,91
1976
4,53
4,3%
4,73

Come si vede, per ottenere un prezzo attorno ai 4,60 marchi è necessario scendere agli anni 1976-1977, e questo fatto abbassa enormemente la probabilità che il blocco fosse stato acquistato da Horst Meyer. Per quale motivo, infatti, il ragazzo avrebbe dovuto tenerlo da parte per sei-sette anni fino a decidere di usarlo proprio a ridosso del suo ultimo sfortunato viaggio? Alla catena di eventi improbabili che abbiamo esaminato nel post precedente, va aggiunto anche questo, con ulteriore e drastico abbattimento della probabilità finale. Per di più Horst aveva frequentato la scuola di grafica di Osnabruck soltanto a partire dal 1980, come riporta la sentenza di secondo grado (“questi dal 1980-1981 al 1983 aveva frequentato una scuola di disegno e grafica”; si noti che la valutazione dell’anno di vendita fornita dal compiacente signor Vesterholt era stata, non certo a caso, proprio 1980-1981). Si dovrebbe quindi ipotizzare che la passione del ragazzo per il disegno fosse precedente, il che è ragionevole, ma soprattutto che si fosse recato apposta a Osnabruck, distante poco più di 30 km da Lemforde, il suo paese, per acquistare album da disegno nel negozio Prelle-Shop: ancora un fatto improbabile da concatenare ai precedenti.
Ma ad assestare un colpo ancora più pesante alla credibilità dello “Skizzen Brunnen” come prova contro Pacciani è un'altra delle conseguenze dovute alla retrodatazione del suo acquisto: la signora Lohman aveva lavorato nel reparto articoli da disegno del Prelle-Shop soltanto a partire dal 1980; lo riporta la sentenza di primo grado (“Lohmann KJenner Marina, infine, affermava che, avendo lavorato presso la Prelle Shop nel settore articoli da disegno nel periodo dal 1980 al 1987…”) . Quindi non poteva essere stata lei a scrivere il numero “424” sulla quarta di copertina, come invece avevano stabilito le perizie calligrafiche. In questo modo cade una delle due colonne portanti che avevano consentito di associare il blocco al negozio Prelle-Shop.

Nel quadro che si è andato delineando, bisogna purtroppo prendere atto della mancanza di affidabilità della testimone Heidemarie Meyer, arrivando alla medesima conclusione cui giunse il giudice di secondo grado. Come si legge nella relativa sentenza, nei primi contatti telefonici con l’autorità giudiziaria del suo paese (14 e 15 giugno 1992), riguardo il fatto che il fratello usasse blocchi Brunnen per i suoi disegni, Heidemarie non aveva fornito certezze, dichiarando: "potrebbe aver comprato analoghi blocchi da disegno di marca BRUNNEN ad Osnabruck, nei seguenti negozi: Heintzmann, Prelle-Shop". Ma una settimana dopo, davanti a Perugini che era corso a interrogarla, il condizionale era sparito; anzi, suo fratello li usava spessissimo quei blocchi, e li aveva consigliati anche a lei, che pure si dilettava di disegno, per la loro ottima qualità. Scrisse Francesco Ferri:

È quindi evidente che, nel breve intervallo temporale fra i primi due contatti semplicemente telefonici e l'esame a verbale, qualcuno o qualcosa sollecitò energicamente la memoria della Meyer Heidemarie, sì che ricordi incerti e generici divennero certi e precisi, ed al punto che la giovane esibì e mise a disposizione degli Ufficiali di Polizia italiani un altro blocco "SKIZZEN BRUNNEN" più grande, asserendo che fosse stato acquistato dal fratello: laddove è certo, per le ragioni che si specificheranno in seguito, che esso fosse stato acquistato dopo la morte di Horst.

In effetti Heidemarie consegnò a Perugini un blocco più grande dello stesso tipo, a suo dire acquistato da Horst e da lei utilizzato e conservato per ricordo. Ma su di esso era segnato un prezzo di 10,20 marchi, mentre, a quanto risulta dalle medesime fatture esaminate in precedenza, nell’ottobre 1983 uno "Skizzen Brunnen" di quella dimensione veniva venduto a un prezzo minore, 10 marchi. Dunque il blocco non poteva essere stato acquistato da Horst, almeno non al Prelle-Shop, e molto probabilmente la sorella aveva mentito. Il che getta ombre inquietanti anche su tutte le altre sue affermazioni, tantoché viene da dubitare che il fratello avesse mai usato blocchi Brunnen. È infatti inevitabile chiedersi il perché la donna non avesse mai esibito un disegno realizzato da Horst su carta di quel tipo, potendo così ottenere un effetto gigantesco sulla valenza della prova: possibile che non fosse riuscita a rintracciarne neppure uno, considerato che, a suo dire, il ragazzo riempiva tantissimi di quei fogli?
D’altra parte è difficile immaginare quale possa essere l’angoscia dei familiari delle vittime di omicidi quando il responsabile non viene arrestato. Non che il dolore possa attenuarsi, ma certo, il disporre di una figura sulla quale riversare il proprio legittimo risentimento aiuta a farsene una ragione. Ben si comprende quindi come sia facile che essi pendano dalle labbra dell’autorità giudiziaria, attaccandosi in modo per forza acritico a chi da questa viene presentato come colpevole, e che non si tirino indietro se viene chiesto loro di dare una mano. Nel caso di Heidemarie e del padre, lasciati soli per anni nel doloroso ricordo di un congiunto ucciso senza motivo in un paese straniero, la comparsa improvvisa di poliziotti italiani che finalmente e con sicurezza indicavano loro un colpevole, e non si comprende per quale motivo avrebbero dovuto dubitarne, fa capire il perché si fossero messi fin troppo a disposizione. Qualsiasi persona interessata alla giustizia vera non può che guardare con raccapriccio a questo episodio, raccontato più volte da Perugini (qui in un’intervista a Repubblica del 17 gennaio 1993):

Di una scena non mi scorderò mai. A giugno andammo in Germania per mostrare ai parenti di due delle vittime del maniaco alcuni oggetti trovati a casa di Pacciani. Il vecchio Meyer, padre di Horst ucciso con l'amico in un bosco, capì che potevamo farcela. Mi abbracciò, ancora sento le sue braccia intorno al collo.

In casi come questo è evidente che il bisogno dell’uno di trovare giustizia e dell’altro di darla possono facilmente portare all’accanimento sulla persona sbagliata. E allora la vittima diventa, suo malgrado e per responsabilità non certo sua ma di chi glielo permette, un aguzzino, finendo anche per dimenticare che per un innocente in carcere c’è quasi sempre un colpevole fuori.

51 commenti:

  1. E qui assistiamo all'ennesimo risultato del peccato originale del modo di procedere degli inquirenti italiani, almeno a quei tempi: l'assenza dei rappresentanti della controparte durante l'assunzione delle prove testimoniali. A partire dagli interrogatori di Stefano Mele per i quali non mi risulta (correggetemi se sbaglio) che fosse presente un avvocato seppure di ufficio. Alla fine tutta l'indagine si avviò sul binario più facile che fu quello di ritenere inequivocabilmente colpevole il marito della vittima nonostante i ragionevoli dubbi e di chiudere le indagini dopo pochi giorni con i bei risultati che conosciamo. Forse se fosse stato presente un avvocato quell'indagine avrebbe preso in considerazione molti altri aspetti e svelato altri coinvolgimenti rimasti irrimediabilmente nell'ombra, dato che Stefano Mele sembrava ragionevolmente essere stato presente sul luogo del delitto, ma non appare essere stato l'esecutore materiale. Non voglio essere retorico, ma forse gli inquirenti avrebbero avuto ben altri elementi su cui meditare nel corso delle indagini successive.

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  2. Chiedo scusa... ma un esame, al giorno oggi, per l'eventuale presenza di DNA del Meyer sul blocco?

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    1. Nel '94 sarebbe stato possibile fare questo tipo di esame, ma non è stato fatto.

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  3. Analisi ineccepibile.
    La figuraccia dello Skizzen Brunnen fa il paio con il famoso quadro, altra prova on tanto della colpevolezza di Pacciani, quanto della sciatta superficialità pregiudizievole degli inquirenti nei confronti di Pacciani stesso.
    Per una volta sono d'accordo quasi al 100% con Sgarbi

    https://youtu.be/MVF1tqonpK0

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  4. Buongiorno sig, Segnini. Siamo sicuri che quel 424 non fosse in realtà un 4,24 e il trattino verticale, un modo per "tagliarlo", e cioè un semplice metodo per adeguare il prezzo da 4,24 a 4,60?
    Penso questo visto che i due numeri sono stati scritti da due mani diverse e quindi in due epoche diverse. Oggi una tale pratica può sembrare esteticamente discutibile, ma una volta nei piccoli negozzi si faceva. Ricordo che i miei nonni,
    fino ai primi anni 80, avevano una negozio di generi alimentari, e poichè i prezzi erano spesso soggetti ad aumento, a volte facevano così. Ma anche nei bar era così, sull'espositore delle patatine o nei tabelloni dei gelati:prezzo vecchio tagliato e di lato quello nuovo. Spero di non aver scritto una fesseria...
    Actarux

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    1. Certo, la sua è un ipotesi da non scartare a priori, che lascerebbe comunque incompatibile il blocco con il Prelle Shop.
      A sfavore vedo la coincidenza del 24 che è una delle dimensioni del blocco, e il fatto che l'aumento di un prezzo scritto a matita logica vorrebbe che fosse fatto cancellando prima il vecchio. Per un eventuale sconto lasciare il prezzo vecchio è senz'altro un modo per solleticare l'appetito del cliente, per un aumento vale il contrario.

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    2. Non ho visto la foto dell'originale, però mi sembra che il numero 424 non sia separato da virgole come sarebbe obbligatoriomper un prezzo. Per curiosità sono andato a rivedermi numerosi libri da me acquistati ai tempi dell'università in varie librerie in Germania, anni 1977-79. In quasi tutti c'è annotato a matita (così si poteva cancellare a ogni aumento di prezzo) il prezzo e un codice numerico indecifrabile e di diversi formati, che poteva essere un codice di magazzino, di scaffale o altro che non saprei dire. Questo mi fa pensare che l'indicazione prezzo + codice fosse quella comunemente in uso. Non ho nessun libro con prezzo apposto con prezzatrice, ma è anche vero che una cosa sono i libri, altra gli oggetti di cartoleria standardizzati.

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  5. Si, immagino che di questi tempi tale pratica sembri anacronistica. Però, come ho già detto, essendo io figlio di commercianti non più giovincello (sono del '71), un tempo nei piccoli negozi ricordo che non era insolito fare così. Ovviamente nei negozi più strutturati si usavano le prezzatici. Concordo che se il Prelle era un negozio di un certo livello, la pratica era quella di usare la prezzatrice. I miei genitore ne avevano 2-3 in negozio. In questi ultimi tempi, caratterizzati da deflazione, i prezzi non aumentano, anzi. Nei primi anni '80 l'inflazione era pesante e i prezzi erano in continuo aumento. Ricordo che in alcuni prodotti si potevano trovare 2-3 etichette della prezzatrice malamente sovrapposte, e io mi divertivo staccarle per vedere i vecchi prezzi...

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  6. Ciao Antonio, io ho memoria di un intervento sul forum di Ale, dove si parlava di un viaggio solitario di Lotti in Germania all'epoca dei delitti, per andare a trovare dei conoscenti.
    A te risulta? Grazie.
    Andrea.

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    1. Lo dice lui in un'udienza rispondendo a Curandai:

      Cur: Senta, un'ultima domandina e poi si chiude. Lei è mai andato all'estero, all'estero, fuori d'Italia?
      GL: All'estero?
      Cur: Sì.
      GL: Due volte.
      Cur: Due volte.
      GL: In Germania.
      Cur: In Germania, ecco. In che periodo c'è andato in Germania?
      GL: Mi pare... 'petti, eh... Mi pare nell'89. '89 fino... sì...
      Cur: Nell'89...
      GL: C'era...
      Cur: Sì, sì...
      GL: ... questo tedesco che veniva spesso a San Casciano. Poi, piano piano, insomma, siamo fatti amicizia, insomma, così.
      Cur: Un certo Hans.
      GL: Hans.
      Cur: Hans.
      GL: Hans, e la moglie si chiama Renate.

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    2. Grazie, allora non me l'ero sognato!
      Chissà che tipo di amicizia avesse potuto stringere, certo che è curioso, poi anche il periodo, quando gli omicidi erano cessati. Forse Lotti aveva iniziato ad intravedere bagliori di vita normale. Amicizie disinteressate. Persone che magari, essendo fuori dal contesto Sancascianese, non erano prevenute nei suoi confronti.
      Andrea.

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    3. Questa sua amicizia in ogni caso poco si accorda con la figura dello scemo del villaggio che gli è stata affibbiata.

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    4. Esattamente, anche il fatto di mettersi in viaggio da solo ed arrivare fino in Germania all'epoca.
      D'altronde per confutare l'idea diffusa che Lotti fosse un pupazzo senza interessi e manipolabile, basta ascoltare le sue telefonate alla Ghiribelli e alla Nicoletti, un uomo chiuso, ma che sa perseguire i suoi interessi quando si vede chiamato in causa, tutt'altro che passivo davanti l'evoluzione delle indagini.
      Andrea.

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    5. Ma secondo te, che sei stato uno di quelli che ha capito prima, perché la gente non ci arriva?

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    6. Provo a spiegare sinteticamente perché io non ci sono arrivato, o non ci credo. Lotti non ha saputo dare dei delitti una ricostruzione attendibile e coerente. Ha fatto gli interessi della Procura, e non i suoi, tanto è vero che è finito in carcere. Se Lotti fosse stato il Mostro, magari non Vanni, ma Pacciani, che era uno sveglio, lo avrebbe capito. Si accompagnava ad un serial killer e non se ne sarebbe mai accorto? E Lotti, che volle conoscerlo perché era un assassino come lui, si sarebbe camuffato da scemo anche con il rivale che aveva tanto desiderato incontrare? Aggiungerei che l'auto di Lotti non è stata mai vista quando i delitti sono avvenuti, ma al massimo mezza giornata prima o due giorni dopo (se era la sua, io ne dubito). Non sappiamo neppure se fosse un guardone, perché di testimonianze ne abbiamo pochissime. Tutte queste considerazioni non escludono ovviamente il coinvolgimento o la piena colpevolezza di Lotti, ma possono orientare diversamente.

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    7. La ringrazio per questo intervento pacato e costruttivo, e per non essersela presa se ho scritto che la gente non ci arriva. Magari appena ho la testa per farlo cerco di riflettere sulle sue parole e le rispondo.
      A mia parziale discolpa per aver usato una frase che potrebbe suonare offensiva o comunque arrogante le posso dire che nel mio piccolo sto vivendo un dramma.

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    8. Mi dispiace e spero che possa risolvere presto i suoi problemi.Non si preoccupi comunque, non mi ero offeso per la sua frase.

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    9. No, attenzione, il dramma è solo quello dell'intelletto, non mi procura alcun dolore, solo stupore! Mi pare insomma di essere come il protagonista del film "Essi vivono".

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    10. Avevo capito male, meglio così. Il film che ha citato è l'unico che non amo del grande Carpenter. Dimenticavo però una cosa, le ambigue frasi intercettate pronunciate dallo stesso Lotti, su cui vanamente la difesa di Vanni tentò di far leva per smontare il castello accusatorio (mi hanno imbrogliato, ecc.) Ammetterà che si prestano a un'interpretazione negazionista, anche perché le spiegazioni fornite da Lotti nell'incidente probatorio sono di una goffaggine logica e linguistica inaudita.

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    11. Ciao Antonio, penso che gli ostacoli maggiori che impediscono alla maggioranza degli appassionati di ritenere Lotti il colpevole tanto cercato siano più o meno questi : 1) la coincidenza di trovare il mostro giusto indagando quello sbagliato (Pacciani); 2) la fama di scemo del villaggio che continua a persistere, De André direbbe che la maldicenza insiste e batte la lingua sul tamburo; 3) le evidenti e plateali menzogne raccontate al processo, da te comunque sempre evidenziate; 4) la gestione, "non troppo limpida", dei due super testimoni, da parte di chi conduceva le indagini a modo suo.

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    12. Ti ringrazio Lorenzo, rifletterò anche sulle tue considerazioni.

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    13. A proposito della coincidenza di aver trovato il Mostro giusto indagando quello sbagliato, la gente fa finta di nulla davanti a tutta un'altra serie di coincidenze alternative che sarebbero davvero sorprendenti. La procura avrebbe avuto la fortuna d'incappare in un conoscente del Mostro sbagliato che aveva un'auto come quella vista dai coniugi sotto Scopeti, aveva frequentato la piazzola di Vicchio prima del delitto, aveva un amico (Pucci) disposto a sostenere la sua falsa confessione, era alto com'era alto il Mostro (checché ne dicano i vinciani) e via andare. Del resto non mi pare un fatto così eccezionale che il Mostro, con buona probabilità residente nella zona di San Casciano - Scandicci, avesse voluto conoscere un assassino come lui che abitava in zona (eccola la vera coincidenza), se non altro per curiosità.

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  7. Scusa Antonio ma al processo dei CdM Vanni disse che la madre di Lotti era stata in manicomio? che tu sappia è vero? E poi è vero che era una fervente cattolica? ti chiedo queste cose perché pensavo al suo quadro familiare. Un padre alcolizzato, una madre pazza e ultrà religiosa e una sorella che lo evitava... Tutto questo non rientra nel classico ambiente in cui può crescere una persona deviata? Più che ci penso e più che la sua situazione familiare fa tanto di serial killer...

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    1. Si legge anche nella perizia Fornari-Lagazzi.

      La madre è deceduta nel 1975, all’età di 74 anni per vasculopatia cerebrale, pare di comprendere. “L’ho portata troppo tardi all’ospedale. Anche lì ho passato momenti non troppo belli. Ricordo che mia madre si fissava sulla luce, prendeva la notte per il giorno”.
      Una sorella di 71 anni, “ma è come neppure ci fosse. Lei non mi parla e poi siamo due caratteri un po’ diversi. Io ne ho sofferto molto, perché sono un fratello, mica un barbone di strada! Anche mia nipote non mi guarda. Cosa le ho fatto io? Io non ho mica fatto niente a tutti loro”.
      Anche con il cognato i rapporti sono cattivi: “non è che si andasse troppo d’accordo...

      Una volta, a 12 anni, mi hanno trovato a letto con una ragazza della mia età; non si faceva niente, ma mia madre mi ha sgridato molto e mi ha picchiato.

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    2. Anche come famiglia eravamo un po’ isolati;
      le persone erano un po’ astiose con noi, non so perché. Mia madre era una donna molto religiosa; io invece non sono mai stato religioso.

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    3. Caro Collega,
      se tutti i bambini che crescono in famiglie disastrate ignoranti ed economicamente disagiate diventassero serial killer, staremmo freschi. Questo argomento non funziona; imho naturalmente.

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    4. Neppure come rafforzativo? La tua fede negazionista è proprio incrollabile. Sono certo che assieme a me anche gli altri cinque "lottiani" attendono con ansia il tuo articolo.

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    5. Sono ben più di cinque, Antonio. Stai avendo successo, meritato per l'impegno e il grande lavoro fatto, non per la bontà della tesi, purtroppo.

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    6. Scusa Omar non ho detto quello... E' che nel quadro generale cioè confessione, frequentazione delle piazzole dei delitti, testimonianze sulla macchina rossa, perizia Fornari Lagazzi e altri indizi che ha spiegato benissimo Antonio la sua situazione familiare fa pensare. Tu che sei uno dei maggiori esperti del caso (tra l'altro ho letto il tuo libro e ti faccio i complimenti) come fai a togliere completamente Lotti da questa storia? Io ero molto scettico quando iniziai a leggere il libro di Antonio ma poi non sono mai riuscito a trovare una risposta a quella specie di auto confessione. Mi piacerebbe sapere la tua opinione.

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    7. @omar : sbagli. E' proprio per la bontà della tesi che siamo oramai in molti ad essere lottiani. Sono le vostre tesi negaioniste che si scontrano con la logica e con , soprattutto, una cosa, oramai ripetuta alla nausea: CHI fu l'unico che confessò e provò una partecipazione attiva ai delitti ?

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    8. Caro Co0llega, la mia opinione l'ho scritta più volte, sul mio blog e anche qui.
      Lotti è un testimone falso che fa fino all'ultimo il gioco della Procura perché incastrato e - crudelmente - abbindolato.
      Una persona abbandonata da tutti, senza una valida difesa, che casca come un allocco nella trappola dell'inquirente: la tua macchina è stata vista anche a Vicchio, quindi...
      La confessione - e il suo pervicace mantenimento anche quando la difesa Vanni gli offre l'opportunità di uscirne con una condanna per calunnia - sono il segno di un baratto e di una promessa non mantenuta. Non fatemi dire di più.
      Fate gran conto del giudizio estemporaneo di Propato, senza ricordare che proprio la questione delle assicurazioni e della macchina rossa gli fece cambiare idea su tutta la questione.
      Rileggiamo, se avete pazienza:
      P.G. (…) chiama in ballo la questione della 128. Come si poteva immaginare Lotti è venuto davanti a voi e di fronte alla nuova emergenza processuale ha dato la risposta più logica: "le usavo tutte e due". Ma bisogna andare a rileggere le dichiarazioni del Lotti su ciò che riguarda l'automobile 128. Lui quando ha consegnato il certificato di assicurazione fino al settembre '85 sulla Fiat 128 mentre non ha consegnato il contrassegno, quando lo ha consegnato ha impostato le sue dichiarazioni su quel presupposto. "Io fino al 20 settembre non circolavo con la 124 perché avevo l'assicurazione sulla 128". Si legge da più parti nel verbale dibattimentale "io non avevo i soldi per far andare due macchine. Perché usavi due automobili? Perché mi garbava così." A mio avviso non è una risposta valida quando la risposta sia stata data dopo pagine e pagine di domande sulla 128, impostate sul presupposto "io ci ho il certificato di assicurazione, io giravo con quella macchina". I vari testimoni vicini di casa e lo stesso Lotti, parlano di "qualche mese" di aver avuto contemporaneamente 128 e 124. Nel primo dibattimento quando gli hanno fatto qualche domanda, alla fine ha ammesso di essere uscito con la 128 ma ha detto "qualche volta", a voi direttamente ha detto la usavo per i viaggi più vicini, non lontano, combinazione, a Firenze lui ha fatto due incidenti entrambi con la 124. E' credibile che per andare alla piazzola degli Scopeti piglia la 128 e lascia la 124? Ma perché mai doveva decidersi a comprare un'automobile i cui soldi glieli ha dati il datore di lavoro? Lui non ce li aveva, segno è che la 128 o non funzionava completamente o comunque era diventata una carretta. E' questo il punto da valutare e che ha incrinato certe mie convinzioni. Perché si assiste a un Lotti che modifica le risposte a seconda delle necessità. La 128 l'hanno vista i coniugi Caini/Martelli ma danno un certo orario e su quell'orario a lungo non s'è saputo nulla, soltanto alla fine, Pucci, dice che hanno spiato la coppia nel pomeriggio ma di questo spiare la coppia nel pomeriggio il Lotti non ne parla, quindi se si son fermati o non si sono fermati è una circostanza completamente dubbia.

      Il possesso della 128, questo elemento considerato da tutti fondamentale gli va messo almeno, almeno, uno o due punti interrogativi”.

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    9. Omar ti ringrazio x la risposta. Allora, se ho capito bene secondo te la pseudo confessione del Lotti sarebbe un mix di un accordo tra avvocati e pm, il ritardo mentale dell' imputato e quando imbeccata da parte degli inquirenti. Ma la telefonata al bar tra lui e la Ghiribelli come la spieghi? Poi se la Nicoletti mentiva sulla frequentazione di Vicchio perchè fargli dire di esserci stata con Lotti? A questo punto se erano gli inquirenti ad imbeccarla, sulla scena potevano metterci Vanni o addirittura Pacciani. E un ultima domanda: ma non trovi strano che il DNA trovato sui pantaloni a Scopeti sia stato confrontato con tutti i maggiori sospettati e non con quello degli unici due condannati? A me sta cosa non quadra...

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    10. La Nicoletti, nel primo interrogatorio (6 febbraio '96), non disse di essere stata sulle piazzole degli omicidi con Lotti, parlò di un altro amante (il Sadotti, di Arezzo): "Mi chiedete se qualche volta è capitato che anche io mi sia appartata in intimità agli Scopeti. Rispondo affermativamente, poiché, durante la mia relazione con l'amante di Arezzo è capitato più volte che, venendomi questi a trovare, io lo abbia portato nella piazzola degli Scopeti, ove poi è successo quel brutto delitto, per fare l'amore... A proposito di luoghi appartati all'aperto, ove mi sono intrattenuta in intimità, ricordo che, sempre con il mio amante di Arezzo, sono stata anche in quel posto, ove è stata uccisa la RONTINI con il suo fidanzato. Dico che è lo stesso posto perché vidi in televisione ed anche sui giornali il luogo del delitto RONTINI e lo riconobbi con certezza per quel posto, ove, di giorno, portavo il mio amante a fare l'amore".
      Poi raccontò che era stato Lotti a farle conoscere il posto, nel 1981. Con il Sadotti ci sarebbe stata invece una sola volta, all'inizio del 1984, quindi sempre prima del duplice omicidio.
      Poi fu condotta dagli inquirenti sul posto, e il giorno dopo fu portato Lotti sullo stesso luogo.
      Questa è la ricostruzione esatta, se crediamo alla bontà dei verbali. Io, sulla spontaneità dei racconti della Nicoletti (a prescindere dalla loro veridicità), nutro dei dubbi.

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    11. Però bisogna sempre chiedersi il perché degli accadimenti. Che la Nicoletti tendesse a essere reticente per timore di accuse di complicità nei suoi confronti non viene in mente a nessuno? Raccontò poi di essere stata sulla piazzola con Lotti perché Giuttari e Canessa le avevano promesso un compenso o perché l'avevano minacciata di chissà cosa?

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    12. Teoricamente tutte le ammissioni, testimonianze o confessioni a rate dovrebbero spiegarsi con il timore degli interrogati. La reticenza della Nicoletti qui però appare tale solo in parte. Ammettere di essere stata nella piazzola degli Scopeti era logico e inevitabile, dato che aveva abitato per anni a San Casciano.
      Ma perché parlare di Vicchio, se non sollecitata a riguardo?
      La Nicoletti era reticente perché temeva di essere accusata di complicità: il ragionamento fila. Però quello che dice prepara il terreno al successivo coinvolgimento di Lotti, che i verbali ci fanno apparire quasi spontaneo e casuale.
      Non credo che la Nicoletti sia stata minacciata o ricompensata, ma non c'è nulla in questa storia che appaia semplice e lineare.



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    13. Rinnovo la provocazione che avevo lanciato in un recente intervento. Giacché anche questo Sadotti conosceva prima del delitto la piazzola di Vicchio, diventa anche lui il possibile Mostro di Firenze? Ho un dubbio: non sarà magari che dopo il delitto, ovviamente di giorno, la piazzola è diventata meta di una sorta di macabro turismo, che ha coinvolto tra i tanti anche i nostri? La Nicoletti si era trasferita ad Arezzo, ma non era poi così lontano in fondo. È solo un'idea, per carità.

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    14. Quello che volevo dire prima è che secondo me, se Giuttari avesse fatto pressioni alla Nicoletti per dire cose non vere avrebbe ottenuto più risultati mettendo nella piazzola di Vicchio Vanni o Pacciani. Proprio per questo a me sembra sincera.

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    15. Si parla tanto del rasoio di Occam e poi non si applica mai. E' più plausibile che la Nicoletti abbia esitato ad ammettere di essere stata con Lotti sulla piazzola di Vicchio oppure che abbia portato avanti la bugia di esserci stata per vari interrogatori, sopralluoghi, riconoscimenti di vari dettagli e infine il processo? Se non si applica un po' di semplice buonsenso si resterà sempre nel buio. A qualcuno piace, come a Giorgio e a Omar Quatar, a me no.

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    16. Dal verbale del 19 aprile 1996 di fronte a Canessa. Risponde Carlo Sadotti:

      Mai mi sono appartato con la Filippa in auto a Vicchio che lei mi dice disti poco più di Km. 60 da San Casciano. Se la Filippa dice ciò si sbaglia con qualche altro. Io non sono mai stato nè a Vicchio nè a Borgo San Lorenzo, mi sembra proprio di esserne certo. Quando da San Casciano tornavo ad Arezzo passavo per Tavarnuzze e poi prendevo l'autostrada.

      Escludo di essere stato ad Arezzo all'epoca passando da Pontassieve. Mi vengono a questo punto mostrate le foto del sopralluogo fatte con la Filippa Nicoletti nella piazzola degli Scopeti contenute nella busta a carte 317 bis. Una volta osservate io le dico che i luoghi raffigurati in dette foto non mi dicono nulla, non mi sembra proprio di esserci mai stato. L'ufficio dà atto che due di dette foto in fotocopia vengono allegate al presente verbale.

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    17. Appunto. Chi diceva la verità? Perché la Nicoletti avrebbe tirato in ballo per primo Sadotti? Ci si può fidare di testimoni come la Nicoletti o la Gabriella? La mia era solo una provocazione. Anche l'eventuale frequentazione della piazzola di Vicchio non implica la colpevolezza certa di Lotti. Tutte le persone che non erano del posto ma lo conoscevano diventano potenzialmente sospette? Vorrei anche io vedere un po' di luce, ma in questa storia vedo un buio pesto.

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    18. Lei non vuole vedere nessuna luce. Altrimenti non metterebbe sullo stesso piano la sospettabilità di un personaggio che si è preso 26 anni di carcere confessando la sua partecipazione ai delitti del Mostro, e che aveva frequentato una sperduta piazzola dove poi sarebbe avvenuto uno di quei dei delitti, con quello di un qualsiasi altro individuo che con la vicenda non ebbe mai a che fare, anche se per caso era capitato sulla stessa piazzola.
      Perché la Nicoletti in un primo momento tirò in ballo Sadotti non si può dire, bisognerebbe essere stati in quella stanza e aver osservato le dinamiche del colloquio, certamente non rilevabili da un verbale riassuntivo. Forse era in difficoltà e cercò di uscirne in modo maldestro. Quel che è certo è che dopo i primi tentennamenti ammise di aver frequentato la piazzola con Lotti, continuando ad ammetterlo fino in dibattimento. Forse a lei non interessa, poiché mi sembra di capire che parte già con il presupposto di non riuscire a venire a capo di nulla, ma dovrebbe trovare una spiegazione plausibile a tale comportamento, se la donna su quella piazzola con Lotti non c'era stata. E chiedersi anche il perché Lotti lo avesse poi confermato, pur cercando di limitare i danni ammettendolo solo per 1984.
      A questo punto però mi dovrebbe spiegare perché viene a leggere i miei articoli. Cosa spera di trovarci, verità in cui non crederà mai? Oppure trova soddisfazione in quelle che io distruggo?

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  8. Ciao Antonio, credo che la tua domanda fosse rivolta a me.
    Beh non so che dirti, probabilmente la gente non vede Lotti nei panni del maniaco per pochi e banali motivi, in primis, l'idea diffusa e preconcetta (senza riscontro alcuno), che il mostro dovesse essere un dottore, o comunque una persona di alta estrazione sociale e culturale, quando, in realtà, le poche informazioni (certe) che possiamo trarre su una sua eventuale istruzione, ci rimandano un uomo che non sa scrivere correttamente, che commette errori grammaticali da seconda elementare.
    In secundis (se la prima non bastasse), un'altra idea, sempre preconcetta e palesemente falsa, che vede il Lotti, per voci di popolo e paese, come una persona talmente tonta ed ingenua, che anche volendo, non sarebbe riuscito a sostenere quella carriera criminale.
    Nulla di più falso a mio modo di vedere, Lotti era un uomo con pessime abitudini, alcol e prostitute di bassa lega, spesso disoccupato e senza una famiglia e perciò visto ed additato come scemo del villaggio.
    Io credo che Lotti fosse ben altro, un uomo solo, di cui nessuno, seppur conoscendolo, sapeva realmente il vissuto.
    Andrea.

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  9. Alcuni passaggi della perizia Fornari-Lagazzi fanno rabbrividire, emarginazione sociale, eccesso di pudore in gioventù per colpa della madre ultrareligiosa.
    Sembrano motivi scatenanti nella biografia di un lust murderer, invece toh, è la biografia del Lotti.
    Andrea.

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    1. Se ci riflette bene, si renderà conto che gli stessi elementi si ritrovano in altri soggetti, per esempio lo stesso Vanni: creduto uno scemo da tutti, frequentatore di prostitute, sposato ma con una infelice vita coniugale. Vogliamo parlare di Pacciani, che da giovane per poco non ammazzò il padre? Non bastano i conflitti familiari, la solitudine o le insoddisfazioni a fare di un povero diavolo un assassino seriale. Non solo non ci sono prove, ma lo stesso Lotti con le sue bugie e le frasi ambigue disseminate nelle conversazioni intercettate ci ha fornito dei validi elementi per dubitare di tutto quello che ha raccontato.

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    2. Lei dimentica qualche non irrilevante differenza di posizione. Vanni e Pacciani si sono sempre proclamati innocenti, Lotti si è preso ben volentieri 26 anni di carcere, con la speranza che fossero di meno, certo, ma sempre il carcere sapeva che era lì ad aspettarlo. Poi la sua macchina rossa sotto Scopeti, che ci faceva li? Crede anche lei che quei due tizi fossero due adepti degli Hare Krisna che avevano parcheggiato un po' fuori mano, come riteneva Filastò? E della frequentazione della piazzola di Vicchio prima del delitto che mi dice? Come la spiega? Un posto così fuori mano, proprio lì doveva andare Lotti con la Nicoletti...

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    3. Non mi pare però che Lotti abbia proclamato la sua colpevolezza in modo limpido e autonomo, dato che vi è stato indotto dalle dichiarazioni di Pucci e della Ghiribelli. Su Scopeti c'è la storia delle due auto, su cui non ho un'idea precisa. Devo dire che è comunque strano che uno spietato assassino non usi tutte le carte a sua disposizione per difendersi prima di confessare. L'acquisto della 124 lo tirò fuori la difesa di Vanni, avrebbe dovuto pensarci prima Lotti, ma so qual è la sua sua ricostruzione. Quella di Vicchio potrebbe essere la coincidenza più importante per la sua ipotesi, ma bisogna vedere se è vero il racconto della Nicoletti, che era una prostituta e che potrebbe esserci stata anche con altri clienti o amanti. Fu lei stessa a raccontare di esserci stata con un altro uomo. Anche quello potrebbe essere il Mostro di Firenze? I testimoni di questa vicenda a me sembrano tutti, per una ragione o per l'altra, poco attendibili. Ci sono comunque molti elementi da considerare, le coincidenze sfavorevoli per Lotti (chiamiamole così) non sono gli unici. Per me le ricostruzioni degli omicidi fornite da Lotti sono troppo approssimative, lacunose e contraddittorie. Poteva essere molto più preciso, se era stato lui a commetterli. Posso sbagliare, ma ho avuto questa impressione anche ascoltando i suoi interventi al processo.

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    4. Si legga bene le testimonianze della Nicoletti, non vedo davvero come si possa pensare che abbia mentito. Fu portata sul posto e lo riconobbe, dopo averne descritto molti particolari.
      Il discorso che lei fa sulla mancata precisione nel descrivere i delitti è profondamente sbagliato. Per quale motivo Lotti avrebbe dovuto essere più preciso, rischiando di scoprirsi? Nonostante questo qualcosa gli sfuggì comunque, come i pantaloni (anche se lui li chiamò pantaloncini) del francese, che adesso si scopre aveva.

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  10. Appunto, dubitare di tutto quello che ha detto, proprio perchè gli viene servita su un piatto d'argento la possibilità di scaricare il grosso delle colpe su due "amici" che coi delitti non c'entravano niente, lui non può tirarsi indietro e sai perchè? Perchè è convinto che qualcuno abbia parlato di lui (e tutti i torti non li ha).

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  11. Buon giorno, Antonio. Qualche giorno fa lei mi cito' un aforisma che trovo azzeccatissimo: "il diavolo si cela nei dettagli". Me ne viene in mente un altro che credo faccia al caso nostro: "videmus per speculum et in aenigmate" (Paolo di Tarso). Ora, addentrandomi da neofita in questa intricatissima storia puo' darsi che io stia osservando lo specchio sbagliato, ma per me un grande enigma continua a rimanere il Fernando Pucci. Oligofrenico pare non lo fosse piu' di tanto. Gli inquirenti erano convinti della colpevolezza di Pacciani. Che cosa indusse Pucci a rafforzare il loro convincimento raccontando quello che racconto'? Tra l'altro, se non mi sbaglio, fu lui a fare il nome di Pacciani prima che lo facesse Lotti. Vedo che non sono il solo a chiedermi che cosa sarebbe accaduto se nel giudizio di appello Vanni fosse stato assolto. Presumo che per conseguenza Pucci e Lotti sarebbero stati incriminati per calunnia e falsa testimonianza. Contemporaneamente si sarebbero riaperte le indagini sui delitti, su Lotti in primis, visto che era reo (parzialmente) confesso. Ma Pucci nel processo ai CdM era stato solo testimone, per cui, nell' eventuale procedimento per calunnia qualcuno gli avrebbe domandato piu' o meno: " Caro signore, visto che Vanni non c' entra, i casi sono due: o lei non ha mai assistito al delitto degli Scopeti e allora ci dovrebbe spiegare perche' ci ha raccontato questo mucchio di panzane; o lei il delitto lo ha visto e allora, dal momento che non c' era Vanni, oltre alle panzane, ci deve spiegare per benino molte altre cosette". Perche' Pucci ha accettato di correre questo grandissimo rischio? L' amicizia con Lotti si era interrotta proprio da dieci anni, guarda caso, quindi non lo ha fatto per altruismo. All' apparenza, avrebbe potuto smarcarsi facilmente dicendo che quella domenica era alla piazzuola semplicemente perche' Lotti gli aveva raccontato una storia di morti ammazzati e, visto che lui non ci credeva, lo aveva portato sul posto per farglieli vedere. Non lo fece. In conclusione ritiene ragionevole il sospetto che Pucci sia stato realmente testimone (passivo) del delitto degli Scopeti, delitto non commesso evidentemente ne' da Vanni ne' da Pacciani? Come sempre la ringrazio per l' attenzione e le auguro una buona giornata.

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    1. Secondo me Pucci fece il gioco di Lotti per paura di essere tirato dentro dallo stesso Lotti. I due si videro poco prima del primo interrogatorio di Pucci, e immagino che se Lotti era davvero quel che penso io, gli abbia detto chiaramente che se cadeva lui cadevano entrambi. Quindi concordarono la storia su Scopeti.

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  12. L'udienza di Pucci a mio avviso è la chiave di tutto.
    Con Lotti che interviene (cosa che non farà più) per interrompere il PM, dicendo, "ste cose le ho dette io a Fernando".
    Proprio per metter al riparo l'amico che assieme a lui fu visto a Scopeti.
    Andrea.

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